Luigi Cancrini

 

Per i minori che sparano la scuola più utile del carcere

di Luigi Cancrini (Psichiatra)

 

Il Messaggero, 21 giugno 2003

 

Uccise un coetaneo che era stato suo amico. Lo uccise, nei fatti, perché non se la sentiva di farsi ammazzare lui. Il dolore fu enorme, tuttavia, e si rifugiò nella droga. Riemergendone, con una forma di lucidità dolorosa, dopo diversi anni. Senza che nessuno, mai, lo avesse accusato di nulla. Tutti i suoi delitti, infatti, erano stati ben coperti dalla forza dell'organizzazione che glieli aveva commissionati.
I figli delle famiglie mafiose o camorriste che entrano nell'impresa dei loro padri, zii o nonni, sono stati oggetto di molti studi e di molte riflessioni da quando il fenomeno dei pentiti ha permesso di aprire spazi di incontro e di conoscenza con i membri più accessibili di tali famiglie. La diffidenza cocciuta e disarmante nei confronti delle istituzioni, di tutte le istituzioni, si presenta regolarmente come l'elemento fondante della loro formazione criminale. I valori della famiglia contro quelli delle istituzioni, la solidarietà fra quelli che sono legati da vincoli di sangue, la competizione fra famiglie vissuta su uno scenario di guerra per la vita. Sullo sfondo una convinzione che qualcuno potrebbe considerare come una forma di "evoluzionismo sociale" per cui quello che sopravvive è soltanto il più forte. Con il profilarsi, recente, di aggregazioni sempre più laiche legate alla vicinanza di età e di interessi prima e più che ai vincoli di parentela. Di gruppi, bande o gang: che si organizzano, spesso, fin dall'adolescenza. Il grande sconfitto, in queste situazioni, è lo Stato ma la grande sconfitta è soprattutto la scuola. Promettere maturità e crescita personale a bambini che crescono in una cultura caratterizzata dalla violenza della competizione e dal mito del denaro significa mettersi da subito in una condizione di debolezza. Utile finché insegna a leggere, scrivere e far di conto, la scuola non serve o serve a poco un po' più tardi quando propone forme più sofisticate di offerta culturale. Sono sempre i più fragili quelli che pensano di essere i più forti e sono proprio quelli che si credono forti i primi a cedere: cercando forme illusorie di realizzazione immediata nei comportamenti con cui si fanno rapidamente dei soldi. Ho sempre pensato che uno Stato moderno e civile dovrebbe (potrebbe) intervenire con un grande dispiego di forze in situazioni di questo tipo. Non utilizzando i carabinieri, però, ma un vero e proprio esercito di educatori, di assistenti sociali e di insegnanti. Cercando e riprendendo casa per casa, con l'aiuto eventuale anche dei carabinieri, tutti i preadolescenti e gli adolescenti che non vanno a scuola e tutti quelli che ci vanno poco o male. Come a volte sporadicamente si è fatto, per esempio a Napoli o a Palermo, ad opera di volontari intelligenti. Come abitualmente, purtroppo, non si fa: per ragioni, ipocrite, di bilancio.
Nella prevenzione della criminalità, come nella prevenzione dei tumori, la verità vera è un'altra. Azioni di questo tipo permetterebbero risparmi enormi, nel tempo, a chi decidesse di metterle in opera. Di ordine economico e, soprattutto, morale. Anche se nessuno sembra in grado di accorgersene ai livelli che contano: quelli in cui si prendono decisioni relative alla distribuzione delle risorse. Dove sembra ancora oggi impossibile pensare che i lavori socialmente utili dovrebbero essere questi, non quelli più o meno fittizi dietro cui si è più volte tentato di nascondere la disoccupazione giovanile.

 

 

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