Formazione - Rientro

 

Progetto "Formazione Rientro"

Comitato Oltre il razzismo - Regione Piemonte, Direzione Politiche Sociali

 

Intervista a Ibrahim Osmani

Scheda riassuntiva del progetto

Ambito su cui verte il progetto

Destinatari del progetto

Aree di intervento

Obiettivo

Descrizione dell'intervento

Risultati previsti

Risultati ottenuti

Modalità di verifica

Aspetti qualificanti e innovativi del progetto

Valutazioni e considerazioni finali

Prospettive di sviluppo dell'iniziativa

Resoconto della missione in Marocco

Resoconto della missione in Albania

Ricerca sulla polizia penitenziaria francese

Ambito su cui verte il progetto

 

Reinserimento immigrati marocchini e albanesi detenuti presso la Casa Circondariale Le Vallette di Torino e la Casa Circondariale della città di Asti nei paesi di origini;

Messa a punto di azioni sistema, valide non solo per i due istituti in questione, ma trasferibili e adattabili per gli altri istituti piemontesi;

Analisi politiche penitenziarie;

studio di fattibilità generale del progetto;

colloqui con gli operatori penitenziari;

interviste con i detenuti marocchini e albanesi;

analisi tipologia mercato del lavoro in Marocco e in Albania (zona di provenienza detenuti).

 

Destinatari del progetto (specificare numero, tipologia, età, etc.)

 

I potenziali destinatari dello studio di fattibilità sono tutti i detenuti marocchini e albanesi presenti presso le carceri di Torino e di Asti, in particolare, e le carceri piemontesi in generale, al cui carico pende l'espulsione amministrativa e/o giudiziaria a fine pena. L'adesione al progetto Formazione Rientro è sicuramente volontaria. Non si potrebbe obbligare nessuno, nonostante l'espulsione a carico, ad aderire. I detenuti stranieri ai quali ci siamo rivolti sono, a parte il filtro della nazionalità, dei giovani adulti. Sono delle persone che si trovano in carcere per i motivi diversi e hanno un "fine pena" molto vario.

Tre sono essere le tipologie individuate:

 

persone che, a fine pena, non hanno bisogno di nessuna attività di discriminazione positiva, quale potrebbe essere un'attività di "Formazione Rientro". Sono delle persone che erano totalmente integrate nei circuiti criminali composti da "professionisti", hanno dei risparmi accantonati in Italia o nel loro paese di origine, frutto sicuramente dell'attività criminale che svolgevano. Alcune di queste persone, nonostante il fine pena molto lungo, hanno un progetto di vita da avviare dopo la scarcerazione. La carcerazione è considerata "il rischio d'impresa". La accettano, provano ad arrecarsi il meno danno possibile e, si preparano a un reinserimento nel loro paese di origine. Questa tipologia riguarda una percentuale abbastanza bassa tra gli stranieri.

persone che, con o senza l'ausilio di attività di discriminazione positiva non hanno nessuna possibilità di vita dignitosa nel loro paese di origine. Sono delle persone arrivate in Italia perché non avevano più nulla nel loro paese. È il caso di una delle persone che abbiamo incontrato, che riportiamo qui come esempio, originario del Mali ma residente in Senegal. Questo signore era commerciante di piccoli elettrodomestici che acquistava direttamente negli Emirati Arabi. Aveva a disposizione un piccolo capitale che, per una commessa andata male, iniziava a diminuire. Sfortuna vuole che, nello stesso periodo, è stata inaugurata vicino al suo negozio una filiale di una catena multinazionale di elettrodomestici. Dopo pochissimo tempo è stato costretto a chiudere la sua attività per fallimento. Gli è stato "consigliato" di venire in Italia per recuperare il suo capitale. Al primo tentativo di attività illecita viene fermato, carcerato e ha un'espulsione a suo carico. Citiamo un altro esempio che, secondo noi è ancora più indicativo, per mostrare la complessità delle "storie di vita" delle persone detenute, e quanto sia difficile preparare queste persone ad un reinserimento dopo la scarcerazione. È un ragazzo di cittadinanza algerina con madre marocchina. Lui è vissuto in Algeria finché non è scoppiata la guerra civile, occasione che ha costretto tutta la famiglia a spostarsi in Marocco. Da minorenne arriva in Italia in modo clandestino. Svolge parecchi lavori regolari prima di immettersi nel circuito della droga. Era diventato uno spacciatore "rispettabile" negli ambienti torinesi. Dopo un primo periodo da spacciatore di droghe leggere passa a quelle pesanti, diventando anche consumatore e quindi dipendente. Per almeno tre anni lavora "indisturbato" guadagnando quotidianamente ciò che potrebbe guadagnare mensilmente un dirigente di Banca. Manda in Marocco e in Algeria due terzi del suo guadano costruendo e ampliando due abitazioni. Faceva grande uso di droghe sintetiche, di eroina e di cocaina. Da una parte l'effetto delle droghe e dall'altra parte l'impatto dello stile di vita che conduceva (era sempre a rischio arresto, poteva essere liquidato da parte delle bande concorrenti, non aveva nessuna rete o persona di fiducia, ecc….) lo hanno reso una persona totalmente "scardinata". Oggi è detenuto presso un carcere piemontese. È seguito dagli operatori del Ser.T. e si sta disintossicando anche se per colpa della droga, soprattutto quella sintetica, ha subito dei danni irreversibili al cervello. Appena arrestato, la sua fidanzata viene "rapita" e "violentata" dal capo banda rivale mentre la sua abitazione diventa, all'inizio, oggetto di furto e devastazioni e poi occupata da altri spacciatori rivali. Lui oggi deve scontare una pena lunga in carcere. Il suo unico progetto, una volta scarcerato, è regolare i conti con la banda rivale.

persone che avrebbero bisogno di attività di "discriminazione positiva". È la parte maggioritaria dei detenuti stranieri presenti nelle carceri piemontesi. Le persone che abbiamo avuto la possibilità di incontrare sia ad Asti che a Torino erano dei giovani adulti (tra 23 e 35 anni). Erano delle persone che ascoltavano con grande attenzione la nostra proposta ma erano molto diffidenti. La loro diffidenza, secondo noi, è dovuta da una parte al fatto che, persino tra loro, c'erano delle persone che dopo la prima scarcerazione e il secondo arresto, non sono stati espulsi malgrado la loro posizione irregolare e comunque con l'espulsione a carico. Dall'altra parte, avevano pochissima fiducia nel "sistema" in generale e in quello penitenziario in particolare. Confrontavano la loro condizione quotidiana in carcere, magari anche la loro condizione di immigrati prima di intraprendere attività illecite (ricerca di casa, lavoro regolare, accesso ai servizi sanitari o altri) con la proposta, comunque interessante, che gli veniva avanzata, e vivevano il tutto in un modo contraddittorio.

 

Aree di intervento

 

reinserimento degli immigrati nei paesi di origine;

sistema informativo sull'immigrazione;

inserimento scolastico;

accoglienza;

misure di integrazione sociale: elaborazione politiche penitenziarie quadro;

iniziative varie: elaborazione politiche penitenziarie a favore dei detenuti immigrati.

 

Obiettivo

 

Per meglio delineare l'obiettivo dello studio di fattibilità è utile esporre alcune premesse:

la duplice finalità della detenzione, nelle sue accezioni di pena e di trattamento rieducativo finalizzato al reinserimento socio lavorativo, anche graduale, nella società aperta;

la pendenza dell'espulsione a fine pena prevista nei confronti della maggior parte dei detenuti stranieri, che determina problemi nella formulazione del suddetto piano educativo. I detenuti stranieri quindi si trovano a dover scontare due tipi di pena 7, una inflitta (la carcerazione) e l'altra circostanziale, ovvero l'esclusione da un programma sistematico pedagogico - trattamentale finalizzato al reinserimento malgrado la partecipazione dei detenuti stranieri alle attività organizzate all'interno delle carceri (frequentano i corsi di formazione professionale, rappresentano la maggioranza delle presenze presso le scuole e i CTP, sono anche presenti presso i corsi universitari disponibili presso alcune strutture penitenziarie piemontesi);

la mancanza, nel panorama delle politiche penitenziarie piemontesi, di approcci "finalizzati" di queste attività e di percorsi di reinserimento delineati, magari anche concertati, dei detenuti stranieri. Poiché, a causa della pendenza dell'espulsione, l'unica possibilità di inserimento reale post-detenzione può avvenire esclusivamente nel paese di origine, ciò determina altresì che l'unico percorso di reinserimento e l'unica "finalizzazione" delle attività a favore dei detenuti stranieri siano rivolti verso un rientro positivo nel paese di origine.

occorre precisare che l'espulsione a fine pena interessa la maggioranza dei detenuti stranieri e non la totalità. Ci sono persone che potrebbero rimanere in Italia (o rientrare in uno dei paesi della Comunità Europea dove risiedono) le quali rientrano in una delle categorie di persone non espellibili. Questa minoranza di detenuti risente comunque dell'impostazione generale delle politiche penitenziarie che non prende in considerazione la loro condizione specifica.

 

Lo studio di fattibilità "Formazione Rientro" è partito da queste constatazioni, per sviluppare ipotesi di potenziali percorsi, attraverso i quali l'impatto della carcerazione e dell'espulsione potesse diventare meno distruttivo sul detenuto straniero e sulla sua comunità di provenienza. Esistono forti polemiche e discussioni sulla tipologia della "doppia pena" subita dal detenuto straniero. La "doppia pena" viene

prevalentemente considerata come "carcere" + "espulsione", e cioè l'equivalente della "double peine" francese. In realtà la nostra proposta prevede che siano fatti gli opportuni distinguo, a seconda che si tratti di stranieri in possesso o meno del permesso di soggiorno. Infatti se la condanna inflitta ad uno straniero regolare è data dalla carcerazione più la revoca del permesso di soggiorno, allora potrebbe configurarsi effettivamente il concetto della "doppia pena". Nel caso invece di assenza di permesso di

soggiorno, la condizione giuridica di persona assoggettabile ad espulsione amministrativa è antecedente alla carcerazione, in quanto il soggetto è clandestino o irregolare. Quindi, in caso di reato e conseguente carcerazione, la "doppia pena" può essere a nostro giudizio configurata non tanto come "espulsione" quanto piuttosto come impossibilità di accesso a percorsi di reinserimento finalizzati.

Per quanto riguarda invece l'espulsione giudiziaria, inflitta dal magistrato in sede di giudizio, questa è motivata dalla pericolosità sociale della persona, variabile quest'ultima legata a determinati comportamenti temporali e quindi suscettibile di eventuale decadenza di fronte ad una risposta positiva del detenuto alle attività rieducative, accompagnate da cambiamento nello stile di vita.

Nel panorama delle politiche penitenziarie manca ulteriormente la possibilità di usufruire, per ciò che riguarda la maggior parte dei detenuti stranieri, delle misure alternative e dell'accesso ai benefici penitenziari in generale.

Formazione Rientro prevede, inoltre, due missioni: una in Marocco e l'altra in Albania, i cui resoconti vengono allegati alla presente relazione sub A (Marocco) e sub B (Albania) e il cui scopo è stato:

verificare la necessità della creazione di una rete locale a supporto dei rientri, individuandone la composizione;

verificare la sostenibilità socio-economica dei rientri;

indagare le caratteristiche dei due mercati locali del lavoro al fine di rafforzare le ragioni del progetto e di orientare le attività di formazione professionale da svolgere in ambito penitenziario.

Lo studio di fattibilità "Formazione Rientro" non si è quindi posto l'obiettivo di realizzare concretamente rientri di ex detenuti, ma piuttosto:

da un lato di verificare appunto la fattibilità di un simile progetto;

dall'altro lato di elaborare una politica penitenziaria a favore dei detenuti stranieri proponendo percorsi di reinserimento che includano anche dei rientri positivi in patria.

Uno tra gli obiettivi specifici dello studio di fattibilità è stato quello di individuare le collaborazioni necessarie e di costruire delle reti di appoggio finalizzate alla realizzazione del progetto. Le collaborazioni che servono per "costruire" un percorso di "rientro positivo" dei detenuti devono essere istituite tra più attori:

all'interno dell'amministrazione penitenziaria (sia come Provveditorato Regionale che come singole direzioni), verificando la disponibilità ad attivare politiche penitenziarie compatibili con questo percorso;

tra direzioni, operatori del ministero della Giustizia, operatori socio-assistenziali, CTP e Formazione Professionale;

tra amministrazione penitenziaria e Ministero degli Interni, sia come Prefettura sia come Forze dell'Ordine (soprattutto la Questura);

all'interno delle Forze dell'Ordine, accertando la disponibilità a giocare un ruolo attivo nello sviluppo di queste politiche;

tra la Regione Piemonte, Province Piemontesi (tramite gli Assessorati alla Formazione Professionale) e le Agenzie Formative, affinché garantiscano la presenza di un'offerta di formazione professionale adeguata alle esigenze del mercato del lavoro dei paesi di origine;

tra gli Enti Locali italiani e le autorità consolari dei paesi di origine dei detenuti stranieri;

tra gli attori sopra menzionati e la rete di appoggio nei paesi di origine dei detenuti stranieri che li accompagni verso un inserimento lavorativo o la creazione di una micro – impresa;

tra le autorità nazionali (in questo caso Marocco e Albania).

 

Descrizione dell'intervento

 

L'intervento consisteva in una serie di azioni complementari tra di loro:

Interviste agli operatori penitenziari

Interviste ai detenuti

Interviste a operatori esterni (volontari, operatori comunali, terzo settore, ecc…)

Interviste a operatori, funzionari, responsabili albanesi finalizzate a verificare la sostenibilità dell'oggetto dello studio di fattibilità.

Interviste a operatori, funzionari, responsabili marocchini finalizzate a verificare la sostenibilità dell'oggetto dello studio di fattibilità.

 

Risultati previsti

 

Per ciò che riguarda i risultati previsti dello studio di fattibilità, ci eravamo posti l'obiettivo di raggiungere due tipologie di risultati complementari tra di loro:

la prima riguardava l'ambito diretto di intervento dello studio di fattibilità;

la seconda riguardava la situazione generale dei detenuti stranieri nelle carceri e l'elaborazione di politiche penitenziarie a favore di quest'ultimi.

Comunque le due tipologie dei risultati previsti erano le seguenti:

sensibilizzazione dell'amministrazione penitenziaria sui problemi dei detenuti stranieri e su eventuali percorsi di inserimento;

sensibilizzazione degli enti locali sui problemi del carcere in particolare quelli dei detenuti stranieri;

allargamento della rete degli operatori che si occupano delle problematiche dei detenuti stranieri;

"sdoppiamento" dei percorsi finalizzati all'inserimento socio-lavorativo dei detenuti stranieri;

rimotivazione dei detenuti per elaborare un progetto di vita per il periodo successivo alla scarcerazione;

attivare dei percorsi di inserimento socio-lavorativo in italia per le categorie non espellibili o regolari;

elaborazione dei presupposti per una politica penitenziaria finalizzata alla predisposizione di percorsi di rientro in patria.

 

Risultati ottenuti

 

Una politica di "Rientro" è attuabile, suscita interesse, curiosità presso i detenuti, presso gli interlocutori italiani e quelli stranieri. Secondo noi le condizioni di attuazione sono legate, se non addirittura ad una politica generale sull'immigrazione, almeno ad una politica penitenziaria che accompagni il detenuto sin dal primo giorno di reclusione fino a fine pena passando attraverso l'accesso ai benefici penitenziari previsti dalla legge.

L'idea di un "atterraggio morbido" nei paesi di origine è una proposta che suscita, come si diceva prima, molto interesse presso i detenuti. Purtroppo però i tempi di maturazione di un'idea del genere sono molto lunghi. I detenuti hanno bisogno di mettersi in gioco, relazionandosi con la proposta, fare un calcolo molto preciso dei "pro" e dei "contro" prima di dichiararsi d'accordo a farne parte.

Ciò comporta, da parte degli attuatori del progetto, la necessità di effettuare parecchi colloqui, su un periodo relativamente lungo. Durante questo periodo, il detenuto, oltre alla richiesta di informazioni e approfondimenti, avanzerà delle richieste pratiche. Parecchi di loro sono stati arrestati per strada e portati direttamente in carcere senza aver avuto la possibilità di assolvere a certi obblighi; e per lo più verranno espulsi dall'Italia senza assolverli: si tratta di obblighi come quello di disdire il contratto della luce, dell'elettricità, l'affitto, ma anche di riprendersi i propri vestiti e la propria oggettistica personale (lettere, album fotografici, etc.).

A queste richieste pratiche sarebbe opportuno dare delle risposte concrete. Ci sono dei casi ancora più complicati rispetto a quelli descritti fino qui. Come esempio, riportiamo il caso di un detenuto marocchino che abbiamo intervistato. Il nostro intervistato era arrivato nel ‘95 in Italia. Faceva lo spacciatore di droghe leggere. Non aveva mai fatto carriera nei circuiti criminali. Viene fermato dalle Forze dell'ordine e sconta pochi mesi di carcere. Si regolarizza durante una sanatoria e trova lavoro regolare presso un mobilificio, chiudendo definitivamente con le attività illegali.

Un anno fa, i Carabinieri si presentano a casa sua e lo portano in carcere perché aveva due anni da scontare, dopo essere stato agli arresti domiciliari, con il permesso del magistrato di svolgere attività lavorativa, sempre per i reati del vecchio spaccio. Viene portato in carcere e gli viene consegnata l'istanza del magistrato dove si legge "…con espulsione dall'Italia a fine pena" e "il pagamento di una multa dell'equivalente di 8.000 euro".

Se il nostro intervistato verrà espulso immediatamente a fine pena, sarà costretto a venire meno ad una serie di doveri e di diritti ai quali non avrà mai più accesso. In effetti, lavorando in regola per parecchi anni, avrebbe diritto ad un trattamento di fine rapporto (TFR), ad esempio. Ha versato dei contributi che in parte gli spetterebbero. Ha un conto corrente in una banca con un po' di risparmi ricavati dal lavoro regolare. Dall'altra parte ha il dovere di pagare il risarcimento della parte lesa e di affrontare le spese processuali, doveri anch'essi che non verranno assolti. In questo specifico caso, il nostro intervistato si diceva pronto a regolare la sua posizione pecuniaria a condizione di poter rimanere in Italia.

Nell'ambito dello studio di fattibilità "Formazione Rientro" ed in convenzione con l'Istituto Plana, abbiamo sperimento un'attività di formazione al lavoro aperta ai detenuti stranieri di nazionalità marocchina e albanese. Il corso, denominato "Operatore del legno" è sviluppato dagli insegnanti del suddetto istituto. La finalità del corso, attraverso un approccio molto concreto, è di permettere agli allievi di acquisire delle competenze tecniche per diventare appunto, degli operatori del legno. Non è stato rilasciato un diploma (i diplomi dell'Istituto Plana vengono conseguiti in un triennio) ma un attestato di frequenza.

 

Modalità di verifica

 

"Formazione Rientro" si scontra con delle difficoltà non indifferenti. Le difficoltà sono di più ordini e esse sono presenti sia in Italia, durante la carcerazione e all'atto della scarcerazione, sia nel paese di origine nel momento del rientro. Per parlare solo delle difficoltà maggiori, iniziamo con l'impatto che la parola "espulsione" ha sui detenuti stranieri. All'interno delle strutture penitenziarie esiste una serie di argomenti che non si può affrontare perché viene considerata tabù. Per il "bene" della "collettività" questi temi non vengono toccati. I temi tabù vertono su concetti come può essere quello del sesso (soprattutto nella sua accezione di omosessualità e di auto erotismo) e sicuramente, per ciò che riguarda

specificamente i detenuti stranieri, l'espulsione.

Gli usi strumentali delle occasioni formative, lavorative e di tempo libero sono all'ordine del giorno da parte delle due controparti. Malgrado l'interesse che può manifestare un detenuto straniero, in modo strumentale o effettivo, da ciò che siamo riusciti a verificare, è disposto a disertare una occasione formativa o quant'altro perché quest'ultima lo prepara al rientro in patria.

Così il motivo del rientro in patria diventa l'occasione formativa e non la pendenza dell'espulsione. Dato curioso che abbiamo verificato, durante la fase delle interviste, è la totale "rimozione" da parte dei detenuti stranieri dell'espulsione a fine pena. "L'espulsione è un rischio teorico, perché siamo in Italia, e si sa come funziona l'Italia"." L'espulsione è un rischio vero, ma tocca agli altri e non a me". Tutti diventano padri naturali di figli minori concepiti con una cittadina italiana, oppure tutti hanno la fidanzata, sempre italiana, con cui si sposeranno appena varcheranno la soglia dell'Istituto.

La loro convinzione del rischio "teorico dell'espulsione" da una parte, e la loro "rimozione" di quest'ultima, dall'altra parte, sono attribuibili, secondo noi, a almeno a tre motivi:

da una parte hanno un interesse molto forte a rimanere in Italia e dall'altra parte pesa molto un rientro fallimentare nel paese di origine;

qualcuno di loro o delle loro conoscenze è al secondo arresto e quindi dopo la prima scarcerazione non è stato espulso e quindi le espulsioni non si effettuano;

la tendenza della direzione di evadere questo tema, per la pace e il felice vivere interno.

Un'altra difficoltà con cui si scontra l'idea di Formazione Rientro riguarda il "ciclo di vita" del detenuto presso gli istituti penitenziari. Il "ciclo di vita" del detenuto in generale ma soprattutto del detenuto straniero all'interno del carcere è approssimativamente divisibile in tre grandi momenti:

il momento di ingresso dove l'impatto dell'arresto, l'impatto della struttura carceraria, i grandi problemi di orientamento e di accesso alle informazioni in modo sufficiente, rendono il detenuto molto neutro e quindi non capace di usufruire delle risorse e dei suoi diritti minimi garantiti;

un momento di interazione positivo nel quale ha "capito" i suoi "diritti" e i suoi "doveri". Ha la capacità di selezionare informazioni e di accedere alle risorse penitenziarie;

un ultimo momento, di timore per il "dopo", del nuovo, della società aperta con cui non si è a contatto da parecchio tempo.

In nessuna delle tre fasi esiste uno sdoppiamento dei percorsi trattamentali che, secondo la condizione giuridica del detenuto straniero, lo prepari ad un inserimento in Italia o nel suo paese di origine. L'attivazione di una politica penitenziaria a favore dei detenuti stranieri, e quindi anche la possibilità di preparare un rientro positivo per tutti coloro che hanno l'espulsione a fine pena, non può prescindere dalle azioni sinteticamente rappresentate nello schema che segue. È curioso ma anche molto "educativo" sentire il modo con cui descrivono la loro emigrazione clandestina, come parlano del loro viaggio nelle "carrette del mare" o in camion sotto i sacchi delle patate, confrontandolo con le modalità con cui vengono percepite e descritte dai mass media e dall'opinione pubblica italiana. Hanno rischiato la vita e il pericolo non smette quando mettono piede in Italia ma continua finché non realizzano il loro progetto migratorio.

Il detenuto straniero, a fine pena, subisce "un'espulsione" o "una mancata espulsione". Una terza parte, minima, una volta scarcerata, effettua un inserimento in Italia, che risulta prevalentemente precario. Il futuro della maggior parte dei detenuti stranieri è perennemente marcato dal periodo di carcerazione. Se viene obbligato a rientrare in patria, è un rientro fallimentare il cui impatto pesa non soltanto sulla sua famiglia, in senso stretto, ma addirittura sulla sua micro-società di appartenenza. Parecchi di loro intraprendono delle attività illegali tentando comunque il rientro in Europa. Se invece non viene materialmente espulso la sua condizione non è migliore. Il massimo dell'integrazione che può avere è un inserimento in "nero", diversamente è potenzialmente "recidivo" e a rischio di una nuova carcerazione.

Attuando lo "sdoppiamento" dei percorsi attraverso lo strumento dello screening della posizione giuridica, si dividono i detenuti stranieri in due macro-gruppi: "inseribili in Italia" e "non inseribili in Italia". I due macro-gruppi non si possono considerare separati e non intercomunicanti. Secondo noi le

persone, durante il periodo di detenzione, sono di probabile passaggio da un gruppo all'altro. Il mantenimento della posizione all'interno del gruppo "inseribile in Italia" è sottoposto a più variabili e risulta abbastanza complicato per alcune categorie. Se la posizione, soprattutto quella giuridica, non viene seguita e monitorata, si può passare al gruppo "non inseribile in Italia". Per questo gruppo, e cioè per permettere a queste persone di mantenere questa posizione, è indispensabile una collaborazione tra vari attori del territorio e gli operatori penitenziari.

Tra gli attori del territorio, grande interesse riguarda il coinvolgimento della Questura e dei Consolati e/o Ambasciate. Tale coinvolgimento è di grande importanza in quanto sarebbe auspicabile il riconoscimento delle generalità del detenuto mentre è ancora in stato di detenzione senza avere l'obbligo di transito per il Centro di Permanenza Temporaneo. Il riconoscimento delle generalità servirà anche per la stipula di un contratto di cui parleremo più avanti.

Per ciò che riguarda la Questura, il suo coinvolgimento potrebbe servire anche per sperimentare delle forme di espulsioni non coatte attraverso appunto percorsi di rientro positivo e quindi senza l'accompagnamento di Agenti della Polizia di Stato.

Con l'entrata in vigore della legge 189 del 30 luglio 2002, la cosiddetta Bossi-Fini, si è aggiunta una terza tipologia di espulsione, e cioè l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione. La suddetta legge, da una parte, e con l'articolo 16 introduce un concetto che porta due anni di sconto di pena, anticipando, certo, l'espulsione, ma contemporaneamente, con l'articolo 14 soprattutto comma 5 ter e 5 quater aumenta i flussi in entrata nelle carceri. Da un punto di vista penitenziario, soprattutto quello del sovraffollamento, è molto probabile che la legge si auto-annulli.

Il passaggio dal gruppo "non inseribile in Italia" all'altro è sicuramente più improbabile anche se non impossibile. Alcune persone, ad esempio, con la sola espulsione giudiziaria, seguendo un percorso trattamentale strutturato, possono diventare "inseribili in Italia". Una volta sdoppiati i percorsi, sarebbe auspicabile, stipulare dei contratti con i detenuti stranieri nei quali sono previsti i loro diritti e i loro doveri, e la finalità del percorso trattamentale ovvero se è finalizzato verso l'inserimento in Italia o verso l'inserimento in patria.

"L'area rifiuto" tenderà a diminuire pian piano che lo sdoppiamento del percorso e la finalizzazione delle attività verranno consolidati e diventeranno la prassi maggiore. Attraverso il passaggio in una situazione intermedia, si arriverà allo schema ottimale. A favore dei due macro-gruppi deve essere sviluppata una politica di razionalizzazione delle risorse interne, e cioè le attività varie devono essere svolte coinvolgendo le persone che stipulano il contratto, isolando in questo modo "l'area rifiuto".

Abbiamo descritto fino qui ciò che, secondo noi, sarebbe opportuno sviluppare a favore dei detenuti. L'innovazione nelle politiche penitenziarie non deve toccare solo i detenuti, ma a nostro parere, deve includere in modo attivo gli operatori penitenziari, e in primis gli agenti della polizia penitenziaria.

La formazione in materia di immigrazione a favore degli operatori penitenziari è l'approccio migliore per sensibilizzare, dare degli strumenti e quindi organizzare dei "gruppi di competenza" per sviluppare le politiche penitenziarie di cui si è parlato.

C'è stata una sola esperienza sul panorama piemontese, denominata progetto Averroè, che ambiva ad offrire formazione in materia di immigrazione a tutto il personale penitenziario. Purtroppo la formazione è durata una sola settimana ed è stata bloccata. Le dimensioni del suddetto progetto e soprattutto i relativi carichi organizzativi sia per l'amministrazione penitenziaria - soprattutto a livello di singole direzioni – sia per i soggetti attuatori erano due delle cause che secondo noi hanno portato al blocco dell'iniziativa. Malgrado ciò, è opportuno ripensare l'iniziativa, magari con dimensioni molto più modeste ma in modo da includere tutti gli istituti piemontesi coinvolgendo poche persone alla volta. I "gruppi di competenza" non sono da intendere come persone che lavorano esclusivamente con l'utenza straniera né implica che le persone che non ne fanno parte non devono interagire con i detenuti stranieri. La loro presenza significa che esisterà un gruppo di operatori in ogni singolo Istituto specializzato in materia di immigrazione e con cui si possono iniziare a sviluppare delle politiche penitenziarie innovative a favore degli immigrati detenuti.

Oltre alla formazione in materia di immigrazione è molto importante, sempre sul versante degli operatori penitenziari, svolgere delle indagini conoscitive sui loro fabbisogni e sulle loro esigenze professionali. È inoltre importante, sempre nella logica di innovazione delle politiche penitenziarie capire meglio i meccanismi che regolano i rapporti tra i vari operatori penitenziari, i meccanismi di socializzazione sul lavoro, e soprattutto per ciò che riguarda il corpo della Polizia Penitenziaria indagare similitudini e differenze con altri corpi di Polizia.

Alleghiamo un riassunto di una ricerca svolta in Francia sui processi di socializzazione degli agenti della Polizia Penitenziaria confrontati con i risultati di un'altra ricerca, svolta, sempre in Francia, un paio di anni prima, sui processi di socializzazione degli Agenti della Polizia di Stato. Riportiamo il riassunto di questa ricerca comparata perché crediamo che, solo a partire di una approfondita conoscenza dei contesti e dei meccanismi, si riescono a sviluppare delle politiche e degli approcci innovativi rimodellato per questo nuovo contesto.

 

Aspetti qualificanti e innovativi del progetto

 

Effettuare dei rientri positivi di ex detenuti in patria risulta un'opera molto complessa. La complessità non è dovuta solo dalla permanenza di queste persone in carcere, ma soprattutto dallo stile di vita che hanno condotto in Italia e l'impatto che ha avuto quest'ultima sulla loro stabilità psico-attitudinale. Come si diceva prima, delle tre categorie di detenuti stranieri individuati, c'è una sola con cui si potrebbero sviluppare dei progetti di rientro. Questo implica la necessità di effettuare un lungo lavoro con le persone per individuare il modo migliore per sviluppare i progetti.

Quest'ultimi dovrebbero essere individuali oppure rivolti a piccoli gruppi della stessa provenienza geografica. Si tratta di capire non solo quali sono le loro competenze manuali, il loro livello di studio, la loro esperienza lavorativa pregressa ma piuttosto capire bene la loro situazione familiare nel paese di origine, di quali risorse e reti dispongono e di esse cosa intendono investire ed attivare. Un altro aspetto molto qualificante nel lavoro con le persone è quello di partire direttamente dalle loro aspettative e dai loro progetti personali, dove esistono ovviamente. Il fatto di avere partecipato ad un corso di formazione professionale che li prepara verso un mestiere spendibile nel loro paese di origine, non implica per nulla l'acquisizione di una capacità di mantenere un posto di lavoro, una volta rientrati in patria, ma neanche un'abilità di creare o gestire una micro impresa.

Per ciò che riguarda l'Albania, l'attività di creazione d'impresa ci è stata sconsigliata dalla totalità dai nostri interlocutori sia albanesi che stranieri operanti in Albania. Secondo loro detto quasi tutte le iniziative di creazione d'impresa svolte da ONG a favore di immigrati rientrati in Albania non hanno avuto buon esito. Gli unici tentativi andati a buon fine erano dei progetti che hanno coinvolto dei giovani adulti, che hanno sviluppato delle attività di piccolo commercio e di servizio bar. Esiste un'altra esperienza di creazione d'impresa dalla parte di immigrati albanesi rientrati dal Veneto, anch'essa andata a buon fine. L'ambito di intervento era quello turistico (agriturismo) uno dei nostri interlocutori che aveva seguito l'iniziativa sosteneva che, per le caratteristiche del paese, le attività autonome che potranno avere un seguito devono coinvolgere il gruppo familiare: ad esempio l'agriturismo o attività simili.

Per l'Albania, sempre a giudizio dei nostri interlocutori, è opportuno mirare sugli inserimenti subordinati. Sempre secondo i nostri interlocutori, appare chiaramente l'inadeguatezza del sistema formativo alle esigenze del mercato del lavoro: mancano corsi di formazione che soddisfino la richiesta di nuovi settori emergenti; i corsi esistenti sono di basso livello, di breve durata e focalizzati su singole discipline. Inoltre l'inesistenza sotto il regime comunista di una cultura della qualità del prodotto rimane una lacuna tutt'ora presente nell'economia di mercato. In questo contesto gli albanesi che hanno avuto esperienze di lavoro e di formazione all'estero sono generalmente preferiti perché si ritiene che abbiano acquisito una formazione non ottenibile nel paese di origine.

Tra i mestieri maggiormente spendibili sul mercato del lavoro albanese possiamo individuare che un mestiere tecnico ad un buon livello è spendibile: oltre agli impiantisti, le reti telefoniche, le reti per i cellulari, l'hardware, i softwaristi, impiantistica elettrica, persone in grado di riparare citofoni e ascensori, termo idraulica, sartoria e segreteria + lingue (mestieri prevalentemente femminili), macchine a controllo numerico, meccanici, saldatori, idraulici, settore turistico in generale (cuochi, addetti reception, camerieri), settore edilizia.

Il Marocco presenta delle caratteristiche molto diverse e molto più forti e consolidate rispetto all'Albania. Esiste infatti un tessuto economico molto diffuso sulla quasi totalità del territorio marocchino. La nostra idea originale era di lavorare sui giacimenti occupazionali e di non effettuare degli inserimenti o sviluppare il filone della creazione di impresa nei settori economici consolidati. I giacimenti occupazionali ci sono e come, ma sviluppare l'occupabilità in settori nuovi implicano dei percorsi formativi molto lunghi e un'attività molto prolungata nel tempo. Le informazioni sul mercato del lavoro che abbiamo chiesto ai nostri interlocutori riguardavano prevalentemente la zona di Khouribga e dintorni, area geografica da cui provengono la maggior parte dei cittadini marocchini presenti sul nostro territorio e di conseguenza nella carcere piemontesi.

Le attività ipotizzabili da sviluppare come progetti di rientro possono essere i seguenti: allevamento di polli o attività in relazione ad essa, orticoltura, apicoltura e giardinaggio, essendo una zona prevalentemente agricola, pasticceria, panificio, piccola ristorazione da asporto, meccanica, tele boutique (posti telefonici gestiti da privati), piccoli servizi (fotocopia documenti, plastificazione, etc.), aiuto per il conseguimento della licenza per il petit taxi. Sono comunque "appetibili" dal mercato del lavoro le professioni artigianali e quelle tecniche. I falegnami, elettricisti, idraulici, persone che sanno riparare i condizionatori d'aria, ma anche i muratori che sanno maneggiare i materiali nuovi per l'isolamento termico e l'impermeabilizzazione.

 

Valutazioni e considerazioni finali

 

I risultati di una ricerca-azione non sono solo le elaborazioni delle risposte ai questionari, i corsi attuati, le proposte di sviluppo delle azioni per il futuro. Sono anche le conoscenze raggiunte e le convinzioni maturate durante il lavoro sul quadro complessivo in cui si opera. Probabilmente quelli che lavorano in varie funzioni nei campi toccati dalla ricerca-azione (in questo caso le carceri e la formazione dei carcerati, il ministero direttamente coinvolto, cioè quello della giustizia, le amministrazioni e gli istituti di ricerca dei paesi di provenienza dei carcerati stranieri, le Ong che si occupano di carcerati e di lavoro nei paesi di provenienza, le forze dell'ordine) hanno convinzioni generali spesso molto ben strutturate, che qualche volta comunicano, qualche volta si tengono per sé, ma in base alle quali operano.

I ricercatori, anche direttamente impegnati nell'attività di formazione, sono un po' in transito sul campo. Il loro sguardo ha i pregi e i difetti di quello dello straniero interessato: è insieme, per forza, meno competente ma più generale, più impersonale. Si usa dire che solo lo straniero è nobile, perché non è parte stabilmente in causa. Arriva, guarda, partecipa, poi se ne va. Noi pensiamo che abbia senso comunicare, oltre alle proposte specifiche che facciamo, alcune convinzioni di quadro che abbiamo maturato nel nostro passaggio, non ancora concluso, ma certo limitato nel tempo.

La nostra proposta è una proposta integrata, com'è chiaramente spiegato. Noi proponiamo di finalizzare attivamente la formazione a un reinserimento positivo nei paesi di origine, e ci muoveremo in tal senso, nel quadro delle possibilità reali delle carceri e dei paesi. Tuttavia ci sono elementi di quadro che possono essere importanti nella realtà, anche se l'attività integrata dovesse risultare impossibile. Ne elenchiamo alcuni.

Il tempo delle attività in un ambiente duro e in mutamento come quello carcerario può essere molto incerto, perché dipende, oltre che dai mutamenti sociali e legislativi anche dai tempi e dalle difficoltà burocratiche. Un aumento - in effetti un raddoppio - di assistenti sociali, deciso in un quadro normativo e politico, può arrivare con quattro anni di ritardo, quando il quadro normativo e politico è interamente mutato. Norme legislative possono cambiare il numero dei carcerati, peggioramenti sociali possono aumentare il numero dei reati a parità di legislazione, scelte politiche possono rendere assai più rigide le leggi e le procedure, moltiplicando di sei o sette volte il numero dei carcerati, come è avvenuto negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni.

Il lavoro delle associazioni nei paesi stranieri e la dimensione stessa della presenza di carcerati stranieri dipende dagli accordi tra stati. L'applicazione degli accordi tra stati dipende dalle disponibilità finanziare, dalle priorità, dai tempi tecnici. Per esempio durante la nostra presenza a Tirana è stato firmato un accordo tra il ministro Castelli e il suo omologo albanese per il trasferimento dei detenuti albanesi in carceri albanesi, a spese dello stato italiano, e in cambio della costruzione di un numero di posti - carcere nuovi praticamente uguale a quello attualmente disponibile, che è di circa 1.700. La costruzione, stando ad altre dichiarazioni, potrebbe essere, in parte già avvenuta. Alcuni carcerati albanesi sono stati immediatamente trasferiti per dare un segnale di attività e rapidità. È chiaro che se i tempi della costruzione delle nuove prigioni e del finanziamento dell'operazione dovessero essere rapidi l'intero quadro della formazione per il rientro dei detenuti albanesi cambierebbe radicalmente e diventerebbe un problema da affrontare in Albania, a stretto contatto con le situazioni di rientro. Ma nell'anno abbondante passato da allora sembra che nulla sia realmente avvenuto ed è lecito pensare che i tempi saranno molto lunghi.

Per quel che riguarda il mercato del lavoro locale, a parte iniziative nuove possibili, le figure più richieste sembrano essere mestieri tradizionali, abbondantemente presenti nella formazione nelle carceri, quando c'è. Un buon idraulico, termo-idraulico, falegname, per non dire ebanista, dovrebbe trovare lavoro facilmente sia in Albania che in Marocco. Sono i manovali, i generici, che abbondano e devono emigrare - e che qui, per uscire dalla concorrenza distruttiva sui prezzi dovrebbero imparare il mestiere, ma non sempre lo fanno. Certo ci sono particolarità e differenze nel mercato, ma volerle inseguire è un po' cercare il pelo nell'uovo.

La pressione sui corsi disponibili è forte. Anche in assenza di uno sbocco realistico sul mercato del lavoro regolare italiano - per mancanza dei requisiti per un permesso di soggiorno a fine pena - o nel paese di provenienza - per la difficoltà di mettere insieme un sistema di accoglienza adeguato - i corsi avrebbero successo. Il potenziamento della formazione, qualsiasi formazione per il lavoro, anche per il lavoro in carcere, prima della fine della pena, come giustamente si tenta di fare, sarebbe in ogni caso una ottima cosa. Anche se il mestiere venisse usato in nero, anche se l'accoglienza e il sostegno per il rientro dovessero servire non agli ex-carcerati ma a chi rientra dopo un fallimento nell'emigrazione, male non fa. Noi da esterni abbiamo appreso che c'è meno lavoro e meno formazione nelle carceri italiane di quanto non pensassimo, anche se ci si sforza molto per migliorare la situazione. Ed anche che la formazione che c'è, malgrado i miglioramenti negli ultimi anni, è spesso interrotta da problemi ed in ogni caso è inadeguata - rientro o non rientro - alle necessità di molti dei detenuti stranieri ed italiani.

Noi andremo avanti con i nostri progetti, che sono esperimenti, progetti pilota e dobbiamo necessariamente puntare a progetti integrati, in cui ci sia una formazione mirata e una rete di facilitazione per il rientro nel paese di origine, in un lavoro dipendente o autonomo, possibilmente con qualche sostegno finanziario. Ma ciascuno dei pezzi di questi progetti ha un valore in sé, e diventa realmente importante quando riesce a integrarsi nella struttura del carcere e a non dipendere, almeno per l'iniziativa, le decisioni, e il grosso delle risorse formative da soggetti esterni non puramente strumentali. È naturale che corsi con uno specifico contenuto tecnico facciano ricorso a scuole professionali o istituti tecnici. Ancora più ovvio e necessario che il polo universitario usi docenti universitari volontari esterni. Ma la struttura che dovrebbe seguire il singolo detenuto e conoscerlo - assistenti sociali, operatori - non può che essere autosufficiente, radicata nel carcere. Altri nostri progetti che riguardano il carcere hanno appunto questa ottica. Un progetto pilota ha sempre anche l'ambizione di rendersi non necessario, di distruggere la propria funzione. Più modestamente i singoli pezzi del progetto integrato hanno senso anche presi separatamente.

 

Prospettive di sviluppo dell'iniziativa successiva alla sua realizzazione

 

Esistono oggi degli strumenti, delle risorse umane e una sensibilità diffusa sui problemi delle carceri, tra cui anche i problemi dei detenuti stranieri, che sono sicuramente di appoggio alle politiche penitenziarie piemontesi. Esiste inoltre una cultura penitenziaria, radicata presso il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria e presso alcune direzioni, che considera i problemi dei detenuti stranieri come problemi prioritari. Il mantenimento dell'attenzione su questi problemi, il proseguimento del lavoro in rete, e sicuramente l'allargamento di quest'ultima porteranno sicuramente allo sviluppo e al consolidamento delle prassi indicati nel nostro rapporto finale. Per ciò che riguarda le prospettive in termini di strumenti citiamo alcuni progetti oggi attivi sul territorio piemontese, che sono un proseguimento logico dello studio di fattibilità "Formazione Rientro".

Progetto ALNIMA (Albania, Nigeria e Marocco) riguarda l'attuazione pratica dello studio di fattibilità Formazione Rientro. In quanto progetto pilota, mette a disposizione delle risorse economiche per attuare le seguenti attività:

Piemonte: corsi di formazione per detenuti albanesi e marocchini, tutoraggio e sui vie, corsi adeguati al mercato del lavoro dei paesi di origine;

Paese di origine: erogazione di micro crediti, accoglienza, accompagnamento, counselling, micro-credito finalizzato sia alla creazione di una micro-impresa sia all'inserimento subordinato.

La parte piemontese del progetto può avere proseguimento nel tempo, al di là del progetto ALNIMA, se tali attività entrano a fare parte delle direttive regionali mercato del lavoro - disoccupati. La parte che si sviluppa nei paesi di origine, almeno nella parte erogazione di microcrediti è destinata a scomparire. Essa potrà essere sostituita con:

contributo erogato dallo Stato italiano per incoraggiare i "ritorni volontari";

accesso agli istituti di credito locali dopo aver elaborato un progetto economico (business plan) con esperti piemontesi;

rientro dopo aver acquisito una professionalità tramite la frequentazione di un corso di preparazione al lavoro e entrata in contatto con una Agenzia di lavoro interinale.

Resoconto della missione in Marocco

 

Nella preparazione della missione era stata ipotizzata una reazione fredda delle autorità marocchine rispetto al progetto. Si pensava infatti che la sensibilità del tema (si parla comunque di riammissioni), il privilegiare chi ha commesso un reato piuttosto che cittadini marocchini che hanno optato per un percorso di inserimento legale, la formazione legata al rimpatrio piuttosto che al reinserimento nel paese in cui sia stata scontata la pena, potessero generare perplessità o freddezza. Di fatto la presentazione del progetto "formazione Rientro" alle autorità marocchine ipoteticamente coinvolgibili ha suscitato delle reazioni positive.

L'Amministrazione Penitenziaria Marocchina, nelle persone del Responsabile Ufficio Detenuti e del Responsabile Ufficio Cooperazione Internazionale hanno mostrato un grande interesse che andava ben oltre la collaborazione su questo progetto. Hanno proposto una collaborazione composta di visite reciproche e cooperazione su vari temi penitenziari. Per il momento non sono stati raccolti degli impegni scritti ma sembravano veramente interessati. È stato rilevato un discorso comparativo fra la situazione politica e sociale che vive l'Europa e la situazione che si trova ad affrontare il Marocco nel campo della politica migratoria. L'allusione è all'immigrazione che sta sperimentando negli ultimi anni il Marocco, al nuovo progetto di legge migratoria attualmente in discussione in parlamento, alle pressanti richieste dell'Unione Europea in materia migratoria (sia a livello di Unione sia a livello bilaterale) e alla complicata posizione che il Marocco deve assumere rispetto agli altri stati africani.

Ai fini del progetto "Formazione Rientro" ma soprattutto in caso di suoi eventuali sviluppi, è importante sottolineare che i rimpatri, dal punto di vista legale si iscrivono nel quadro della legge migratoria e che un cambiamento comporterebbe delle modifiche che potrebbero riflettersi anche sui soggetti direttamente coinvolti nel progetto.

La nuova legge migratoria rafforza le pene legate all'emigrazione irregolare, non solo per i vettori e per i trafficanti, ma anche per coloro che tentano l'emigrazione irregolare, aumentando le multe e introducendo anche la possibilità di un periodo di detenzione (multa da 3.000 a 10.000 dirhams - 300 a 1000 euro - e detenzione da 1 a 6 mesi anche se è difficile che vengano effettuate delle detenzioni). L'operazione di Advocacy ha avuto un esito ottimo; sarà necessario mantenere contatti con il Ministero della Giustizia marocchino e con il Ministero degli Affari Esteri, Dipartimento marocchini residenti all'estero.

 

Impatto del rimpatrio

 

Quasi tutti gli interlocutori concordano sul fatto che il ritorno come respingimento alla frontiera ed il ritorno come rimpatrio ha un impatto diverso. Nel primo caso sembra prevalere una visione fatalista che vede nell'immigrazione irregolare una scommessa, un tentare la sorte che può riuscire o meno, ma che non pregiudica il ruolo e l'equilibrio di chi ha operato il tentativo.

Tutti i nostri interlocutori concordano sul fatto che il rimpatriato nutra l'idea fissa del tentare nuovamente l'emigrazione, che però viene meno nel caso in cui il rimpatriato sia in una condizione psicofisica negativa (tossicodipendenza - AIDS). Amina Bargach, psichiatra e presidente dell'Associazione Marocchina per la Ricerca e la Terapia Sistemica de la Famiglia, a suo dire, il ritorno, nel caso in cui non sia la conclusione positiva di un ciclo riuscito, ha un impatto psicologico fortemente negativo sul soggetto; in particolare, il fallimento crea una delusione delle aspettative individuali e familiari di cui il migrante è soggetto e portatore. A livello personale l'interruzione di un disegno migratorio teorizzato come vincente genera un'ovvia frustrazione, sentimento di inadeguatezza e di incapacità; tali sensazioni sono acuite dal ruolo che al migrante è stato riconosciuto dalla famiglia e/o dalla comunità di appartenenza al momento della partenza e che viene messo in discussione al momento del ritorno. La crisi si acuisce nel momento in cui al fallimento del migrante uomo corrisponde invece la riuscita di una migrante donna appartenente alla stessa famiglia o alla stessa comunità, in quanto il soggetto non viene più messo in discussione solo come individuo ma anche come rappresentante del genere maschile. Tutto ciò spinge a sentimenti di vergogna, di chiusura in sé, di frustrazione e di depressione. Quasi tutti gli interlocutori concordano sul fatto che, se il rimpatriato ha scontato un periodo di detenzione, non avrà debiti da saldare una volta rientrato.

Molti interlocutori concordano sul fatto che molto spesso le famiglie non sono a conoscenza della condizione di detenuto del proprio familiare o che comunque viene spesso dissimulato il vero motivo della detenzione; la mancanza di rimesse viene ascritta a un periodo di disoccupazione. La maggioranza degli intervistati sostiene che il rimpatriato, nel caso in cui rientri nel luogo di origine, torna presso la propria famiglia che lo accoglie e lo sostiene economicamente. Il rientro in famiglia è però più difficile se il rimpatriato si è macchiato di delitti gravi (violenza sessuale) o se presentano una condizione sanitaria grave (problemi di droga o di sieropositività o AIDS).

È comunemente riconosciuto che il ritorno (sempre che non sia temporaneo) è accettato positivamente, solo a condizione che la persona sia riuscita nel suo disegno migratorio. Roberto Alzetta, antropologo che ha passato due anni in Marocco nella zona di Khouribga, suggerisce che il ritorno è accettato solo se la persona ha accumulato abbastanza da poter edificare una casa e sistemarsi per tutta la vita. In caso contrario il ritornante viene emarginato come fallito. L'emarginazione è poi totale se il rimpatriato si è macchiato di delitti gravi durante il suo soggiorno all'estero: in questi casi la comunità (nel caso che sia informata) tende ad isolare ulteriormente il rimpatriato per il quale sarà difficile ottenere, ad esempio, una donna in moglie.

La maggioranza degli interlocutori sostiene che il contatto con le reti illegali costituitosi al momento della prima partenza possa essere riattivato, non solo per tentare nuovamente l'emigrazione ma anche nel ruolo di "passeur" o comunque di partecipante al traffico. In particolare nella zona presumibilmente interessata dal progetto "Formazione Rientro" sembra attiva la partecipazione dei rimpatriati nel mercato delle auto rubate. Secondo un interlocutore la devianza è maggiore qualora il rimpatriato non rientri presso la propria famiglia e si fermi in grandi aree urbane. Uno scenario prospettato è quello che vede il rimpatriato delinquente e informatore della polizia allo stesso tempo, in particolare se ha scontato un periodo detentivo al momento dell'arrivo.

 

Le attività ipotizzabili

 

Nel richiedere opinioni rispetto alle possibili attività è stata indicata come zona di rientro la provincia di Khouribga: attività legate all'agricoltura, fra cui la più quotata è l'allevamento di polli o attività in relazione ad essa, orticultura, apicoltura, giardinaggio essendo le zone di provenienza dei detenuti marocchini in Piemonte prevalentemente agricole, lavori legati alla pasticceria, panificio, settore meccanica. Le nostre perplessità legate all'agricoltura (i detenuti hanno intrapreso un percorso migratorio anche per evitare il lavoro agricolo) sono state confutate dalla convinzione che nel momento in cui le attività agricole presentino un buon ritorno economico (raggiungibile attraverso una formazione tecnica, una garanzia di commercializzazione e distribuzione dei prodotti) risulterebbero appetibili. Altre possibilità sono legate alla creazione delle "Tele boutique" (posti telefonici pubblici gestiti da privati), attività legate all'alimentazione (che non necessitino di locali adibiti all'uso ma di un'attrezzatura minima – bombola del gas, piano cottura e una struttura di appoggio), o a piccoli servizi in cui sia richiesto il pagamento solo dell'uso del suolo pubblico (servizio di fotocopisteria) e che necessitano di una formazione minima. Al di là delle nicchie o dei giacimenti del mercato del lavoro, è molto importante prendere in considerazione alcune variabili che secondo noi sono importanti:

grado di partecipazione del rimpatriato al progetto

motivazione

stato psico-fisico

tempo trascorso in Italia

grado di istruzione - capacità del rimpatriato

risorse finanziarie del rimpatriato (oltre al microcredito che verrà assegnato)

condizioni fisiche e psichiche del rimpatriato

condizioni familiari del rimpatriato

volontà di rientro o meno in famiglia

reazione della famiglia

ripercussione sulla famiglia

valore sociale del rientro nella zona di origine

reazione della comunità di origine

grado di conoscenza, della comunità e della famiglia del rimpatriato, del motivo del ritorno

possibilità di immediata operatività

sanzioni o pene di cui è passibile il rimpatriato al momento del ritorno (falsificazione o furto documenti – condanne pendenti)

forza di attrazione di reti illegali

cambio di normativa in materia di rimpatrio

differenziale fra norma e prassi al momento del rimpatrio

Resoconto della missione in Albania (25 - 30 maggio 2002)

 

La missione in Albania è stata effettuata al termine di una fase di preparazione, concentrata nei mesi

di aprile e di maggio; le finalità della fase di preparazione sono state:

ricerca e lettura di materiale sulla situazione geo-politica e socio-economica del paese;

ricerca di utili contatti a Tirana (si veda elenco persone intervistate al termine del resoconto).

Gli obiettivi che il viaggio si proponeva erano:

capire se, da un punto di vista sociale, è fattibile il rientro di un ex detenuto o se lo stigma sociale, dovuto alla condizione detentiva sofferta, è di ostacolo al ritorno nel luogo di origine;

capire quali sono i mestieri emergenti sul mercato del lavoro o quelli per cui vi è una carenza di manodopera;

capire se è possibile individuare delle strutture di appoggio a Tirana per la gestione del microcredito o di attività formative.

 

Obiettivo 1

 

Il rientro come ex detenuto è, secondo l'opinione comune degli intervistati, possibile senza grosse difficoltà. È fonte di stigma sociale aver violato il legame familiare, mentre non lo è aver violato la legge. Secondo alcuni operatori il rientro potrebbe essere problematico per i soggetti che hanno commesso alcune tipologie di reato, ad esempio i detenuti per sfruttamento della prostituzione; secondo altri, invece, lo stigma colpisce solo chi ha costretto a prostituirsi un familiare. C'è molta consapevolezza di quanto il paese dipende dalla rimesse di chi emigra e non ci si interroga sulla provenienza del denaro; basti pensare che gran parte del boom edilizio è finanziato con denaro di provenienza illecita e molte imprese lavorano senza licenza. A ciò va aggiunto che ormai molti abitanti delle zone montuose del nord stanno scendendo verso Tirana, che è presumibilmente destinata ad avere più del 50% degli abitanti di tutto il paese: questo implica che per molti il rientro è "ricominciare" in un posto diverso da quello in cui si è cresciuti.

 

Obiettivo 2

 

Il mercato del lavoro vede una carenza piuttosto marcata di professionalità in campo tecnico: impiantisti elettrici, termo-idraulici, tecnici per le reti telefoniche fisse e mobili, per hardware e software. L'edilizia è un settore in espansione e che rimarrà tale ancora per 5-10 anni: ciò che manca è la manodopera specializzata (ad esempio chi sappia costruire con il cartongesso, occuparsi di isolanti, costruire solai). Il settore della manutenzione sia legato all'edilizia (ad esempio i riparatori di citofoni e ascensori) sia legato alle macchine utilizzate nelle industrie è carente di manodopera; sul punto va però

precisato che mentre i manutentori legati al primo settore sono certamente carenti, per quanto riguarda i riparatori delle macchine utilizzate nelle industrie è difficile dire quanto siano necessari: l'impressione è che, in particolare per le industrie di proprietà italiana, vengano utilizzati macchinari dismessi dall'Italia. Il settore del vivaismo è un settore emergente che manca di tecnici specializzati. Considerate le aree qui individuate varrebbe la pena iniziare a pensare, anche a prescindere direttamente da formazione rientro, di attivare un canale di comunicazione tra il Politecnico di Torino e il direttore della C.C. Le Vallette in modo da attivare opportunità formative anche considerando l'esperienza già maturata con il Polo universitario. Il settore del turismo è un campo interessante ma che oggi rappresenta ancora un punto interrogativo: non si può dubitare della bellezza naturale del Sud del paese (che può certamente rappresentare un ottima meta di turismo marittimo) i dubbi sono, invece, legati alla sicurezza dei luoghi, alla mancanza di strutture ricettive, alle persistenti difficoltà di spostamento. Comunque un turismo "alternativo", non da grandi alberghi ma che si muove utilizzando strutture ricettive come i campeggi potrebbe essere il "primo turismo" per cui investire risorse. Va poi ricordato che nella parte sud del paese di fronte all'isola di Corfù già sono presenti turisti (principalmente tedeschi) che giornalmente si spostano per turismo balneare dalla Grecia e dall'isola di Corfù. Swisscontact, da noi intervistata, ha svolto una ricerca sulla situazione del mercato del lavoro in Albania; di seguito gli output da noi rivisti e tradotti.

 

Obiettivo 3

 

Il settore della formazione non è particolarmente sviluppato nel paese e manca completamente la cultura del "controllo di qualità", anche se ci sono iniziative positive: il centro di formazione professionale Don Bosko ha una buona struttura e dei corsi che, visti dall'esterno, sembrano di buona qualità. Va sottolineato che l'esperienza formativa all'estero è vista come un elemento di eccellenza. Si può immaginare di concludere un accordo con il centro Don Bosko (che recentemente per l'area di Tirana ha creato un database di datori di lavoro) per la gestione di corsi e di eventuali microcrediti. Appare, infatti, consigliabile individuare una struttura di gestione intermedia e non affidare il finanziamento direttamente al beneficiario. Nel corso della nostra missione abbiamo incontrato l'ufficio di coordinamento del programma nazionale di aiuti umanitari dell'ambasciata Svizzera dove abbiamo potuto avere notizia dell'esperienza di rimpatrio di ex detenuti dalla Svizzera avviata dall'associazione "Hope for the future" ed incontrare successivamente la responsabile di questa associazione. Il progetto dell'associazione "Hope for the future" finanziato dalla cooperazione svizzera è nato nel 1999 e da allora ha provveduto alla reintegrazione sul territorio albanese di ex detenuti rimpatriati dalla Svizzera. 185 persone sono state prese in carico nel 2000 e 202 tra gennaio e settembre 2001. I beneficiari (per lo più giovani uomini sotto i 30 anni) vengono aiutati a reinserirsi nel mercato del lavoro albanese attraverso corsi di formazione finanziati dall'associazione o attraverso periodi di apprendistato nelle ditte. L'apprendistato generalmente ha una durata di 9 mesi e il 60% (circa 80 $) dello stipendio è sovvenzionato dall'associazione. Il progetto sta riscontrando un certo successo: tra il 60 e l'80% di coloro che hanno svolto un periodo di apprendistato nelle aziende è stato successivamente assunto.

Rimangono alcuni problemi: secondo la responsabile molti dei beneficiari non sono contenti a causa della bassa retribuzione salariale; alcuni vorrebbero ripartire ma sono in pochi a farlo realmente perché le vie legali sono generalmente bloccate e quelle illegali sono sempre più difficili da percorrere. Non è così semplice procurare periodi di apprendistato poiché spesso gli imprenditori preferiscono assumere parenti e conoscenti piuttosto che estranei. Inoltre alcune persone sono state aiutate finanziariamente per aprire un'attività autonoma dopo il periodo di apprendistato; in questi casi le persone ricevono un aiuto finanziario tra i 6.000 e i 10.000 dollari, in parte sotto forma di donazione ed in parte come prestito da restituire negli anni successivi. Accanto ad un'ottima esperienza di laboratorio di carpenteria si sono avute alcune attività (un bar, un autolavaggio) che hanno invece chiuso rapidamente per mancanza di esperienza, incapacità manageriale. Uno dei punti di forza del progetto è lo stretto legame che l'associazione ha instaurato con i beneficiari. Questi ultimi continuano a rivolgersi all'ufficio per chiedere aiuto o consulenze anche dopo anni e periodicamente vengono indetti degli incontri per scambiarsi idee e informazioni e per svolgere attività ludiche.

L'ipotesi di rientro potrebbe essere così disegnata:

individuare chi ha già fatto corsi di formazione professionale già esistenti a Vallette e spendibili in Albania (ad esempio elettricisti, termoidraulica, muratori, giardinaggio)

capire se c'è e dove si trova la famiglia e dove lui rientrerebbe

confrontare i piani di studio dei corsi e le abilità mancanti

integrare la formazione

spedire CV al CFP Don Bosko- VIS, che valuti nel suo database delle aziende o in altro

modo se ci sono spazi lavorativi e si metta eventualmente in contatto con la famiglia

rientro, indirizzato al Don Bosko – VIS

erogazione di un micro credito che viene amministrato dal CFP Don Bosko

Ricerca sulla polizia penitenziaria francese

 

L'oggetto della ricerca riguarda i processi della "socializzazione professionale" degli Agenti della polizia penitenziaria. In parallelo è stato svolto un confronto dei risultati con quelli di un'altra ricerca svolta sui giovani Agenti della Polizia di Stato, ricerca, quest'ultima condotta da Dominique Monjardet e Catherine Gorgeon. Lo studio all'interno dell'Amministrazione Penitenziaria è stato realizzato partendo da uno studio longitidunale, vale a dire seguendo nel tempo due promozioni di Agenti di Polizia Penitenziaria iscritti alla Scuola Nazionale dell'Amministrazione Penitenziaria, a intervalli di quattro mesi.

Si trattava della 129 promozione, dal momento dell'uscita dalla Scuola e della 130 dal momento della immatricolazione presso la scuola. Per puro caso la 129 era l'ultima promozione ad essere formata in 4 mesi e la 130 la prima in 8 mesi. Gli Agenti della Polizia Penitenziaria sono stati intervistati attraverso lo strumento del questionario a risposte chiuse, periodicamente, fino a 2 anni dalla loro uscita dalla scuola (3 interviste con la 129, e 4 con la 130). Per la 129 promozione, 214 persone hanno risposto a tutti i questionari (in tutto si trattava di 3 questionari) mentre per la 130 346 persone hanno risposto a tutti i questionari (4 questionari). Tenendo conto degli Agenti che hanno abbandonato gli studi o si sono assentati per altri motivi, il tasso di risposta è da considerare molto positivo.

Per "socializzazione professionale", intendiamo il lungo e il complesso processo attraverso il quale gli individui acquisiscono la cultura della società, del o dei gruppi ai quali apparterranno. È attraverso la socializzazione che impariamo i modi di pensare e di comportarci, modi e comportamenti che sono considerati adeguati alla società o ai gruppi ai quali apparteniamo. La nostra ipotesi di base, vale a dire che col tempo gli allievi acquisiscono attraverso diversi canali una cultura, delle attitudini, dei comportamenti, dei valori specifici, e diventano progressivamente membri di un gruppo professionale preciso, il gruppo degli Agenti di Polizia Penitenziaria, implicava che piano piano le loro opinioni, le loro attitudini, i loro modi di vedere le cose più o meno eterogenee al momento del loro ingresso nell'Amministrazione Penitenziaria, si avvicineranno progressivamente di una maniera importante.

Questo avvicinamento non può essere totale per almeno tre motivi: gli individui hanno, evidentemente, un ruolo importante nell'acquisizione di una nuova cultura, non sono mai totalmente passivi, non c'è mai una determinazione totale degli attori. Delle fluttuazioni dovute agli individui interverranno nel processo di socializzazione. Nel momento i cui la ricerca non aveva l'obiettivo di valutazione della formazione che hanno avuto nella scuola dell'Amministrazione penitenziaria, possiamo affermare che la formazione, ovviamente inclusi anche i periodi di tirocini, è ovviamente un fattore principale nel processo di socializzazione. I cambiamenti importanti intercorsi da una promozione all'altra sembrano essere uno dei fattori centrali che spiegano le differenze che sussistono tra le due promozioni malgrado il processo di omogeneizzazione legato alla socializzazione professionale. La socializzazione segue dunque delle volte dei percorsi particolari a seconda della formazione ricevuta, senza poter, naturalmente attribuire di una maniera certa queste particolarità a un elemento piuttosto che a un altro della formazione stessa.

Le condizioni di lavoro possono delle volte essere molto diverse quando si tratta di un "centre de détention" o "une maison centrale" oppure di una piccola "maison d'arrêt" a una grande. Queste specifiche condizioni di lavoro non annulleranno la socializzazione professionale, ma la modelleranno in un modo molto forte. L'ipotesi di base, fatte salve le riserve annunciate poco anzi, sembra mostrare in un modo chiaro alcune caratteristiche: esiste un forte fenomeno di socializzazione professionale degli allievi Agenti di Polizia Penitenziaria e gli agenti tendono ad avvicinarsi gli uni agli altri. Tra l'altro basta osservare il numero delle domande che, al quarto questionario per la 130 promozione e al terzo questionario per la 129, hanno delle risposte elevate per convincersi. Questo punto differenzia nettamente gli Agenti della Polizia Penitenziaria dagli Agenti della Polizia di Stato per i quali le domande alle quali le risposte sono molto, o relativamente molte sono troppo poche.

Possiamo alloro interrogarci sull'origine di questa divergenza tra Agenti di Polizia Penitenziaria e Agenti di Polizia di Stato. È molto probabile che la differenza nelle condizioni di lavoro è all'origine di queste divergenze. In effetti, D. Monjardet et C. Gorgeon hanno mostrato molto chiaramente che gli Agenti della Polizia di Stato, da una parte, sono messi nella condizione di svolgere un lavoro molto vario e dall'altra parte hanno un margine di manovra straordinariamente importante perché gli Agenti della Polizia di Stato possiedono un vero potere di selezionare le mansioni che gli vengono affidate. Per

gli Agenti della Polizia Penitenziaria la situazione è totalmente diversa. La quasi totalità dei nuovi Agenti si trovano nelle stesse situazioni lavorative. Sono in generale in detenzione di fronte ai detenuti, e solo una minoranza è impiegata in ciò che viene chiamato "postazioni fisse". In più la maggior parte di loro sono in servizio nelle "maisons d'arrêt", che, è vero, rappresentano il grosso delle carceri francesi. Quello che possiamo affermare che la grande maggioranza degli Agenti di Polizia Penitenziaria svolge in generale lo stesso tipo di lavoro. In più il loro margine di manovra nell'organizzazione del loro lavoro e nella loro interpretazione delle regole che le sono imposte è, di gran lunga, molto più debole e ridotta rispetto ai loro colleghi della Polizia di Stato.

Basta ricordare che, solo per citare qualche esempio particolarmente semplice, la gestione del tempo è essenzialmente fuori del loro controllo, perché sappiamo bene che l'impiego del tempo negli Istituti Penitenziari è rigido e lascia poco, se non nessuno, margine di manovra agli Agenti della Polizia Penitenziaria. Un'altra motivazione della maggior omogeneità del gruppo di polizia penitenziaria rispetto a quello delle polizia di stato, è quello della vocazione. Dall'inizio della loro carriera, gli Agenti della Polizia Penitenziaria, senza alcuna eccezione, anche se delle volte con delle sfumature, mostrano un'assenza di vocazione. Per gli Agenti della Polizia di Stato, malgrado una diversificazione tra di loro, mostrano una vera vocazione, rilevata attraverso i questionari che abbiamo considerato per il nostro confronto. Infine, un'ultima possibile ragione della grande omogeneità tra gli Agenti della Polizia Penitenziaria, che abbiamo riscontrato durante i 32 mesi della nostra ricerca, deriva dalla pochissima differenza nelle loro caratteristiche precedenti all'iscrizione alla Scuola dell'Amministrazione Penitenziaria. L'esempio più eclatante a questo riguardo è che la quasi totale assenza di donne tra di loro, mentre incontriamo quasi il 20% tra gli Agenti della Polizia di Stato, tra quelli seguiti da D. Monjardet e C. Gorgeon. Nello studio di quest'ultimi due osserviamo che la variabile "sesso" viene presa in considerazione spesso. Possiamo, nello stesso ordine di idee, notare che le origini socio-economiche dei nuovi agenti di Polizia Penitenziaria sono anch'esse relativamente omogenee. I punti importanti che devono essere presi in considerazione, basandoci sullo studio, devono essere i seguenti: non ci si arruola per caso nell'Amministrazione Penitenziaria. Esiste un fenomeno di

reciproca conoscenza abbastanza forte. La maggior parte degli allievi conosceva, prima di entrare nell'amministrazione penitenziaria, delle persone che svolgevano un mestiere nell'ambito della sicurezza e soprattutto agenti di polizia penitenziaria, fatto che non deve essere sottovalutato vista la carenza in personale su cui verte il Corpo. Esistono delle buone probabilità che queste conoscenza abbiano giocato un certo ruolo nella socializzazione professionale di un certo numero di persone da noi intervistati.

Non ci si arruola nell'amministrazione penitenziaria per vocazione, è il minimo che si può dire. Ci si arruola per motivi strumentali e in generale, se si hanno avute altre possibilità si sarà optato per quelle altre, dato che viene confermato dal numero abbastanza alto di coloro che hanno presentato altri concorsi pubblici diversi da quello dell'amministrazione penitenziaria. In questa stessa prospettiva, non bisogna stupirsi nel constatare che il mestiere di Agente di Polizia Penitenziaria appare per gli agenti un mestiere come un altro al quale ci si abitua abbastanza in fretta. La maggior parte degli Agenti consiglierebbe a membri della loro famiglia o a degli amici di arruolarsi nell'Amministrazione. Tra l'altro pochi tra di loro pensano di lasciarla e nella maggior parte dei casi rifarebbero il concorso d'ammissione al corpo della Polizia Penitenziaria. Gli agenti delle due promozioni hanno presentato il concorso relativamente tardi, dopo aver avuto, per la maggioranza tra di loro, un'esperienza più o meno importante di lavoro (però il 30% della 129 e più del 40% della 130 erano disoccupati). Tra l'altro la loro età media nel momento di entrata alla scuola di formazione dell'Amministrazione Penitenziaria era 26-27 anni, media molta più alta di quella degli allievi della polizia di Stato che si arruolano dopo il servizio nazionale effettuato sovente come poliziotto o carabiniere ausiliario, caso molto raro per gli agenti della polizia penitenziaria. Il livello d'istruzione degli Agenti della PP non fa che aumentare di anno in anno. Il numero di diplomati nelle due promozioni era attorno al 30% mentre, solo dieci anni fa la percentuale era del 2%. Da allora il numero dei diplomati è cresciuto continuamente. Gli agenti della polizia penitenziaria arrivano da famiglie relativamente modeste, dove il padre è sia operaio sia impiegato e la madre è sia impiegata o senza professione. Dal punto di vista delle origini geografiche gli agenti della polizia penitenziari di raro hanno passato la loro infanzia in una grande città.

Gli agenti della polizia penitenziaria sono soddisfatti della formazione che hanno ricevuto nella scuola dell'Amministrazione. Bisogna subito sottolineare che il concetto di soddisfazione non è da considerare in un'ottica unidimensionale. Bisogna distinguere tra tre concetti di soddisfazione non totalmente interconnessi tra di loro: una soddisfazione personale, una soddisfazione legata alla formazione ricevuta e infine una soddisfazione legata alla loro valutazione dell'Amministrazione Penitenziaria. Possiamo notare che la soddisfazione personale funge da ponte tra gli altri due tipi di soddisfazione. È importante sottolineare qui, che la soddisfazione, soprattutto quella legata alla formazione, ha degli effetti che durano nel tempo malgrado il fenomeno della omogeneizzazione legato alla socializzazione professionale, in un modo conforme alla nostra ipotesi iniziale. È dunque molto probabile che queste soddisfazioni rinviano, per una parte almeno, a qualche cosa di molto più generale. La stabilità delle risposte degli Agenti della polizia penitenziaria sembra essere legata al loro grado di soddisfazione.

La prigione, agli occhi degli agenti della polizia penitenziaria, deve essere, in primis, direttamente al servizio della società (proteggere ed avere un effetto di dissuasione), mentre punire e reinserire i detenuti sono delle missioni scelte solo da una minoranza di agenti. In entrata alla scuola di formazione dell'Amministrazione Penitenziaria, quasi tutti gli Agenti hanno un'immagine positiva della funzione di Custodia, quest'immagine non fa che degradare col tempo. Per l'opinione pubblica francese, basandoci su un sondaggio del 94, l'immagine degli Agenti di Polizia Penitenziaria è comunque largamente positiva. L'evoluzione delle risposte nel tempo, fra il momento di iscrizione alla Scuola dell'Amministrazione Penitenziaria e un anno dall'impiego non è sempre progressiva in un senso o nell'altro.

Col passare del tempo, gli Agenti della Polizia Penitenziaria sembrano dare più importanza alle relazioni, all'ambiente del loro gruppo di lavoro che al lavoro di per sé, mentre gli Agenti della Polizia di Stato reagiscono in una maniera diversa: scoprendo certamente l'importanza di poter contare sui colleghi ma conservando un interesse sicuro per il lavoro. I rapporti degli Agenti della Polizia Penitenziaria con i loro superiori si degradano velocemente, già all'interno della scuola, a favore dei rapporti con i pari, che corrisponde al ripiego sul gruppo di cui abbiamo appena parlato. Ciò che gli agenti aspettano dai loro superiori è meno un dia logo che un sostegno sul terreno. Conseguenza logica di ciò che viene detto precedentemente, constatiamo che presso gli Agenti della Polizia Penitenziaria la nozione di efficacia è poco presente nelle loro risposte, anche se almeno una domanda lascia pensare che col tempo diventano più sensibili. Ciò colpisce ulteriormente in quanto presso gli Agenti della polizia di Stato, la nozione di efficacia si riscontra in maniera non indifferente. Il fatto è che presso la Polizia di Stato esistono degli obiettivi relativamente quantificabili, esiste in un certo modo una "produzione". Non è identico per gli Agenti della Polizia Penitenziaria. Mantenere la calma, impedire l'evasione, evitare i suicidi, per elencare solo alcuni dei compiti più importante degli Agenti della Polizia Penitenziaria, non sono che degli obiettivi negativi di non semplice quantificazione, valutazione. Meglio ancora, sono degli obiettivi che hanno degli aspetti soggettivi particolarmente importante nella loro stessa definizione, perché che cos'è l'ordine mantenuto in una prigione? È la rigida applicazione attraverso la coercizione totale della disciplina? È il "tutto tranquillo" di cui parlano spesso gli Agenti? O sarà semplicemente l'assenza di agitazioni?

Il mestiere di custodia, come quello della polizia di Stato, è un mestiere alla volta di rapporto con la legge e di rapporto con gli altri. È importante rilevare qui che queste due dimensioni sono indipendenti. I rapporti con gli altri, in questo caso il detenuto, si traduce con il fatto che, in generale, appare agli agenti che è meglio ignorare i reati compiuti dai detenuti (tranne per motivi di sicurezza). In generale è meglio per gli agenti della polizia penitenziaria limitare i rapporti con i detenuti, sapendo molto bene che non attraverso la regolare richiesta di sanzioni disciplinari nei confronti dei detenuti che si arriva a risolvere i problemi. La qualità essenziale dell'agente di custodia è l'onesta, risposta data da più della metà degli intervistati. Questa risposta può essere interpretata come eco alla sfiducia frequente che si manifesta nei loro confronti, e questo, dalla lettura del codice di procedura penale che impedisce ad esempio al personale di ricevere regali e doni dai detenuti o dai loro familiari manifestando molto chiaramente il rischio della corruzione. Tutti i risultati ottenuti lasciano pensare che esiste una vera cultura del gruppo di custodia che gli arruolati acquisiscono progressivamente. Ciò che sembra chiaro a questo proposito, è la conferma che gli agenti della polizia penitenziaria non sono per forza antidetenuti, come spesso le dipinge l'opinione pubblica, anche se gli agenti considerano che si fa tanto per i detenuti e molto poco per loro.

Scheda riassuntiva del progetto

 

Ente proponente: Comitato Oltre il razzismo

 

Responsabile e/o referente del progetto: Ibrahim Osmani

Indirizzo: via Pietro Micca 17 - Torino

C.A.P.: 10121 - Tel.: 0115171122 (int 23) - Fax: 0115624218

E-mail ibrahim.osmani@retericerca.it

 

Altri Enti coinvolti nella realizzazione del progetto

IRES Lucia Morosini

SRF Società Ricerca e Formazione

 

Eventuali accordi, convenzioni o protocolli conclusi per la realizzazione del progetto

IRES Lucia Morosini

SRF Società Ricerca e Formazione

 

In caso di gestione indiretta del progetto indicare l'ente realizzatore

Corso per detenuti di cittadinanza marocchina e albanese presenti presso la CC Le Vallette di Torino (a cura del Plana)

 

Data di avvio: 19.06.03

Data termine: 31.10.2003

 

Luogo di attività: Torino (Casa Circondariale Le Vallette di Torino), Asti, (Casa Circondariale della Città di Asti), missione in Albania, missione in Marocco.

 

 

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