Alfredo Bonazzi

 

Lo "scandalo" del sesso dietro le sbarre

 

 

Cronaca Vera, 28 agosto 2002

 

Acquisto spesso la rivista alla quale lei collabora e leggo volentieri la sua rubrica, ammirandola per la capacità che dimostra nell’affrontare problemi così drammatici ma che comunque riguardano tutta la società. Ebbi in passato occasione di sentirla parlare durante una trasmissione di Radio Lugano in cui affrontò l’argomento dei rapporti familiari e intimi nelle carceri, come poter dare modo ai ristretti negli istituti di pena, anche se hanno debiti pesanti con la Giustizia, di poter conservare legami di coppia e filiali. Io credo che potrebbe essere utile, come in altri Paesi altrettanto civili, inserire un programma di trattamento per tale materia nei Regolamenti penitenziari permettendo incontri di coppia e familiari in un quadro premiale più ampio, che reinserisca pian piano le persone più meritevoli nel contesto sociale. Tali programmi vengono attuati per esempio in Olanda, Spagna, Svizzera e anche in alcuni Paesi del Sud America. Col sommesso invito di voler trattare questi temi, valutando più completamente obiettivi e suggerimenti di vari organi e associazioni, tipo il Gruppo Abele e altri, in Italia ed Europa, ancora grazie per l’impegno di rendere più accessibili temi scottanti che fanno parte del nostro vivere quotidiano. Distinti saluti.

 

Magda Ravel - Ginevra (Svizzera)

 

Gentile Lettrice, di tutti i tabù che ci portiamo dietro, qui in Italia, quelli sul sesso sono certamente i più inquietanti. Se poi la sessualità diventa l’argomento del giorno per un disegno di legge opera di una cinquantina di parlamentari sensibili alla proposta di salvagualdare il diritto alla affettività in carcere (avanzata da un gruppo di esperti in materia, avvocati, operatori penitenziari, operatori sociali, nonché dai detenuti e dai loro familiari, al termine dell’intenso e appassionato dibattito avvenuto nella Casa di Reclusione di Padova il 10 maggio scorso), immediatamente si scatenano pregiudizi, timori e moralismi. Non potendo, per ovvie ragioni di spazio, trattare a fondo lo spinoso argomento, e non volendo scendere in polemica con coloro che mi hanno accusato nel corso di alcuni dibattiti sulla salvaguardia della affettività e delle relazioni familiari di volere un "bordello" al posto di un luogo di pena, le spedisco il numero speciale di "Ristretti Orizzonti" il periodico di informazione del carcere di Padova, alla cui combattiva redazione di reclusi si deve la Giornata di Studi che ha messo a fuoco le separazioni, i divorzi, il "sesso taciuto e negato", il desiderio sessuale accentuato da spettacoli televisivi alla Tinto Brass, le variazioni psicofisiche attinenti alla privazione della libertà, le separazioni tra genitori detenuti e figli e il loro consequenziale disadattamento sociale.

A coloro che hanno voluto sottolinearmi, con rabbia e rancore, che i carcerati già godono di misure alternative per soddisfare l’appetito sessuale, rispondo serenamente che sì, esistono licenze e permessi premio "per coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro", ma questi permessi non sono, contrariamente a quanto si scrive, così frequenti. Ancora oggi, dall’ammasso di lettere che abbiamo in archivio, sotto l’aspetto dell’affettività in carcere permangono i colloqui "Protetti" (a vista e a udito...), l’astinenza, l’immaginario erotico, la fantasia, la masturbazione e, anche se si vuole ostinatamente negarla, l’omosessualità.

Il problema, come vede, è immenso. Qui da noi, poi, con il sovraffollamento e il numero elevato dei reclusi extracomunitari e la carenza di operatori qualificati, si preferisce la politica dello struzzo, ognuno se ne lava le mani, il sesso deve rimanere un argomento da bordello e non di un carcere emancipato sotto il profilo dei diritti umani. A Lugano, il responsabile della formazione del personale di quel carcere, Serafino Privitera, le potrebbe dare ogni ragguaglio sugli incontri riservati tra i detenuti del carcere del Canton Ticino e i loro famigliari. È dal 1980 che l’affettività detentiva fa parte integrale della condanna da espiare, una conquista culturale che non allontana del tutto il detenuto dalla società e dai suoi affetti.

Alfredo Bonazzi

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