Denuncia dei medici penitenziari

 

"In carcere è preziosa anche l'aspirina"

 

DENUNCIA DEI MEDICI CHE LAVORANO NELLE PRIGIONI:
MANCANO I FARMACI, LA SITUAZIONE E´ DRAMMATICA

 

La Stampa, 22 giugno 2002

 

In questi giorni circola una battuta: «In carcere non entra più nemmeno un´aspirina». E´, senz'altro, un´esagerazione, ma anche il sintomo di un malessere che potrebbe diventare malattia. Da quattro anni, chi vive dietro le sbarre, e chi vi lavora, attende una legge che trasferisca le competenze in tema di assistenza sanitaria - strutture, personale e risorse finanziarie - dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Ovvero, secondo lo schema federalista, alle Regioni. Oggi, infatti, ogni carcere si arrangia come può, affidandosi a contratti privati con medici, infermieri e psicologi. Il 30 giugno, scadrà la legge delega, grazie alla quale si è riusciti ad andare, faticosamente, avanti. Ma dopo, che accadrà? «Il nostro timore è che si torni indietro di quattro anni». Sandro Libianchi, medico di Rebibbia e presidente della onlus Co.N.O.S.C.I. (Coordinamento nazionale operatori per la salute nelle carceri italiane), descrive la situazione drammatica in cui si trovano a lavorare medici, infermieri e psicologi. «Ci manca tutto - denuncia -, in particolare i farmaci che sono la spesa più cospicua. Abbiamo difficoltà ad ottenere medicinali per cardiopatici, malati di tumore, sofferenti per patologie respiratorie, pazienti affetti da malattie infettive, AIDS in testa. Da questo punto di vista, le carceri sono davvero a rischio. Inoltre, il fatto che il ministero della Giustizia non abbia competenze specifiche in materia sanitaria, di prevenzione e cura, fa sì che non ci sia un adeguato controllo terapeutico ed epidemiologico di quanto avviene». La popolazione carceraria tocca, in questo periodo, un massimo storico: sono circa 60 mila i detenuti, tra adulti e minori, con un´assistenza sanitaria insufficiente. «Inoltre - aggiunge il dottor Libianchi - , i soldi stanziati per il 2001 sono stati gli stessi di dieci anni fa. E le Regioni hanno prodotto ottimi modelli operativi. Ma il paradosso è che invece di essere il ministero della Giustizia a finanziare le Regioni sono state queste ultime a dover rattoppare i buchi del ministero». Il rapporto di lavoro del personale sanitario in carcere, oggi, è, per l´80 per cento, di tipo libero professionale. Se il Servizio sanitario nazionale prendesse il suo posto, il vantaggio sarebbe evidente: rapporti di lavoro più protetti, minor pericolo di ricatti, ma soprattutto nessuna discriminazione tra cittadini, sul piano del diritto alla salute, come prevede la Costituzione. «Del resto - osserva Libianchi -, il carcere, oltre a punire, deve contribuire a riabilitare e poter passare attraverso sistemi di vita normale, come l´assistenza pubblica, è il primo scalino verso una riabilitazione. In caso contrario, avremo il continuo perpetuarsi del ciclo galera-territorio-galera, con svantaggio per tutti, costi altissimi e disoccupazione».

Allarme dalle carceri

Ceraudo denuncia una situazione esplosiva

 

Il Tirreno, 22 giugno 2002


Nel corso dell'ultimo congresso nazionale dei Medici Penitenziari, svoltosi a Catania, il prof. Francesco Ceraudo, presidente nazionale dell'Amapi (Associazione Medici Amministrazione Penitenziaria, Italiana), e presidente dell'Icpms (International Council of Prison Medica Services), ha denunciato la gravissima situazione i cui si trovano i circa 58mila detenuti (2000 sono donne) rinchiusi nelle carceri italiane. Una cifra impressionante, mai raggiunta prima nel nostro paese ma ancor più impressionanti i dati che l'Amapi ha diffuso ufficialmente e che sono stati allegati ad un appello inviato al Presidente del Consiglio, Berlusconi perchè inviti il Governo ad assicurare le necessarie risorse per garantire la salute di tutti i detenuti. Dati che suonano come un bollettino di guerra, una guerra non ancora ufficialmente dichiarata, ma che, medici ed infermiari dell'Amapi, unitamente agli agenti di Polizia Penitenziaria, e personale del Dap (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria), si trovano a combattere quotidianamente, sovente in un clima che potrebbe espolodere in azioni ben più gravi, da parte dei detenuti costretti in una situazione ai limiti della violazione dei diritti umani. 20mila tossicodipendenti, 17.500 extracomunitari, 10.500 affetti da epatite virale cronica, 5000 malati di aids, 70 suicidi nel 2001 (40% in più rispetto agli anni precedenti), 852 tentativi di suicidio, 5200 episodi di sciopero della fame, 3500 episodi di autolesionismo, un numero ancora non precisato (per diagnosi in corso), ma che si preannuncia considerevole, di malati di sifilide e di tbc ed infine oltre 8mila soggetti affetti da disturbi psichiatrici. Ecco i numeri di quella che l'Amapi definisce ormai da tempo la «pattumiera sociale», una pattumiera dove ci si getta di tutto, per non vedere, per non sapere, talvolta per «godere» della meritata punizione inflitta a chi, invece e sovente, ha la sola colpa di aver commesso piccoli reati dettati dalla miseria, dalla disperazione, dall'emarginazione. «In queste condizioni - dice Ceraudo - con i tagli alle risorse della Sanità Penitenziaria ed una conseguente diminuzione del personale che era già insufficiente, non è più possibile garantire al detenuto quel diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione. L'immediata conseguenza di questa azione governativa - porsegue Ceraudo - sarà l'aumento dei suicidi e delle ospedalizzazioni con un pericoloso sovraccarico di lavoro per la Polizia Penitenziaria. I nostri pazienti - conclude il presidente dell'Icpms - dopo aver perso la libertà rischiano di perdere la salute e talvolta la vita». A sostegno di Ceraudo, nel corso del Congresso di Catania, cui ha partecipato anche il famoso scienziato italo-americano Robert Gallo, massima espressione mondiale della lotta all'Aids, si è espresso anche il Presidente Tinebra, Capo del Dap che ha assicurato il suo impegno per la decadenza della legge-delega sul riordino della Medicina Penitenziaria e l'acquisizione di nuove risorse per ripristinare la piena operatività dei servizi sanitari penitenziari. Servizi che sono additati ad esempio in molti Paesi, specialmente adesso che l'Italia, con Ceraudo, regge la presidenza del consiglio internazionale dei servizi medici penitenziari, l'organismo nato, sotto l'egida dell'Onu, Amnesty International, Parlamento Europeo e Medici Senza Frontiere, per garantire l'assistenza sanitaria in tutte le carceri del mondo.

 

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