l'opinione dei detenuti

 

L’importanza del lavoro per i detenuti

 

Quello che ha colpito di più chi opera in carcere è l’intenzione espressa dal Ministro della Giustizia Castelli di far lavorare tutti i detenuti.

Ma noi ci chiediamo: come pensa di trovare questi posti di lavoro il Ministro, quali forme di retribuzione prevede e con quali modalità ritiene che i detenuti dovrebbero lavorare?

 

"Il problema è: che cosa fargli fare?", dice don Giorgio Caniato, responsabile dei cappellani delle carceri.

La prima considerazione che abbiamo fatto credo un po’ tutti riguarda proprio questo: che tipo di lavoro far fare ai detenuti, come organizzarlo, come invogliare gli imprenditori a portare lavoro dentro le carceri.

Ci sono più "linee di pensiero" sul lavoro ai detenuti. Una molto diffusa, che sembra essere anche l’idea del Ministro, vede nel lavoro in carcere un momento di riscatto e, nello stesso tempo, di risarcimento della società per il danno fatto. Questa è un’idea accettabile, a patto che si eviti il rischio di idealizzare il lavoro: è infatti difficile pensare che, uscendo dalla cella solo per lavorare, un detenuto possa facilmente rimettere in discussione le sue scelte di vita.

Bisogna poi tenere in considerazione il fatto che, se non c’è una convenienza, nessun imprenditore investirà in carcere. Ed anche assumere un detenuto che è nei termini per accedere alle misure alternative alla detenzione, a causa dei necessari controlli e delle lungaggini burocratiche, diventa molto impegnativo e problematico per un imprenditore. I ritmi della burocrazia giudiziaria non concordano con i ritmi del lavoro e dei bisogni degli imprenditori.

E’ ancora don Caniato a sottolineare che occorre prima di tutto sfrondare la burocrazia: "Il paradosso è che se una ditta richiede un detenuto, ma non sono pronte le carte, quello perde la sua unica opportunità".

Sono questi i problemi che fanno dire a Luigi Pagano, direttore di San Vittore: "Per questo solo pochissimi detenuti lavorano all’esterno, mentre la maggior parte è impegnata in attività interne come scopino, cuoco e in altre mansioni retribuite però dall’amministrazione". Il direttore di S. Vittore ritiene importante che venga applicata la Legge Smuraglia, che prevede appunto la riduzione degli oneri sociali per le ditte che entrano in carcere.

I decreti attuativi della legge Smuraglia dovrebbero dare il via a molte iniziative a favore del lavoro ai detenuti: speriamo che non restino semplicemente una bella idea sulla carta.

In carcere poi, se si vuole dare una svolta radicale al sistema lavoro, bisogna portare idee nuove e accettare di mettere in discussione quei criteri che vogliono il detenuto utilizzabile per soli lavori che richiedono una bassissima qualifica, come la manodopera generica, i lavori domestici. Se si vuole veramente innovare, bisogna piuttosto ripensare al lavoro in carcere nella sua globalità. Interessante e coraggiosa in proposito è una proposta del dottor Pagano: "Nel nuovo carcere di Bollate ci sono capannoni e spazi adeguati, potrebbero ospitare qualsiasi tipo di produzione e a qualsiasi ora, anche di notte. Siamo disposti a rivoluzionare il ritmo della vita detentiva, pur di dare a tanti la possibilità di tenersi occupati". Questa sarebbe una svolta epocale.

 

Una linea in parte diversa è quella che Gianni Trevisan, presidente della cooperativa sociale il Cerchio, ci ha esposto in una sua visita in redazione. Trevisan, che a Venezia dà lavoro a molti detenuti, alcuni in carcere ma la stragrande maggioranza fuori in misura alternativa alla detenzione, sostiene l’importanza di "privilegiare" l’esterno per la creazione di opportunità lavorative, affinché chi esce dal carcere non si trovi da solo a dover affrontare problemi, quasi insormontabili per una persona che per lungo tempo sia rimasta esclusa dalla società.

Dal mio punto di vista mi sento di affermare che non bisogna mai dimenticare quello che io ritengo un presupposto fondamentale, che cioè in carcere devi pur far qualcosa di positivo che ti permetta di crescere, sia dal punto di vista umano, quindi attraverso corsi scolastici ed attività culturali, sia dal punto di vista professionale. Sovente molti detenuti non hanno professionalità da spendere sul mercato del lavoro e, se le hanno, la permanenza in carcere le fa diventare rapidamente obsolete in confronto alle continue innovazioni.

Il carcere quindi, se propone opportunità di formazione e di lavoro, può essere un momento importante: sia per lo Stato, che ha l’opportunità, per il periodo della detenzione, di aiutare il detenuto a trovare il gusto per il lavoro e la voglia di progettare una vita improntata sull’attività lavorativa, sia per chi è "ristretto" in carcere e può cogliere l’importanza di questo messaggio e decidere finalmente di lasciare definitivamente le logiche criminali. E’ un’opportunità, sia per lo Stato che per il cittadino che ha sbagliato nei confronti della società e della civile convivenza, di ottenere un risultato utile per tutti.

 

Contrario a "incentivare interventi" oltre le sbarre è invece il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Livio Ferrari: "Gli interventi nel carcere sono spesso fallimentari", spiega, "bisogna investire fuori, dove si deve ritornare, e il momento della pena deve essere il meno lungo possibile". Questo è certamente un aspetto del problema che, a mio parere, se fosse realizzabile nei termini che espone Livio Ferrari, una pena giusta e un percorso serio di reinserimento, sarebbe la soluzione più corretta. Ma purtroppo, a mio avviso, la realtà carceraria sta girando in altre direzioni.

Io parlo da detenuto che ha vissuto in carcere più di venti anni, e posso dire che non sottovaluterei l’importanza del lavoro "dentro", perché, quando finalmente puoi lavorare, ne sei veramente felice. Ti senti di nuovo un uomo che non deve chiedere qualche soldo agli amici o alla famiglia per poter sopravvivere in carcere. E’ importante non pesare sull’economia famigliare, ed essere presente in casa magari con un piccolo aiuto, oppure quando è il compleanno di un nostro caro potersi permettere di fare un piccolo regalo. Sono tante piccole cose che viste globalmente rivestono una grande importanza. E molte di queste cose sono state realizzate anche grazie agli investimenti per il lavoro effettuati in carcere.

Il problema di fondo è individuare percorsi validi, perché in giro per le carceri italiane ci sono anche alcune esperienze che funzionano da un punto di vista lavorativo, e che forse andrebbero studiate meglio. Si tratta di imparare dai migliori, come diciamo spesso in redazione.

Qualcosa funziona, sicuramente le difficoltà sono tante, ma se si vuole provare a cercare una soluzione bisogna avere il coraggio di rischiare su proposte innovative.

Parlando di questo argomento, si rammarica per esempio Stefania Tallei, volontaria della comunità di Sant’Egidio nelle carceri romane di Rebibbia e Regina Coeli: "I percorsi lavorativi vanno a buon fine, ma sono talmente pochi da essere riservati a una minoranza". Sarà questo a dover essere rovesciato, poter offrire a tutti quelle opportunità che ora sono viste come privilegi.

Un altro aspetto del problema lo sottolinea Mauro Imperiale, educatore da 22 anni, ora in forza al carcere di Como. Parlando dei problemi dei detenuti extracomunitari (un quarto della popolazione presente), Imperiale sostiene che solo collegando il carcere alla società esterna si potrà avere un vero reinserimento sociale. "Abbiamo inserito in un’attività esterna una ragazza colombiana", racconta dispiaciuto l’educatore di Como, "grazie a una borsa lavoro del Comune di Como, tutto andava per il meglio, ma appena ha scontato la pena è stata espulsa dall’Italia. Per questo occorrono chiare scelte politiche per gli stranieri".

Questa è un po’ la situazione lavoro, ed è con problemi di questo tipo che si deve confrontare chi vorrà iniziare seriamente a parlare di lavoro in carcere. Comunque bisognerà tenere presente che il lavoro da solo non basta. La cultura, la formazione, rivestono un aspetto determinante, che non deve essere trascurato. Segnaliamo, in proposito, al Ministro la soluzione adottata in Olanda: per i detenuti in carcere, quattro ore di attività lavorative e quattro ore di attività culturali e ricreative.

 

Nicola Sansonna

Precedente Home Su Successiva