Comune di Roma per i minori

 

Minori detenuti: il futuro è in fattoria

Il piano del Comune per i giovani di Casal del Marmo

 

Corriere della Sera, 1 ottobre 2003

 

Quando i ragazzi arrivano a Casal del Marmo, il primo giorno, si guardano intorno e piangono disperati. È quello - dice Laura Grifoni, direttrice del carcere minorile di Roma - il momento più pericoloso. Il momento in cui a certi viene la voglia di uccidersi. Accadde davvero, due anni fa. E fu terribile. Vedono improvvisamente la loro vita randagia finire dietro un muro altissimo e delle finestre sbarrate. Chiusi. In trappola. Il sindaco della Capitale, Walter Veltroni, ieri è andato a trovarli. "Quando uscirete di qui - ha detto ai giovani, riuniti in palestra - Prima di commettere un altro sbaglio, prima di andare a rubare un’altra volta, chiamateci, chiedete una mano al Comune. Noi vi aiuteremo a non sentirvi soli, in questa città nessuno più dovrà sentirsi solo".

Un altro momento critico - dice la direttrice, Grifoni - è dopo la sentenza: quando la pena smette di essere solo incubo, minaccia astratta e diventa invece un fardello concreto da portare. Quel giorno, allora, i ragazzi piangono di nuovo. Poi però, superata la crisi, rovesciano la clessidra sul tavolo e incominciano a contare i giorni. Più induriti e rabbiosi di prima.

Trentasette maschi e diciannove femmine stanno dentro, attualmente. Tra i 14 e i 21 anni. In prevalenza stranieri: marocchini, albanesi, rumeni, sudamericani, ragazze nomadi. Droga, traffico d’armi, furti, tanti furti. Tutti o quasi sono analfabeti. Tutti o quasi soli, senza parenti e senza documenti. A Capodanno - dice la direttrice - hanno festeggiato insieme. Hanno fatto il brindisi. Qualche volta tra loro nascono anche delle storie d’amore. La vita poi non è così dura, a Casal del Marmo: il Comune finanzia già i laboratori di tappezzeria, falegnameria. C’è il teatro, la pizzeria, la scuola, la palestra, il campo di basket, il giornalino locale. In cella ci sono i televisori, si sta all’aperto dalle 8 del mattino alle 8 di sera, con le psicologhe, le educatrici, le interpreti, le mediatrici culturali. Eppure su un muro, nel corridoio della palazzina adibita a scuola, sta disegnato un cuore enorme con la seguente didascalia: "Cuore della tristezza delle ragazze in carcere. Ciao libertà". E una giovane sul suo diario ieri ha scritto: "Help, aiuto, meno male che le feste sono passate, non ce la facevo più".

Italiani, pochi. Tra questi, il ragazzo romano che insieme a due complici, pochi giorni fa, cosparse di Nutella la targa dell’auto della madre per andare a fare una rapina, sperando di farla franca. Ora la Nutella la mangia col pane a colazione, alle 8 quando si sveglia, in refettorio. Tre di loro, tre italiani, hanno commesso delitti orrendi, omicidi. La suora in Val Chiavenna, la piccola Desirée a Leno... "Eppure - dice Veltroni - li vedi, ci parli e pensi che sono ragazzi. Ragazzi normali come i nostri figli. Non lombrosiani, non condannati a delinquere a vita. Per questo li dobbiamo aiutare".

Il sindaco, accompagnato ieri dal capo del Dipartimento giustizia minorile, l’ex giudice Rosario Priore (famoso per l’inchiesta sulla strage di Ustica) e dagli assessori comunali Raffaela Milano (Servizi sociali) Luigi Nieri (Lavoro) e Claudio Minelli (Patrimonio), ha portato proposte concrete: "C’è una fattoria di dieci ettari a Tomba di Nerone - ha detto Veltroni, rivolto a un uditorio attentissimo - Alcuni di voi potrebbero cominciare là un’esperienza di reinserimento. In un’altra area qua vicino, poi, il Comune ha in mente di avviare coltivazioni biologiche, attività di agriturismo, di produrre latte e formaggi insieme con la società Latte sano . Sulla base di un protocollo d’intesa col Ministero, anche voi potrete far parte di questo progetto. Così come il nostro centro di orientamento al lavoro, già operativo a Rebibbia e Regina Coeli, potrebbe estendersi ora all’istituto minorile".

Programmi ambiziosi. C’è anche quello di una casa-famiglia dove portare ogni giorno i bimbi delle ragazze rom, strappandoli dalla strada dove adesso vengono mandati a mendicare. "Una casa per giocare - dice Veltroni - Che altro dovrebbero fare i ragazzini a quell’età? Una casa dove giocare dalla mattina alla sera". Le ragazze nomadi, però, che ascoltano il sindaco, piegano la bocca, sembrano perplesse, dicono che nella casa dei giochi i loro figli non ce li porteranno mai. La vendetta degli uomini del campo, probabilmente, sarebbe tremenda. "Non vedo alternative - controbatte Veltroni - Bisogna comunque tentare. Riaccompagneremo la sera i bambini al campo, dai loro genitori, prenderemo i nomi e cognomi degli adulti e vedremo se continueranno a mandare i loro figli a mendicare oppure no".

Dunque, c’è una speranza. Non è detto che al di là del muro la storia debba per forza finire male. Non è detto che dopo il carcere ci sia sempre e solo il carcere, per questi ragazzi: anche se Samantha, 17 anni, è già la sesta volta che varca il cancello. C’è ad esempio un ragazzo albanese - dice la direttrice Grifoni - che a Casal del Marmo ha imparato un lavoro e adesso fa il pizzaiolo a Roma, abita in un monolocale e si sta per sposare. Sembra una favola.

Una guardia, in borghese, sorride. Fa sì con la testa. È un ragazzo anche lui, ha una faccia pulita, buona. A un tratto, però, infila una mano in tasca. Tira fuori un mazzo di chiavi. Sono chiavi enormi, dorate. Sembrano le chiavi di un castello. Sono le chiavi della prigione. Fanno impressione.

9-1 La Stampa

La direttrice Grifoni: quando uno cambia vita, facciamo festa Che il suo lavoro le piaccia molto, lo si capisce da come ne parla. Starebbe ore a raccontare che fanno e chi sono i "suoi" ragazzi. Del resto, Laura Grifoni, direttrice del carcere minorile di Casal del Marmo, è tutta la vita che si occupa del recupero di ragazzi. "Sono ventisei anni che lavoro per l’Amministrazione penitenziaria. Prima al Beccaria di Milano, poi a Treviso e da sei anni a Roma". Lo sguardo tranquillo, i modi gentili ma fermi, Laura Grifoni sembra una di quelle professoresse che alcuni hanno la fortuna di incontrare al Liceo e che ricordano poi per tutta la vita.

"Non nascondiamoci dietro a un dito. Questo è un carcere a tutti gli effetti. Ci sono le sbarre, ci sono le mura. Quindi c’è un aspetto punitivo - dice la direttrice - ma facciamo di tutto per agevolare i ragazzi. Cerchiamo di mischiare le etnie e le nazionalità per farli integrare, ma se nascono amicizie ognuno può dividere la camere con l’amico del cuore. Anche i rapporti tra i diversi sessi sono controllati, ma è inevitabile e giusto che nascano simpatie.

Ultimamente si sono sposati due ragazzi rom che si erano conosciuti proprio qui a Casal del Marmo. Quello che cerchiamo di creare è un fac simile della realtà. Nei rapporti sociali e nel sistema di regole che questi ragazzi non hanno mai assimilato". La "signora" di Casal del Marmo spiega che anche una vita regolare con sveglia alle otto, scuola, pranzo e poi attività ricreative il pomeriggio serve a dare ordine alla vita dei giovani detenuti.

"Il momento più brutto è la sera - spiega - alle otto tutti devono rientrare nelle loro stanze. Hanno la televisione fino alle dieci e mezza e l’orario viene prolungato se c’è un film o una partita di calcio che i ragazzi vogliono vedere. Però a quell’ora davvero ci si sente chiusi in carcere e ad alcuni ragazzi più sensibili bisogna stare molto vicini, aiutarli e dargli affetto". C’è stato un episodio di suicidio a Casal del marmo. La direttrice ne parla a fatica. "È stato terribile - dice perdendo per un attimo il suo aplomb - è accaduto all’improvviso senza che quel ragazzo ci avesse mai dato modo di capire a che punto fosse arrivata la sua disperazione. Non riesco a perdonarmelo".

Laura Grifoni sa per esperienza che nonostante gli sforzi sono pochi i ragazzi che una volta fuori dal carcere riescono a crescere e farsi una vita normale. Accade di rado, ma quando succede è una festa per il manipoli di educatori che passano nove ore al giorno con i giovani detenuti.

"Pochi giorni fa ho ricevuto la telefonata di un ragazzo albanese che era stato qui da noi a Casal del Marmo. Durante il periodo di detenzione aveva seguito il corso da pizzaiolo - racconta la direttrice - quando è uscito grazie all’aiuto del Comune gli abbiamo trovato un monolocale e ora da due anni lavora in una pizzeria di Roma. Mi ha detto che sta per sposarsi", racconta Laura Grifoni con gli occhi che sorridono. "Per noi, queste sono grandi soddisfazioni".

 

 

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