Bocciata la riforma Castelli

 

I franchi tiratori affossano alla Camera

la controriforma della giustizia minorile

 

Il Manifesto, 6 novembre 2003

 

L’ironia della cronaca è la più sincera. E ieri si è condita anche di una punta di malizia nei confronti della Casa delle libertà. I flash di agenzia. infatti, quasi non hanno il tempo di annunciare che la controriforma della giustizia minorile voluta dal guardasigilli Roberto Castelli è stata affondata dalle pregiudiziali di costituzionalità a Montecitorio prima di rilanciare le altisonanti parole di Silvio Berlusconi: "Andiamo avanti e la coalizione mi segue".

Il suo ministro della giustizia si ritrova invece senza truppe alle spalle nell’emiciclo della Camera. Mentre il cavaliere sproloquia a margine della conferenza stampa con Vladimir Putin, l’aula di Montecitorio sta infatti esplodendo per il più clamoroso scivolone della maggioranza; per giunta sul tema che sta alle fondamenta della Casa delle libertà, cioè la giustizia, finora cemento a presa rapida imposto dallo stesso padrone di casa Berlusconi.

E forse è proprio questo l’aspetto più rilevante del voto di ieri: finché c’è stato da inghiottire i lodi salva Berlusconi il centrodestra non ha storto un baffo, ma se si tratta di passare alle riforme ordinamentali, così come a quelle di ordine economico e sociale, per non dire istituzionali, la musica cambia. Perché per Fini e Casini in particolare non ne va più della salvezza del cavaliere, che significa anche la salvezza del centrodestra, ne va della possibilità di tenere insieme un blocco di potere e di governo (imprese, burocrazie, chiesa) che l’oltranzismo del triunvirato Berlusconi Bossi Tremonti fa continuamente vacillare, affossando le quotazioni di una nuova vittoria elettorale.

In contemporanea all’aula di Montecitorio esplodono dunque quelle di giustizia, dove sono in corso le assemblee della giornata di mobilitazione promossa dall’Anm. A Milano un fragoroso applauso saluta il voto parlamentare annunciato proprio dal presidente del tribunale dei minori, Livia Pomodoro, che aveva appena concluso un duro intervento sulla riforma.

Castelli non ha bisogno di saperlo per immaginarsi, nella concomitanza della giornata di mobilitazione delle toghe, come al danno si stia rapidamente moltiplicando la beffa. E mastica rabbia. L’emendamento di Ulivo e Rifondazione comunista sulle pregiudiziali di costituzionalità ottiene 252 voti a favore e 221 contrari: alle sei del pomeriggio la controriforma della giustizia minorile (di cui si può leggere a fianco) naufraga alla camera grazie a 36 franchi tiratori appostati all’ombra del voto segreto.

Tocca al vicepresidente di turno, il forzista Alfredo Biondi, spiegare perché la presidenza di Montecitorio ha concesso il voto chiesto dall’Udeur Carla Mazzucca: il provvedimento del governo cambia i criteri di composizione degli organismi giudiziari cui competono tutte le questioni che riguardano la famiglia e i minori; e famiglia e minori sono materia per cui è prevista la possibilità di scrutinio segreto.

I falchi del centrodestra fiutano subito aria di imboscata, ordita dal leader poco ombra dell’Udc Pierferdinando Casini. "In questa legislatura la prassi del voto segreto si è pericolosamente allargata", dice Elio Vito, invocando lo scrutinio "palese" in nome della "trasparenza delle decisioni parlamentari". Lo stesso chiede il leghista Alessandro Ce. Ma Biondi non cambia decisione. Un voto "da prima repubblica". Di più: "Un voto organizzato", tuona dunque il ministro, che dice di averne anche le prove. E in qualche misura non ha neanche torto, visto che in effetti gli alleati centristi dell’Udc avevano criticato il testo insoddisfacente della legge fino alla minaccia: Castelli ha fatto il duro ed è stato ripagato con la sua stessa moneta.

Ma c’è di più: nella riunione per direttissima con i parlamentari del Carroccio Casini viene indicato da Bossi come colui che sta ordendo il piano per mettere alla porta la Lega. Vero è che, in tema di giustizia, dopo la sentenza Andreotti i post democristiani hanno ordinato il cessate il fuoco contro i magistrati. E anche che insieme a Fini il presidente della camera sta facendo la manutenzione della complessa rete di poteri che in corso di sfaldamento sotto il filo sospeso su cui cammina il governo.

Con l"ausilio del pallottoliere, prova a consolare il guardasigilli il collega di An Maurizio Gasparri: anche lui che firma una delle riforme più care al sire di Arcore, quella delle tv, è finito sotto il tiro di 36 franchi tiratori. Ma le osservazioni di Gasparri non sono di gran conforto al centrodestra. Perché i cecchini non saranno proprio gli stessi, ma il concetto invece sì: il diktat berlusconiano non detta più legge nella Casa delle libertà, a maggior ragione quando è proferito per interposta persona, ovvero dagli invisi leghisti.

Il Carroccio a questo punto si trova sempre più prossimo al bivio: ma per Umberto Bossi conquistare la devolution con meno del 4 per cento continua a valer bene qualche sonoro schiaffo di gelosia da parte degli alleati. Perciò la partecipazione al governo Berlusconi ancora non è del tutto in forse. Quella che è in forse è però la possibilità che Berlusconi possa continuare la legislatura a colpi di mossa del cavallo: com’è stata quella di confermare la fiducia al ministro degli esteri Franco Frattini, per smentire l’eventualità di un rimpasto che tra l’altro porti Gianfranco Fini alla Farnesina. Non è infatti il dicastero degli esteri il punto di instabilità della coalizione, come spiega il leader di An nella nota in cui smentisce le proprie ambizioni diplomatiche. Dopo aver digerito per due anni le leggi ad hoc per il cavaliere e i ricatti leghisti An non recede più di un passo dal nuovo corso inaugurato dopo l’estate: serve "una verifica politica e una ridefinizione del programma e della squadra di governo", dice Fini chiedendo dunque il rimpasto che atterrisce Berlusconi.

 

Addio a una legge sbagliata

 

L’aula di Montecitorio ha bocciato ieri la riforma Castelli per incostituzionalità, mettendo fine (per ora) ad un progetto che qualora fosse stato approvato affossava un sistema di giustizia minorile preso ad esempio in altri paesi. Ci sono stati lunghi mesi che hanno preceduto questo risultato finale. Duranti i quali associazioni, operatori del settore, forze politiche hanno cercato di opporsi a questa riforma che è stata motivata dall’intenzione di sfruttare gravi fatti di cronaca, che hanno visto coinvolti in prima persona dei minorenni.

La riforma Castelli, infatti, si proponeva di abolire il tribunale dei minorenni in materia civile, penale ed amministrativa devolvendo tutta la materia all’istituzione di una sottosezione dei tribunali ordinari, che a sua volta si sarebbe occupata anche di divorzi, separazioni e adozioni, assumendo in più i compiti oggi attribuiti al giudice tutelare. Inoltre, la riforma prevedeva l’abolizione nell’ambito del civile della componente onoraria (in genere, assistenti sociali, psicologi, neuropsichiatri) che attualmente compongono i collegi giudicanti insieme ai togati, con i quali collaborano per prendere una decisione alla fine di una lunga fase istruttoria di un procedimento.

Di fronte agli evidenti problemi della giustizia ordinaria, che soffre di tempi lunghissimi ed ostacoli formali, già si potrebbero drizzare i capelli alla sola idea che l’istituzione di una sezione speciale di un tribunale della famiglia possa incorrere nelle stesse difficoltà. Senza contare che questa riforma è stata presentata senza nemmeno misurarsi su quante risorse finanziarie sono necessarie come pure quanto tempo serve per formare nuovo personale adeguato in materia di diritto minorile.

L’intenzione di fondo di questa legge 2517, però, era più specificatamente togliere di mezzo una particolarità che finora era stata sempre riconosciuta alla giustizia minorile. Ovvero che i tribunali dei minorenni si sono sempre adoperati per riconoscere a questi soggetti doveri e diritti nell’ambito della propria famiglia. Spesso è stata utilizzata l’accusa che invece i giudici si sono

messi contro le famiglie per poi togliere i figli. In una materia spesso così complessa - che riguarda spesso in ambito civile casi di abusi, maltrattamenti, violenza, incuria la volontà di semplificare è sbagliata. Spesso il lavoro che si deve svolgere quando si aprono determinati procedimenti è motivato proprio dal reperimento di risorse e di interventi che possano migliorare le situazione e non togliere i figli ai genitori; come spesso si accusa. Il lavoro in genere è trasversale e non può essere svolto da un solo giudice o da un esperto. Ha bisogno dell’intervento dei servizi territoriali, che spesso sono carenti rispetto alle necessità di un intervento di prevenzione.

Alla fine, il ministero aveva recepito l’importanza della presenza di alcune figure di giudici onorari anche se aveva confermato l’intenzione che il momento del giudizio spettasse solamente ad un togato. La forte accentuazione che si è voluta dare alla divisione tra competenze in ambito civile e penale è inoltre motivata dalla l’intenzione del ministro "ingegnere" e di una buona fetta del governo di voler sostenere l’aspirazione punitiva di questa legge contro i minori che delinquono. Anche se poi i numeri dicono che in Italia la situazione è migliore che in altri paesi (vedi Inghilterra o Francia) dove è stata adottata la strategia della "tolleranza zero".

Al contrario, la cosa che invece avrebbe un senso di fondatezza, così come riconosce l’Associazione dei magistrati minorili, è che molte materie che riguardano i minori e la famiglia vengano unificate, spesso per non creare contraddizioni tra le une e le altre competenze e tra i diversi interventi. Ma senza togliere la specificità del problema.

 

 

Precedente Home Su Successiva