Commissione d'inchiesta parlamentare

 

Commissione di indagine sulla sanità penitenziaria

 

Audizione Sebastiano Ardita, Direttore Ufficio "detenuti e trattamento" del Dap

 

Ansa, 30 marzo 2004

 

Nell’ambito della commissione di indagine sulla sanità penitenziaria delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali, si è svolta l’audizione del responsabile della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Sebastiano Ardita. Preoccupanti i dati che ha diffuso in relazione alla quota pro capite destinata alle spese sanitarie per il cittadino libero e quella esistente per il cittadino detenuto: storicamente, afferma, tale quota è stata sempre molto più elevata per il soggetto in detenzione rispetto a quello in stato di libertà; calcolando in migliaia di euro le quote, ad esempio, nel 1995 al cittadino detenuto veniva destinata una spesa pro capite pari a 1.846 euro, a quello libero una pari a 839 euro. Nel 2003, data di ultima rilevazione, le quote si sono sostanzialmente sovrapposte; infatti, al soggetto in stato di detenzione vengono erogati 1.498 euro e all’individuo in libertà 1.378 euro.

Quanto avvenuto si spiegherebbe, da un lato, in ragione della costante crescita della popolazione detenuta sul territorio nazionale (pari a circa 2 mila unità annue, all’epoca di riferimento); dall’altro, in ragione della crescita esponenziale dei costi per prestazioni sanitarie, in particolare per le prestazioni orarie di medici ed infermieri. A fronte dell’accresciuta domanda di un servizio di sanità penitenziaria, si riscontra, allo stato, una consistente contrazione del budget disponibile, per lui "dato tendenziale", riferibile ad un fatto storico e non ad un approccio di carattere politico. Per la sanità cresce costantemente la spesa annuale per i cittadini liberi mentre decresce - dal 1995 ad oggi - quella per i detenuti. Come riferisce poi Ardita nel corso dell’audizione, la caratteristica dei soggetti seguiti dal servizio sanitario penitenziario sarebbe la loro comune appartenenza (salvo alcune eccezioni) ad una fascia sociale particolarmente bassa, rispetto alla quale l’erogazione di servizi sanitari, all’esterno, spesso risulta carente: frequentemente, i neodetenuti entrano in carcere con patologie gravissime perché trascurate o non rilevate all’esterno. Ardita spiega l’attività aggiuntiva di intervento in tema di sanità che gestisce l’ufficio da lui diretto:  presso la direzione generale dei detenuti, vi sarebbe uno staff con i migliori medici che operano nel nostro sistema sanitario penitenziario, come il dottor Starnini, medico infettivologo di grande impegno medico-scientifico.

Questo staff, guidato dalla dottoressa Brunetti (responsabile del reparto sanità) ha elaborato le linee guida di conoscenza e di intervento prioritarie nel settore. Lo staff ha prima studiato il livello di compromissione della salute e gli strumenti utilizzabili sul territorio nazionale; poi ha individuato i criteri per rendere attuale ed immediata la conoscenza di questo stato di salute, avviando un processo di informatizzazione delle cartelle cliniche sanitarie. Il processo, in fase sperimentale, è già presente in Emilia Romagna e renderebbe possibile conoscere in tempo reale le condizioni sanitarie in capo ai singoli istituti e la gravità delle patologie esistenti.

Il metodo della cartella clinica informatizzata  dovrebbe essere reso operativo entro 6 mesi su tutto il territorio nazionale, così facilitando l’individuazione delle esigenze sanitarie di ciascuna realtà periferica sulla base delle reali esigenze. Informatizzando il sistema, quindi, si potrebbe conoscere, all’interno di ciascuno istituto, suddivise per categorie cliniche chiare, quali siano le patologie presenti e quale il grado di queste patologie. Ardita ha inoltre richiamato la situazione del settore "tossicodipendenze": circa 1/3 dei detenuti presenti sul territorio nazionale ha sofferto o soffre di patologie legate alla tossicodipendenza; per i soggetti in questione sarebbe necessario un tipo di scelta penitenziaria diversa, sia dal punto di vista sanitario, che trattamentale.

Dal 2002 sarebbero stati incrementati gli "Icatt" (gli istituti di custodia attenuata), ora 23.  Vi sarebbe l’impegno in un progetto - chiamato "Dapi"-, che tende ad evitare la detenzione in carcere per i tossicodipendenti: in particolare, punta alla creazione di gruppi di lavoro tra forze dell’ordine, istituzioni penitenziarie e ASL per fornire assistenza al giudice prima dell’udienza per direttissima, affinché lo stesso sia messo in condizione di indirizzare il detenuto verso la realtà a lui più idonea, "perché non sempre il carcere per un soggetto malato è la scelta migliore", ha affermato Ardita. L’audizione di Ardita si è quindi conclusa con le sue considerazioni riguardo al necessario deflazionamento dell’ingresso in Opg di soggetti che non siano realmente bisognosi di tali strutture.

 

Presto cartella informatizzata per detenuti

 

Tempo sei mesi e la cartella clinica informatizzata potrebbe essere operativa per tutti i detenuti sull’intero territorio nazionale. Questo almeno è l’obiettivo dichiarato da Sebastiano Ardita, direttore generale della Direzione dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che oggi alle Commissioni giustizia e affari sociali della Camera ha concluso l’audizione iniziata la scorsa settimana nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla sanità penitenziaria.

La cartella informatizzata attualmente in sperimentazione in Emilia Romagna, permetterà di conoscere in tempo reale le condizioni sanitarie di ciascun istituto di pena e la gravità delle patologie presenti così da poter individuare le reali esigenze in base alle quali attribuire le risorse finanziarie. Queste ultime, ha rilevato Ardita, sono andate costantemente diminuendo negli ultimi anni, tanto che la "forbice" tra la quota pro-capite destinata alle spese sanitarie del cittadino libero e quella per il cittadino detenuto (storicamente considerata più elevata per varie e comprensibili ragioni) si é progressivamente ridotta. Il 1995, infatti, la spesa per ciascun cittadino libero era pari a 839 euro e quella per ciascun detenuto era di 1.846 euro; in 2003 (data dell’ultima rilevazione) le due quote sono risultate quasi uguali e cioè rispettivamente di 1.378 e 1.498 euro.

Il fatto è il risultato di due fattori, ha spiegato Ardita, vale a dire la crescita della popolazione carceraria (circa 2 mila unità l’anno nel periodo considerato) e l’aumento dei costi delle prestazioni sanitarie. Inoltre a fronte dell’accresciuta domanda si registra una "consistente contrazione" del budget disponibile, dato questo "tendenziale, riferito a un fatto storico" ha precisato Ardita e non ad un approccio di carattere politico". Resta il fatto che si fa sempre più pressante la necessità di impiegare nel modo più razionale le risorse disponibili. In questa direzione, ha quindi precisato Ardita, va proprio l’adozione della cartella informatizzata, nell’ambito del progetto per lo studio degli indicatori sullo stato di salute negli istituti di pena.

 

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