Braccialetto elettronico

 

Il braccialetto elettronico

di Federico Eramo

da Aggiornamenti Sociali, giugno 2001

L'applicazione di un "braccialetto elettronico" ai detenuti agli arresti domiciliari, per controllarne gli spostamenti- al fine di prevenirne l’allontanamento dal domicilio o, in caso di infrazione, di ripristinare la custodia in carcere-, è già in uso in vari Paesi, quali Francia, Germania, Gran Bretagna. Esso si è dimostrato uno strumento efficace al fine di impedire che un condannato in detenzione domiciliare commetta nuovi reati. Dal 20 aprile 2001 l’uso del "braccialetto elettronico", approvato con la Legge 19 gennaio 2001, n. 4, è iniziato in via sperimentale anche in Italia, in cinque grandi città: Torino, Milano, Roma, Napoli, Catania, dove maggiore è il numero di persone agli arresti domiciliari.

Gli articoli 16, 17, 18 e 19 della Legge 19 gennaio 2001, n. 4 [1], disciplinano il controllo di persone sottoposte agli arresti domiciliari e ai condannati in stato di detenzione domiciliare [2], attraverso particolari strumenti tecnici, fra i quali c'è il braccialetto elettronico. Quest'ultima misura, in particolare, vuole rendere effettivo il controllo dei detenuti agli arresti domiciliari, che spesso commettono reati, recuperare agenti impegnati nel controllo e attenuare, in parte, il sovraffollamento nelle carceri.

Questa stessa misura è in vigore negli Stati Uniti dal 1983, in Francia dal 1997, in Belgio dal dicembre 1997, in Gran Bretagna dal gennaio 1999, in Germania dal maggio 2000.

1. Disciplina generale dell'uso del braccialetto elettronico

L’art. 16, c. 1, della Legge 19 gennaio 2001, n. 4, prevede, innanzi tutto, che "nel disporre le misure diverse dalla custodia cautelare in carcere il giudice tiene conto dell'efficacia, in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, delle possibilità di controllo delle prescrizioni imposte all'imputato".

Questa disposizione è ovvia solo all'apparenza, perché se la si legge nel contesto dell'articolo introduce nuovi significati. L’inserimento di essa è una netta richiesta di motivare non più soltanto la scelta della misura più grave, ma anche di quella meno grave, in particolari situazioni. L’indagine del giudice dovrà ora estendersi anche alle possibilità di controllo delle prescrizioni che eventualmente accompagneranno gli arresti domiciliari, compito arduo perché dipende da diverse e imponderabili varianti (strumenti in dotazione della Polizia, mezzi finanziari, personale da non distogliere, agenti esperti, ecc.). Il rischio è quello di far ricadere sulla magistratura, in modo acritico, l'eventuale fuga di persone, sul fondamento della mancata previsione e prevenzione di quel comportamento da parte del giudice.

Il magistrato competente, accertata la disponibilità materiale di quegli strumenti, richiede a chi è sottoposto agli arresti domiciliari di scegliere se accettare il braccialetto e, in caso di rifiuto, gli imporrà la detenzione in carcere. Allo stesso modo, il giudice, quando ordina gli arresti domiciliari, anche in sostituzione della custodia in carcere, può prescrivere controlli mediante mezzi elettronici, se lo ritiene necessario. E’ possibile anche la scelta di "altri strumenti tecnici" (dei quali peraltro non si precisa la natura), una volta accertatane la disponibilità da parte della Polizia giudiziaria.

L’interessato ha facoltà di accettare gli strumenti di controllo, o di ne­gare il consenso alla loro applicazione, con dichiarazione espressa resa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza. L’attestazione esplicita e la forma scritta sono la conseguenza della serietà dell'impegno da assumere, non un vuoto formalismo.

Gli arresti domiciliari, anche con controllo elettronico, non potranno concedersi a chi ha commesso il reato di evasione nei cinque anni precedenti.

Il giudice ordina la revoca degli arresti domiciliari e la sostituzione con la custodia in carcere, se l’imputato si allontana dalla sua abitazione o dal luogo di privata dimora. La revoca non è più facoltativa, ma obbligatoria. Il ripristino automatico della custodia in carcere potrà tuttavia costituire motivo di ec­cezioni di costituzionalità, perché l’allontanamento del detenuto dal domicilio potrà aversi anche per motivi plausibili o non completamente censurabili. Sarà, allora, necessario per il giudice, esprimere una valutazione specifica, ancorata al caso concreto, con formulazione di giudizi di valore, anziché ripetere la disposizione di legge che è, per sua natura, generale e astratta.

2. Applicazione del braccialetto a condannati in detenzione domiciliare

L’art. 17 sancisce che, nel disporre la detenzione domiciliare, il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle Autorità di Polizia, possa prevedere "modalità di verifica per l'osservanza delle prescrizioni imposte, anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici".

La detenzione domiciliare può applicarsi a vari soggetti: a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci, con lei convivente; b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente; e) persona minore di anni ventuno, per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro o di famiglia.

I limiti di pena, entro i quali la misura è applicabile, sono quelli di tre anni di reclusione (anche se parte residua di una maggiore pena, per il resto scontata o condonata) o dell'intera pena dell'arresto. Il condannato in detenzione domiciliare può essere ammesso a risiedere, oltre che nella propria abitazione, in ogni luogo di privata dimora o in un luogo pubblico di cura e di assistenza. La definizione è simile a quella usata dal legislatore per gli arresti domiciliari, ma la detenzione domiciliare si distingue da questi ultimi anche per finalità umanitarie e di assistenza, dovute alle condizioni in cui si trovano i soggetti ai quali si rivolge.

3. Sanzioni in caso di alterazione o manomissione del braccialetto

L’art. 18 introduce un nuovo reato. Il condannato o la persona sottoposta agli arresti domiciliari che, al fine di sottrarsi ai controlli prescritti, "in qualsiasi modo altera il funzionamento dei mezzi elettronici o degli altri strumenti tecnici adottati nei suoi confronti, o comunque si sottrae fraudolentemente alla loro applicazione o al loro funzionamento, è punito con la reclusione da uno a tre anni".

L’introduzione di una tale disposizione non sembra necessaria, perché la condotta fraudolenta può essere perseguita attraverso norme già esistenti e di carattere generale, come quelle riguardanti l'evasione, la truffa o l'inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità (art. 650 del c. p.) o altro. In questi casi si smentiscono i propositi di depenalizzazione in più occasioni affermati. Per cattiva tecnica di redazione è stata omessa l'indicazione della rubrica (il "nome" del reato: evasione, ecc.) e il legislatore è passato all'immediata descrizione della fattispecie. Il nuovo reato dovrebbe, in ogni modo, rientrare fra i delitti contro l'amministrazione della giustizia, previsti dal titolo III del libro II del c. p., in particolare nel capo II (Dei delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie), come l'evasione, la procurata evasione, ecc.

4. Criteri tecnici di scelta e di installazione del braccialetto

L’art. 19 della Legge 19 gennaio 2001, n. 4, stabilisce che con decreto del Ministro dell'Interno, di concerto con quello della Giustizia, si determineranno i modi d'installazione e uso. Nella stessa maniera, si individueranno i tipi e le caratteristiche dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici, destinati al controllo delle persone sottoposte agli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare. La sperimentazione è iniziata il 20 aprile 2001. Un decreto dei due ministri [3] aveva precedentemente abbozzato le caratteristiche tecniche, e si è stabilito che le Questure e i Comandi provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza [4] accerteranno l'effettiva disponibilità di quegli strumenti. Questi stessi enti accerteranno anche i requisiti necessari ad assicurare il buon funzionamento presso l'abitazione delle persone sottoposte al controllo.

Il braccialetto non verrà acquistato, ma preso a noleggio presso l’azienda produttrice dal Ministero dell'Interno: il costo sarà di lire 60 mila al giorno [5]. Si sostiene che esso permetterà un notevole risparmio, sia economico sia di risorse umane, perché non sarà più necessario l'impiego di molti agenti di polizia per il controllo del detenuti a domicilio. Il costo di un detenuto in carcere, infatti, è fra le 300 mila e le 400 mila lire giornaliere, e quello di un detenuto domiciliare fra le 100 e le 200 mila. In realtà, la scelta di quello strumento non potrà esonerare, in modo completo, dalle necessarie indagini. Esso permetterà l'accertamento dei movimenti fisici dell'interessato, ma non dei suoi contatti con l’esterno (visite di persone estranee, telefonate, getto di bustine di stupefacente dalla finestra, ecc.). Alla fine, quindi, il costo complessivo non muterà di molto, per gli agenti da impiegare, le intercettazioni, ecc.

I dati sui movimenti del detenuto che indossa il braccialetto elettronico dovranno essere cancellati dopo un mese dalla cessazione della misura e, inoltre, il trattamento dei dati dovrà garantire la sicurezza, la riservatezza e la temporaneità, tranne l'ipotesi di infrazioni gravi da parte della persona che indossa il braccialetto elettronico. Sarebbe opportuna, invece, una conservazione più lunga, conformando la disciplina a quella della custodia di tabulati di intercettazioni telefoniche, i quali possono tenersi per cinque anni. Infatti i reati di criminalità organizzata (traffico internazionale di stupefacenti, associazione per delinquere, estorsioni, omicidi, ecc.) si scoprono anche dopo molti anni e le intercettazioni sono spesso necessarie per ricostruire collegamenti e riscontri a dichiarazioni di collaboratori a distanza di anni e di decenni, unico modo per indagare su quei reati, l'accertamento del quali è molto complicato sia per le loro caratteristiche sia per l’omertà.

 

5. Braccialetto elettronico e minorenni

Un questione si pone, infine, per l’applicabilità delle nuove norme e quindi del braccialetto elettronico ai minorenni. A prima vista la risposta dovrebbe essere affermativa, perché l’art. I del DPR 22 settembre 1988, n. 448, stabilisce: "Nei procedimenti a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da loro non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne". Nella nuova legge non sono dettate norme specifiche per i minorenni e quindi l'applicabilità a loro dovrebbe essere immediata. In realtà, nel processo minorile il legislatore non ha previsto gli "arresti domiciliari", ma la "permanenza in casa", e fra i due istituti non c'è piena identità, perché la diversità non sta solo nel nome ma nella sostanza. Ad esempio, il minorenne, al quale è imposta la permanenza in casa, è considerato in stato di custodia cautelare al soli fini del computo della durata complessiva della pena e le prescrizioni da accompagnare a quella misura saranno la regola e non l'eccezione, come avviene, invece, per i maggiorenni. Per l’età e la psicologia del minore, infatti, la semplice permanenza in casa può essere più nociva del collocamento in comunità (o, addirittura, in una struttura carceraria), perché essa lo priva di rapporti con i coetanei. Egli ha bisogno di mantenere quelle relazioni e, quindi, la permanenza in casa deve sempre accompagnarsi a prescrizioni che gli permettano di avere contatti con persone diverse da quelle che con lui abitano (frequenza di corsi, attività di volontariato, sportive, culturali, ecc.).

Le misure cautelari dei minorenni, pur conservando spesso la stessa denominazione di quelle dei maggiorenni, hanno funzioni diverse e si distinguono per l’impronta educativa. Del resto, l'applicazione delle misure cautelari ai minorenni è sempre facoltativa e, fra le stesse, alcune non sono neanche previste per i maggiorenni [6] e la graduazione, in termini di gravità, è diversa. Ad esempio, fra la permanenza in casa e la custodia presso l’IPM (Istituto Penale per i Minorenni) c’è la misura intermedia del collocamento in comunità, disciplinata dall'art. 22 del DPR n. 448/88 e non prevista per gli adulti. La misura consiste nel ricovero in una comunità pubblica o autorizzata con decreto del Ministro della Giustizia, con imposizione di eventuali prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione [7]. A sua volta, I'IPM non è equiparabile, in modo automatico, al carcere per i maggiorenni, per la sua struttura, le sue funzioni, la presenza di personale specializzato, la possibilità di svolgere attività impossibili nel carcere per adulti, ecc.

Il carattere facoltativo delle misure e del loro inasprimento, che si desume dall'espressione "[il giudice] può disporre...", impedirebbe, inoltre, il ripristino obbligatorio della misura più grave, in caso di violazioni, come previsto dall'art. 16 prima trattato. Quell'automatismo sarebbe in contrasto anche con lo spirito della materia minorile, in particolare con quanto proclamato dalla seconda parte dell'art. I del DPR n. 448/88. Un altro argomento contrario è la gravità dell'impegno che si richiede al soggetto che presta il consenso. Tale consenso postula una maturità particolare, che non si può pretendere da un minore, e l'uso del braccialetto potrebbe rivelarsi divergente con le necessità di recupero e l'esigenza della "destigmatizzazione", concetto che esprime il rifiuto del "labeling" (alla lettera, "etichettamento"), in conformità a quanto stabilito dalle Regole minime per l’amministrazione della Giustizia minorile. Quelle regole sono state approvate dall'Assemblea generale del VII Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e sul trattamento dei delinquenti, svoltosi nel 1985 (c.d. Regole di Pechino ) e confermate dall' VIII Congresso tenutosi nel 1990 a L’Avana.

E’ vero che il minorenne ha piena capacità processuale penale, tanto che può scegliere riti speciali, come il giudizio abbreviato, ma in alcuni casi la legge pone opportune limitazioni. Al minorenne è proibito, ad esempio, il ricorso al patteggiamento della pena, perché è inopportuno e diseducativo che egli possa sottrarsi arbitrariamente al processo e all'intervento dei servizi sociali, misure che possono entrambe costituire occasioni di rieducazione, anche nell'interesse generale. La scelta del braccialetto, per semplice richiesta, potrebbe permettergli di evitare una misura più grave che, nel caso specifico, sarebbe invece per lui più proficua. Nell'incertezza della legge bisogna interpretare le disposizioni nel senso più favorevole al soggetto debole, qual è il minorenne.

* Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di L’Aquila.

[1] Legge 19 gennaio 2001, n. 4 , Conversione in legge, con modificazioni, del decreto?legge 24 novembre 2000, n. 341, recante disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell'Amministrazione della giustizia, in Gazzetta Ufficiale, 20 gennaio 2001 n. 16

[2] Gli "arresti domiciliari" rientrano fra le misure cautelari, ossia preventive e precedenti a una sentenza definitiva di condanna. La "detenzione domiciliare", invece, è, a tutti gli effetti, una pena che sostituisce la detenzione in carcere o un modo di esecuzione della pena (Corte cost., ord. del 18 maggio 1989, n. 327) e, a differenza dei primi, presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna.

[3] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 15 febbraio 2001, n. 38. Si tratterà non di un braccialetto, ma di una "cavigliera" costruita in tenuta stagna, da adoperare anche in acqua (sotto la doccia, ecc.), di plastica non allergica e di dimensioni e peso (circa 50 gm) limitati. I modi di accertamento si articoleranno su tre aspetti: il dispositivo di controllo (trasmettitore e ricevitore), la linea telefonica e il sistema informatico centrale. Il ricevitore sarà collocato nella casa della persona da controllare e le comunicazioni, tra il braccialetto e quello strumento, avverranno su una banda di frequenza protetta. In tal modo, nell'ambito di cento metri, le trasmissioni non saranno turbate da altri trasmettitori né le informazioni intercettate. Per evitare la sostituzione o la riproduzione dello strumento, ogni ricevitore non potrà comunicare con più di un trasmettitore in con­temporanea. Il ricevitore comunicherà al sistema informatico centrale (presso i Comandi provinciali dei Cara­binieri o della Guardia di Finanza o le Questure) ogni allarme, attraverso una linea telefonica digitale (Isdn). La linea telefonica analogica potrà usarsi soltanto in caso di comprovata impossibilità d'installazione di quella di­gitale. La gestione dei dispositivi di controllo sarà affidata a sistemi informatici presso le centrali operative, attraverso un elaboratore, un programma di gestione e una stanza di controllo.

[4] Ognuna delle città in cui si è avviata la sperimentazione disporrà di 75 braccialetti: 34 gestiti dalla Polizia di Stato, 34 dai Carabinieri e 7 dalla Guardia di Finanza. Cfr RAVELLI F., "Primo braccialetto elettronico alla caviglia di un pusher", in la Repubblica, 21 aprile 2001, 12.

[5] Cfr RAVELLI F., art. cit.

[6] E’ il caso delle "prescrizioni" previste dall'art. 20 del DPR n. 448/88. Il giudice minorile, se non ritie­ne necessario ricorrere ad altre misure cautelari, può impartire al minorenne specifiche prescrizioni inerenti all'attività di studio o di lavoro o ad altre attività utili alla sua educazione.
[7] Questa nuova misura ha sostituito i centri di rieducazione e i "riformatori giudiziari", istituti entrambi un tempo previsti fra le misure per i minorenni dall'art. I del RDL 20 luglio 1934, n. 1404 (cfr RICCIOTTI R., Legge minorile e nuovo processo penale, Maggioli, Rimini 1990, 22). In caso di gravi e ripetute violazioni il giudice può disporre, e solo in questo caso, la misura cautelare presso l’IPM.

 

 

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