Newsletter n° 12 di Antigone

 

Newsletter numero 12 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’Editoriale di Patrizio Gonnella: Penale sopranazionale

L’Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

Un carcere a rischio tubercolosi, di Paola Bonatelli

Speciale suicidi, a cura della Redazione

Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione

L’editoriale: Penale sopranazionale, di Patrizio Gonnella

 

Antigone sta preparando un documento di interlocuzione riguardo il tema delle linee guida dell’Unione Europea in materia penale. La scadenza per l’invio dei commenti circa la Green Paper (Carta Verde) è fissata per il prossimo 31 luglio 2004. Segue uno stralcio del commento che Antigone invierà, appunto, alla Commissione Europea. Il diritto penale è stato sempre confinato nei limiti del territorio nazionale.

Il codice penale italiano è ancorato al principio della territorialità. Uno dei baluardi della sovranità nazionale è appunto la esclusività del sistema penale. Dall’altro lato, l’apparato e il diritto internazionale dei diritti umani si caratterizzano per la loro sovra-nazionalizzazione e per il loro non contenimento all’interno dei confini nazionali. A partire dal 1948, anno della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il diritto internazionale classico, ossia quello interstatuale, è progressivamente stato eroso da una nuova concezione del diritto internazionale che sostituisce all’inter-governativismo la sopranazionalità. Il processo, lento e fortemente contrastato dagli Stati-Nazione, ha avuto il suo culmine con la nascita della Corte Penale Internazionale. Il suo Statuto, firmato solennemente a Roma nel 1998, contiene all’interno embrioni del superamento del principio della nazionalità nel sistema procedural-penale, in particolare laddove vi siano gravi violazioni (criminali) dei diritti umani (crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità). È questo l’imbuto stretto da dove è costretto a passare il percorso che porta un sistema penale a uscire dall’ambito nazionale e arrivare nell’ambito sopranazionale. La strettoia è quella delle garanzie imprescindibili e irrinunciabili e della loro comparazione con altre di pari livello. Alcune di queste, ci riferiamo ad esempio alle procedure di avviso di garanzia o alla eccezionalità di arresto obbligatorio o all’obbligo di presenza dell’avvocato in caso di interrogatorio, possono essere limate o ridimensionate, nell’ottica della omogeneizzazione, solo se in cambio vengono protetti interessi e diritti di più ampia portata, riconosciuti da tutta la comunità internazionale come tali. Ci riferiamo appunto ai diritti umani. Gli Stati Uniti che fanno lobby contraria alla Corte dell’Aja difendono la competenza penale nazionale contro ogni rischio di invasività esterna. L’Europa ha una sua Costituzione, che nonostante i deficit di democrazia, diverrà patrimonio comune di 25 Stati. L’Europa ha una storia propria sui diritti umani, irrinunciabili e irreversibili. Tali diritti sono codificati. Tali diritti vanno protetti anche a livello europeo anche con un proprio sistema penale, o quanto meno attraverso meccanismi comuni o comparabili a livello nazionale. Tutto il resto richiede l’individuazione di massimi comuni denominatori. Sia nella fase del riconoscimento che in quella della progressiva omogeneizzazione vanno tenute presenti garanzie e tutele irrinunciabili, vanno identificati minimi e massimi edittali, vanno enucleati gli interessi essenziali da proteggere. Bisogna evitare però che i singoli Stati, da un lato si adattino al diritto penale europeo e dall’altro conservino tutto il resto a livello nazionale, lasciandosi le mani libere. Rischieremmo così una ulteriore estensione del sistema penale, che avrebbe due ambiti, entrambi tendenti all’espansione. Le linee guida europee sul sistema penale, se vincolanti, devono vincolare su tutto. E tali linee guida devono avere quale punto di partenza il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione, prendendo il meglio dagli ambiti nazionali.

 

Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Le visite del "Comitato Carceri": dagli istituti di pena piemontesi a quelli sardi

 

Nelle giornate del 14 e 15 luglio, una delegazione del "Comitato Carceri" della Camera dei deputati -composta dal neo-presidente del comitato, Enrico Buemi (Sdi), da Francesco Carboni (Ds), Giuliano Pisapia (Prc) e Sergio Cola (An)- ha effettuato delle visite di controllo nelle carceri di Ivrea, Cuneo e Torino. La delegazione, anche alla luce dei recenti episodi di cronaca -relativi ai suicidi di un detenuto nel carcere di Ivrea e di un agente in servizio presso il carcere delle Vallette-, ha quindi verificato le condizioni di vita dei detenuti all’interno degli istituti, nonché quelle lavorative della polizia penitenziaria. Inoltre, tra gli obiettivi delle visite, quello di verificare la realizzazione di attività di lavoro e di formazione per favorire la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti. Successivamente, nelle giornate del 21 e 22 luglio, la stessa delegazione - giunta in Sardegna - si è recata in visita presso il carcere ‘‘Buoncammino’’ (Cagliari), la colonia penale di Is Arenas, il carcere ‘‘Badu ‘e Carros’’ (Nuoro), il ‘‘San Sebastiano’’ (Sassari) e quello di Alghero. Nelle due giornate i parlamentari hanno avuto modo di di constatare la situazione di crisi del sistema carcerario isolano, afflitto da croniche mancanze di organico e deficienze strutturali. Incontrando le rappresentanze sindacali degli operatori penitenziari, poi, Buemi ha spiegato che compito del comitato e’ quello di elaborare proposte di modifiche legislative che poi dovranno essere esaminate ed adottate da Parlamento e Governo. Affrontando il discorso della razionalizzazione della situazione delle carceri sarde, e’ emerso che quelle di Tempio Pausania e Lanusei sono destinate a diventare, secondo i piani del Dap, ‘‘sezioni carcerarie’’. Una decisione che ha suscitato le immediate proteste dei sindacati per il concreto rischio di aggravamento irreversibile della situazione nell’isola.

 

Nuove audizioni sulla sanità penitenziaria: ascoltati i direttori di alcuni istituti di pena

 

Il 22 luglio scorso le commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali hanno ascoltato i direttori di alcuni istituti di pena, convocati in audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla sanità penitenziaria. Un’assistenza sanitaria non più completamente chiusa all’interno degli istituti penitenziari, ma integrata con il servizio sanitario nazionale pubblico: questa la prospettiva alla quale, secondo il presidente della commissione affari sociali della Camera, Giuseppe Palumbo (FI), guarderebbero i direttori degli istituti di pena intervenuti in sede di audizione. Dopo aver convocato i rappresentanti degli operatori sanitari (a gennaio), il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (a marzo), le associazioni di volontariato (a maggio) e i direttori di alcuni istituti minorili (a giugno), e’ stata la volta dei direttori delle carceri circondariali di Torino ‘‘La Vallette’’, Pietro Buffa, di Roma ‘‘Rebibbia nuovo complesso’’, Carmelo Cantone, e di Napoli ‘‘Poggio Reale’’, Salvatore Acerra. Un incontro che si è rivelato molto utile, anche a detta del presidente Palumbo, il quale ha rilevato che sarebbero proprio i direttori ad avere il vero ‘termometro’ della situazione negli istituti di pena.

 

Un carcere a rischio tubercolosi, di Paola Bonatelli

 

La scoperta in un’ispezione del Prc: in ospedale 740 detenuti su 750, un caso accertato e due dubbi. Nel mirino il sovraffollamento "Carcere d’oro". Inaugurata nel ‘95 (i lavori erano cominciati nel ‘93), la struttura di massima sicurezza, pensata per rinchiuderci terroristi, ha una capienza di 250 posti e potrebbe ospitare al massimo 500 detenuti. Ma sono molti di più. La scoperta, nella casa circondariale di Verona-Montorio, di un caso di tubercolosi allo stadio infettivo in un detenuto veronese, e di due casi "dubbi", ha scoperchiato il calderone di una situazione al limite della sopravvivenza. Una delle tante, probabilmente, visto il sovraffollamento, in costante aumento, che affligge le patrie galere. Una delle tante che sarebbe di nuovo passata sotto silenzio se Paola Vacca, magistrato del tribunale scaligero, non avesse notato un inspiegabile aumento delle richieste di accompagnamento di detenuti presso le strutture ospedaliere cittadine, e non ne avesse chiesto conto ai dirigenti sanitari del carcere. La risposta del medico responsabile, Gabriella Trenchi, ha sconvolto qualsiasi previsione: 740 dei 750 detenuti stipati a Montorio (dieci hanno rifiutato) sono stati portati in ospedale per essere sottoposti alle radiografie dopo che quella che, in gergo carcerario, viene chiamata la mantù (correttamente Mantoux) aveva evidenziato che 268 di loro erano entrati in contatto con il bacillo di Koch, responsabile della tubercolosi. Mentre gli uffici del gip si premuravano di informare i colleghi della magistratura di sorveglianza e del tribunale, nonché l’Ordine degli avvocati, che ha provveduto ad avvisare i propri iscritti, qualche notizia è trapelata anche dal carcere. Merito della visita compiuta ieri da due esponenti del Prc, la deputata Tiziana Valpiana e il consigliere comunale Fiorenzo Fasoli, che hanno confermato la gravità delle condizioni in cui versano i detenuti e le detenute di Montorio: "In carcere - denunciano i due esponenti politici - c’è un tale sovraffollamento che dalle 14 alle 19 cessa completamente l’erogazione dell’acqua, perché l’impianto esistente non regge. Inoltre i turni di lavoro dei detenuti addetti alla pulizia (gli "scopini", ndr) sono stati ridotti, per carenza di fondi, da 6 ore a un’ora e mezza, con la prospettiva di ridurre ulteriormente a turni di mezzora".

Il risultato è, oltre evidentemente al luridume che si accumula nelle sezioni, l’assoluta mancanza di garanzie igienico-sanitarie, a fronte di una situazione definita "drammatica, sia per i detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria, costretti a turni e straordinari massacranti con la prospettiva di non essere neanche pagati, perché oltrepassano il monte-ore consentito". Una popolazione carceraria di oltre 750 persone, con il 60% di detenuti stranieri, 665 i detenuti, 63 le detenute, 29 i semiliberi (detenuti che lavorano all’esterno ma dormono in carcere), per una capienza regolamentare di 250 persone e una capienza tollerabile di 500.

Un carcere pensato per i terroristi, quindi una struttura di massima sicurezza tutta cancelli e cemento, costruito negli anni `80 - è una delle "carceri d’oro", massimi costi e minima qualità - e inaugurato solo nel 1993, dove le celle sarebbero per un detenuto e invece ce ne stanno tre, con l’incubo di diventare quattro: "La Costituzione - dicono Valpiana e Fasoli - parla di carcere che rieduca e recupera ma ormai non serve neanche per contenere. Il sospetto è che il ministro Castelli e in generale il governo, con il forte taglio delle spese anche per le carceri, vogliano esasperare la situazione per cominciare a privatizzare davvero. Ormai dentro si vive in condizioni insostenibili, mancano anche i medicinali". Un’evoluzione, quella verso il privato, che già si vede nei progetti di costruzione di nuove carceri ma che potrebbe interessare anche i servizi: "In Francia - dice Claudio Sarzotti, che ha curato il Rapporto 2004 dell’osservatorio di Antigone, che uscirà prossimamente da Carocci - alcuni servizi privatizzati funzionano. La domanda è: quale privato si metterebbe sulle spalle la gestione di una situazione al collasso come quella italiana?".

 

Articolo tratto da Il Manifesto del 25/7/04

 

Aggiornamento sulla situazione di cui sopra al 29/7/04 di Paola Bonatelli

 

Secondo alcune fonti, il caso accertato di Tbc si riferisce ad un detenuto che da circa due anni presentava infezioni polmonari curate con antibiotici. Il detenuto in questione è stato trasferito in ospedale per accertamenti e sottoposto a schermografia, risultando essere affetto da una grave forma di tubercolosi. Secondo altre fonti, i detenuti non vengono sottoposti alla mantù nemmeno al primo ingresso in carcere. Da ribadire che i 268 casi risultati positivi alla mantù sono entrati in contatto con il bacillo di Koch, e quindi per loro l’infezione potrebbe attivarsi in qualsiasi momento, nel caso di un eventuale stato di immunodeficienza, come ad esempio se sottoposti a forti stress o a seguito dell’uso di cortisonici o farmaci immuno soppressivi in genere. Tenendo conto della scarsissima igiene, dovuta alla riduzione delle ore lavorative degli addetti alle pulizie e al sovraffollamento, la popolazione carceraria di Verona può essere considerata ad altissimo rischio. Circa sei mesi fa l’associazione di volontariato La Fraternità ha presentato un piano socio-sanitario che prevedeva il monitoraggio costante di detenuti e agenti all’interno dell’istituto, nonché un progetto per ridurre le spese degli psicofarmaci (solo quelli sintomatici) e l’istituzione di un supporto psicologico adeguato almeno per i casi gravi. A tutt’oggi non si ha notizia della realizzazione di questo progetto, né di altri a riguardo A Verona proseguono intanto gli esami schermografici dei detenuti e delle detenute. Ancora non sono stati resi noti i risultati.

 

Speciale suicidi, a cura della Redazione

 

L’estate, è ormai cosa nota, è il periodo letteralmente più caldo per quanto riguarda il rischio suicidi in carcere. Negli ultimi mesi, fra l’altro, c’è stata una sequenza di casi impressionante negli istituti di pena italiani. Riportiamo di seguito la cronologia dei fatti accaduti nello scorso mese di giugno, con la speranza di non dover ricominciare il triste conteggio alla fine dell’estate. Riportiamo, inoltre, due articoli sul tema tratti da Il Manifesto dello scorso 24 luglio.

 

Morti di carcere

 

A giugno l’associazione Ristretti Orizzonti ha registrato 13 "morti di carcere": 9 suicidi, 2 per malattia e 2 per cause non accertate. 6 giugno, Bologna Bebika Husovic, 38 anni, di origine bosniaca, si impicca nel carcere della Dozza. Era stata prelevata solo 24 ore prima dal campo nomadi bolognese di Via Peglion, nel quale era agli arresti domiciliari, perché doveva scontare un cumulo di pene di 3 anni e mezzo. 7 giugno, Siracusa Vincenzo De Rosa, 42 anni, si impicca nel carcere di Siracusa. Ex collaboratore di giustizia, doveva scontare una pena residua di 7 anni. Soffriva di una grave crisi depressiva. De Rosa si trovava in isolamento, per ragioni connesse all’instabilità mentale. 11 giugno, Sollicciano Nel carcere di Sollicciano (Fi) Khaled, algerino, 25 anni, si impicca ai rinforzi delle sbarre in cemento, apposti in seguito a diverse evasioni. Il giorno prima un altro detenuto aveva tentato il suicidio. 12 giugno, Bologna Un detenuto italiano, 36 anni, si impicca alle sbarre della finestra della sua cella utilizzando un k-way. Condannato a 4 anni, godeva di permessi premio. 13 giugno, Brescia Un detenuto palestinese, 25 anni, si impicca in cella. Era stato arrestato da meno di un mese, con l’accusa di furto. 13 giugno, Lanciano Nel penitenziario di Lanciano (Chieti) Tommaso Bolletta, 36 anni, viene trovato senza vita nella sua cella. Era stato trasferito nel carcere di Lanciano, proveniente da Vasto, per scontare 6 anni e 6 mesi di reclusione, relativi a un condanna per rapina. 23 giugno, Livorno Un detenuto di 71 anni si uccide alla vigilia del processo che lo vedeva accusato dell’omicidio della moglie, gettandosi dal terzo piano dell’appartamento della sorella, dove viveva agli arresti domiciliari, dopo aver trascorso nove mesi di carcere. 29 giugno, Livorno Domenico Bruzzaniti, 50 anni, si impicca in cella con la cintura dei pantaloni. Già tre giorni prima aveva provato a farla finita, usando una bomboletta di gas da campeggio infilata in una busta, con cui si era avvolto la testa.

 

Gli articoli che seguono sono tratti da Il Manifesto del 24/7/04

 

Carceri, il record dei suicidi. Un dossier: a giugno almeno 9 casi e altre 4 morti sospette

Pisapia (Prc): Castelli chiarisca

 

Suicidi, morti per cause poco chiare, overdose o cattiva assistenza sanitaria. Le stime, ovviamente non ufficiali ma tratte da fonti giornalistiche e organizzate in un dossier dall’associazione Ristretti orizzonti sono impietose: tredici decessi nel solo mese di giugno, tra cui nove casi di suicidio, che si sommano agli otto di maggio e alle denunce di violazioni dei diritti umani, l’ultima proprio ieri presentata alla procura della repubblica di Busto Arsizio da radicali e Rifondazione nei confronti della direttrice del locale carcere che avrebbe rifiutato i farmaci ai malati di aids e di epilessia. Miseramente fallito l’indultino, le carceri italiane continuano a scoppiare, le amministrazioni non brillano per trasparenza e tra le sbarre si continua a morire. L’ultimo caso due giorni fa a Verona: un giovane di appena 26 anni, Cristian Orlandi, modenese, in carcere da otto mesi con l’accusa di omicidio, è stato trovato morto poco dopo un colloquio con la madre e la moglie. Lo stesso giorno, all’altro capo dell’Italia, a Caltanissetta, un assistente di polizia penitenziaria, Luigi Rizza, è stato condannato a otto anni e mezzo di reclusione per aver minacciato e abusato sessualmente di tre detenuti. "La nostra preoccupazione riguarda l’informazione e la trasparenza", spiega Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone, "l’amministrazione carceraria ha un dovere di custodia morale e giuridica, le persone non possono entrare vive in carcere e uscirne morte. Qualche mese fa, ad esempio, c’è stato un suicidio sospetto ad Avezzano, poiché il cadavere presentava alcune ecchimosi, e se l’amministrazione fosse stata meno timorosa avremmo meno pregiudizi nei suoi confronti". Ma capire cosa succede al di là delle sbarre è un’impresa ardua. Lo dimostrano i casi del calendario con le vignette di Vauro censurato dalla direzione del carcere di Badu ‘e carros, all’inizio dell’anno, e nello stesso carcere la denuncia, da parte dei compagni di cella, del pestaggio e della scomparsa di un detenuto, Roberto Nicolosi, del quale l’unica notizia in seguito fornita dalla direzione è che sarebbe stato portato in isolamento. Il timore dei compagni di cella era quello che potesse ripetersi il caso di Luigi Acquaviva, trovato impiccato in cella di isolamento il 23 gennaio 2000 dopo aver subito, secondo l’accusa, un violento pestaggio da otto agenti di polizia penitenziaria che sono tuttora sotto processo. Ma l’interrogazione parlamentare del verde Mauro Bulgarelli è rimasta finora lettera morta. Giuliano Pisapia del Prc ha invece presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Castelli sulle morti in carcere nel mese di giugno. Detenuti trovati impiccati alle sbarre, morti di tumore per i quali i familiari denunciano la cattiva assistenza, ma anche decessi strani come quello avvenuto il 21 giugno nel carcere fiorentino di Sollicciano, dove un carcerato trentenne è stato trovato senza vita in cella senza che l’autopsia riuscisse a chiarirne il motivo. Pesante anche la denuncia presentata ieri dai consiglieri regionali lombardi di radicali e Prc, Alessandro Litta Modigliani e Giovanni Martina, contro la direttrice del carcere di Busto Arsizio Caterina Ciampoli, che si sarebbe "rifiutata di somministrare medicinali ai malati di Hiv e di epilessia", avrebbe "negato la visita medica specialistica a un detenuto cardiopatico" e avrebbe "impedito l’utilizzo dell’ascensore a un carcerato con una gamba ingessata". I consiglieri parlano anche di ricoveri in ospedale rifiutati, permessi cancellati e ore d’aria dimezzate la domenica, già segnalati in un esposto di una dirigente sanitaria, così come la dichiarazione della caposala che alla richiesta di acquistare psicofarmaci per i tossicodipendenti si sarebbe sentita rispondere dalla direttrice di mettere acqua nelle boccette. La direttrice del carcere era già stata allontanata una volta per incompatibilità ambientale, poi aveva fatto ricorso ed era stata reintegrata il 3 maggio scorso.

 

Due strane morti archiviate, un solo pm

 

I casi Romeo a Reggio Calabria e Lonzi a Livorno. Per quest’ultimo spuntano foto inedite di Tommaso Tintori Francesco Romeo, un 28enne di oltre cento chili per un metro e 85 di altezza, muore il 7 ottobre 1997 nel carcere di Reggio Calabria. Un paio di settimane prima, nell’ultimo colloquio col fratello, aveva riferito di essere oggetto di pesanti pressioni volte a farlo "collaborare". Dagli atti giudiziari emerge che il 29 settembre Romeo sarebbe stato aggredito da almeno cinque persone e il suo corpo trasportato sotto un muro per simulare un tentativo di evasione. Una maldestra messinscena smascherata dalla consulenza medico-legale, che ha dichiarato l’assoluta incompatibilità delle lesioni con la precipitazione da un’altezza di neanche quattro metri. La causa diretta della morte sarebbe infatti un violento pestaggio a colpi di bastone o manganello che avrebbe provocato la frattura del cranio. Le lesioni alle braccia avrebbero evidenziato un tentativo di protezione del volto; quelle allo scroto e al coccige una tortura inferta prima dei colpi mortali. Un caso per molti versi simile a quello di Marcello Lonzi, il giovane livornese deceduto nel carcere Le Sughere per cause ancora da chiarire. Notizia di ieri è che l’avvocato che assiste la madre di Lonzi è entrato in possesso di una ventina di fotografie per lui inedite, allegate al fascicolo relativo alla morte, nelle quali si vedono la schiena e i glutei del giovane segnati da profonde ferite, oggettivamente incompatibili con l’ipotesi ufficiale che parla di morte accidentale procurata da un infarto e dalla conseguente caduta faccia a terra. Ma torniamo al caso Romeo. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, il 6 marzo 2003, ha confermato la condanna nei confronti del comandante e di un agente della Polizia penitenziaria del carcere reggino, ma con una sostanziale modifica del titolo di reato. Il primo è infatti passato da concorso omissivo doloso (è al corrente di quanto accade, ha l’obbligo di intervenire ma non interviene) ad agevolazione colposa (non è al corrente di quanto accade ma organizza il servizio in modo tale da agevolare inconsapevolmente gli autori dell’omicidio); il secondo da favoreggiamento a false dichiarazioni al pm. Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato all’assoluzione di 19 imputati su 21 perché le dichiarazioni degli indagati subito dopo il linciaggio furono rilasciate in assenza dei propri legali. Resta misterioso il motivo per cui il pm li abbia iscritti nel registro delle notizie di reato il giorno successivo al rinvenimento del corpo, ascoltandoli successivamente in qualità di persone informate sui fatti. Ci vorranno un anno e otto mesi perché siano ascoltati come imputati (e tutti, tranne uno, si avvarranno della facoltà di non rispondere). Nessuno ha poi voluto interrogare i compagni di cella e dell’ora d’aria. Questi ultimi in particolare avrebbero potuto riferire se Romeo alle 9 del mattino sia mai realmente entrato nel cortile esterno (in tre non lo ricordano presente). E’ stata inoltre accertata, all’interno del carcere, la presenza dei Gom, i Gruppi operativi mobili. Ad alimentare ulteriori sospetti sono poi una serie di domande che non hanno trovato risposta: perché il comandante, proprio quella mattina, priva di adeguata custodia alcuni punti chiave del carcere? Perché sposta cinque uomini per sostituire un solo agente in malattia? Perché modifica le proprie mansioni alle 9 dopo la conferenza di servizio delle 7,50? Perché affida il controllo di due posti chiave (primo cancello e garitta cortile passeggio) a un solo agente? Perché questi non fa scattare l’allarme che avrebbe permesso la registrazione automatica dei filmati a circuito chiuso? Perché l’agente preposta ai monitor della sala regia non vede niente sino alle 10? E perché nessun agente, dalle 9 alle 10, vuole risultare al proprio posto? Il Pm Roberto Pennisi, lo stesso che ha chiesto l’archiviazione del caso Lonzi, non ha saputo dare risposta a nessuna di queste domande, limitandosi a chiedere l’assoluzione per i vizi formali riportati in precedenza.

 

Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione

 

Venerdì 27 agosto - Presentazione a Verona del Rapporto sui diritti globali 2004 alla Festa di Liberazione. A partire dalle ore 20.30 interverranno: Paloa Bonatelli, Livio Ferrari, Cecco Bollosi.

 

Lunedì 6 settembre - Presentazione a Roma del Rapporto sui diritti globali 2004 alla Festa di Liberazione. A partire dalla ore 19.00, interverranno: Stefano Anastasia, Luigi Nieri, Sergio Segio, Lucio Babbolin (CNCA), Paolo Nerozzi (Cgil)

 

Mercoledì 15 settembre – Alle ore 20.30 presso gli ex mercati generali di Ostiense, il coordinatore nazionale dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella, parteciperà ad un dibattito sulla cittadinanza, organizzato da Patrizia Sentinelli (Prc).

 

 

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