Giustizia in tono "minore"

 

Giustizia in tono minore


Sanzioni più severe. Arresti più facili. E diminuzione dei giudici non togati. Così il centro-destra vuole contrastare la delinquenza

 

L’ESPRESSO, 18 aprile 2002

 

Un piccolo adulto, o meglio ancora un delinquente in formato ridotto, da giudicare con criteri sempre più rigidi e da tenere il più possibile rinchiuso. È questo lo spirito con cui la nuovissima riforma del diritto penale minorile, già approvata dal consiglio dei ministri, guarda ai ragazzi e alle ragazze che si sono resi colpevoli di qualche reato. Fra le varie ambizioni del ministro Roberto Castelli, c'è infatti quella di rivoltare come un guanto la nostra giustizia minorile, certamente non priva di difetti ma preoccupata in primo luogo di capire le ragioni di chi ha sbagliato e di considerare il carcere come l'ultima spiaggia, quando gli altri tentativi di recupero sono falliti. È quello che d'altra parte succede in tutto il mondo occidentale, che prescrivono i trattati internazionali e che è scritto nella nostra Costituzione. Ma viene rifiutato da chi ha preso spunto da terribili casi di cronaca come quello di Erika e Omar, o delle tre ragazze di Chiavenna che avevano assassinato senza ragione una suora, per esigere il pugno duro.

Una spinta in questo senso arriva dai molti episodi di microcriminalità di cui spesso sono protagonisti i ragazzi immigrati, oggi gli ospiti più frequenti delle carceri minorili. Ma, come sostiene uno dei maggiori esperti italiani di giustizia dei minori, Carlo Alfredo Moro, «con simili provvedimenti si può ottenere solo di calmare le paure degli adulti. Una controriforma come questa a tutto serve meno che a curare le ragioni del disagio». In una prima stesura era stato addirittura previsto che l'imputabilità dei ragazzi venisse abbassata, dai 14 anni di oggi, a 12: quasi il sogno di un ritorno alle ottocentesche case di correzione, con i piccoli galeotti in tuta a righe, che si portano i giocattoli nelle celle. Per adesso questa norma non c'è, ma solo perché è stata rinviata alla futura riforma del codice penale. In compenso, però, si cerca in ogni modo di rendere la giustizia minorile il più possibile simile a quella degli adulti. Per cominciare, si diminuiscono i giudici non togati, cioè gli psicologi, sociologi ed esperti vari, che finora affiancavano i magistrati in questi tribunali. «Vengono considerati i portatori di una cultura perdonista, ma in realtà, con le loro competenze, sono utilissimi per mettere a fuoco la personalità dei ragazzi, per capire cosa è più utile per recuperarli», sostiene Giulia De Marco, presidente del tribunale dei minori di Torino.
Ma non è il recupero che sembra stare a cuore al progetto Castelli, che infatti non ne accenna nemmeno. Tutta l'attenzione è concentrata sull'indurimento delle pene, soprattutto per la fascia di età che va dai 16 ai 18 anni. Per loro la riduzione delle pene non sarà più automaticamente di un terzo, come per i ragazzi più piccoli, ma solo di un quarto. Per i reati più gravi, poi, non sarà più possibile la cosiddetta "messa alla prova", cioè la sospensione della pena in cambio della partecipazione a un progetto di riabilitazione. Secondo Carlo Alfredo Moro, è una delle tante testimonianze dell'incapacità di capire che cos'è un minore. Per fare un esempio concreto, se passerà la riforma sarà escluso dalla messa alla prova il ragazzo di Campobasso che nelle settimane scorse, per difendere la mamma, ha accoltellato il padre ubriaco, condannato a sua volta per aver ucciso a bastonate la nonna. Mentre ci sarebbero speranze più che fondate di poter trasformare un ragazzino travolto dalla violenza in un adulto responsabile.
Nella stessa logica la riforma Castelli stabilisce che, al contrario di quel che succede oggi, chi compie i 18 anni mentre si svolgono i processi può essere spedito a scontare la pena in una prigione per adulti: con l'ovvio risultato di spingerlo nelle braccia della malavita organizzata. E intanto i termini della custodia cautelare si allungano, e si introduce anche per i minorenni l'ipotesi del "pericolo di fuga", alla faccia del garantismo sbandierato instancabilmente quando si tratta di Tangentopoli e dintorni.

Ma il pugno duro non riguarda solo i reati più gravi. Dato che negli ultimi tempi anche i giovanissimi sono tornati in piazza, ecco una norma che dà licenza alla polizia di arrestarli «per resistenza a pubblico ufficiale» durante le manifestazioni, mentre finora, salvo casi gravissimi, era necessario un provvedimento del giudice minorile.

«Leggere queste norme e soprattutto la relazione che le accompagna, con la sua ossessiva insistenza sull'idea di "allarme sociale", mi ha terrorizzato», ha detto Anna Finocchiaro, una delle esperte diessine in materia di giustizia, a un convegno organizzato dal partito di Fassino per chiamare a raccolta il mondo dei giudici e degli operatori sociali, in maggioranza contrari a questi cambiamenti.Per la vicepresidente dell'associazione giudici minorili Vittoria Randazzo «questa è la cancellazione di 70 anni di cultura minorile». E Carlo Alfredo Moro ha parlato di una «giustizia da salotto televisivo» (Maurizio Costanzo aveva dedicato alla riforma un'infuocata trasmissione con ovazioni da stadio). Intanto un'idea arriva da Gaetano Pecorella, l'avvocato forzista che sarà il relatore della riforma alla Camera. «Le sentenze troppo miti indignano la nostra opinione pubblica», sostiene. Ma aggiunge che, sull'esempio di altri ordinamenti, si potrebbero stabilire pene basse, salvo verificare al momento della scarcerazione se il colpevole si è emendato. E se non viene giudicato tale? L'opinione pubblica può stare tranquilla. La pena potrà essere ripetuta fino alla verifica successiva, anche per la durata di una vita intera.

 

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