Newsletter n° 27 di Antigone

 

Newsletter numero 27 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’Editoriale di Patrizio Gonnella: Auguri

L’Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

L’Osservatorio regionale della Calabria, di Romina Raffo

Anche le donne stanno in carcere, di Laura Astarita

Per una critica della legalità, di Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella

Parole in libertà, a cura di Nunzia Bossa

Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione

L’editoriale: Auguri, di Patrizio Gonnella

 

Noi lo avevamo detto. Non siamo cattivi profeti, ma solo buoni conoscitori delle norme. Nei prossimi mesi, una volta che la legge Cirielli-Vitali andrà a regime, avremo una moltiplicazione di detenuti. A Roma la magistratura di sorveglianza ha inaugurato una cattiva prassi interpretativa. Applica retroattivamente la legge sulla recidiva fregandosene del favor rei. Il sottosegretario Vitali ha con entusiasmo rivendicato gli importanti - a suo dire - risultati che con questa legge saranno garantiti alla sicurezza del Paese. Non ci ha detto però:

1) dove verranno stipati i detenuti;

2) che in Italia la criminalità vera, quella che uccide, è in netto calo;

3) che lui è diventato sottosegretario alla Giustizia perché ha testardamente difeso la Cirielli, che poi è infatti diventata Cirielli-Vitali.

Ci ha detto, invece, che è favorevole all’amnistia. Non c’è limite all’indecenza. Intanto dal Dap neanche una parola. Avranno la soluzione magica, non sanno che dire, oppure è il caso classico di silenzio-assenso? Nel frattempo si marcia a Natale per la clemenza. Noi ci saremo a Roma e in giro per l’Italia. Auguri a tutte e a tutti per il 2006.

 

Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Amnistia, la questione in Parlamento

 

L’amnistia torna al centro del dibattito politico. Sulla scia della marcia di Natale per l’amnistia e l’indulto, lanciata nei giorni scorsi dai radicali, numerosi parlamentari appartenenti a tutte le forze politiche (ad eccezione della Lega) si sono schierati a favore di un atto di clemenza, ed è proprio in queste ore che la conferenza dei capigruppo della Camera deciderà se convocare una seduta straordinaria per valutarne il varo, sulla spinta della petizione presentata dall’on. Giachetti della Margherita, e firmata da ben 207 deputati.

Parallelamente l’on. Ricciotti di Forza Italia ha costituito il comitato dei parlamentari "Amnistia per Natale" con l’obiettivo di far approvare l’amnistia "nei tempi più brevi, prima della fine della legislatura". Le adesioni, al momento, sono più di 70 e - ad ulteriore riprova che il tema è trasversale- anche in questo caso provengono da sinistra e da destra.

L’on. Mormino, vice presidente della commissione Giustizia della Camera, dopo un’indagine tesa a verificare l’orientamento delle forze politiche su un provvedimento di amnistia, nei giorni scorsi non ha nascosto il suo pessimismo. Ad esclusione, infatti, del Prc che ha segnalato il proprio favore per un provvedimento di amnistia ed indulto, l’on. Mormino ha così sintetizzato le posizioni dei partiti "la Lega non ha neanche risposto perchè ha detto che si trattava di una provocazione. An ha preso tempo dicendo che prima vuole capire cosa succede con l’ex Cirielli. L’Udc anche. La Margherita propende per l’indulto graduato fino ad un massimo di due anni. E i Ds hanno scritto una lettera per dire che loro all’amnistia direbbero ‘sì’ ma solo a patto che manifestassero condizioni e volontà serie e seriamente convergenti su tale ipotesi. Altrimenti meglio l’indulto. Allo stato, non vi sarebbe possibilità di arrivare ad un’iniziativa condivisa.

L’on. Pecorella, prima di procedere ad un confronto sul tema in commissione, ha quindi ritenuto di attendere quanto emergerà in Aula durante la seduta che potrebbe essere convocata entro la fine dell’anno a seguito della petizione presentata dall’on. Giachetti.

In questa legislatura, sul tema, erano già stati avviati i lavori in Parlamento e, in particolare, il testo al quale si era arrivati in sede di commissione alla Camera (all’epoca accantonato, in quanto non vi erano le condizioni per un accordo) prevede un indulto non superiore a due anni per le pene detentive e non superiore ai 10 mila euro per quelle pecuniarie, applicabile a quanti abbiano già scontato un quarto della pena. Il testo, fermo ormai da quasi tre anni in commissione, prevede anche che l’indulto possa essere concesso per non più di un anno e per non più di 2.000 euro quando si tratta di reati come la rapina, l’estorsione e l’usura. Si esclude invece per fattispecie più gravi (terrorismo, violenza sessuale, mafia, strage, sequestro, droga e riciclaggio). Nè è prevista inoltre la revoca di diritto se il detenuto che ne ha beneficiato torna a delinquere (con condanna non inferiore ai due anni) entro i cinque anni dall’entrata in vigore della legge; o se nei tre anni successivi commette più delitti per i quali sia prevista una pena complessiva di cinque anni di carcere. L’indulto avrebbe efficacia per i reati commessi ‘‘fino a tutto il 1 giugno del 2001’’ (una previsione, quest’ultima, introdotta con un emendamento dell’on. Finocchiaro).

Al Senato, invece, il 20 marzo del 2003 era stato incardinato in commissione Giustizia un testo sull’amnistia: la proposta (il cui relatore era il sen. Centaro) venne affrontata in sole due sedute e poi non se ne seppe più nulla. Nonostante poi siano state presentate altre proposte sull’argomento (dall’opposizione, ma anche dalla maggioranza) non si è provveduto ad alcun abbinamento.

Vedremo, a breve, se vi è la reale volontà politica di arrivare ad un provvedimento di clemenza, che giova ricordarlo, seppur previsto dalla Costituzione, da ben 15 anni non viene approvato dal nostro Parlamento.

 

Il Vaso di Pandora, a cura del Coordinamento Osservatorio Nazionale

 

L’Osservatorio Regionale della Calabria, di Romina Raffo

 

Le donne detenute in Calabria sono 38, recluse in due sezioni femminili all’interno di istituti maschili. La sezione femminile della casa circondariale di Reggio Calabria si trova in un’ala dell’istituto che precedentemente ospitava una sezione di alta sicurezza, e per questo presenta ancora schermature alle finestre che non consentono il passaggio dell’aria e della luce naturale, cosa che - oltre a essere contraria a ogni buon senso e a ogni norma elementare di tutela della salute fisica e psichica di chi vive in quelle celle – rende fuorilegge l’istituto ai sensi del Regolamento penitenziario approvato ormai cinque anni or sono. Anche il cortile passeggio, oltre ad essere piccolo, è coperto da una grata. In compenso, la sezione è perfettamente adeguata al nuovo Regolamento per quanto riguarda i bagni, che sono forniti di doccia, bidet e acqua calda.

La sezione femminile della casa circondariale di Castrovillari si trova in una struttura nuova e ben tenuta, luminosa e con diversi spazi comuni per la socialità e le attività. Peccato che la mancanza di personale faccia sì che le attività siano completamente assenti e che le detenute, a parte le ore di socialità trascorse in piccoli gruppi nelle diverse celle, non facciano assolutamente nulla, se non quelle poche che seguono la scuola elementare e media. Entrambe le sezioni hanno un nido e delle celle apposite per ospitare madri con figli minori di tre anni, ma è già da un anno che non ospitano bambini. La maggior parte delle donne presenti sono però madri.

Una storia come tante è quella di S., una detenuta straniera trasferita da Torino a Castrovillari, tossicodipendente, sieropositiva, madre di una bambina di 5 anni che vive a Torino con i nonni paterni e che lei non vede da ormai due anni. S. il 15 gennaio uscirà dal carcere di Castrovillari e fuori non ha né una casa né un lavoro né una famiglia che l’aspetta. La sua unica speranza è Barbara, una volontaria che ha preso a cuore la sua storia e che si sta adoperando affinché S. non continui a uscire e rientrare in carcere…

 

Per contattare l’Osservatorio Regionale della Calabria:

osservatoriocalabria@associazioneantigone.it

 

Anche le donne stanno in carcere, di Laura Astarita

 

Il 20 dicembre scorso, in occasione del Convegno organizzato da Antigone alla Camera "Anche le donne stanno in carcere", abbiamo lanciato, alla presenza degli esponenti di tutte le forze politiche, una proposta di istituzione di un Ufficio, all’interno del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, che si occupi, specificamente, di donne detenute. Questa proposta è stata, lo scorso luglio, anche ripresa in un Ordine del Giorno approvato alla Camera e nasce dai risultati di una ricerca, commissionata dall’Unione Europea, che abbiamo condotto, per due anni e mezzo, insieme a cinque partner europei, sulle condizioni di reinserimento socio-lavorativo delle donne detenute ed ex-detenute. Tale ricerca è stata svolta attraverso l’analisi delle politiche relative all’inserimento socio-lavorativo di donne detenute ed ex-detenute dei sei paesi partner, del contesto socio-economico-politico e delle caratteristiche della popolazione detenuta femminile in ogni paese. È stato inoltre condotto un lavoro sul campo, fatto di interviste a operatori penitenziari e a donne detenute ed ex-detenute, da noi seguite per un anno nel loro percorso di reinserimento sociale.

La ricerca ha evidenziato che i problemi principali per le donne in carcere o per le ex detenute sono più o meno gli stessi in tutta Europa, e sono riconducibili alla scarsa considerazione dei bisogni specifici che le donne hanno, prima, durante e dopo la carcerazione. I bisogni specifici si trasformano progressivamente in fonte di discriminazione. Gli esigui numeri che la detenzione femminile coinvolge in tutta Europa portano ovunque a trascurare la categoria sociale delle donne detenute ed ex detenute nell’elaborazione di politiche specifiche.

Né culturalmente né normativamente i paesi oggetto della ricerca sono in grado di offrire alla specificità della condizione detentiva femminile una valida risposta.

Potremmo riassumere i risultati della ricerca in tre punti fondamentali, che non vogliono essere esaustivi del problema:

1. L’esiguo numero delle donne e la loro dispersione in piccole sezioni. Le istituzioni possono prendersi carico di 2.600 donne e delle loro quotidiane condizioni di vita?

2. La ricerca ha evidenziato quanto sia grave attualmente la mancanza di comunicazione e di coordinamento tra l’amministrazione penitenziaria e i servizi sociali e territoriali, e quanto ciò contribuisca all’emarginazione delle donne con "svantaggi multipli".

3. Abbiamo riscontrato come manchino politiche che abbraccino una prospettiva di genere e che prendano, quindi, in considerazione, il profilo stesso delle donne che vengono a contatto con il carcere, il fatto che esse già provengono da aree di disagio sociale e da situazioni di esclusione, già prima della detenzione. Sono necessarie politiche di genere che in maniera non settoriale affrontino il problema dal punto di vista sociale, economico e penale.

L’istituzione e i contenuti dell’Ufficio. In quest’ottica si inserisce la nostra proposta: l’esigenza di un ufficio specifico nasce proprio dalla constatazione della totale mancanza di politiche di genere che affrontino le questioni relative alle donne in carcere in una prospettiva non standard e partendo dai loro tratti specifici. Mancano politiche integrate che comprendano politiche sociali, penali, penitenziarie, economiche, del lavoro ma anche politiche sull’immigrazione e sulla droga. Le politiche sociali, infatti, sono in generale ancora concepite per tamponare i danni prodotti da politiche penali ed economiche. Va invertita questa tendenza.

La nostra proposta è quella di un Ufficio interno alla Direzione Generale Detenuti e Trattamento, che potrebbe essere istituito con Decreto Ministeriale, su proposta del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

L’Ufficio si dovrebbe occupare:

1. della gestione ordinaria di tutte le carceri e sezioni femminili

2. del servizio sanitario per le detenute

3. del trattamento intramurale per le detenute

4. del coordinamento con gli altri Uffici del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria

5. del coordinamento con i diversi Ministeri, nell’intento di integrare politiche economiche, sociali, penali e penitenziarie con quelle del lavoro, dell’immigrazione e della lotta alla tossicodipendenza.

6. di assicurare, attraverso la programmazione e il monitoraggio, un coordinamento con i servizi sociali e territoriali, allo scopo di elaborare linee programmatiche comuni per la gestione della prevenzione e della lotta all’emarginazione con una visione di genere

7. di aprire la strada a uno studio organico sulle specificità della detenzione femminile in Italia, così da individuare nuovi e più efficaci settori di intervento.

8. di favorire nell’opinione pubblica un’immagine della donna detenuta libera da stigmatizzazioni.

Ipotesi concrete di funzionamento dell’Ufficio. Non abbiamo qui l’ambizione di elencare tutte le possibili iniziative che l’Ufficio potrebbe intraprendere, ma, sulla base dei risultati del nostro lavoro, di suggerire alcune delle attività che ci sembra importante avviare al più presto.

Abbiamo considerato essenziale, per l’elaborazione di tali proposte concrete, ascoltare le opinioni delle detenute e abbiamo discusso con loro delle potenzialità dell’Ufficio in un forum organizzato nell’Istituto di Rebibbia femminile. Quelle che seguono sono quindi delle proposte che traggono spunto dai suggerimenti delle detenute stesse e che noi abbiamo liberamente reinterpretato in questa sede:

La prima questione è senza dubbio quella della necessità di trovare una soluzione al problema lacerante della separazione dai propri affetti e dai propri figli, problema attualmente fortemente presente e non risolto. Le donne, infatti, risultano spesso essere le uniche responsabili della famiglia e dei figli. La dispersione delle donne in 63 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili e in solo cinque istituti interamente femminili risolve il problema della vicinanza territoriale ai propri affetti prevista dall’Ordinamento penitenziario a scapito di una vita detentiva estremamente trascurata dalle istituzioni per quanto riguarda le donne in piccole sezioni. Formuliamo qui due possibili soluzioni: l’Ufficio potrebbe impegnarsi a rinforzare le potenzialità delle piccole sezioni; oppure, e ci sembra l’ipotesi più risolutiva, potrebbe riorganizzare la mappa stessa degli Istituti penitenziari, prevedendone uno femminile per regione.

Proponiamo che l’Ufficio si adoperi affinché le donne con figli possano avere con essi colloqui più frequenti di quanto previsto oggi dal Regolamento, e che possano vederli tutti contemporaneamente, senza i limiti numerici ora adottati.

L’altra questione che riveste un’importanza primaria è quella del lavoro: le donne hanno espresso la necessità di corsi formazione professionale spendibili all’esterno. L’Ufficio potrebbe impegnarsi a garantire ogni anno un certo numero di corsi qualificati in ogni istituto.

L’Ufficio potrebbe contribuire all’attivazione e al monitoraggio di un numero certo di attività trattamentali in ogni istituto, sulla base dell’esigenza, espressa fortemente dalle detenute, di luoghi dove impegnare proficuamente il proprio tempo, luoghi anche, per esempio, dove poter fare esercizio fisico per evitare depressione o "passivizzazione".

Per quanto riguarda sia il lavoro che i corsi professionali e di istruzione, l’Ufficio potrebbe impegnarsi a ricercare le risorse affinché possa esserne garantita la partecipazione anche alle donne con sentenza breve e a quelle non definitive, attraverso l’attivazione di corsi che prevedano tempi brevi di partecipazione.

Laddove in una regione non si riuscisse a garantire la presenza di un carcere interamente femminile, ma solo di sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili, si potrà allora garantire la partecipazione congiunta a corsi di istruzione e formazione professionale di uomini e donne, così da non escludere queste ultime dalle attività.

L’Ufficio potrebbe, in accordo con la magistratura di Sorveglianza, contribuire a rendere più fluidi i tempi per le fissazioni delle camere di Consiglio e per la concessione delle misure alternative alle donne che fuori hanno figli e/o famiglia.

Ribadiamo, su forte insistenza delle detenute, quanto sia urgente un maggior coordinamento tra il Ministero della giustizia e i servizi sociali: urge una presenza maggiore del territorio, con più assistenti sociali, che possano, nel tempo in cui le donne sono detenute, seguire le difficili situazioni familiari che esse lasciano fuori; urge la presenza di maggiori strutture nel territorio disposte ad accogliere le donne in permesso premio o in misura alternativa, anche e soprattutto nei territori in cui la mancanza di una rete di volontariato attiva rende attualmente impraticabile ciò.

In materia di assistenza sanitaria, l’Ufficio potrebbe assicurare l’apertura, in ogni istituto femminile, di un consultorio, al fine di garantire una serie di prestazioni che attualmente sono totalmente assenti: una periodica prevenzione dei tumori femminili, una attività di prevenzione delle malattie infettive e di informazione sul controllo delle nascite, sulla contraccezione e sulle tematiche relative alla sessualità, nonché una assidua assistenza psicologica, che possa far fronte ai frequenti casi di depressione e apatia.

L’Ufficio potrebbe impegnarsi a elaborare possibili proposte di legge per le donne che, dopo molti anni di libertà, si vedono riportate in carcere per un cumulo sopraggiunto di reati: la proposta è di ricercare modalità affinché in questi casi possa scattare, in maniera semi-automatica, una misura alternativa alla detenzione.

L’Ufficio potrebbe, in accordo con i servizi sul territorio, organizzare dei corsi di preparazione al rilascio, che possano offrire: in accordo con le ASL, consulenza psicologica per affrontare il ritorno in società; in accordo con i Centri di orientamento al lavoro degli Enti locali, consulenza per la ricerca del lavoro; in accordo con i servizi sociali, una adeguata assistenza.

Queste sono solo alcune delle azioni che un Ufficio come quello che proponiamo potrebbe mettere in atto. Ci aspettiamo che le forze politiche accolgano i nostri suggerimenti e diano il via a un necessario ripensamento delle politiche rivolte alle donne detenute ed ex-detenute.

 

Per una critica della legalità, di Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella

 

Legalità e sicurezza; devianza e criminalità: troppa confusione in questo maldestro dibattito alimentato dalle discutibili (e quindi discusse) iniziative del Sindaco di Bologna.

Fare pulizia delle parole, dunque, per cercare di capirsi ed evitare di cadere in vecchi (e già fatali) luoghi comuni. Dopo cinque anni di governo Berlusconi, davvero non si può sminuire il principio di legalità, principio di predeterminazione dell’azione dei pubblici poteri, prima ancora che di regolazione dei comportamenti dei cittadini. Piuttosto, il problema semmai è non farne un totem, di questa legalità. Dopo cinque anni di governo Berlusconi, cinque anni di leggi ad personam e di leggi deliberatamente incostituzionali si dovrebbe sapere che il principio di legalità può nascondere anche l’arbitrio di una maggioranza e del suo capo. Quindi, affermazione del principio di legalità e critica della sua realtà dovrebbero marciare di pari passo.

 

E veniamo alla sicurezza. Qui il politically correct ha prodotto uno scivolamento semantico, fino all’associazione della insicurezza con la criminalità. Ma non è insicurezza anche la precarietà lavorativa, di vita, di alloggio, in cui versano parte consistenti di vecchi e nuovi poveri del nostro paese, immigrati o autoctoni che siano? Dunque, anche noi siamo per la sicurezza, a condizione che essa torni a riabbracciare l’intero suo campo semantico. Torni cioè a significare garanzia dei diritti, di tutti i diritti fondamentali, per tutti coloro che ne siano titolari, dal commerciante al migrante, dallo studente fuorisede al lavoratore precario, dalla vittima all’autore di reato.

Infine, devianza e criminalità. Qui il cerchio si chiude e la confusione può produrre danni gravi, politici e culturali. Confondere la devianza dalla norma, singoli atti o condizioni di illegalità con condotte criminali, lesive di beni e diritti fondamentali che interessano l’intera collettività rischia davvero di fare della legalità un totem repressore. Non entriamo ancora nel merito della giustizia delle leggi, se cioè sia condivisibile o meno una data disposizione di legge che qualifica o no un certo comportamento come "criminale". Restiamo un passo più indietro di quello che ogni volta, con Antigone, ci piace fare. Stiamo al punto della differenza tra illegalità e criminalità. Una persona che sia entrata nel nostro Paese senza permesso di soggiorno è certamente in Italia illegalmente, ma non per questo ha compiuto un crimine né, tanto meno, può essere qualificato come un criminale. E lo stesso vale per chi costruisca una propria, precarissima, dimora abusiva sul greto di un fiume, a Bologna come a Roma. E lo stesso vale per ognuno di noi che mille volte, ogni giorno, camminiamo sul filo della illegalità, non sempre rispettando tutte le prescrizioni che le leggi impongono.

Dalla devianza dalle norme, dagli stili di vita non conformi, dalle eccezioni alle regole nascono spesso le nuove regole, nuove forme della legalità. Sopprimiamo tutto, in nome della legalità che c’è? No, non si può. Anche volendolo, non ci riusciremmo. È questo il limite invalicabile (limite di efficacia, non ideologico) delle ottuse politiche di law and order. Tutto bene, allora? Naturalmente no. Intanto perché confondere illegali e criminali fa sì che gli uni siano trattati come gli altri: con una pena e non con misure di accompagnamento nella legalità desiderata. Ed è questo che finanche le autorità eccelesiali bolognesi hanno paventato nei giorni scorsi. E poi perché nella associazione tra illegalità e criminalità, nella enfatizzazione della insicurezza e nella sua identificazione col rischio di esposizione ad atti criminali, nella confusione tra principio di legalità e realtà delle leggi vigenti, la sinistra scivola sul terreno della destra, su un terreno autoritario e conservatore nel quale la legge è legge, non si viola e non si discute, qualunque cosa essa dica. Non sono cose nuove.

Su queste confusioni tra insicurezza e criminalità il centro-sinistra italiano è già scivolato negli ultimi anni della legislatura in cui era maggioranza, anche su questo facendo vincere Berlusconi. Anche su queste confusioni Jospin ha consegnato la Francia a un ballottaggio tra destra estrema e destra moderata. Tra la copia e l’originale, vince l’originale. Ricordiamocene.

 

Parole in libertà, a cura di Nunzia Bossa

 

Il consueto attacco "Hanno detto"... in questo numero di Parole in libertà diventa "Ha detto". Si compone di un’unica voce, perché vale da sola la rubrica.

 

"Questa sinistra sta consegnando l’Italia ai barbari. Lo dico non in termini dispregiativi. Anche io sono un barbaro di origine celtica. Però l’analogia con quel che accadde fra il terzo e il quinto secolo è forte. La civiltà romana si afflosciò su se stessa e fu travolta. Qui sta accadendo la stessa cosa. Rischiamo di fare la stessa fine. La civiltà occidentale è già in crisi per i fatti suoi. Pensi solo al fatto che non si fanno più figli. La sinistra ci dà il colpo di grazia: la sinistra è per la globalizzazione, per lo scardinamento della famiglia tradizionale, per gli omosessuali. E poi come dimostra questa storia della Regione Toscana che si ostina a dire no ai Centri di permanenza dei clandestini, la sinistra vuole aprire le porte agli immigrati in modo selvaggio. Così i barbari ci conquisteranno. (...) Io sono contro al meticciato etnico che, peraltro, va di pari passo con quello culturale. (...) Nei giorni scorsi mi è capitato tra le mani un giornale della Caritas. Ho cercato invano sulla carta il crocifisso, o qualche altro segno della nostra storia di cattolici. (...) Non ho trovato nulla. In compenso questo giornale era pieno di riferimenti a Mohamed, e via elencando nomi arabi. Mi pare che orami essere italiani sia una colpa. Per la sinistra, di sicuro, é così".

 

Roberto Castelli, Ministro della Giustizia

 

Le Iniziative di Antigone, a cura della Redazione

 

Domenica 25 dicembre 2005, ore 10.00 Antigone sarà presente alla Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e l’indulto. L’appuntamento è a Roma davanti a Castel S. Angelo.

Inoltre Antigone insieme a CGIL Funzione Pubblica e alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia organizza presidi nelle seguenti città:

Torino, Ore 10.30, davanti al carcere delle Vallette

Milano, Ore 10.00, davanti al carcere di S. Vittore

Padova, Ore 10.00, davanti al palazzo del Comune

Avellino, Ore 11.00, Piazza della libertà

Bari, Ore 10.00, davanti al carcere di Bari

Palermo, Ore 10.00, davanti al carcere dell’Ucciardone

 

Venerdì 27 gennaio 2006 ore 9.30 è convocata l’assemblea generale dell’associazione Antigone a partire dalle 16 presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati in via del Seminario, 76 a Roma.

All’ordine del giorno vi saranno i seguenti temi: iniziative e progetti in corso e in via di realizzazione per il 2006; approvazione bilancio 2005; varie ed eventuali.

Per l’iscrizione all’associazione, le quote per i soci ordinari e i soci sostenitori sono rispettivamente di 30 e 100 euro. Coloro che si iscrivono come soci sostenitori riceveranno a casa la nuova rivista di "Antigone" che riprenderà le pubblicazioni a partire dal 2006.

Si tratterà di un quadrimestrale diretto da Claudio Sarzotti ed edito da Harmattan. La pubblicazione della rivista è per noi un grossissimo sforzo finanziario e organizzativo. Abbiamo pensato che in questa fase è necessario essere presenti nel dibattito culturale con il nostro punto di vista critico in materia di giustizia ed esecuzione penale.

La mattinata del 27 gennaio, come da programma che trovate di seguito, sarà dedicata alla presentazione pubblica del primo numero della rivista, dedicato al tema delle emergenze e già pronto per quella data. Fra gli altri vi scriveranno: Loic Wacquant, Carlo Sini, Luigi Ferrajoli, Mauro Palma, Giuseppe Mosconi, Massimo Pavarini, Stefano Anastasia, Luigi Manconi. Il contributo economico di ciascuno di voi ci consentirà di far durare a lungo il nostro progetto politico/culturale.

 

Venerdì 27 gennaio 2006, ore 9.30 - 13.30

Camera dei Deputati, Sala del Refettorio, Via del Seminario, 76

Emergenze e libertà

Presentazione del primo numero di Antigone

Quadrimestrale di critica del sistema penale e penitenziario

Stefano Anastasia, Luigi Ferrajoli, Luigi Manconi, Giuseppe Mosconi, Mauro Palma, Massimo Pavarini, Eligio Resta.

Ne discutono con:

Massimo Brutti, Daniele Capezzone, Roberto Giachetti, Pietro Folena, Giuliano Pisapia.

Coordinano Patrizio Gonnella e Claudio Sarzotti.

 

 

 

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