Martini e le pene alternative

 

Babbo Natale non porta pene

Il cardinal Martini invoca alternative al carcere

 

Il Manifesto, 27 dicembre 2001

 

Celebrando la messa di Natale nel nuovo carcere di Opera, il cardinale Carlo Maria Martini ha rilanciato un appello che gli sta a cuore e finora caduto nel vuoto. "Si affronti il nodo delle pene alternative al carcere", ha detto il vescovo di Milano rivolgendosi alle autorità politiche. Delle carceri, "purtroppo", ci sarà sempre bisogno; ma "dobbiamo tutti fare uno sforzo per superare il concetto della detenzione intesa come unico strumento nei confronti di chi sbaglia". Lo sostengono anche grandi penalisti, ha aggiunto Martini conversando con i giornalisti, "il carcere non è l’unico modo per difendere l’ordine pubblico". E’ necessario per prevenire il crimine organizzato e, soprattutto, il terrorismo. Ma per gli altri delitti vanno studiate misure articolate, in modo che il carcere abbia, come vuole la Costituzione, una funzione riabilitativa. E per i reati minori si prevedano "forme di riconciliazione, impegni onerosi capaci m riportare alla vita civile chi ha sbagliato senza frustrazioni, senza disperazioni".

Ai 1.250 detenuti di Opera, che sollecitano una modifica "equa e giusta" del codice penale, il cardinale ha manifestato la "delusione" sua e del Papa per il mancato atto di riconciliazione in occasione del Giubileo. "Lo stesso ho portato sul suo tavolo migliaia di firme... I politici hanno fatto delle promesse, poi le cose si sono ingarbugliate tra loro con veti incrociati". L’atto di clemenza chiesto da Giovanni Paolo II ai governi di tutto il mondo non c’è stato. "Tuttavia, non dobbiamo perdere la speranza", ha concluso Martini.

Il clima natalizio non intenerisce Francesco Saverio Borrelli. Il procuratore generale di Milano apprezza la "grande sensibilità" che il cardinale ha sempre dimostrato per i problemi dei detenuti e condivide l’indicazione delle pene alternative. Lo segue "un po’ meno" - anzi, per niente - sul naufragato atto di riconciliazione. "Le riconciliazioni si fanno dopo le guerre. La legge non si può riconciliare con chi l’ha violata e non ha senso parlare di riconciliazione come se si trattasse di un affare privato tra il Parlamento e chi delinque", conclude l’arcigno Borrelli.

Una qualche disponibilità a pene alternative al carcere l’ha dichiarata il ministro per il rapporti con il parlamento Carlo Giovanardi, ieri in visita ad Amelia alla comunità "Incontro" diretta da don Gelmini. "Siamo favorevoli", ha detto il ministro usando un plurale che non si sa quanto condiviso dalla maggioranza e riferendosi ai reati legati alla tossicodipendenza. "E’ assurdo che debba scontare la pena chi ha accettato il percorso di recupero dopo aver commesso reati perché schiavo della logica della tossicodipendenza". Giuliano Pisapia (PRC), pur dubitando che una frase di Giovanardi impegni il governo, ci salta dentro: "E’ ora di passare dalle parole ai fatti. Sì a pene alternative al carcere per il tossicodipendenti", la detenzione essendo per loro "non solo inutile, ma anche controproducente". Diciottomila detenuti tossicodipendenti costano 2.200 miliardi solo per il mantenimento in carcere. Con questa somma è possibile aumentare i posti nelle comunità, creare strutture chiuse di recupero, rafforzare il Ser.T.. Se si esce dallo scontro ideologico, bastano pochi mesi per modificare la legislazione e "sperimentare con prudenza" alternative al carcere.

Più scettico il verde Alfonso Pecorario Scanio prevede che quelle di Giovanardi resteranno "parole il libertà o, al massimo, una catpatio benevolentiae nei confronti di Martini". Il presidente del Sole che ride, comunque. sfida il governo: "Avanzi una proposta concreta attenta alla riduzione del danno e che superi il carcere. Sarebbe un segno di civiltà ben diverso dalla becera propaganda proibizionistica di tanti altri esponenti del centro destra". Coglie nella sua interezza l’omelia martiniana l’ex detenuto Sergio Cusani: "E’ un cardinale che impropriamente, ma per fortuna, fa politica, mentre i politici non fanno il loro mestiere". Martini, aggiunge il condannato di Tangentopoli, fa politica "giudiziaria, penale e sociale"; mentre lui "si preoccupa degli uomini, la politica pensa al business". Tra gli affari in lista, la chiusura di San Vittore; non per liberare tutti, ma per costruire un altro carcere e per lucrare su un’enorme area dismessa nel cuore di Milano.

 

 

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