Cultura della pena

 

Cultura della pena e coscienza ecclesiale

di Carlo Maria Martini

 

da Colpa e pena? La teologia di fronte alla questione criminale, a cura di Antonio Acerbi e Luciano Eusebi, Vita e Pensiero, Milano 1998, pp. 251-261 - Atti del Convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze Religiose  dell'Università Cattolica di Milano dal 17 al 19 aprile 1997.

 

Premessa  

I temi della colpa e della pena, del delitto e del castigo, in una parola della questione criminale, toccano tutti i componenti di una società e sono oggi fortemente dibattuti. Voi vi siete proposti, in questo convegno, di analizzarli a partire dalla dottrina e dalla tradizione cristiana.

Un Vescovo si interroga, su tali problemi, anzitutto da un punto di vista pratico, stimolato dalla sua esperienza pastorale. E quella del carcere e dei carcerati è un'esperienza fondamentale, doverosa perché risuona anche nell'oggi la parola di Gesù: "Ero in carcere e siete venuti a visitarmi" (Mt 25,36). Per me è stata sempre molto importante e significativa. Infatti, dopo gli incontri coi detenuti o in occasione degli scambi epistolari con loro, emerge ogni volta la domanda: è umano ciò che stanno vivendo? è efficace per un'adeguata tutela della giustizia? serve davvero alla riabilitazione e al recupero dei detenuti? cosa ci guadagna e cosa ci perde la società da un sistema del genere?

Dietro agli interrogativi di carattere pratico - sui cui ho avuto modo di riflettere tante volte a voce alta -, ce n'è uno più di fondo, e se lo pone pure il presente convegno: è giusto questo modo di trattare i colpevoli? a quale visione globale di uomo e di società corrisponde? quale ideale di giustizia rappresenta? ci sarebbe un approccio più coerente, dal punto di vista cristiano, al problema della criminalità?

E questo non con il fine di definire immediatamente una politica criminale o un sistema penale "cristiano", bensì per obbedire ad una istanza più modesta e insieme più urgente, quella di indicare alcuni atteggiamenti e alcune sensibilità di fondo che potrebbero anche essere tradotte in piste orientative per l'evoluzione dei sistemi penali.

In altre materie attinenti all'ambito civile si ritiene di conoscere, almeno in certa misura, quanto esige il Vangelo in proposito: penso ai temi generali della solidarietà, della giustizia economica, dei diritti civili ecc. L'interesse si focalizza allora non tanto sui principi quanto su come dare espressione adeguata all'istanza evangelica secondo gli strumenti propri delle realtà terrene.

Mi sembra invece che per i problemi della giustizia penale e per una risposta coerente ed efficace alla questione criminale, la situazione sia assai più complessa. Da una parte si ha la sensazione allarmata di un crescere delle deviazioni criminose, specialmente in conseguenza del flagello della droga; dall'altra si assiste, quale risposta nel campo della giustizia penale, al semplice rafforzamento e perfezionamento tecnico delle misure punitive in atto, senza che vi sia spazio sufficiente per chiedersi: stiamo combattendo il crimine in un quadro culturale adeguato? non vi sarebbero altre ipotesi di sistemi penali più efficaci? E soprattutto: stiamo combattendo tenendo conto di quell'ideale di giustizia che deriva dalla tradizione cristiana autentica e che, alla lunga, è capace di creare un nuovo e più coerente modello di società?

Ho parlato di "tradizione cristiana autentica" perché, inevitabilmente, nel corso della storia tradizioni penali diverse si sono mescolate con stimoli provenienti dal Cristianesimo, senza però che si sia potuta finora effettuare una sintesi armonica. Si sono da una parte spacciate come cristiane e tradizionali alcune formule interpretate riduttivamente in maniera retribuzionista - come ad esempio un'accezione semplificatoria della cosiddetta legge del taglione -, mentre dall'altra è mancato sinora lo sforzo sistematico di provare a ritradurre temi come quello della giustificazione e del perdono nel linguaggio della giustizia penale degli Stati.

Certamente sono state molte le riflessioni - nell'ambito della pastorale e della teologia - sui numerosi passi biblici riferibili al tema criminale. Molte le esortazioni al rispetto per l'uomo carcerato e all'impegno per la pastorale penitenziaria. Si veda, ad esempio, l'ultima ampia lettera dell'episcopato brasiliano per la Quaresima 1997, dal titolo "Cristo libera da tutte le prigioni". Molto viene fatto dai cappellani delle carceri e da tanti operatori per alleviare le condizioni dei detenuti e aiutarli a compiere un cammino di riabilitazione e risocializzazione.

È tuttavia necessario un passo ulteriore: esprimere in termini autenticamente biblici e cristiani una risposta sostenibile al problema criminale, che prometta di essere feconda anche in termini civili e secolari, superando l'attuale impasse culturale e operativa.

Proprio in vista di una simile risposta avete lavorato nel convegno: le diverse relazioni giuridiche, bibliche, teologiche hanno fatto luce sul problema. Avete, penso, riflettuto - per i passi biblici e della tradizione cristiana - sul discernimento da operare tra ciò che in quei testi è semplicemente un riflesso dei costumi e delle vicende dell'epoca e ciò che è rivelazione dall'alto. Avete osservato il progredire della Rivelazione di cui parla il Concilio Vaticano II, sia a proposito del rapporto tra Primo e Secondo Testamento (Dei Verbum, nn. 15 ss.), sia a proposito dello sviluppo della Tradizione di origine apostolica nella Chiesa. "La Chiesa infatti, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio" (Dei Verbum, n. 8).

Ciò che ci chiediamo è appunto quale sia il grado di comprensione delle parole di Gesù e degli Apostoli sul perdono, sulla giustificazione del peccatore, sul delitto e sul castigo, sulla colpa e sulla pena, che emerge dopo duemila anni di esperienza di santità fatta dai credenti in relazione al cammino storico dell'umanità.

Non è mio compito, alla luce di questi principi, approfondire il tema della colpa e della pena nella tradizione cristiana; è già stato fatto da persone competenti. Mi limiterò quindi a qualche osservazione, richiamando alcune delle cose che mi colpiscono quando medito sulla Scrittura in riferimento a tali problemi.

1. La "zedakah" biblica

Vorrei fermarmi brevemente sul tema della giustizia umana intesa come armonia ed equilibrio di rapporti. Se consideriamo nell'insieme il tema della zedakah biblica, ci accorgiamo come sia composto da una molteplicità di riferimenti e di concetti collegati, che fanno comunque emergere la cura dell'uomo della Bibbia per un ordine sociale e civile in cui sia dato a ciascuno il suo. Non nel senso di un equilibrio astratto, da instaurarsi in una società di soggetti anonimi, bensì nel senso di uno sforzo, pur se talora imperfetto, di far corrispondere a dei delitti delle riparazioni che restaurino l'equilibrio violato non solo in generale, ma nel rapporto tra offensore e offeso, tra delinquente e persona o gruppo colpito dal delitto.

Penso, in particolare, alla forte esortazione evangelica: "Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa da rimproverarti, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono" (Mt 5,23-24).

Più volte ho sentito esprimere da detenuti colpevoli di gravi crimini e avviati a un cammino di conversione sincera il loro desiderio non di scontare una pena qualunque rispetto ad una collettività generica, "pagando" in maniera astratta il loro debito verso una società di cui conoscono dal di dentro le malefatte e le ingiustizie, ma piuttosto di riparare il male compiuto o verso le persone offese o verso gruppi da loro lesi o, almeno, con azioni positive di servizio gratuito in favore di ideali simili agli ideali che hanno violato.

A me pare di cogliere, in questi desideri, ciò che corrisponde a quella personalizzazione dell'atto riparatorio che affiora nelle pagine bibliche e che potrebbe servire come uno degli elementi per il ripensamento di un sistema penale atto a restituire l'equilibrio dei rapporti rotti dalla delinquenza, corrispondendo così sia all'intento di restaurare l'ordine violato come pure all'intento di farlo in maniera personalizzata e ricca di motivazioni umanizzanti.

Allora si provvederebbe anche a quel ristabilimento del rapporto tra offensore e vittima che spesso rimane giocato nell'ambito puramente vendicativo, e si contribuirebbe più efficacemente alla prevenzione dei crimini futuri e all'armonia sociale.

2. Il perdono tra fratelli

C'è un secondo punto ancora più centrale nel Vangelo: il perdono tra fratelli.

Tale atteggiamento è legato strettamente al perdono che Dio concede generosamente e gratuitamente all'uomo. Si pensi al Padre Nostro là dove recita: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12) e al commento che segue ("Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi", Mt 6,14). Si pensi alla parabola del debitore a cui furono condonati diecimila talenti e che non sa condonare un debito di cento denari! (Mt 18,23-35). Con troppa facilità riteniamo che le parole evangeliche valgano solamente nell'ambito dei rapporti familiari o, al massimo, all'interno della comunità dei credenti, non invece nell'ambito della società civile. E addirittura si teme che un simile atteggiamento, talora etichettato con l'epiteto di "perdonismo", possa essere distruttivo per una società.

Eppure, una riflessione più generale sul modo con cui Dio lotta contro il male nel mondo, dovrebbe aiutare a determinare con coraggio che cosa può essere fatto per rispondere con efficacia ai crimini, superando ogni atteggiamento deleterio di connivenza con qualunque forma di male e quelle forme di vendetta pubblica, senza attenuazioni, che alla fine esasperano gli autori dei crimini e invitano all'asocialità e alla ritorsione.

Del resto, sia la prassi antica dei "luoghi di rifugio" o "città di rifugio", sia la prassi moderna delle amnistie e delle concessioni di grazia, mostrano che la giustizia umana è sempre stata aperta a forme di perdono che aiutassero al ristabilimento dell'ordine sociale.

Il tema del perdono e della sua efficacia pure sociale va inquadrato, come ho accennato sopra, nel tema più vasto del perdono di Dio e in quell'attività salvifica che viene anche chiamata "giustificazione dell'empio", che evidenzia quanto la Rivelazione si gioca proprio sul perdono e sulla riabilitazione dell'uomo delinquente. Non si tratta quindi di un tema marginale, che tocca solo alcune persone devianti nella società; si tratta di un tema esistenziale che tocca tutti e non va perciò separato dal tema specifico della giustizia penale. Un tema di cui ognuno di noi ha esperienza, perché ogni uomo è peccatore; il modo con il quale la società si comporta verso i delinquenti fa parte del vissuto e della sofferenza di ciascuna persona umana.

3. Approfondimenti teologici

Non mi nascondo che un ripensamento a tutto campo, che risitua il problema della giustizia penale nel cuore di una riflessione sulla giustificazione e sul perdono dell'uomo peccatore, tocca inoltre alcuni aspetti retributivi tradizionali del Cristianesimo, che non sono probabilmente stati immuni, nel loro immaginario storico, dall'influsso delle concezioni retributive del loro tempo. In questi giorni avete dedicato una particolare attenzione anche a tale tema.

I. Un primo approfondimento in proposito è quello molto vasto della redenzione di Cristo in quanto soddisfazione per i peccati dell'umanità, nella cui interpretazione teologica si sono sovente insinuate idee retribuzioniste assai rigide. Da lungo tempo è in atto nella Chiesa un ripensamento teologico al riguardo e, nel nostro secolo, si sono moltiplicati gli studi sul vocabolario biblico della redenzione (cito in particolare le ricerche del mio maestro padre Stanislao Lyonnet), tendenti ad aprire la strada ad una riflessione sul tema redentivo più consona al mistero della misericordia salvifica di Dio manifestata in Cristo Gesù.

II. Un secondo campo di approfondimento è quello del rapporto colpa-castigo per quanto concerne la sorte di ogni uomo qui e nell'eternità. Su questo delicato problema Jacques Maritain ci ha offerto, a suo tempo, stimolanti riflessioni nel libro, del 1939, intitolato Idee escatologiche, nel desiderio di conciliare la dottrina tradizionale della retribuzione eterna con le esigenze della misericordia di Dio espressa dal grido dei santi anelanti a vedere la pienezza del trionfo divino sul male.

In un post-scriptum del 1961, annotava: "Ciò che può smarrire la mente e tentarla di metempsicosi è, mi sembra, l'idea che la sorte eterna degli uomini si suggelli dopo vite che sono quasi tutte vite mancate, così piene di accidenti, di stupide disgrazie, di impedimenti, di miseria, così cariche di tenebre animali, così poco veramente umane e degne dello spirito. Dopo questo breve esercizio da falliti, subito l'eternità di felicità o infelicità!". E aggiungeva: "La questione è insolubile se si rappresenta il giusto Giudice magnificando all'infinito (univocamente) la nostra giustizia di contabili; se non si concepisce che Dio ha precisamente così disposto le cose per nascondere in questa piega dei segreti e delle meraviglie incomprensibili di traboccante misericordia. E ciò fin da ora. Giacché per il Sangue di Cristo, la vita più mancata, la vita più fallita può pagare e generare, essere feconda come né angeli né anime separate possono essere" [1].

III. Con la stessa attenzione a ben distinguere nel problema della retribuzione cristiana gli elementi di contorno da quelli sostanziali, e con lo scopo di allargare lo spazio della speranza sulla vittoria contro il male, hanno scritto, ad esempio, Hans Urs von Balthasar [2] e Jacques Elluin [3]. Quest'ultimo autore, poco conosciuto, ha studiato per tutta la vita il tema della retribuzione cristiana e la sua opera, pubblicata postuma, ha una prefazione e una presentazione rispettivamente di padre Yves Congar e di padre Martelet. Si tratta di tentativi e di ipotesi, ma mostrano come il pensiero teologico abbia accolto la sfida di una nuova riflessione sulla retribuzione cristiana che salvi tutti i dati della Rivelazione e insieme tenga conto di quanto, nei secoli, è stato gradualmente meglio compreso sulla misericordia di Dio e sulla vittoria di Cristo sul peccato. In proposito, Ghislain Lafont si esprime così, nella sua Histoire théologique de l'Eglise catholique [4]: "Bisognerebbe studiare qui l'impatto, nella Chiesa cattolica, ma forse anche al di là di essa, della "piccola via" di santa Teresa di Gesù Bambino e della riscoperta della misericordia. Ciò che si potrebbe chiamare una mentalità della "misericordia" è venuta a poco a poco a sostituirsi ad una mentalità della "giustizia" (il primo di questi termini da prendere nel senso biblico e opposto al secondo, preso nel senso di una giustizia "penale"); ciò vuol dire, in definitiva, che l'immagine stessa di Dio ha subito un certo déplacement, uno spostamento di accento".

E continua: "In tale prospettiva è interessante notare la convergenza, benché a partire da premesse molto diverse e persino opposte, di teologi come Rahner e Urs von Balthasar". Sottolinea quindi, in particolare, la linea di von Balthasar che si richiama a Ignazio di Loyola e a Silvano del Monte Athos [5].

Ancora Lafont, nella conclusione alla riflessione sul problema del male, segnala "l'importanza [...] dei mutamenti di accento della teologia attuale, riguardanti sia i fini ultimi che il peccatooriginale [...]. Questi spostamenti di accento non implicano necessariamente (benché ciò possa essere il caso presso l'uno o l'altro teologo) una messa in ombra dei dati essenziali: essi riprendono il tutto in una visione generale, nella quale il tempo, l'amore di Dio, la comunione (con i suoi costi e le sue chances), la redenzione e il dono dello Spirito ridivengono le strutture portanti del pensiero cristiano - e non invece il peccato o l'inferno" [6].

Ciò che a me preme sottolineare non è evidentemente lo specifico dell'una o dell'altra dottrina: è il fatto che teologi cattolici eminenti e santi del nostro tempo hanno accolto la sfida della giustizia retributiva e hanno cercato di approfondirla in pieno accordo con la dottrina tradizionale, ma con aperture che tolgono ogni supporto a chi volesse ancora sostenere l'immutabilità della prassi penale attuale con il richiamo a rigide teorie retribuzioniste del passato.

Queste e altre riflessioni, in cui non entro per brevità, ci fanno vedere come sia in atto un approfondimento della coscienza del rapporto colpa-pena e delitto-castigo che va nella linea di un più grande rispetto per la sua persona umana e la sua dignità inalienabile, a prescindere dai delitti commessi, e nella linea di quella salvezza offerta al peccatore che è il cuore del kerygma evangelico.

Non sta a me dire in quale modo tutto ciò possa influenzare il diritto penale, però ritengo in ogni caso importante che la coscienza umana e cristiana sia aiutata a maturare nel senso giusto per potersi esprimere, adeguatamente, in coscienza civile.

4. Fattori di maturazione della coscienza umana e cristiana

In conclusione, credo sia utile indicare alcuni fattori di maturazione per la coscienza umana e cristiana.

I. Occorre anzitutto che la giustizia umana, nel suo complesso, e quindi anche nell'ambito penale, sia percepita meno come luogo della lite e della frattura (tra individuo e individuo, tra agente di reato e vittima, tra colpevole e società) e più come luogo di composizione dei conflitti, di ristabilimento dell'armonia sociale, nel senso dell'antica zedakah biblica.

Ne segue l'esigenza che i modelli sanzionatori non debbano ritenere scontate le modalità di risposta al reato fondate semplicemente sulla ritorsione, sulla pena fine a se stessa, sull'emarginazione. È il tema del superamento della centralità, e quasi ovvietà, del carcere nell'ambito penale, con proposte ed esperienze - in parte timidamente in atto - di pene alternative, e soprattutto di possibilità di un esercizio coerente e controllato di riparazione dei danni non in forma generica, bensì mirato a quelle persone, gruppi e situazioni che il delinquente ha offeso.

II. Per quanto riguarda il carcere, fino a quando esso di fatto esiste nella forma attuale, bisogna fare di tutto perché divenga momento di forte e austera risocializzazione, con programmi chiari e controllati, con l'impegno di persone motivate e con incentivi atti a promuovere tali processi nei detenuti.

Di conseguenza, il carcerato dovrà sentirsi sempre meglio inserito nella società e parte di essa, pur nella situazione di colui che compie un cammino di riabilitazione, di riparazione e di recupero. Dovrà inoltre poter nutrire la fiducia di recuperare il suo stato sociale e sperare che potrà essere seguito all'uscita dal carcere. In caso contrario si rischia di disperdere sforzi ed energie e di ritrovare poco dopo in carcere le stesse persone, in condizione peggiore.

III. Più in generale, è importante tener conto della definizione delle strategie politiche criminali, della corresponsabilità sociale rispetto alla genesi e alle cause della criminalità. Tutti i cittadini, perciò, sono chiamati ad assumersi gli oneri necessari per ridurre i fattori che favoriscono le scelte criminali e le zone d'ombra, economiche e sociali, dove la criminalità cresce e si propaga.

IV. Una parola va detta per la giusta preoccupazione per la tutela della società. Si tratta di un tema che oggi pesa molto, anche là dove si accetta l'idea di una giustizia umana e più umanizzante. Giustamente si insiste sul fatto che occorre difendere i deboli e gli indifesi, con quelle forme di deterrenza che sono sia a monte dei possibili crimini sia a valle, con l'esemplarità delle pene.

Tuttavia, la preoccupazione per la tutela della società, che è grave dovere dell'autorità pubblica, non è per nulla in contrasto con il rispetto e la promozione della dignità del condannato. È inoltre più produttiva, anche in termini di prevenzione generale, una politica criminale tesa a investire sulle capacità dell'uomo di tornare a scegliere il bene che non una politica criminale fondata sul solo fattore della forza e della deterrenza. Ciò non esclude, ma comprende, tutte le necessarie cautele nel caso in cui sussista il fondato pericolo della reiterazione di gravi delitti, soprattutto su persone inermi e su bambini.

Sarà certamente arduo trovare la giusta misura ed esisteranno situazioni e momenti turbolenti in cui una società dovrà attenersi a una particolare cautela. Però, pure in questi casi bisognerà esercitare quella prevenzione che consiste anche in una coscienza diffusa di resistenza e di condanna del crimine, non chiudendo gli occhi e non voltando lo sguardo altrove quando qualcuno è in pericolo.

V. Il compito che sta maggiormente a cuore a un Pastore è ovviamente di mettere ogni cristiano in un contatto di fede e di preghiera con i testi evangelici che promuovono una cultura del perdono e della riabilitazione di chi ha sbagliato, nel quadro della consapevolezza che siamo tutti peccatori e bisognosi della misericordia e del perdono di Dio.

Sono i testi che hanno un ruolo centrale nella celebrazione dei Sacramenti, in particolare nell'Eucarestia e nella Penitenza. Una attenta predicazione biblica e un'accurata prassi liturgica costituiscono gli strumenti efficaci per un cambio di mentalità; perché la forza della Parola e la grazia dei Sacramenti fanno penetrare nel cuore umano i sentimenti e i disegni del cuore misericordioso di Cristo e la sua potenza di vittoria sul male del mondo.

Di qui nascerà allora l'impegno per estirpare tutte quelle radici di risentimento, di superiorità e di rivalsa che avvelenano i rapporti sociali e sono alla base di atteggiamenti di rifiuto e di vendetta, e per promuovere iniziative di riconciliazione a livello familiare, ecclesiale ed ecumenico che immettono il lievito evangelico in una società sempre segnata dalla competizione e dal conflitto.

Per questo, anche l'iniziativa della prossima Assemblea europea ecumenica di Graz - che verterà sul tema de "La riconciliazione dono di Dio e sorgente di vita nuova" -, potrà aiutare a creare i presupposti per quel ripensamento del sistema penale a cui questo convegno ha voluto offrire un prezioso contributo.

[1] J. MARITAIN, Le cose del cielo, Massimo, Milano 1996, pp. 85-86.

[2] H.U. VON BALTHASAR, Sperare per tutti, Jaca Book, Milano 1989.

[3] J. ELLUIN, Quel enfer?, Ed. du Cerf, Paris 1994.

[4] G. Lafont, Histoire thélogique de l'Eglise catholique, Ed. du Cerf, Paris 1994.

 

 

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