Il nuovo Regolamento

 

Il nuovo Regolamento del regime carcerario

di Antonio Lovati e Giovanni Trolli

 

 

Il primo regolamento carcerario dell’Italia unificata  venne promulgato nel 1891 e si accordava con il Codice penale del 1890 (il c.d. Codice Zanardelli, dal nome del ministro della Giustizia che ne fu l’autore). La relazione dell’allora direttore delle carceri sul Regolamento chiarisce che il legislatore riserva ai detenuti l’appellativo di "delinquenti": essi sono "per lo più individui spostati, dediti al vizio, intolleranti di ogni freno". I detenuti sono considerati soggetti passivi, portatori d’obblighi, senza alcun diritto: per esempio non hanno diritto ad alcuna retribuzione per il loro lavoro. "Il condannato, diventato definitivo, è sottoposto ad una preparazione di segregazione cellulare: può durare sette anni, se trattasi dell’ergastolo, un sesto della durata della pena, se della reclusione". La punizione più grave consiste nell’essere inviati nelle case penali di rigore, dove sono destinati i condannati "incorreggibili", che vengono sottoposti a un regime di inflessibile severità. Giunti alle case penali sono sottoposti alla segregazione continua, senza poter ricevere visite, inviare lettere, ecc., e sono addetti ai lavori forzati senza retribuzione.

Solo qualche anno dopo vengono attenuate alcune norme: così un decreto del 1902 abolisce l’uso della catena al piede per i condannati ai lavori forzati, un decreto dell’anno successivo sopprime la camicia di forza, i ferri e la camera buia.

1. L’evoluzione delle norme sul regime carcerario in Italia nel secolo XX

 

a) Il Codice Rocco del 1931

Nel contesto della revisione di tutta la legislazione voluta dal regime fascista, merita particolare rilievo la promulgazione nel 1931 dei Codici penale e di procedura penale(il c.d. Codice Rocco, dal nome del ministro della Giustizia che effettuò l’opera di riforma).

I punti qualificanti del Codice penale erano essenzialmente i seguenti:

 

  1. rigidissima separazione tra il mondo carcerario e la realtà esterna, separazione attuata limitando pesantemente i canali tradizionali di cui si servono i detenuti per comunicare con la società libera (corrispondenza, colloqui, visite di persone estranee all’Istituto, libri, giornali);

  2. rigorosa esclusione dal carcere di ogni persona estranea all’Amministrazione;

  3. riduzione delle attività consentite in carcere alle tre forme fondamentali di trattamento: pratiche religiose, lavoro, istruzione. A queste attività viene assegnato un inequivocabile ruolo strumentale rispetto all’ordine e alla disciplina; qualsiasi altra attività che in esse non rientri è vietata e punita;

  4. attuazione di un sistema disciplinare di punizioni e di privilegi, che mira a ottenere un’adesione coatta alle regole del trattamento e ad "atomizzare" i detenuti, impedendo loro qualsiasi presa di coscienza collettiva.

Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale la realtà ha una forza di pressione non eludibile: ci sono crimini di guerra da punire, fenomeni di banditismo da arginare; gli anni 1945-1946 registrano gli indici di criminalità più alti di tutto il secolo. La popolazione carceraria si gonfia tumultuosamente e dà vita a rivolte drammatiche; è vigorosa la spinta verso una giustizia sbrigativa e repressiva.

b) La Costituzione repubblicana del 1948

Il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione repubblicana. Nella sua prima parte, dove vengono sanciti i diritti e i doveri dei cittadini, alcuni articoli riguardano specificamente il tema di cui ci occupiamo. Riportiamo alcuni commi degli articoli 13 e 27.

"Art. 13. – La libertà personale è inviolabile. – Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. – […] – È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. – La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

"Art. 27. – La responsabilità penale è personale. – L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. – Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. – Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. [Osservazione: successivamente la Legge 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista nel codice penale militare di guerra].

c) L’Ordinamento penitenziario del 1975 e il Regolamento di attuazione del 1976

Nel 1975, dopo lunghi anni di studio e di sperimentazioni, viene promulgato l’Ordinamento penitenziario [1], che si adegua pienamente ai trattati e alle convenzioni internazionali emanati dopo la fine della seconda guerra mondiale; in particolare a:

 

  1. la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con la Legge 4 agosto 1955, n. 848;

  2. le Regole minime per il trattamento dei detenuti, approvate dal I Congresso internazionale dell’ONU per la prevenzione del delitto e il trattamento dei delinquenti il 30 agosto 1955;

  3. le Regole minime per il trattamento dei detenuti, approvate dal Consiglio d’Europa il 19 gennaio 1973, che riaffermano i principi già enunciati al citato Congresso dell’ONU.

 

I valori proclamati dall’Ordinamento del 1975 sono essenzialmente:

 

  1. il riconoscimento dei diritti della persona, anche privata della libertà;

  2. il principio della differenziazione fra imputati e condannati;

  3. la rieducazione del detenuto attraverso un trattamento individuale costituito da istruzione, da lavoro e da attività culturali, ricreative e sportive;

  4. l’introduzione di misure alternative alla carcerazione: semilibertà, affidamento in prova ai Centri di Servizio Sociale per Adulti, carcerazione domiciliare;

  5. norme particolare a favore degli alcol - e tossicodipendenti e dei malati in gravi condizioni;

  6. il controllo della Magistratura di sorveglianza durante l’esecuzione della pena.

L’Ordinamento ritiene indispensabile alla rieducazione del detenuto la vita comunitaria e di rapporto, per cui si evidenzia esplicitamente il ruolo della famiglia (contatti telefonici, corrispondenza, colloqui, permessi, licenze, destinazione dei detenuti in istituti prossimi alla residenza dei familiari) e della comunità (enti locali, volontariato, società esterna).

Successivamente all’entrata in vigore della legge del 1975, veniva approvato il 29 aprile 1976, con Decreto del Presidente della Repubblica, il relativo Regolamento di esecuzione [2], che entrava in vigore il 22 giugno 1976: preordinato a dare compiuta e precisa attuazione, nella fase operativa, alle norme dettate dalla legge n. 354/1975, il Regolamento contiene nei suoi 125 articoli una serie di disposizioni che disciplinano in modo concreto ed efficace quelle materie per le quali la legge enuncia le linee essenziali e i criteri direttivi. Ha avuto pochissime modifiche nel corso dei 25 anni trascorsi.

 

2. Il nuovo Regolamento penitenziario del 2000

 

In un articolo pubblicato lo scorso anno su questa rivista abbiamo tracciato l’evoluzione delle condizioni carcerarie negli ultimi 25 anni, e nel paragrafo conclusivo scrivevamo: "il carcere è uno spaccato della società. Vi troviamo quindi la tossicodipendenza, la diffusione del virus dell’aids, la povertà del Sud del mondo […], l’espulsione dal contesto economico di figure fragili, la difficoltà di recepire valori da parte dei giovani, ecc." [3]. E abbiamo evidenziato il sovraffollamento, la scarsa qualità della vita, un non adeguato sviluppo delle attività trattamentali (istruzione, lavoro, attività culturali).

Nel settembre 1999 il Ministero di Grazia e Giustizia ha presentato una bozza di un nuovo Regolamento da sottoporre al Consiglio di Stato, prima dell’esame e della approvazione del Consiglio dei Ministri e la firma del Capo dello Stato. La Relazione alla bozza, dopo aver tratteggiato i concetti ispiratori del documento e la struttura del nuovo testo conclude affermando: "Tutti questi elementi sui nuovi spazi aperti alla effettiva e concreta attuazione degli elementi del trattamenti fanno del regolamento di esecuzione modificato lo strumento per affermare negli istituti penitenziari la reale applicazione dell’Ordinamento penitenziario, allo stato ancora largamente inapplicato" [il corsivo è nostro].

Il nuovo Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento è stato promulgato con il DPR 30 giugno 2000, n. 230 [4], ed è entrato in vigore il 6 settembre 2000.

Nelle pagine che seguono illustreremo a grandi linee il regime carcerario per gli adulti, fissando l’attenzione su dodici temi, che contengono parecchi elementi positivi e che a molti detenuti sono parsi rilevanti; ci sembra che la loro voce sia la più qualificata nello scoprire, se ci sono, le novità più interessanti. Abbiamo utilizzato prevalentemente, oltre a colloqui con carcerati di San Vittore di Milano, le note delle redazioni de La Grande Promessa, del Carcere di Porto Azzurro, e di Ristretti orizzonti, periodico di informazione e cultura del Carcere Due Palazzi di Padova. Abbiamo seguito con attenzione anche alcuni interventi di operatori penitenziari.

a) Celle e servizi igienici

 

Saranno eliminate, dove sono ancora presenti, le famigerate bocche di lupo, perché le finestre devono consentire il passaggio di luce e di aria. All’interno delle celle poi è prevista l’installazione di docce. Le sezioni femminili saranno dotate di bidè e relativa acqua calda. Sarà possibile avere nelle celle interruttori e prese di corrente per l’utilizzo di apparecchi radio, di rasoi elettrici e, per motivi di studio e di lavoro, anche del computer.

b) Vitto

 

Le cucine potranno preparare il pasto per un massimo di duecento persone. Qualora il numero di detenuti fosse maggiore, saranno allestite più cucine. Lo scopo dovrebbe essere quello di evitare gli sprechi, migliorando la qualità, e il massiccio ricorso a proprie spese, da parte dei detenuti, ad una alimentazione alternativa al vitto carcerario.

È stato da più parti osservato che non è stata estesa la possibilità di qualche pranzo con gli amici nella propria camera, usando il proprio fornello, un momento certamente molto simpatico.

c) Colloqui e telefonate

 

È previsto di aumentare dagli attuali quattro a sei i colloqui mensili ordinari.

Una sostanziale modifica sarà apportata ai locali in cui si svolgono i colloqui. Dice infatti il testo: "I colloqui avvengono in locali interni senza mezzi divisori o in locali all’aperto a ciò destinati". Questa modifica pone fine a quella struttura fissa rappresentata da un freddo marmo posto su un muro divisorio che, in molti istituti, divideva in due la sala colloqui: quello che viene a cadere è un muro che divideva non solo le persone ma anche i sentimenti. Finalmente un padre potrà tenere in braccio suo figlio.

Per chi è impossibilitato a svolgere regolari colloqui con i propri cari, per la lontananza dai luoghi di residenza o per la difficile situazione finanziaria delle famiglie, si passa ora dalle attuali due telefonate ordinarie mensili a quattro, assorbendo così le due telefonate premio, con il vantaggio che le quattro telefonate possono essere effettuate anche da chi svolge regolari colloqui (con la normativa prima vigente, se si facevano i colloqui si aveva diritto solo a due telefonate premio ogni mese).

d) Servizio biblioteca

 

In biblioteca, oltre alla presenza di detenuti e di internati che offrono servizio come volontari, opereranno anche uno o più scrivani regolarmente retribuiti. Ma ci sono altre novità. "Nell’ambito del servizio biblioteca è attrezzata una sala lettura, cui vengono ammessi i detenuti e gli internati. I ristretti lavoratori e studenti possono frequentare la sala lettura anche in orari successivi a quelli di svolgimento di attività di lavoro e di studio". Quindi, non più scelta del libro su un catalogo, richiesta attraverso una domandina, e distribuzione al detenuto in cella.

 

e) Corsi di formazione professionale e lavoro

 

Il vecchio regolamento parlava di "corsi di addestramento professionale da svolgere secondo le esigenze della popolazione penitenziaria"; oggi il testo relativo alla "formazione professionale" è stato modificato aggiungendo "e secondo le richieste del mercato del lavoro". È una modifica importante se si considera quanti sono oggi i corsi in carcere interamente staccati dalla realtà esterna del mercato del lavoro.

Nell’ambito dei corsi scolastici e della loro organizzazione si istituisce una commissione didattica, presieduta dal direttore, dal responsabile dell’area riguardante il trattamento e dagli insegnanti, che ha il compito di stilare un progetto annuale o pluriennale di istruzione.

f) Organizzazione del lavoro

 

Nell’organizzazione del lavoro dei detenuti la presenza delle imprese private si è andata in questi anni indebolendo a causa della difficoltà di gestione, aggiunta alla totale mancanza di leggi che agevolassero questo delicato tipo di attività che, oltre ad essere imprenditoriale, riveste finalità sociali di notevole importanza.

Ora si intravede una maggiore apertura nei confronti di imprese private e, in particolare, di "cooperative sociali", attraverso l’entrata in vigore della Legge 22 giugno 2000, n. 193, Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti, detta "legge Smuraglia" dal nome del senatore proponente (DDL n. 3157, presentato al Senato il 19 marzo 1998).

 

g) Perquisizioni

 

Per le perquisizioni nelle camere dei detenuti, nel nuovo Regolamento si introduce il concetto di "rispetto della dignità dei detenuti", ed è importante che si dica esplicitamente che privare una persona della libertà non significa privarla anche della dignità.

h) Rapporti con la famiglia

 

Del DPR n. 230/2000 riportiamo il testo dell’art. 61 ("Rapporti con la famiglia e progressione nel trattamento") sottolineando in corsivo le differenze rispetto al testo del precedente DPR del 1976.

"1. La predisposizione dei programmi di intervento per la cura dei rapporti dei detenuti e degli internati con le loro famiglie è concertata fra i rappresentanti delle direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale.

2. Particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all’allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale. A tal fine, secondo le specifiche indicazione del gruppo di osservazione, il direttore dell’istituto può:

a) concedere colloqui oltre quelli previsti dall’art. 37;

b) autorizzare la visita da parte delle persone ammesse ai colloqui, con il permesso di trascorrere parte della giornata insieme a loro in appositi locali o all’aperto e di consumare un pasto in compagnia [. . .]".

Nella bozza vi era una lettera c) nel comma 3 che affermava che il direttore può "autorizzare il soggetto a trascorrere un periodo di tempo fino a ventiquattro ore continuative con le persone indicate alla lettera b) in apposite unità abitative, da realizzare all’interno degli istituti; il personale di polizia penitenziaria effettua la sorveglianza esterna di tali unità abitative, con la possibilità di effettuare dei controlli o interventi all’interno se si verificano situazioni che lo richiedono". Ma queste visite "non sottoposte alla sorveglianza diretta" sono state bocciate dal Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che tale norma non può essere introdotta da un regolamento, ma solo da una nuova legge.

Nell’attuale legislazione penitenziaria dei paesi europei il problema dei rapporti affettivi in carcere è affrontato in modo diverso. Per esempio, in Danimarca, Finlandia, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera esiste la possibilità di rapporti affettivi con condizioni diversificate, mentre in Belgio, Francia e Germania la concessione di tali rapporti è solo in via sperimentale. Anche il nostro Ministero della Giustizia prevede di adottare la via sperimentale.

i) Assistenza sanitaria

 

I detenuti e gli internati usufruiscono dell’assistenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale in base al Decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, varato in base alle Legge 30 novembre 1998, n. 419.

In ogni istituto devono essere svolte con continuità attività di medicina preventiva, che rivelino, segnalino e intervengano nelle situazioni che possono favorire lo sviluppo di forme patologiche, comprese quelle collegabili alle prolungate situazioni di inerzia e di riduzione del movimento e dell’attività fisica.

Sono organizzati, con opportune dislocazioni nel territorio nazionale, reparti clinici e chirurgici. Particolari norme sono stabilite per i detenuti affetti da infezione da aids e tossicodipendenti, e per gli infermi e i seminfermi di mente.

Il nuovo Regolamento indica precise norme per l’assistenza alle gestanti e alle madri con bambini: sono organizzati appositi reparti ostetrici e asilo nido. Le camere non devono essere chiuse. Ai bambini sono assicurati all’interno degli istituti attività ricreative e formative [5].

l) Osservazione della personalità e programma di trattamento

 

L’osservazione scientifica della personalità è diretta all’accertamento dei bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all’instaurazione di una normale vita di relazione. Ai fini dell’osservazione si provvede all’acquisizione di dati giudiziari e penitenziari, clinici, psicologici e sociali e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli interventi di un trattamento. Viene svolta con il detenuto una riflessione sui reati commessi, sulle loro motivazioni, sulle conseguenze negative degli stessi per l’interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa. Per ciascun condannato o internato, in base ai risultati dell’osservazione, sono formulate indicazioni in merito al trattamento rieducativo da effettuare.

m) Il carcerato straniero

 

In diversi articoli si tiene conto delle caratteristiche del carcerato straniero.

All’atto dell’ingresso, a ciascun detenuto è consegnato un estratto delle principali norme sul regime in carcere (Ordinamento penitenziario, Regolamento di attuazione e Regolamento interno del particolare istituto) predisposto nelle lingue più diffuse. A questo proposito si deve segnalare l’importante progetto, promosso dalla Sinnos Cooperativa Sociale e realizzato da Raffaele Miele e dal Centro Informazione Detenuti Stranieri in Italia (CIDSI) [6]: la pubblicazione nelle lingue italiana, inglese, araba, spagnola e albanese di una Guida alle principali disposizioni sull’immigrazione. Il volume è costituito da due parti: "La disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero" (legge n. 40/1998 e DPR n. 394/1999) e "Gli stranieri e il carcere" (una nota sui diversi aspetti della detenzione per lo straniero). Sarà distribuito in tutti gli istituti e alle associazioni di volontariato carcerario interessate.

L’ingresso in istituto viene comunicato all’autorità consolare.

I detenuti hanno diritto di partecipare ai riti della loro confessione religiosa; per l’istruzione religiosae le pratiche di culto saranno a disposizione idonei locali, mentre ai detenuti e agli internati che lo desiderano è consentito di esporre incamera immagini e simboli della propria confessione religiosa.

Per la celebrazione dei riti del culto cattolico ogni istituto è dotato di una cappella e le pratiche di culto e l’istruzione e l’assistenza spirituale sono assicurate da uno o più cappellani. Per i riti delle confessioni diverse da quella cattolica ci si avvarrà di ministri dei diversi culti.

Nella formulazione delle tabelle riguardanti il vitto si terrà conto delle prescrizioni proprie delle diverse fedi religiose.

Di rilievo è l’art. 35, comma 2: "Deve essere, inoltre, favorito l’intervento di operatori di mediazione culturale, anche attraverso convenzioni con gli enti locali o con organizzazioni di volontariato". A tal proposito è significativo il progetto Nimrod per la formazione di una équipe di sostegno agli extracomunitari nelle carceri milanesi di San Vittore e di Opera, predisposto dal Centro Territoriale Permanente San Vittore e dell’Istituto comprensivo di scuola elementare e media statale di Milano.

n) Attività culturali, ricreative e sportive

 

I programmi per queste attività sono articolati in modo da favorire possibilità di espressioni differenziate;nella organizzazione e nello svolgimento ci si può avvalere dell’opera di assistenti volontari e di persone autorizzate a frequentare gli istituti.

La permanenza all’aperto, che deve avvenire, se possibile, in spazi non inclusi tra fabbricati, deve essere assicurata per periodi adeguati anche attraverso le valutazioni dei servizi sanitario e psicologico: è considerata uno strumento di contenimento degli effetti negativi della privazione della libertà personale.

3. Osservazioni conclusive

 

"La legge penitenziaria — scriveva Alfredo Carlo Moro nel 1983 — è un triste esempio di quelle “leggi manifesto” da cui è afflitta la nostra vita istituzionale, di quelle buone intenzioni elaborate dal legislatore (sempre più “uomo dei fini” e sempre meno “uomo dei mezzi”) di cui è lastricata la via dell’inferno della nostra realtà comunitaria"; e portava come esempio gli articoli 5 e 6 dell’Ordinamento penitenziario che determinano in modo adeguato le caratteristiche degli edifici penitenziari, "tali da accogliere un numero non elevato di detenuti" [7].

Come può un Regolamento di attuazione risolvere, per esempio, il problema degli spazi? In che modo ristrutturare i 257 istituti di pena (di cui il 48% costruiti prima del 1948) per assicurare nelle carceri le condizioni igieniche previste dal nuovo Regolamento, quando Gian Carlo Caselli, Direttore dell’Amministrazione Penitenziaria, ha dichiarato ripetutamente che "negli istituti penitenziari italiani ci sono oggi 15.000 reclusi di troppo"?

È pur vero che sono state stanziate somme per attivare sei istituti di pena già costruiti (Ancona, Bollate, Caltagirone, Perugia, Rossano, S. Angelo dei Lombardi), capaci assieme di accogliere poco più di 1.500 detenuti, e per costruirne tre nuovi (Favignana, Marsala e Reggio Calabria) per altri 500 posti, ma l’attuazione del Regolamento sembra ancora una meta utopistica.

Come abbiamo rilevato nel precedente articolo, esistono importanti fattori che modificano profondamente la popolazione carceraria.

Uno è costituito dalla presenza massiccia di tossicodipendenti: circa 15.000, pari quasi al 30% del numero complessivo dei detenuti; una piccola percentuale di essi è affetta da aids.

Un altro è dato dalla presenza di stranieri in gran numero. Il Regolamento non poteva naturalmente scostarsi dalle leggi vigenti, ma i servizi offerti agli stranieri sono modesti e di fatto i detenuti stranieri rimangono esclusi da ogni reale forma di trattamento rieducativo o risocializzante.

Esiste infine il problema del personale: educatori, assistenti sociali, membri del Corpo di polizia penitenziaria, il cui numero è troppo esiguo per le esigenze che l’Ordinamento penitenziario stabilisce.

Siamo perplessi sull’effettiva attuazione delle misure indicate dal nuovo Regolamento — anche se non si parla più di "ordine e disciplina", ma di "sicurezza e rispetto delle regole", e si intende dare rilievo a un decentramento amministrativo che dia maggiori responsabilità ai Provveditori delle Amministrazioni Penitenziarie Regionali —, dal momento che la situazione carceraria, per comune riconoscimento, è al collasso e va radicalmente cambiata per garantire sia la dignità dei detenuti sia le esigenze di sicurezza dei cittadini. Non tanto un Regolamento, quanto un piano di vaste dimensioni che guardi al problema della pena in modo globale doveva (e dovrà) essere studiato e promosso.

Studioso di questioni dell’emarginazione.

Assistente volontario nel carcere di San Vittore a Milano.

[1] Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

[2] DPR 29 aprile 1976, n. 431, Approvazione del regolamento di esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.

[3] Lovati A. - Trolli G., "Come è cambiato il carcere negli ultimi 25 anni", in Aggiornamenti Sociali, 9-10 (2000) 698.

Un quadro preciso del regime carcerario di fatto oggi esistente è offerto da Associazione Antigone, Il carcere trasparente - Primo Rapporto Nazionale sulle condizioni di detenzione, Castelvecchi, Roma 2000. Il Rapporto, che evidenzia molti elementi negativi, è il risultato di 160 visite condotte in 95 istituti di pena e si fonda anche sulle testimonianze rese da persone che nel carcere lavorano o svolgono attività di promozione sociale. Di utile consultazione è anche Gruppo Abele, "Le loro prigioni - Dossier", in Narcomafie, 3 (2000).

[4] DPR 30 giugno 2000, n. 230, Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.

[5] Cfr Libianchi S., "Bambini in carcere", in Aggiornamenti Sociali, 3 (2001) 203 s.


[6] Cfr Miele R. - CIDSI, Guida alle principali disposizioni sull’immigrazione, Sinnos editrice, Roma 2000.

[7] Moro A. C., "Il rispetto della dignità della persona nelle leggi penali e nell'ordinamento penitenziario", in Atti del Convegno dei Cappellani, Roma 1983.

 

 

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