Genova: Consulta Carcere Città

 

Il Comune di Genova e la Consulta cittadina Carcere Città

 

Sp.In.: Relazione su Sportello Informativo integrato rivolto ai condannati (pdf)

La Rete Cittadina sui problemi del carcere

Lo SP.IN: Sportello Informativo presso il C.S.S.A. di Genova

Statistiche sull'utenza dello Sportello Informativo (zip)

Ruolo dell’Ente Locale

 

L’Assessorato alla Città Solidale ha promosso la costituzione di una rete cittadina sui problemi del carcere, area tradizionalmente poco esplorata dai servizi sociali dell’ente, vista la specifica competenza in questo settore del Servizio Sociale del Ministero della Giustizia (C.S.S.A.), che interviene rispetto alle persone soggette a misure penali.

Va sottolineata l’originalità di questa impostazione che, a fronte di una titolarità istituzionale assai contenuta rispetto alle questioni legate all’area penale, ha voluto mettere in risalto un ruolo dell’ente locale comunque attivo e propositivo.

Naturalmente a quest’azione maggiormente rivolta al fronte della promozione dei diritti è costantemente congiunta, nel rispetto delle già citate competenze istituzionali, l’opera svolta dai distretti sociali, in particolare nella messa in atto di programmi di sostegno e reinserimento sociale rivolti agli ex detenuti, in maniera analoga a quanto avviene per gli altri cittadini in situazione di difficoltà e nel quadro delle risorse disponibili.

Su questa azione di promozione e sostegno esiste invece una titolarità piena dell’Ente, che ad essa è tenuto a rivolgere tutte le sue energie in termini di programmazione e realizzazione di interventi.

 

Percorso della Consulta

 

Il Comune di Genova ha iniziato a perseguire attivamente l’obiettivo di promuovere una rete cittadina intorno al carcere a seguito di un incontro con il Ministro della Giustizia, avvenuto nel 1996, in cui si prese atto, sul piano organizzativo, di due fondamentali aspetti che hanno poi connotato tutta l’azione successiva:

si rese evidente la necessità di un collegamento tra l’Ente locale e gli organi decentrati del Ministero

si rilevò, inoltre, come il carcere, e i suoi detenuti, non fossero percepiti e considerati quali facenti parte della città.

L’autorevolezza del consesso e la concordia di vedute sulle aree tematiche su cui costruire un lavoro comune, non poterono che conferire un mandato "forte" a coloro che poi dovevano operare in tale direzione.

Attraverso un lungo e articolato percorso che ha visto il confronto e la progressiva integrazione delle istituzioni (Comune, Università, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, direzioni delle due case circondariali cittadine, Centro di Servizio Sociale Adulti e Azienda Sanitaria Locale) e dei soggetti dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione sociale, si è giunti finalmente alla costituzione di un organismo cittadino di partecipazione, la Consulta carcere-città.

 

I principali obiettivi dei promotori della rete erano, e sono, sostanzialmente due:

 

un’azione culturale cittadina sul tema del carcere che ponesse l’attenzione sulla sacca di marginalità che esso esprime e che, inoltre, sollecitasse una riflessione allargata a tutta la città sui percorsi possibili di reinserimento, coinvolgendo i mass media perché l’informazione ponesse attenzione anche a quanto di positivo il carcere può, a volte produrre, e alle "buone pratiche" che il pianeta carcere esprime.

lo sviluppo di attività rivolte direttamente ai detenuti sia internamente al carcere, sia nella costruzione di percorsi esterni al carcere per favorire il reinserimento sociale.

 

Il Comune scelse quindi di assumere la responsabilità di essere promotore "forte" della rete, cioè, con un ruolo in questa prima fase trainante, proponente, di regia, investendo, quindi, su un ruolo pubblico capace di essere attrattore di risorse.

Dopo mesi di approfondimenti e confronto si è stabilita una base minima di condivisione circa la scelta dell’ apertura del sistema penitenziario al territorio e la partecipazione dell’ente locale e della comunità esterna alla esecuzione della pena, in secondo luogo sui temi specifici da affrontare, base che va continuamente confermata e sostenuta attraverso un lavoro costante di collegamento, innanzitutto fra istituzioni.

 

Importanza della rete fra istituzioni

 

La scelta dell’Ente Locale è stata quella di interpretare il ruolo di promotore di reti sul territorio e, su questa materia in particolare, è stato apprezzato anche a livello nazionale l’impegno assunto con continuità, in un momento di crisi del Welfare state che vede le istituzioni locali a volte defilarsi o affannarsi in interminabili confronti sulla definizione (e la ripartizione) delle competenze dei diversi soggetti istituzionali.

Il primo lavoro di rete è stato quindi necessariamente pubblico / pubblico, cioè tra soggetti istituzionali, perché si creassero le pre-condizioni per consentire ai soggetti delle organizzazioni del privato sociale di poter trovare poi una propria collocazione in un contesto istituzionale già sufficientemente armonioso e coerente nelle sue proposte.

Questa tematica appare oggi di particolare attualità, a fronte di un momento assai tormentato per quanto riguarda i vertici dell’Amministrazione della Giustizia: basti pensare che, malgrado un costante impegno, non è stato possibile negli ultimi mesi mantenere vivo un confronto, a causa di un avvicendamento nelle varie cariche nell’Amministrazione della Giustizia (sia a livello regionale che cittadino), che ha visto il susseguirsi di ben quattro Provveditori Regionali per l’Amministrazione Penitenziaria in Liguria, oltre che la mobilità di quasi tutti i direttori delle Case Circondariali, privandoci di fatto degli interlocutori necessari all’avvio di un percorso comune e alla continuità rispetto agli obiettivi già raggiunti.

Riteniamo il livello del confronto istituzionale irrinunciabile, e valutiamo che questo sia dunque il primo grosso fronte di impegno su cui puntare , perché continuino ad esistere precondizioni favorevoli al lavoro della rete.

 

Verso un patto per e oltre il carcere

 

Il nome Consulta è stato il primo e più immediato che il gruppo ha assunto. Oggi si propone di sostituire il termine Consulta con Patto. Non si tratta solo di un problema nominalistico, ma di rappresentare, anche attraverso il nome, scelte che potrebbero assumere significati diversi. La Consulta infatti richiama l’idea delle Consulte cittadine, normate dagli Statuti comunali, con una loro organizzazione interna fortemente formale e con rischi di burocratizzazione, "lottizzazione" delle rappresentanze, autoreferenzialità.

Nella logica della progettazione condivisa, che si è costruita e si continua a perseguire e che risponde ad una logica diversa da quella di Consulta, invece si tratta di mettere intorno allo stesso tavolo tutti i soggetti interessati, ai quali non si chiede un immediato contributo concreto, ma di stabilire innanzitutto cosa fare, a quale tipo di bisogni si è in grado di dare risposte e a quali altri no, passando così naturalmente da una politica sociale improntata al modello del deficit ad un modello interattivo in cui si parte dalle risorse che sono in campo e che in realtà sono tante.

La logica della progettazione condivisa è la logica del partenariato. Il Patto è lo strumento per mettere in atto e rappresentare un accordo forte tra i soggetti istituzionali e non, che permette di perseguire gli obiettivi di partenariato e di assumere un’identità autorevole, riconoscibile dall’esterno, in grado di rappresentare formalmente i soggetti coinvolti nel loro insieme.

La Consulta, che si riunisce con cadenza annuale, ha intensificato nell’ ultimo periodo i suoi ritmi di lavoro, riunendosi tre volte nell’anno 2002, proprio allo scopo di meglio definire i propri obiettivi, anche in coincidenza del nuovo ciclo amministrativo.

 

Gli elementi fondamentali del Patto

 

La stipula del Patto della città per il carcere presuppone il rispetto dei seguenti elementi:

riconoscere e valorizzare l’identità, le responsabilità proprie e l’autonomia di tutti i soggetti della rete aderenti al Patto e improntare le reciproche relazioni al principio di trasparenza

dare seguito con azioni concrete a quanto stipulato con il Patto sulla base delle risorse che ciascun contraente si impegna a garantire

realizzare una stima ed un’analisi condivise dei problemi e dei bisogni dei cittadini-clienti

dare spazio e sostenere l’autopromozione dei soggetti aderenti al Patto

favorire il reclutamento dei volontari

offrire occasioni di informazione ai soggetti aderenti al Patto

sviluppare e ampliare la rete coinvolgendo altri soggetti interessati ad aderire al Patto

riconoscere come partner i soggetti della rete coinvolti nel Patto al fine di costruire risposte articolate e percorsi diversificati di accesso alle risorse in un’ottica di economicità, flessibilità e di rispetto della privacy dei cittadini-clienti

attivare la ricerca di sponsor per finanziare le attività programmate

 

Obiettivi e metodo

 

Il Patto è espressione del partenariato intorno ad un’ipotesi di sviluppo del benessere della persona detenuta o ex detenuta, focalizzata in particolare sui seguenti sotto obiettivi:

sviluppo di opportunità di inclusione sociale per le persone con problemi di giustizia

miglioramento delle condizioni di vita all’interno del carcere, con attenzione agli aspetti socio-sanitari della detenzione

sviluppo di percorsi di integrazione e mediazione

valorizzazione del ruolo del volontariato

Il Patto presuppone l’istituzione di tavoli di concertazione che vadano a definire aree bersaglio e ad individuare idee forza e che definiscano i ruoli, le responsabilità, le modalità di gestione dei progetti.

Il Patto scaturisce dall’osservazione condivisa dei fenomeni (le domande e le attese dei cittadini, gli elementi strutturali e le cause del disagio), dell’individuazione degli obiettivi sia strategici sia operativi su progetti, in cui le istituzioni e i soggetti terzi negoziano le sinergie tra competenze e risorse umane, finanziarie e strutturali, la collaborazione e l’integrazione, indicando i tempi, le azioni- e la loro verifica- che sostanziano i processi sociali attivati dal Patto.

 

Le attese

 

La stipula del Patto della città per il carcere consentirà di:

sviluppare una cultura cittadina sui temi del settore penitenziario

consentire un’informazione più ampia e corretta avvicinando i cittadini a tali problematiche

avviare modalità diverse di approccio al tema della sicurezza dei cittadini

rinsaldare la rete dei servizi, del volontariato e del privato sociale attraverso una maggiore integrazione dei vari soggetti aderenti al patto

individuare maggiori risorse ed utilizzarle in un’ottica di economicità ed efficacia.

 

Il lavoro della Consulta ha inoltre prodotto alcuni progetti operativi tra i quali:

 

Cicli di conferenze per i detenuti prossimi alla dimissione, ripetuti periodicamente, tenute dai soggetti aderenti alla Consulta carcere-città, con la finalità di fornire adeguate informazioni e conoscenze ai detenuti e facilitarne l’orientamento al momento, difficile per molti, dell’uscita dal carcere

 

Creazione di una sezione a custodia attenuata per tossicodipendenti, all’interno della Casa Circondariale di Marassi, per offrire anche ai detenuti stranieri extracomunitari irregolari la possibilità di poter iniziare un percorso terapeutico. I fondi per realizzare questa attività sono stati stanziati dalla Regione e destinati all’Azienda USL, attraverso i lavori del tavolo di concertazione sulla destinazione dei fondi T.U. 309/90 per la lotta alla droga. Attualmente la Ausl 3 ha riconosciuto il valore dell’esperienza terapeutica che si svolge all’interno della sezione a custodia attenuata ed ha assunto i costi della struttura, paragonandola al trattamento in comunità terapeutica.

 

Presenza consolidata dei mediatori culturali, di cui un rilevante esponente della comunità musulmana cittadina che ha assunto il ruolo di guida nella "preghiera del venerdì" in carcere. I mediatori culturali attualmente sono due, uno di lingua araba ed una di lingua spagnola; sono presenti all’interno del carcere per un totale di 300 ore annue complessive.

Il mediatore culturale di lingua araba è presente un giorno alla settimana per 4 ore. Oltre alla preghiera del venerdì è disponibile per colloqui individuali o di gruppo; segue attualmente circa 30 persone in maniera continuativa. La mediatrice di lingua spagnola è presente un giorno alla settimana per circa tre ore e segue individualmente con colloqui 11 detenuti. La funzione dei mediatori è molto importante per i detenuti stranieri perché spesso queste persone sono prive di ogni riferimento e hanno gravi difficoltà di comunicazione; sono i mediatori pertanto che li aiutano a comunicare con la famiglia lontana, che portano in carcere giornali o libri nella lingua del paese d’origine, che li informano sui loro diritti e sulle opportunità di cui usufruire, che li aiutano a comunicare le loro esigenze all’Amministrazione carceraria, diventando così un rilevante punto di riferimento.

 

La progettazione dello Sportello Informativo (Sp.in.): la legge n. 165/98 "Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni" meglio nota come legge Simeone, ha dato impulso, a Genova e in altre città, ad una più stretta collaborazione fra i soggetti del pubblico e del privato sociale, al fine di offrire a coloro che hanno avuto la sospensione dell’ordine di esecuzione, le opportunità e le risorse per affrontare attivamente la loro situazione.

Lo Sportello si definisce e quindi si connota come uno sportello giuridico, gestito da volontari, competente in particolare sulla materia delle misure alternative alla detenzione e sui percorsi da attivare per l'ottenimento di tali benefici.

Lo Sp.in. nell’anno 2002 ha sostenuto 156 contatti, di cui 93 con persone che non si erano rivolte alla sportello in precedenza; 122 sono gli uomini e 34 le donne, 121 gli italiani e 35 gli stranieri., di cui 20 provenienti dal Marocco.

 

I problemi posti hanno riguardato:

 

Lavoro

87

Varie

28

Casa

14

Istanza per misure alternative

12

Economico

9

Gratuito patrocinio

8

Alimentare

7

Salute

6

Remissione debito

5

Volontariato

3

Ascolto

2

 

 

Il Progetto Penelope, pensato per la formazione e l’orientamento lavorativo di donne disoccupate parenti (mogli, sorelle, figlie) di persone detenute o sottoposte esse stesse a misure alternative alla detenzione, in carico ai servizi sociali e/o al Centro di Servizio Sociale Adulti, realizzato in collaborazione con la Provincia di Genova. Il progetto prevede momenti di formazione/orientamento, stage, tirocinio ed ha l’obiettivo di favorire la conoscenza del mercato del lavoro, di rafforzare le competenze e le risorse personali, di svolgere esperienze di lavoro finalizzate.

Le donne che hanno frequentato il corso sono state 14; il corso, di 300 ore complessive, ha previsto 100 ore di aula e 200 ore di tirocinio. L’obiettivo del corso in generale è quello dell’inserimento lavorativo; solo per alcuni casi più problematici sono stati valutati obiettivi intermedi di avvicinamento al lavoro e di attivazione di reti di aiuto intorno alla persona.

Sono state stipulate 12 convenzioni per tirocini di cui otto con possibilità di inserimento lavorativo.

Rispetto agli inserimenti lavorativi la maggior parte delle risposte affermative è giunta dal mondo delle cooperative sociali, in minima parte da quello delle aziende profit. La tipologia degli inserimenti è prevalentemente quella del settore delle pulizie; due inserimenti riguardano il settore del commercio, uno quello ricettivo - alberghiero, uno il settore turistico, uno infine l’assistenza agli anziani.

 

L’avvio del più ampio Tavolo del lavoro, finalizzato alla progettazione di opportunità lavorative per le fasce scoperte dall’esistente, con recenti aperture nella collaborazione con l’Agenzia regionale per l’Impiego.

 

Quali prospettive

 

Il consolidamento e la presentazione alla città del Patto:

Questi sono mesi in cui, almeno fra istituzioni, si sta riverificando la reale volontà di tutti i soggetti di fare propria la logica delle scelte condivise, del confronto, del patto. Sarà quindi indispensabile mantenere viva l’ attenzione su queste problematiche, rinsaldare i legami istituzionali, migliorare gli aspetti di funzionamento della Consulta.

 

Il difensore civico nelle carceri

 

Pensiamo di promuovere una riflessione congiunta per valutare la praticabilità della istituzione di questa figura nella nostra città, sia dal punto di vista più strettamente istituzionale che attraverso un confronto con la Consulta.

L’istituzione del difensore civico ha fra i suoi obiettivi la possibilità di un maggiore ascolto senza mediazioni delle istanze dei detenuti, con una funzione di stimolo a tutte le istituzioni, sulla scorta di quanto già tentato in altre realtà regionali, come il Lazio e la Toscana.

 

Tutela della salute in carcere

 

È questo un tema estremamente delicato, in cui l’ente locale è chiamato in causa dalla sua funzione ampia di garante della salute di tutti i cittadini, e quindi anche di quelli detenuti. Il decreto legislativo 230/99 dispone il passaggio delle competenze in materia di sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale (quindi alla regione e alle ASL), per garantire ai detenuti prestazioni sanitarie al pari di cittadini liguri. Il nuovo titolo V ha definitivamente sanzionato questa scelta riformatrice, e a quattro anni di distanza la riforma ancora stenta ad essere applicata.

 

Genova, aprile 2002

 

 

 

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