La salute mentale...

 

La salute mentale era e resta un problema sanitario

 

Itaca, 14 settembre 2004

 

Sono molteplici i dati che si intersecano nel sistema informativo sullo snodo centrale del senso di un’eventuale riforma alla cosiddetta 180, ma la complessità della loro natura dovrebbe spingere ad una riflessione assai più articolata di quella che può formularsi in un articolo giornalistico. Seppur di quattro pagine. Per riattivare una ricerca sulla cura della malattia mentale, serve ben altro.

Se è vero che, come avverte l’Oms, depressione e schizofrenia diverranno presto la seconda causa mondiale di patologie che generano disabilità con costi, diretti o indiretti, a carico della collettività. In due parole: sofferenza e morte. Clorofilla prova allora, come al suo solito, a rilanciare facendosi promotrice di un dibattito politico, oltre che culturale e scientifico, ben più ampio e aperto. Che può partire dall’interno delle sue pagine ma svilupparsi, ovviamente, anche in qualsiasi altra sede.

La legge 180 come prodotto storico della sinistra italiana. Questo il dato più rilevante e imprescindibile per una seria riflessione sul tema. In questo senso, non si può fare a meno di considerare quale tipo di cambiamento si connetta, nella tradizione del marxismo italiano, all’elaborazione e alla diffusione del substrato culturale su cui la teoria che ha ispirato il legislatore poggia.

L’abolizione dell’istituto manicomiale è, dunque, il risultato dell’evoluzione di parte della cultura progressista in Italia, tra il 1968 e la fine degli anni ‘70. E non si può eludere il tema di come tale abolizione si inserisca, nell’orizzonte della cultura di massa, nella diminuita fascinazione nei confronti della tradizione italiana della "via al socialismo", che pure tanto peso aveva avuto nella definizione del concetto di ‘sinistra’ nella cultura europea (l’edizione Gerratana -1975- degli scritti di Gramsci sarebbe stato uno dei libri più tradotti in assoluto), e nella sempre maggiore fascinazione nei confronti di posizioni e teorizzazioni caratterizzate da uno spiccato carattere di eterodossia: sono quelli gli anni dell’interesse per Foucault, per Artaud, per certo "cristianesimo anonimo", per l’esistenzialismo e l’antipsichiatria.

Ecco, allora, che la legge 180 può essere inquadrata come espressione di un concetto di liberazione del comportamento, che andava sostituendo i concetti di liberazione propri della tradizione marxiana. E se fosse stato proprio questo il tentativo della sinistra di rinnovare la propria cultura nell’orizzonte della crisi storica che ormai, sempre più chiaramente, le si prospettava davanti? Se fosse stata proprio la dialettica con l’esistenzialismo e forse, perfino, con il cattolicesimo, ad apparire alla sinistra come possibilità di attualizzare il proprio corredo teorico rispetto alle domande della parte progressiva della società ?

L’ipotesi (di questo si tratta) ha un suo fascino, perché, se così fosse, anche la 180, in quanto parte essenziale di tale percorso culturale, proprio perché tangente il problema spinosissimo della libertà individuale, può essere letta come parte significativa di una ri-costituzione dell’identità del movimento di sinistra, e l’attività destrutturante nei confronti del concetto di psico-patologia, si lega al pratico superamento della vecchia istituzione manicomiale, non solo come visione del problema, ma come pretesa visione del mondo.

Eppure quegli anni (che potremmo grossolanamente indicare come il ventennio 1960-1980), sono gli stessi anni in cui si sviluppano e prendono piede, in Italia, una teoria ed una prassi medica, legate allo psichiatra Massimo Fagioli, e fondanti la Scuola Romana di Psichiatria e Psicoterapia, che viene definita, esattamente di segno opposto. Anche se entrambe le teorie (Basaglia-Fagioli) finiscono per porsi come superamento della vecchia istituzione manicomiale, all’opposto di quanto avvenne per il basaglismo, la teoria e la prassi fagioliana, sembrano invece fondare, senza rinunciare a un rapporto dialettico proprio con la ricerca rappresentata dalle idee del marxismo, un’attività che rifiuta la semplice liberazione del comportamento, cercando di essere prassi incentrata sul concetto di cura e di trasformazione. E quindi basata sulla considerazione della malattia mentale come fatto patologico oggettivo e reale e non come disagio, devianza o diversità.

È in questo senso che le due esperienze si pongono come massima antitesi l’una rispetto all’altra, ed è in questo senso che esse richiamano orizzonti culturali opposti e, in fin dei conti, per la sinistra, opposti concetti di liberazione, ovvero opposte scelte d’identità; è, altresì, in questo senso, che la questione della psichiatria e della riforma psichiatrica, diviene questione storica e politica della sinistra italiana.

Tutti sappiamo che all’epoca, parte considerevole della sinistra, scelse il primo termine di questo dipolo, il basaglismo, e chiuse gli orizzonti del suo dibattito, all’interno dei confini di quelle correnti che ad esso si rifacevano.

Ma alcuni dati sembrano, allora, molto interessanti: in primo luogo, che un dibattito sulla psichiatria si riapra in questo momento e sia un dibattito critico e partecipato, in secondo luogo, che questo dibattito si inserisca su fatti di cronaca che sempre più necessitano di risposte da parte della psichiatria e sempre meno da parte dell’istituzione carceraria, in fine, il fatto che, in questo dibattito, la sinistra appare sempre più fortemente interessata ad un dialogo con la Scuola Romana, ovvero con ciò che si pone completamente al di fuori dell’impostazione dei suoi tradizionali interlocutori.

Ds e Scuola romana di psichiatria e psicoterapia. Stora di un amore conflittuale con la ricostruzione di alcuni sostanziali passaggi del confronto attraverso le dichiarazioni di alcuni importanti esponenti politici.

Un interesse a questo dialogo emerse già nel corso del 2000, quando il consigliere Regionale Rosa Alba, allora membro della Commissione Sanità della Regione Lazio e della Direzione Regionale Ds, assistette ad uno degli Incontri di Ricerca Psichiatrica tenuti dalla Scuola Romana presso l’Aula Magna de "La Sapienza". In merito a quell’esperienza dichiara: "Nel corso del mio lavoro in Commissione Sanità, sono venuta a contatto con familiari di malati di mente, in particolare adolescenti, che mettevano in evidenza le carenze della risposta da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Di fronte a domande come "Chi può curare mio figlio?", non si può rimanere ancorati a steccati ideologici, ma si ha il dovere di rivedere criticamente il problema della malattia mentale. In questo senso l’incontro con la Scuola Romana di Massimo Fagioli fu un’esperienza importante e stimolante, perché evidenziò come bisognasse tornare a mettere il concetto di cura al centro dell’assistenza psichiatrica. Riflettere su queste idee senza pregiudizi sarebbe una conquista importante per la Sinistra".

Se il senso di questo incontro pare essere stato, per la sinistra, la constatazione di una crisi del sistema di assistenza psichiatrica, e quindi la necessità di superare uno steccato per tornare alla concretezza del problema della malattia mentale, bisogna allora chiedersi, quale pensiero si ponga dietro l’incontro sulla psichiatria del 16 Aprile scorso, organizzato dall’onorevole Marida Bolognesi, della Commissione Parlamentare sull’Infanzia, membro della Direzione Nazionale Ds.

Andiamo dritti al cuore del problema. A distanza di più di vent’anni cosa può conservare e cosa invece dovrebbe ripensare, la sinistra, della legge 180?

La risposta dell’onorevole Bolognesi è altrettanto chiara: "La legge 180 è un fatto storico importante, così come la chiusura della vecchia istituzione manicomiale fa parte del patrimonio della sinistra; tuttavia non si può pensare che una legge, che nessuna legge, per la verità, risponda a tutte le esigenze di qualunque momento storico : non si tratta di ridisegnare quella legge, ma di considerare quali nuove domande la società ponga al legislatore, e di attualizzarla proprio a partire da quei settori ch’essa lascia scoperti."

Cioè? "Si potrebbero delineare alcune questioni : da una parte esiste il problema dell’infanzia e dell’adolescenza, su cui non esiste un monitoraggio efficace ed adeguato, dall’altra il problema dell’Opg (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), che rappresenta un lascito della vecchia istituzione manicomiale e che si connette alla spinosa questione della sanità carceraria, infine non si può pensare che tra il Tso in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura e la possibilità di colloqui nei Centri d’Igiene Mentale non esista nessun filtro intermedio: occorre pensare a strutture sanitarie, e non semplicemente d’accoglienza, che prendano in carico il malato ed avviino una cura per evitare altri ricoveri o, all’opposto, l’abbandono".

Emerge come dato interessante il fatto che qui si parli di strutture sanitarie finalizzate alla cura e non, semplicemente, di case-famiglia o di centri d’accoglienza ; ma in che senso deve essere concepita la cura?

"Non si possono trascurare i progressi della farmacologia, ma credo che dovrebbe essere incentivata anche la ricerca in ambito psicoterapeutico; bisognerebbe portare la psicoterapia all’interno del servizio pubblico, ed eliminare, compatibilmente con i costi, le differenze che ancora sussistono tra cittadini che hanno la possibilità di accedere, a pagamento, a questo tipo di servizio e quelli che non ce l’hanno. Anche la terapia occupazionale e l’inserimento nel mondo del lavoro sono questioni che vanno valutate con attenzione : questo è un ambito in cui le possibilità offerte al malato fanno la differenza. Ad ogni modo è importante non massificare l’offerta sanitaria, ma ritenere che ogni malato ha bisogno di un "progetto di cura" elaborato dai medici in base alle sue specifiche esigenze".

Il riferimento all’Opg, da un lato, e, dall’altro, alla psicoterapia ed al concetto di cura, divengono particolarmente importanti alla luce dei recenti fatti di cronaca e stimolano altre domande, cui l’onorevole risponde: "L’Opg rappresenta, in effetti, un paradosso, sia perché ricorda da vicino il vecchio manicomio, nella sua accezione peggiore, sia perché copre solo una parte esigua delle persone affette da disturbo mentale, presenti nell’universo carcerario... Mi sono, ad esempio, stupita del fatto che gli omicidi seriali non vengano trattati in quelle strutture ma restino in carcere, mentre l’Opg sia in sostanza pieno di persone che si sono ammalate in carcere o che provengono da storie di violenza familiare. Credo sia ora di sanitarizzare e regionalizzare l’Opg, di renderlo un vero ospedale che possa intervenire sul disturbo mentale delle persone che vi vengono ricoverate, avviando un autentico programma di recupero e di ri-inserimento nella società, e non resti semplicemente una struttura contenitiva, che divide con il carcere il trattamento del disturbo mentale del detenuto".

Certo, le proposizioni sono abbastanza distanti da quelle che si è abituati a sentire, e l’attenzione per il concetto di cura, stimola a chiedere come sia nato il rapporto con la Scuola Romana, poi verificato nel convegno dell’Aprile scorso.

"Quel convegno è stato un’esperienza di grande interesse, ed era importante che vi partecipassero tutti: occorre davvero che la politica sia capace di coordinare un forum sulla psichiatria aperto a tutte le scuole di pensiero, dove si possa discutere il problema da diverse angolazioni. La Scuola Romana rappresenta una realtà consistente nel panorama psichiatrico, ed era giusto coinvolgerla, tanto più che ciò che è emerso è stato molto interessante e l’esperienza mi ha soddisfatta. Credo che sia ora di superare le diffidenze reciproche interne alla psichiatria e di ascoltarsi di più".

Se il panorama è questo, si coglie subito, come fatto centrale, che per poter aprire un dialogo bisogna superare il nodo del rifiuto, da parte di certa psichiatria, dell’esistenza della malattia mentale...

"Quel dibattito, per fortuna, è superato - dice la Bolognesi - il disturbo mentale è un problema sanitario, complesso, certo, che coinvolge anche il sociale, ma resta un problema sanitario".

Questo dunque l’interesse della sinistra in una ricerca sulla malattia mentale che vada al di là dell’esperienza basagliana? Sta emergendo dunque la necessità di rivedere quella scelta identitaria di cui si faceva riferimento nell’ipotesi di lavoro da cui parte l’inchiesta di Clorofilla? Un aiuto, in questo senso, ce lo forniscono le dichiarazioni di Adriano Labbucci, consigliere Provinciale di Roma, membro della Direzione Nazionale Ds e portavoce di "Aprile" nella capitale: "L’incontro con gli psichiatri della Scuola Romana, che lavorano al centro di Via Vaiano è stato molto interessante e positivo: portano avanti un’esperienza innovativa e, purtroppo, poco conosciuta. Bisogna sviluppare delle reti che permettano di diffondere questi interventi e di evitare la cronicizzazione dei pazienti ; molte cose si possono fare in questo senso, e si potrebbe partire dal ristabilire un contatto tra la psichiatria e le realtà sociali e di assistenza medica di base. I rapporti della sinistra nell’ambiente psichiatrico devono aprirsi ad esperienze che non si limitino a quelle cui solitamente ci siamo riferiti: guardare all’innovatività di questa prassi e porsi in ascolto verso gli elementi di originalità teorica, fa parte di un’identità di ricerca che la sinistra dovrebbe avere sempre nei confronti dei fenomeni culturali e scientifici".

Identità di ricerca... Cercando di chiudere questi appunti, non possiamo evitare di sollevare una domanda : e se la sinistra ritrovasse, in questa discussione critica, un interesse per la ricerca e la comprensione che renda possibile discutere nel merito dei problemi avendo idee, ma non steccati ideologici ? Speriamo...

 

 

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