Articolo di Marco Bouchard

  

Minori e carcere, gli anni in tasca, di Marco Bouchard

 

Narcomafie, febbraio 2003

 

Tra la metà degli anni 80 e la metà degli armi 90 è stato registrato in tutto il mondo un trend clamorosamente negativo nel numero dei reati commessi da minorenni: in Italia le denunce sono passate da 20.000 circa nel 1986 a 45.000 circa nel 1991; negli Stati Uniti tra il 1984 e il 1993 la percentuale degli omicidi commessi da ragazzi tra i 14 e i 17 armi è aumentata del 169 %.

Non è facile comprendere se sia stata questa tendenza a modificare i sistemi normativi o, al contrario, se siano stati questi ultimi e gli apparati di controllo del crimine a provocare una lievitazione così consistente dell’illecito minorile. Resta il fatto che sono cambiati profondamente il clima e la considerazione che caratterizzano le risposte sociali e istituzionali al reato del minorenne, al punto da dover segnalare un vero e proprio spostamento nel modo di essere della giustizia minorile.

Molti indicatori (le norme, le prassi, gli orientamenti culturali) hanno rivelato una sorta di passaggio epocale nell’interesse da privilegiare: da quello della personalità del minorenne al reato da questi commesso. Questa ipotesi può essere verificata alla luce degli intendimenti che gli Stati occidentali esprimono nelle loro elaborazioni ufficiali circa le misure necessarie o auspicabili per affrontare l’attuale delinquenza minorile. Al riguardo è estremamente interessante la lettura sinottica delle proposizioni espresse dai governi di Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti d’America.

La prima osservazione concerne il "respiro" dei progetti: mentre quello americano e quello inglese si prefiggono un’ampia opera di revisione della normativa, il governo francese, al contrario, ritiene decisamente più importante una vasta iniziativa culturale e "strumentale", giudicando più che adeguata la legislazione vigente. Il governo italiano sembra sostanzialmente non esprimersi sul prossimo futuro della delinquenza minorile del Paese, a vantaggio di una proposta segnata dall’esigenza di una riforma interna all’apparato della giustizia minorile e dotata, pertanto, di una discreta carica autoreferenziale.

 

Tolleranza zero made in U.S.A.

 

L’unico elemento comune a questi progetti è la preoccupazione verso la rilevante recidiva di un numero limitato di minori, che commettono delitti di una certa gravità. L’analisi italiana, a questo proposito, punta essenzialmente sui flussi negli istituti penali minorili; per gli americani il fatto che una piccola percentuale di giovani sia responsabile della maggior parte dei delitti violenti commessi è una delle quattro ragioni alla base del citato progetto di legge. Gli inglesi, affidandosi alle statistiche, osservano che il 3% dei minori autori di reato sono responsabili del 26% dei reati accertati mentre i francesi sottolineano l’intreccio tra una crescente gravità dei reati e lo stagliarsi di una delinquenza minorile da "esclusione".

Il progetto statunitense, ad essere precisi, non fa mostra di grandi novità concettuali ma insiste lungo un percorso di irrigidimento nel trattamento della delinquenza minorile che, si sostiene, sembra aver dato qualche frutto positivo negli ultimissimi anni: le misure preventive considerate più efficaci sono il coprifuoco, la lotta alle assenze ingiustificate da scuola e i programmi per la "tolleranza-zero" quanto a droghe, armi, tabacco e alcol.

 

Punizioni da adulti

 

Sono trascorsi tredici anni dalla formulazione delle Regole di Pechino e undici dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla delinquenza minorile, eppure sembra un secolo: laddove gli obiettivi prioritari della giustizia penale minorile erano la tutela del minorenne e la proporzione della sanzione al reato e al suo autore (art. 5 delle Regole di Pechino), l’educazione e l’inserimento sociale del minorenne con soppressione tendenziale della sua carcerazione (premessa della Raccomandazione), oggi, eccetto il caso francese, non è più rilevabile una specificità della giustizia minorile.

Il messaggio americano per combattere la partecipazione alle bande criminali è chiaro: punizione rapida e certa e, soprattutto, deve essere data l’autorità ai Procuratori federali di procedere contro i giovani violenti come se si trattasse di adulti. Mentre oggi i minorenni sottoposti a un procedimento penale davanti al giudice ordinario sono sempre accusati di reati gravissimi, per il futuro il progetto di legge Antigang and Youth Violence Act del 1997 prevede una espansione della deroga al foro speciale per delitti caratterizzati da violenza fisica, per quelli commessi con l’uso delle armi o in violazione della normativa sugli stupefacenti.

Più netta rispetto al passato la scelta del governo inglese. Il Ministro dell’Interno, Jack Straw, afferma senza mezzi termini che la cultura indulgenziale del passato verso il reato minorile è stata ed è all’origine della rovina di molti giovani e delle loro famiglie. La tesi dell’episodicità del reato minorile, quasi si trattasse di un atto connaturato all’evoluzione dell’adolescenza, viene contestata proprio alla luce dei guasti che l’applicazione di quella teoria avrebbe provocato tra i giovani recidivi, i persistent offenders.

"Le preoccupazioni per il benessere del giovane sono state viste troppo spesso in conflitto con gli scopi della protezione generale, della punizione del colpevole e della prevenzione del crimine". Questa confusione ha generato - secondo il governo inglese - una crescente sfiducia verso la giustizia minorile che deve ritrovare credibilità proteggendo i minori innanzitutto da se stessi.

In Italia, le uniche novità riguardano l’uso della carcerazione per i giovani delinquenti legati alla criminalità organizzata del Sud e per gli stranieri autori di delitti connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti nel Nord Italia. Il suggerimento avanzato è di favorire la trasmigrazione negli istituti penali per adulti di chi medio tempore diviene maggiorenne. In definitiva, si cerca di governare meglio l’apparato penitenziario - custodiale minorile creando un’utenza più omogenea, sfrondata dalle presenze destabilizzanti di giovani italiani o stranieri che hanno eventualmente alle spalle trascorsi di carcerazione tra gli adulti.

Quanto alla Francia le strategie e gli obiettivi della giustizia minorile rimangono fissati dall’ordinanza del 2 febbraio del 1945. Non si cercano semplificazioni normative o trasformazioni radicali: si accetta la complessità dell’opera di prevenzione che non può essere limitata alla sola giustizia minorile. Ma poiché l’atto delinquenziale del minorenne viene inteso come rappresentazione di un difetto di socializzazione, l’idea-forza è di responsabilizzare - grazie alle forze dell’ordine, in particolare le Brigades des mineurs - il giovane anche negli atti più precoci e meno offensivi tenuto conto che la legge consente la procedibilità anche nei confronti del minore di tredici anni e maggiore di sette.

 

Doli incapax

 

La valorizzazione del principio di responsabilità non può non condurre a un riesame della capacità penale. In Francia, non vengono proposti cambiamenti normativi comprensibilmente perché la capacità di essere sottoposti a un procedimento penale è fissata a sette anni. Ma una delle tesi della relazione interministeriale Lazerges - Balduyck esprime la necessità di una informazione dei principi dell’ordinanza del 1945 fin dai primi anni della scuola elementare, anche in opposizione a una interpretazione piuttosto diffusa di quel testo che proclama la totale irresponsabilità penale sotto i tredici anni.

Se negli anni 50 e 60 la procedibilità nei confronti del minore di tredici anni era stata utilizzata soprattutto per adottare misure di tipo rieducativo, negli anni successivi si è preferito intervenire limitando l’autorità parentale. Oggi, invece, si vuole rivalutare la soggettività processuale del minore di tredici anni quanto meno allo scopo di non perdere occasioni significative per la sua responsabilizzazione.

Mentre in Italia la proposta di un abbassamento della soglia dell’imputabilità penale non ha ancora padrini autorevoli è in Inghilterra che si coglie un profondo ripensamento. Il progetto inglese affossa il concetto stesso di presunzione di non imputabilità (doli incapax, come la definiscono gli stessi inglesi) per gli autori di reato maggiori di dieci anni e minori di quattordici, l’abolizione della presumption of doli incapax è ritenuta necessaria per rimuovere le difficoltà pratiche di prova che incontrano sia i pubblici ministeri che i giudici, difficilmente superabili da una mera inversione della ricordata presunzione.

 

Sui padri le colpe dei figli

 

Non c’è dubbio che negli ultimi tre - quattro anni i mezzi di comunicazione hanno dato ampio risalto ad alcuni gravissimi episodi nei quali degli adolescenti, bambini in alcuni casi, si sono resi protagonisti di delitti orrendi anche verso coetanei. Nel tentativo di trovare soluzioni che potessero perlomeno avere un effetto esorcizzante molti Stati hanno rispolverato l’istituto "civilistico" della responsabilità dei genitori, con ambigue evocazioni di una colpa penale per difetto di educazione.

La stampa italiana ha dato risalto alla proposta francese di "far pagare ai genitori le colpe dei figli". La tesi è semplice: gli atti illeciti dei minori, soprattutto quando sono ripetuti, derivano da un difetto di socializzazione e quindi occorre che i genitori vengano sollecitati quale riferimento essenziale nell’interiorizzazione dei modelli e delle regole.

In questo contesto, a favore dei minori, si collocano precise responsabilità per le figure genitoriali obbligo scolastico, assistenza morale e materiale - talmente importanti da ricevere un’ovvia protezione penale. La proposta non consiste in una responsabilità penale dei genitori, ma in un invito a un corretto svolgimento delle loro funzioni educative e a verificare se da parte dei genitori in difficoltà non vi sia, all’origine di comportamenti illeciti del figlio, anche un uso non conforme all’interesse del minore degli aiuti materiali e dei sussidi economici ricevuti dagli enti pubblici.

Il passaggio verso una responsabilità penale dei genitori per l’irregolare comportamento del figlio è invece abbozzato nella misura prevista dal Crime and Disorder Bill. Anche in questo caso le preoccupazioni inglesi si fondano sul fatto che il 42% dei giovani che hanno avuto una scarsa o approssimativa sorveglianza da parte dei genitori è destinato a commettere reati (per contro commette reati solo il 20% di coloro che hanno avuto una buona presenza genitoriale).

Nel progetto di legge inglese viene disegnata una nuova misura penale - il parenting order - concepita per colpire i genitori dei minori carcerati o raggiunti da provvedimenti meno gravi, dei minori che si sono segnalati per una condotta irregolare e, in particolare, che evadono l’obbligo scolastico.

 

Coprifuoco sotto i 10 anni

 

Mentre il progetto italiano si limita a prefigurare una implementazione della mediazione penale e della sperimentazione sui lavori socialmente utili senza, però, approfondirne la natura, nel panorama internazionale stanno diffondendosi delle misure connotate essenzialmente dalla necessità di restituire peso a istanze di difesa sociale.

Il dato comune è una rivalutazione del momento di primo contatto del giovane con le forze dell’ordine (arresto, denuncia a piede libero, identificazione). Nella relazione Lazerges - Baduyck si sottolinea la funzione strategica della polizia nel controllo della delinquenza minorile e l’importanza di rispettare il principio del "trattamento in tempo reale" del reato. Anche nei Paesi anglossassoni il ruolo decisivo della polizia è stato ampiamente rafforzato dalle esigenze repressive dell’abuso tra i giovanissimi di droghe, tabacco, alcol e armi.

Ma, mentre il progetto francese, coerentemente alle premesse, fa leva sugli strumenti che, prima o dopo l’atto penalmente rilevante, possano favorire il recupero del legame sociale (la mediazione e la politica del lavoro - giovane come rafforzamento delle relazioni umane), gli inglesi e gli americani hanno letteralmente scoperto il coprifuoco come arma di controllo a tappeto delle condotte irregolari: divieto di accedere in determinate aree, in certe ore della sera e della notte e per un periodo limitato di tempo.

Contemplato dalle leggi nazionali (che fissano alcuni requisiti minimi) e disposto dalle autorità locali (amministrative e di polizia), il coprifuoco è rivolto soprattutto a chi ha meno di dieci anni, e non è accompagnato da un adulto responsabile. A prescindere dalle valutazioni sull’efficacia della misura - le statistiche sono interpretate in modo contraddittorio - non ci vuol molto a sospettare della sua legittimità proprio perché non si tratta di una misura ad personam bensì di un atto destinato a un numero indeterminato di minori.

I tribunali americani hanno rilevato - con una frequenza pari all’inusitata diffusione della misura - eccessi di potere, rispetto all’atto normativo, superiore e hanno accolto i ricorsi che censuravano l’illegittima compressione dell’autorità parentale. Possiamo anche sorridere o inorridire di fronte a queste soluzioni, ma esse rappresentano una naturale - per quanto contorta - evoluzione di misure limitative della libertà individuale, che prescindono dal presidio dell’autorità giudiziaria se non in sede di controllo successivo e che attribuiscono alle amministrazioni locali poteri diretti nel governo della risposta penale.

 

Il carcere che fa bene

 

Anche in relazione alla risposta carceraria la tendenza americana è di trasmettere gli atti al giudice ordinario tutte le volte che il delitto commesso dal minorenne rivesta una certa gravità; si finisce così per colpire il crimine minorile con maggior durezza, sia per mezzo della custodia cautelare sia per mezzo della pena definitiva. In Inghilterra, il Crime and Disorder Bill lamenta che attualmente i destinatari della custodia preventiva possano essere solo i maggiori di 15 - 16 anni e che sia troppo arbitraria l’applicazione della misura presso veri e propri istituti penitenziari: si prospetta così la custodia cautelare per i maggiori di dieci anni anche se eseguita presso sedi locali e nel rispetto delle esigenze educative del minore.

La pena viene divisa in due parti: all’inizio dietro le sbarre e poi all’esterno sotto forma di accompagnamento costante. Anche in questo caso i punibili sono i maggiori di dieci anni e i minori di diciassette, per un periodo minimo di quattro mesi e uno massimo di due anni. Senza molti fronzoli la missione francese definisce il carcere minorile un fallimento necessario. Tre giovanissimi su quattro che escono di prigione commettono un altro reato nei successivi cinque anni. Le cifre sulle presenze carcerarie non differiscono molto da quelle italiane (650 presenze contro le nostre 475 nel 1997) ma, a differenza del Progetto 98, presentato dall’Ufficio centrale per la Giustizia minorile, i relatori francesi sottolineano innanzitutto l’esigenza di una rivalutazione del contenuto della sanzione privativa della libertà.

Il carcere non fa bene, ma sono le condizioni dell’incarcerazione (non l’incarcerazione in sé e per sé) a essere criminogene. La proposta ruota intorno alla necessità di non gettare la popolazione ultradiciottenne in pasto al contesto carcerario degli adulti quasi si trattasse di giovani irrecuperabili. Al contrario, occorre creare case circondariali "di quartiere" per 20 - 25 detenuti tra i 18 e i 21 anni in semilibertà. A favore dei minori in particolare il contenuto della detenzione verrebbe caratterizzato da un programma a carattere obbligatorio, di breve durata (in linea con la brevità delle detenzioni dei minorenni) che preveda l’uscita fin dal primo momento dell’ingresso del giovane. Al contrario, il Progetto 98 ripresenta l’idea dei centri polifunzionali caratterizzati da moduli interscambiabili, a seconda che il giovane sia condannato o sottoposto a procedimento penale: moduli che contemplano tutta la gamma delle limitazioni della libertà che il nostro codice consente in danno di un minorenne.

 

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