La tratta in Italia

 

Il fenomeno della tratta: la situazione in Italia

 

In Italia, così come negli altri Paesi dell’Unione Europea, il fenomeno del traffico di esseri umani è aumentato considerevolmente negli ultimi anni. Le cause della tratta sono da ricercare nelle condizioni che caratterizzano i contesti dei Paesi di provenienza delle vittime, ossia la povertà, la disoccupazione, la carenza di educazione e il mancato accesso alle risorse. Le donne sono maggiormente soggette a divenire vittime della tratta e questo è dovuto a diversi fattori quali la caratterizzazione sempre più femminile della povertà e la discriminazione di genere, nonché la carenza di opportunità professionali nei rispettivi Paesi di origine.

 

I provvedimenti nazionali

 

La legge 8 agosto 2003 n. 228 approvata in via definitiva lo scorso 30 luglio, introduce moderni strumenti di contrasto a tale fenomeno ponendo il nostro Paese all’avanguardia in Europa alla lotta a questa forma di crimine. La gravità del fenomeno, le ripercussioni drammatiche che ha sulla vita delle vittime e la sua continua evoluzione hanno portato all’elaborazione di un testo che non si limita all’aspetto repressivo del problema, ma tiene in eguale considerazione anche quello preventivo e sociale.

La legge anti – tratta riconosce un ruolo chiave alla prevenzione e proprio per questo attribuisce al Ministero degli Esteri il potere di definire le politiche di cooperazione nei confronti dei Paesi interessati da questi reati e di organizzare d’intesa con il Ministero per le Pari Opportunità, incontri internazionali e campagne d’informazione anche all’interno degli Stati di prevalente provenienza delle vittime del traffico di persone. Sempre nell’ambito della prevenzione spetta poi al Ministro dell’Interno, per le Pari Opportunità, della Giustizia e del Lavoro e delle Politiche Sociali provvedere ad organizzare, ove necessario, corsi di addestramento del personale, nonché ogni altra iniziativa utile (art. 14).

 

I nuovi reati previsti dalla legge

 

Il provvedimento prevede la punibilità di chiunque eserciti su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduca o mantenga una persona in uno stato di soggezione continuativa al fine di costringerla a mendicare o a fornire prestazioni di tipo lavorativo o sessuale, o che comunque ne comportino lo sfruttamento. Sino all’entrata in vigore di questa legge le forze dell’ordine e la magistratura incontravano notevoli difficoltà nel rintracciare, all’interno del codice penale, fattispecie di reato che potessero coprire queste forme delittuose così come si sono evolute. Lo stesso codice prevedeva il reato di riduzione in schiavitù, ma la descrizione della fattispecie criminosa risaliva al 1930 (Codice Rocco) ed era anacronistica, dunque, inapplicabile.

L’introduzione di una definizione precisa del reato di riduzione in servitù e la attualizzazione di quello di riduzione in schiavitù e traffico di persone, rappresentano, quindi, un punto di partenza fondamentale nell’identificazione di questo crimine e nella sua adeguata punibilità.

 

Le sanzioni previste dalla legge

 

Questi reati sono puniti con la reclusione da 8 a 20 anni, pena che può essere aumentata da un terzo alla metà se il fatto viene commesso in danno di un minore o è finalizzato al mercato della prostituzione o del prelievo di organi. Un aumento delle pene è previsto, inoltre, nei casi in cui questi reati vengono commessi avvalendosi di una associazione criminale. Il recupero delle vittime Un altro degli aspetti importanti della legge è rappresentato dall’attenzione posta al recupero delle vittime di questa forma di sfruttamento. Si tratta quasi sempre di extracomunitari, prevalentemente donne e minori, introdotti in Italia con la forza o con l’inganno e sottoposti ad inaudite violenze i cui effetti sono difficilmente cancellabili. Per assistere, proteggere e reinserire socialmente le vittime della tratta la legge ha istituito un apposito Fondo presso la Presidenza del Consiglio con il quale finanziare programmi ad hoc.

Al Fondo sono destinate le somme previste dall’art.18 del Testo Unico sull’Immigrazione nonché quelle derivanti dalla confisca di beni e patrimoni appartenenti alle persone condannate per i delitti di riduzione in schiavitù, servitù o traffico. Il testo prevede inoltre un altro programma specifico destinato al primissimo intervento che garantisce, in via transitoria, vitto, alloggio e cure sanitarie ed è finanziato con uno stanziamento separato che ammonta a 2,5 milioni di euro.

 

La prevenzione della tratta

 

I dati raccolti in questi anni dalle forze dell’ordine forniscono una mappatura sufficientemente precisa di quelli che sono i Paesi da cui, con maggior frequenza, provengono le vittime. Quasi sempre a cadere nella rete dei trafficanti sono persone (prevalentemente donne) convinte di giungere in Italia per lavorare o minori venduti da famiglie che vivono in condizioni di estrema povertà.

La legge anti-tratta riconosce un ruolo chiave alla prevenzione e proprio per questo attribuisce al Ministro degli Esteri il potere di definire le politiche di cooperazione nei confronti dei Paesi interessati da questi reati e organizzare d’intesa con il Ministro per le Pari Opportunità, incontri internazionali e campagne di informazione anche all’interno degli Stati di prevalente provenienza delle vittime del traffico di persone. Sempre nell’ambito della prevenzione spetta poi ai Ministri dell’Interno, per le Pari Opportunità, della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali provvedere ad organizzare, ove necessario, corsi di addestramento del personale, nonché ogni altra iniziativa utile.

 

I provvedimenti comunitari

 

Il traffico di esseri umani è combattuto a livello comunitario tramite due progetti della Commissione europea: il programma “STOP” e il programma “DAPHNE” Il primo ha favorito la presa di coscienza del problema all’interno dell’Unione ed ha incoraggiato la cooperazione tra i Paesi membri in questo ambito, aiutando a capire che il problema della tratta può essere fronteggiato meglio a livello europeo piuttosto che a livello di singolo Stato membro, grazie allo scambio di esperienze e alle economie di scala promosse. Il secondo ha ampliato il raggio di azione di STOP ai Paesi in adesione ed ha allargato l’ambito della lotta agli abusi contro la donna, alla violenza nei confronti di bambini/e e ragazzi/e

Anche l’iniziative comunitaria “EQUAL", finanziata dal FSE, ha tra i suoi obiettivi la lotta alle discriminazioni e alle disparità sociali. Tra le priorità dell’iniziativa figura, infatti, l’integrazione socio – professionale dei richiedenti asilo, in particolare che beneficiano di un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di “protezione sociale”

Da ultimo il ruolo di sostegno a tutte quelle azioni che viene svolto dal “PROGRAMMA D’AZIONE per le PARI OPPORTUNITA’” (2000-2005) attraverso la promozione di eventi per accrescere la consapevolezza del problema della tratta, il sostegno finanziario a progetti transnazionali sul tema e tra questi l’istituzione su tutto il territorio nazionale di un servizio telefonico di aiuto alle donne costrette a prostituirsi (800.290.290).

 

Protezione e assistenza alle vittime della tratta

 

In attuazione delle raccomandazioni emerse in sede europea e delle sollecitazioni delle associazioni maggiormente attive nel settore, il Governo italiano ha , con l’introduzione della disciplina di cui all’art. 18 D.lgs. n. 286/98 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e del suo Regolamento attuativo (D.P.R. 31.8.99 N. 394), risposto con prontezza ed in modo efficiente al crescente allarme costituito dal traffico di persone. L’articolo 18 del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina sull’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (decreto legislativo n. 286/98) prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale al fine di “consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale” (art. 18, comma 1).

La caratteristica più rilevante di tale tipo di permesso risiede nella precisa volontà del Legislatore di aiutare la vittima del traffico di esseri umani. In questa prospettiva concede alla vittima la possibilità di recidere il vincolo che la lega al proprio persecutore e le permette al tempo stesso di intraprendere un percorso di inserimento che può essere duraturo e definitivo. L’articolo 18 è stato unanimemente riconosciuto, sia in sede nazionale che internazionale, come una efficace normativa di contrasto del fenomeno legato al traffico di esseri umani. Più in dettaglio la misura introduce un forte elemento innovativo attraverso un doppio percorso, quello giudiziario e quello sociale, senza che uno influenzi l’altro.

Infatti, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale non è in alcun modo subordinato all’obbligo di denuncia da parte della vittima, consentendo quindi, la possibilità di un recupero sociale e psicologico che porti successivamente a un clima di fiducia fondamentale per la successiva (eventuale) collaborazione giudiziaria. La proposta di rilascio del permesso di soggiorno può essere effettuata oltre che “dal procuratore della Repubblica, nei casi in cui sia iniziato un procedimento” anche “dai servizi sociali degli enti locali o delle associazioni, enti ed altri organismi” titolari dei progetti di protezione sociale. Successivamente il questore provvede al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il permesso di soggiorno per protezione sociale ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno.

Nel Regolamento di attuazione (D.P.R. 31.8.99, n. 394) è previsto, tra l'altro, all’art. 25 (Programmi di assistenza ed integrazione sociale): "I programmi di assistenza ed integrazione sociale di cui all'art. 18 del testo unico, realizzati a cura degli enti locali o dei soggetti privati convenzionati, sono finanziati dallo Stato nella misura del 70%, a valere sulle risorse assegnate al Dipartimento per le pari opportunità, ai sensi dell'art. 58, comma 2, e dall'ente locale, nella misura del 30%, a valere sulle risorse relative all'assistenza."

(comma 1); "Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le pari opportunità, è istituita la Commissione interministeriale per l'attuazione dell'art. 18 del testo unico, composta dai rappresentanti dei Ministri per le pari opportunità, per la solidarietà sociale (attuale Ministero del lavoro e delle politiche sociali), dell'interno, e di grazia e giustizia (attuale Ministero di giustizia)"

(comma 2). Il D.M. 23.11.1999, nel fissare i criteri e le modalità di selezione dei programmi di assistenza ed integrazione sociale, individua due tipologie di programmi finanziabili:

i programmi di protezione sociale, finalizzati ad assicurare un percorso di assistenza e protezione alle vittime della tratta; le azioni di sistema dirette a supportare tali programmi attraverso campagne di sensibilizzazione, indagini e ricerche sull’andamento del fenomeno, attività formative per gli operatori pubblici e privati impegnati nei programmi di protezione sociale, attività di assistenza tecnica e monitoraggio dei progetti.

A livello nazionale, l’importanza che l’Italia attribuisce all’opera di prevenzione è testimoniata anche dal recente Disegno di legge “Misure contro la tratta di persone” presentato, anche, dal Ministro per le Pari Opportunità, on.le Stefania Prestigiacomo, che recepisce le indicazioni contenute nel protocollo di Palermo delle Nazioni Unite configurando il traffico degli esseri umani come una specifica ed autonoma ipotesi di reato.

L’art. 1 del Disegno di Legge nel riscrivere l’art. 600 del codice penale ha tenuto conto delle difficoltà interpretative riscontrate a proposito dell’accertamento della riduzione in schiavitù, situazione che viene, descritta nel testo proposto – coerentemente alle definizione utilizzate negli accordi internazionali e nelle misure comunitarie per la lotta al traffico degli esseri umani - come la condizione in cui la vittima del reato, privata di qualsiasi dignità, diviene oggetto di poteri corrispondenti al diritto di proprietà o viene vincolata al servizio di una cosa.

Inoltre, accanto alla riduzione in schiavitù, è stata prevista anche l’incriminazione della riduzione in servitù, definita come la condotta che, posta in essere con violenza o con minaccia o abuso di autorità, riduce la vittima del reato in una condizione continuativa di soggezione fisica o psicologica allo scopo di indurla all’accattonaggio o a rendere prestazioni sessuali o lavorative.

In tal caso, la pena per “chiunque riduce o mantiene una persona in schiavitù è punito con reclusione da otto a venti anni”. Inoltre, “chiunque riduce o mantiene una persona in servitù è punito con la reclusione da cinque a quindici anni (omissis) la pena è aumentata se i delitti di cui al presente articolo sono commessi in danno di minore degli anni diciotto”.

 

Progetti di protezione sociale

 

In applicazione dell’articolo 18 il Dipartimento per le pari opportunità dal 1999 al 2001 ha cofinanziato 154 progetti di protezione sociale, concernenti l'intero territorio nazionale, con particolare attenzione alle zone a più elevato “rischio” di criminalità.

Il 3 ottobre 2002 è stato pubblicato sulla G.U. il quarto avviso rivolto agli Enti locali e a soggetti privati, convenzionati con l’ente locale ed iscritti alla terza sezione del registro delle associazioni, a presentare al Dipartimento entro il 4 novembre 2002 progetti di protezione sociale di cui all’articolo 18.

I progetti sono destinati a donne e a minori stranieri vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale. I progetti sono articolati in varie fasi legate tra loro: la prima, prevede un percorso di assistenza e protezione sociale, dal primo contatto (unità di strada, numero verde, intervento forze di polizia, cliente, ecc..) all’accoglienza presso strutture residenziali ad indirizzo segreto, all’ottenimento del permesso di soggiorno, all’assistenza legale, al supporto psicologico al fine di ritrovare la propria autonomia e identità socio-culturale; la seconda fase ha come obiettivo principale l’integrazione sociale e prevede interventi finalizzati all’orientamento e all’inserimento lavorativo attraverso corsi di formazione e di apprendimento della lingua italiana e borse lavoro, ecc.

Parallelamente può iniziare il percorso giudiziario con l’eventuale denuncia da parte della vittima. I progetti di protezione sociale possono essere presentati sia da regioni, province e comuni, che da soggetti privati regolarmente iscritti nella terza sezione del Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati. I progetti hanno una durata massima di 12 mesi e la Commissione interministeriale ha provveduto, in determinati casi, a finanziare i cosiddetti programmi di continuità. Dall'esame ponderato dei dati provenienti dalle istituzioni e dalle ONG è possibile con sicurezza affermare che il "sistema dell'art. 18" ha senz'altro reso possibile, non solo l'ottenimento di un congruo numero di permessi di soggiorno, ma soprattutto una efficace rete di assistenza per le vittime della tratta.

Difatti da una prima analisi dei dati è stato rilevato che, nel corso della prima annualità dei progetti di protezione sociale (1999/2000), sono state 833 le vittime di tratta che hanno ottenuto il permesso di soggiorno, in base all’art. 18, e nel 2001 sono state circa 1.500 le donne che hanno beneficiato di tale normativa. Altro dato interessante è la nazionalità di provenienza delle vittime di tratta, da cui emerge con significativa evidenza la componente nigeriana (52% del totale), alla quale fa seguito quella albanese (15%), moldava (7%), rumena (5%). Tale ripartizione geografica è confermata dalle ultime analisi elaborate dalla postazione nazionale del Numero Verde.

 

Azioni di sistema 1999, 2000 e 2001

 

Nel quadro delle azioni di sistema individuate con decreto ministeriale del 23 novembre 1999, emanato ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. n. 394/99, la Commissione interministeriale istituita per l’attuazione dell’art. 18 del T.U. sull’immigrazione, ha avviato una campagna di sensibilizzazione diretta, in particolare, alle donne vittime della tratta e comunque rivolta all’opinione pubblica italiana in generale sul fenomeno in parola e sulle possibilità offerte dalla legislazione italiana per sottrarsi alle organizzazioni criminali attraverso i progetti di protezione sociale. Tale campagna di sensibilizzazione realizzata attraverso spot televisivi sulle reti Rai e Mediaset, spot radiofonici, manifesti murali, adesivi in 10 lingue dei più importanti Paesi di origine della tratta, ha avuto anche una amplissima diffusione tramite i progetti di protezione sociale, gli enti locali, le organizzazioni laiche e religiose.

La campagna di sensibilizzazione ora descritta ha contestualmente pubblicizzato l’attivazione del progetto Numero Verde anti-Tratta nazionale che rappresenta uno strumento fondamentale per consentire alle vittime di entrare in contatto con coloro che validamente possono aiutarle. Il servizio Numero Verde – avviato formalmente alla fine del luglio 2000- si compone di una postazione nazionale (con circa venti operatori attivi giorno/notte) e di 14 postazioni locali (con circa 80/90 operatori attivi per circa sei ore a turno).

I titolari delle postazioni locali del Numero Verde sono gli Enti locali (per lo più Province e Comuni, con l’eccezione di due Regioni: l’Emilia Romagna e la Puglia). Questi ultimi per la loro operatività si avvalgono della collaborazione di organizzazioni non profit e di operatori esperti. Le postazioni sono dislocate in diverse macro-aree a carattere regionale ed interregionale, dove sono attivi contestualmente i progetti di protezione sociale: si realizza così un’importante attività di raccordo e di connessione tra i servizi e le vittime. Da una attenta analisi dei risultati relativi al periodo luglio 2000 a marzo 2002 i dati che appaiono confermano la bontà del servizio telefonico attivato.

Il Dipartimento per le Pari Opportunità -Presidenza del Consiglio dei Ministri- ha inoltre finanziato due progetti: "Monitoraggio nazionale dell’attività dei risultati conseguiti dalle Procure della Repubblica nelle inchieste scaturite dalle denunce contro i trafficanti", coordinato dal Ministero della Giustizia; “Azione di sistema per assicurare il ritorno volontario e la reintegrazione delle vittime di tratta nei paesi di origine”, coordinato dal Ministero dell’Interno, con l’assistenza dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).

Tale programma, nello specifico, si propone di rendere disponibile e praticabile l’opzione del ritorno volontario assistito tra i percorsi protetti di reinserimento socio-lavorativo nei paesi di origine delle beneficiarie dell’azione di sistema. Dalla data di inizio del programma, luglio 2001, ad oggi sono stati assistiti 80 casi di diversa provenienza geografica (Moldavia, Ucraina, Romania, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Repubblica Federale di Jugoslavia, Albania, Estonia, Bielorussia).

 

 

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