Manconi: "Un ministro delle trivialità"

 

«Abbiamo un ministro delle trivialità»

Per Luigi Manconi i problemi sono altri, soprattutto affollamento e suicidi

 

La Nuova Sardegna, 17 agosto 2002

 

Luigi Manconi, sociologo, parlamentare per due legislature, presidente di «A buon diritto. Associazione per le libertà» non usa mezze misure nel commentare le parole del ministro Castelli sulla tv a colori nelle carceri: «È una vera e propria trivialità. Quale idea della persona e, se non è troppo pretenderlo dal ministro Castelli, quale concezione della psiche umana coltiva un'alta autorità dello Stato che definisce un lusso la disponibilità di un televisore a colori per chi è recluso in cella 24 ore su 24?

«Il televisore - continua Luigi Manconi - è strumento che proprio nella vita quotidiana del detenuto, oltre a rappresentare un qualche motivo di sollievo e di intrattenimento, finisce per costituire una sorta di ossessione, una presenza invadente e nevrotica che occupa tutti gli spazi, per altro angusti, della cella stessa. Da decenni, nelle rubriche delle lettere dei giornali si legge con periodica ricorrenza la lamentela per le carceri trasformate in grand hotel, e sempre il simbolo di tale lusso è identificato nel televisore.

O è Castelli il frustrato estensore di quelle lettere, che finalmente può dare pubblico sfogo al suo tic, oppure il nostro ministro della giustizia attinge a piene mani alla sentina degli umori più sordidi e dei rancori più oscuri e da quel sentimento di rivalsa che circola in qualche zona della società nei confronti di chi si trovi detenuto.

Oltrettutto gli va ricordato che tra quei reclusi circa il 45 per cento è in attesa di giudizio, quindi innocente a tutti gli effetti. Allora è il sistema giudiziario che non va? «All'interno di un sistema giudiziario che non va c'è un sistema penitenziario al disastro. A proposito di sovraffollamento ricordo che nelle carceri italiane il numero dei detenuti supera di oltre il 30% la capienza massima tollerata: non solo quella ottimale, prevista all'atto della costruzione delle carceri, ma persino quella delle situazioni d'emergenza. Quando si dice che le prigioni scoppiano non è una immagine letteraria.

L'indice di carcerizzazione, cioè il rapporto tra popolazione detenuta e popolazione nazionale, sfiora ormai il tetto di 100 reclusi ogni 100mila abitanti, come solo nell'immediato secondo dopoguerra. Tra le più atroci conseguenze di questa situazione intollerabile c'è la crescita abnorme del numero dei suicidi. In carcere, infatti, ci si ammazza 19 volte più di quanto ci si ammazzi fuori dal carcere e oltre il 50% si toglie la vita nel corso dei primi sei mesi di detenzione. Come giudica la proposta del giudice Nordio, presidente della commissione per i nuovi codici, di depenalizzare circa 200 reati con pene alternative al carcere? «In maniera positiva.

La depenalizzazione, infatti, è una delle vie, e tra le più importanti; l'altra è la decarcerizzazione. Soddisfatte le esigenze cautelari non c'è ragione al mondo perché resti in carcere, scontando una pena anticipata, chi non ha subìto ancora una condanna definitiva. E di quel 45 per cento prima ricordato la gran parte è responsabile di reati che non producono allarme sociale né pericolo per terzi.

Per non parlare dei tossicodipendenti. Ovviamente di progetti di depenalizzazione ne sono stati elaborati molti nel corso degli ultimi 15 anni, qualcosa si è persino realizzato. Ma è bastato il diffondersi di un allarme sociale o di un'ansia collettiva perché si tornasse all'antica e rassicurante ricetta di chiudere a doppia mandata la porta della cella e buttare via la chiave».

 

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