Inserimento lavorativo dei detenuti

 

L'inserimento lavorativo per detenuti ed ex detenuti:
osservazioni, strumenti, percorsi

di Licia Rita Roselli, Direttrice AgeSoL

 

Il decentramento del mercato del lavoro

Il ruolo dei servizi pubblici per l’impiego e gli altri soggetti coinvolti

I Protocolli d’Intesa tra Regioni e Ministero della Giustizia

I percorsi per l’inserimento lavorativo

Opportunità per i detenuti ed ex detenuti per accedere al mondo del lavoro

Il decentramento del mercato del lavoro

 

Alcune funzioni sono mantenute in capo al Ministero del Lavoro ma l’insieme delle funzioni relative alle politiche del lavoro diviene di competenza di Regioni e Province. Ogni regione ha declinato, con propria legge regionale i contenuti del Decreto 469, formulando la sua organizzazione al fine di definire le modalità di funzionamento dei servizi per l’impiego (superando gli Uffici di collocamento) integrati con le iniziative di politica attiva del lavoro e con quelle della formazione professionale. Purtroppo anche a livello regionale le leggi che riguardano questi ambiti talvolta sono inattuate oppure senza copertura finanziaria, il panorama ovviamente varia tra regione e regione.

 

Le Regioni, costituiscono le Commissioni Regionali per le politiche del lavoro – organismi, con rappresentanza paritetica delle parti sociali, di concertazione, proposta, progettazione e verifica delle linee programmatiche per le politiche del lavoro locali – ed i Comitati Istituzionali di coordinamento fra le Province ricomprese nell’ambito regionale – organismi finalizzati a rendere effettiva l’integrazione locale fra l’erogazione dei servizi all’impiego, le politiche del lavoro e quelle formative. Le Regioni istituiscono anche apposite Agenzie con personalità giuridica autonoma, con compiti di assistenza tecnica alle strutture regionali e provinciali, e possibilità di erogazione di servizi a terzi, anche a titolo oneroso.

 

Le Province hanno il compito di definire la rete dei Centri per l’Impiego (in bacini costituiti mediamente da 100.000 abitanti) al fine di erogare, loro tramite, tutti i servizi volti al collocamento (Ordinario, Agricolo, Domiciliare, Domestico, dello Spettacolo, Obbligatorio per i disabili ed Avviamento agli Enti Pubblici) ed ai servizi connessi: informazione, orientamento, preselezione, incontro domanda/offerta.

La maggior parte delle regioni ha conferito alle Province anche l’erogazione e gestione dei servizi riguardo le politiche attive del lavoro. È fra queste che si rilevano misure rivolte a cittadini in difficoltà occupazionale o appartenenti a fasce deboli, fra i quali vanno annoverati i soggetti detenuti ed ex detenuti.

Ruolo fondamentale riveste la formazione, sia specifica che ricorrente che continua, nonché la possibilità di proporre e sperimentare strumenti propedeutici all’impiego, quali stages, tirocini, (vedi L. 196/97, cosiddetto "pacchetto Treu" art. 18 e il relativo Decreto attuativo n. 142/98 che regolamenta i tirocini formativi e di orientamento) nonché i percorsi individualizzati e mirati, frutto delle esperienze più avanzate in taluni ambiti regionali.

Il terzo settore, ed in particolare il sistema delle imprese sociali, così come normato dalla L. 381/91, recentemente integrata dalla Legge 193/00 (cosiddetta "Legge Smuraglia") può giocare un interessante ruolo nella realizzazione di politiche attive per l’integrazione degli svantaggiati. Un contesto produttivo, rafforzato da forti vincoli solidali, può facilitare l’accesso all’impiego di coloro che ne sono stati esclusi. L’abbattimento degli oneri sociali previsto dapprima per le cooperative sociali che hanno alle proprie dipendenze lavoratori detenuti e condannati, recentemente esteso anche a favore degli altri datori di lavoro pubblici e privati, costituisce un interessante incentivo all’occupazione e ne va prevista una accurata conoscenza e promozione.

La Legge Smuraglia, con i recenti decreti attuativi, suggerita e voluta proprio dagli operatori del settore, apre nuovi spiragli e prospettive.

 

Il ruolo dei servizi pubblici per l’impiego e gli altri soggetti coinvolti

 

Fra le innovazioni introdotte dal D. L.vo 469/97 (Art. 10) ed in conseguenza del recepimento delle indicazioni dell’Unione Europea, si è concluso il monopolio della gestione esclusivamente pubblica del cosiddetto "collocamento". Anche soggetti privati, debitamente qualificati, attrezzati ed autorizzati dal Ministero del Lavoro, possono svolgere attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro.

L’apertura al "privato" non deve tuttavia disconoscere un ruolo essenziale che resta in capo ai Servizi pubblici territoriali per l’impiego. Le più tradizionali prassi amministrative stanno sempre più cedendo il passo ad azioni d’informazione, promozione, sostegno, orientamento, riqualificazione, rimotivazione e sviluppo della professionalità dei soggetti, accanto alla gestione di agevolazione ed incentivi alle imprese, nonché di misure per il sostegno e l’avvio del lavoro autonomo o per lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali.

In questo quadro però è fondamentale attivare sinergie fra risposte pubbliche e private. Infatti in molti contesti locali sono presenti iniziative, sperimentazioni e buone prassi avviate da operatori o strutture territoriali, sia afferenti ai Servizi Sociali Comunali, o alle ASL, sia al Terzo Settore, e costituiscono un patrimonio di esperienze da conoscere e valorizzare, e soprattutto da incentivare la creazione di reti integrate territoriali, fra pubblico e privato e tra privato e privato, che lavorino insieme per portare a compimento percorsi che accompagnano fino alla piena integrazione lavorativa e sociale il soggetto svantaggiato.

Le intuizioni dei soggetti afferenti al Terzo Settore e al Privato Sociale, spesso più sensibili a determinate istanze dell’area dello svantaggio e più agili sul territorio, possono costruttivamente connettersi ai compiti ed alle funzioni delle strutture pubbliche preposte all’impiego, ma è essenziale che si costruisca una relazione armonica e paritaria, rispettosa delle reciprocità, non cristallizzata ma sinergica, capace di progettare risposte innovative grazie al portato specifico dei differenti attori, in grado di modulare le attività in relazione ad un attenta analisi dei bisogni e delle opportunità.

 

I Protocolli d’Intesa tra Regioni e Ministero della Giustizia

 

Molte Regioni hanno siglato protocolli d’intesa con il Ministero della Giustizia, i testi e i contenuti sono molto diversi e comprendono tutti i temi che riguardano il carcere, tra cui anche il lavoro e la formazione professionale, c’è da segnalare che pur essendo in presenza di Protocolli di alto contenuto (a questo scopo cito ad esempio il Protocollo d’Intesa siglato tra Regione Lombardia e Ministero della Giustizia a febbraio 99) bisogna vigilare affinché gli stessi siano resi funzionanti nei fatti e che i due contraenti facciano seguito con atti concreti a quanto sottoscritto, questo ruolo di stimolo e controllo può essere svolto egregiamente dal Privato Sociale, che opera nel settore, ma anche dagli Enti Locali.

 

I percorsi per l’inserimento lavorativo

 

Per tutelare il diritto al lavoro dei detenuti è necessario il concorso di tante figure professionali, che devono lavorare insieme, per non lasciare il percorso a metà. Infatti, il detenuto da solo, se non dotato di grandi risorse (sociali, familiari, economiche) è molto difficile che riesca a concludere il tragitto di reinserimento. Quindi vanno date in primo luogo risposte integrate e coordinate tra tutti gli operatori del privato e del pubblico, sia del Ministero della Giustizia sia degli Enti Locali, e questa è una delle sfide che, quando riesce, è dovuta spesso alla volontà e ai buoni rapporti tra operatori. Non è possibile pensare a prassi standardizzate, ogni percorso deve essere creato ad hoc per ogni persona, con il necessario coinvolgimento armonico degli attori coinvolti, nel rispetto delle procedure burocratiche e delle regole che ogni servizio si è dato.

 

Prima di progettare un reinserimento al lavoro di un detenuto od ex detenuto al lavoro c’è bisogno che siano soddisfatti dei prerequisiti: ad esempio, l’iscrizione alle liste di collocamento. La legge 56/87 afferma che tutti i detenuti possono essere iscritti in carcere alle liste di collocamento. Molti istituti si sono organizzati: chi con l’educatore, chi con l’ufficio matricola. Sarebbe utile, con la supervisione del Provveditorato Regionale, fare in ogni regione una ricognizione per conoscere se tutti gli istituti eseguono queste procedure previste per legge, e col tempo armonizzare gli iter burocratici, visto che a causa del sovraffollamento carcerario siamo in presenza di una forte mobilità di detenuti nella stessa regione e tra regione e regione.

Il passo successivo è pubblicizzare l’iscrizione al collocamento, altrimenti solo pochi detenuti sono a conoscenza di questo diritto e di questa opportunità, giustappunto quelli che hanno già più risorse, perché si sono messi in contatto con volontari, hanno letto dispense ecc.

La maturazione di due anni d’anzianità di iscrizione alle liste è utile affinché un’azienda che vuole assumere un detenuto possa accedere a sgravi fiscali, previsti per i disoccupati di lunga durata. Ulteriore problema è l’iscrizione alle liste del Collocamento Obbligatorio per le persone disabili: ad esempio la Provincia di Milano, investita del problema dal privato sociale, ha predisposto una circolare agli Istituti con le procedure.

Inoltre, per iscrivere le persone alle liste occorrono molti documenti. A Milano (Istituti di S. Vittore e Opera) funzionano gli sportelli anagrafici del Comune, tutte le amministrazioni locali dovrebbero se sono sedi di carcere fornire questo servizio ai loro cittadini reclusi. Stesso discorso vale per tutte le pratiche pensionistiche, bisognerebbe predisporre nelle carceri uno sportello dei Patronati.

L’importante è che negli istituti, con la regia dei Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria, si arrivi con gradualità a garantire queste funzioni, gestiti dagli Enti Locali o da strutture convenzionate, così da offrire a tutti i detenuti diritti fondamentali, come per tutti gli altri cittadini, cercando di fare in modo che l’erogazione di servizi primari sia garantita su tutto il territorio nazionale.

 

Soddisfatti i prerequisiti, comincia il cammino di progettazione di un percorso verso il lavoro. Il lavoro è fondamentale come mezzo di risocializzazione, oltre che come fonte di sostegno lecito, rappresenta un forte punto di partenza per un detenuto od ex-detenuto, che laddove fallisce nella ricerca viene a trovarsi nella condizione di commettere nuovi reati.

La cultura al lavoro è leva fondamentale per la riabilitazione di persone detenute, e va sostenuta con iniziative a diversi livelli: in primo luogo fornendo informazioni, quindi coinvolgendolo nella riprogettazione del sé in un’ottica della legalità, inserendo via via nel processo tutti gli operatori che possono accompagnare la persona nelle varie tappe. Queste tappe possono essere poche o molte, secondo i bisogni del soggetto, un alloggio, un sostegno alla persona e/o alla famiglia, i luoghi della socializzazione e dell’incontro.

 

Un progetto d’inserimento lavorativo vede quindi tante figure che si attivano: in primo luogo il detenuto stesso, poi gli operatori pubblici e del privato sociale, che intervengono secondo i problemi o i bisogni, in parallelo o in sequenza, l’importante è avere un punto di regia o di coordinamento degli interventi.

 

Lo stesso progetto può avere diversi punti di partenza, l’importante è avere ben chiaro l’obbiettivo. Un buon punto di partenza può essere la progettazione di un percorso formativo (dentro o fuori dal carcere), oppure il completamento di un percorso scolastico, tutto ciò tarato secondo i bisogni e i tempi di vita della persona. Purtroppo si deve anche progettare con l’incombenza di necessità urgenti (in prima istanza un mezzo lecito di mantenimento), allora il percorso deve tener conto di questi limiti e quindi già ha in sé delle possibilità di non piena riuscita oppure un carattere "provvisorio o tampone".

 

Oltre agli operatori pubblici e privati del reinserimento, portare al lavoro un detenuto o persona ristretta nella libertà implica un contatto ed anche vincoli con altri livelli Istituzionali, che vanno dagli Operatori Penitenziari, la Magistratura di Sorveglianza, gli organi preposti al Controllo e alla Sorveglianza, gli organi del Ministero del Lavoro (o da essi delegati). Infine i familiari e gli avvocati del soggetto.

Partendo dal presupposto che è difficile collocare al lavoro un ex detenuto, per i detenuti l’iter diventa quasi una corsa ad ostacoli, le procedure burocratiche e i ritardi amministrativi spesso vanificano tanti sforzi avviati per un inserimento lavorativo. Facciamo un appello alla Magistratura di Sorveglianza, perché trovi momenti di confronto valutativi con gli operatori che hanno in carico utenti, per progettare al meglio e in tempi rapidi percorsi possibili e adatti al soggetto. I tempi del mercato mal si adattano ai tempi di verifica della Magistratura che, per l’accesso o un diniego ad una misura alternativa al carcere, sono in media di sei mesi. Questo vuol dire per molti casi la riprogettazione continua di percorsi e soluzioni, che spesso diventa un viaggio in cui non s’intravede la fine.

 

In sintesi intorno al detenuto e all’obbiettivo lavoro gravitano limiti, urgenze, necessità e tante figure istituzionali o di riferimento sociale, che portano risorse od ostacoli secondo il grado di coinvolgimento. L’inserimento lavorativo di un detenuto comporta anche una gamma di strumenti, che sono in primo luogo legislativi e normativi, quindi procedurali. Gli strumenti e le norme sono al momento carenti sotto certi aspetti, perché sono frammentati e spesso mancanti di decreti attuativi oppure di sostegno economico.

 

Per incentivare questi percorsi, la nostra esperienza "sul campo"ci suggerisce alcune indicazioni di merito:

La sensibilizzazione delle imprese in circoli virtuosi emulativi, gli Enti Locali possono fare da esempio assumendo detenuti o ex detenuti, anche piccoli numeri nelle municipalizzate;

Allargare le reti di sostegno esistenti tra pubblico e privato, cercando di siglare protocolli di collaborazione, a partire dalle buone prassi già avviate ma non conosciute;

Ampliare l’utilizzo delle leggi esistenti, in primis la Legge Gozzini, che ha percentuali di successo pari al 99% ma concessa con parsimonia;

Sveltire l’iter burocratico delle procedure e aumentare gli organici del personale competente nel pubblico;

Attualizzare i parametri valutativi di una proposta di lavoro, pur senza mancare alle norme di sicurezza. La Magistratura di Sorveglianza e le Agenzie di controllo si attengono ancor oggi ad una visione di un mercato del lavoro da anni 70 (dove prevaleva il posto fisso a tempo indeterminato), le aziende da tempo utilizzano per gli inserimenti lavorativi tutti gli strumenti di flessibilità a disposizione (contratto part time, a tempo indeterminato, formazione lavoro, collaborazioni coordinate e continuative ecc.), quindi quando si presenta una richiesta di lavoro difficilmente è per l’ingresso a tempo pieno e indeterminato e di conseguenza ci si trova spesso con dei rigetti, pur in presenza di richieste da parte di aziende sane.

Capitolo dolente riguarda i detenuti stranieri, i quali difficilmente possono usufruire di misure alternative al carcere perché generalmente mancanti di reti familiari e di domicilio. Si parla tanto del fabbisogno delle aziende italiane di manodopera straniera, una proposta potrebbe essere la sperimentazione di un progetto che permetta a un campione ristretto di detenuti stranieri in Italia, che hanno partecipato a percorsi formativi in carcere e che hanno dimostrato un serio impegno di inserimento nella nostra società al fine di ottenere le misure alternative al carcere, di poter rimanere in Italia anche a fine pena, con costante verifica della loro condotta.

 

Alcune riflessioni sul lavoro all’interno degli istituti. La quasi totalità del lavoro negli istituti si svolge per cooperative sociali e per l’amministrazione penitenziaria. Per le aziende è poco competitivo portare un lavoro all’interno degli istituti. Rimangono solo le cooperative che sono alla continua ricerca di commesse e fanno molta fatica a sopravvivere, bisogna trovare il sistema per aiutarle, giacché si prendono l’incombenza di tenere e mantenere il lavoro all’interno degli istituti, c’è il rischio che progressivamente queste cooperative recedano dai loro propositi. Per aiutarle, ad esempio, l’amministrazione penitenziaria e gli Enti Locali possono affidare parte delle commesse di lavoro dato all’esterno a queste cooperative.

L’ultimo passaggio sui lavori svolti per l’Amministrazione Penitenziaria, sono spesso lavori di basso profilo, pagati mesi e mesi dopo, sono lavori per poche ore al giorno e i detenuti non afferrano o non conoscono i meccanismi che ne regolano l’assegnazione. Esistono per legge delle commissioni, formate anche da rappresentati della società civile, che valutano le liste e i criteri. Spesso nelle carceri queste commissioni non sono rinnovate o non sono nemmeno istituite, per fare un atto di trasparenza è necessaria l’informazione e bisogna far funzionare queste commissioni.

I nodi sollevati evidenziano che il problema dei diritti e del diritto al lavoro dei detenuti è estremamente complesso e quindi quello di cui abbiamo bisogno per svolgere il nostro impegno di reinserimento sociale e lavorativo: è di lavorare insieme.

Abbiamo bisogno di poter usufruire di norme e leggi da utilizzare in modo sequenziale ed armonico, mentre spesso ci troviamo ad avere strumenti mancanti o leggi che talvolta collidono o si sovrappongono, con il risultato sotto gli occhi di tutti di avere carceri sovraffollate di cittadini senza speranze e che i casi andati a buon fine sono numericamente sproporzionati all’impegno profuso.

Frequentemente le sperimentazioni di servizi di inserimento lavorativo di detenuti non sono conosciuti, nel senso che non ci si conosce anche sullo stesso territorio, ed è difficile avere rapporti tra territori ed esperienze diverse. La conoscenza è importante, sia per "sfruttare" le buone prassi avviate, sia per "fare rete" anche a livelli più ampi. La nostra esperienza ci conferma che è difficile e poco produttivo esportare modelli di servizi da altri territori così come sono stai concepiti, ognuno deve trovare la sua formula a partire dalla conoscenza e dalle esperienze lì già presenti e soprattutto dalle risorse disponibili, quindi mutuare strumenti, procedure e obiettivi.

Questo è il momento adatto per fare in modo che i territori si attivino per implementare attività di orientamento e di inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti, proprio per attuare le leggi esistenti di gestione decentrata del Collocamento, ogni Provincia dovrebbe garantire e finanziare questi servizi, decidendo modalità e procedure, se gestirle in proprio, se affidarlo al privato sociale, se in forma mista, anche con il coinvolgimento di altri Enti Pubblici (Comuni, ASL, Amministrazione Penitenziaria).

Opportunità per i detenuti ed ex detenuti per accedere al mondo del lavoro

 

 

Iscrizione alle liste di disoccupazione

 

 

Per accedere a qualsiasi tipo d’assunzione, è indispensabile essere iscritti alle liste di disoccupazione. I detenuti già iscritti alle liste prima della reclusione, devono consegnare alla Direzione il documento rilasciato dall’ufficio competente che attesta l’avvenuta iscrizione (ex tesserino rosa), la quale procurerà di segnalare lo stato di detenzione, affinché il detenuto non perda l’anzianità d’iscrizione.

 

Si ricorda che l’art. 19 della Legge 56/87 prevede che:

"2- I detenuti e gli internati hanno facoltà di iscriversi alle liste di collocamento, finché permane lo stato di detenzione e d’internamento sono esonerati dalla conferma dello stato di disoccupazione. Su richiesta del detenuto o dell’internato, la direzione dell’istituto penitenziario provvede a segnalare periodicamente lo stato di detenzione o d’internamento".

Per iscriversi i detenuti devono presentare richiesta all’operatore preposto dall’Istituto Penitenziario e occorre procurare i seguenti documenti:

libretto di lavoro, (da richiedere all’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza, o agli sportelli anagrafici nella Casa Circondariale di San Vittore e Opera);

stato di famiglia;

codice fiscale;

documento d’identità non scaduto;

eventuale titolo di studio ed attestati di qualificazione professionale.

Con il recente Decreto Legislativo 469/1997 le funzioni del collocamento, precedentemente esercitate dal Ministero del Lavoro attraverso gli uffici provinciali e circoscrizionali, sono conferiti alle Regioni ed alle Province, le quali devono esercitare anche nuove funzioni di politica attiva del lavoro, fra queste la collaborazione all’elaborazione di progetti relativi all’occupazione di soggetti tossicodipendenti ed ex detenuti.

La Regione Lombardia ha approvato la legge Regionale n. 1/99 che definisce le competenze dei nuovi poteri locali in materia di lavoro e di servizi per l’impiego. Entro il 1999 saranno attribuite concretamente queste funzioni alle Province.

Fra le politiche attive del lavoro (art. 10 L.R.1/99), sono previsti specifici interventi per sostenere diversi soggetti appartenenti a categorie deboli, fra i quali l’erogazione d’incentivi alle imprese per l’assunzione a tempo indeterminato di ex detenuti e detenuti ammessi al lavoro esterno e minorenni sottoposti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria.

Le iscrizioni alle liste di collocamento (ordinario ed obbligatorio) per la Provincia di Milano si fanno presso gli uffici di Viale Jenner, 24/A – Milano

 

Tirocini e Borse Lavoro in esterno

 

La Legge Regionale n.1/1986 (art. 79) prevede apposite risorse per favorire l’inserimento lavorativo "mirato" di cittadini svantaggiati, fra i quali i detenuti e gli ex detenuti. Le ASL e i Comuni hanno il compito di promuovere tutte le iniziative utili a realizzare progetti individualizzati di integrazione lavorativa. Gli strumenti che consentono di supportare ogni inserimento sono molteplici e possono essere modulati da parte dei Servizi Territoriali, secondo le specifiche situazioni della persona e dell’azienda.

Questi, che sono variamente denominati (SIL = Servizi per l’Integrazione Lavorativa; NIL = Nuclei per l’Inserimento Lavorativo; UOIL = Unità Operativa Integrazione Lavorativa; ecc.) in raccordo con gli Uffici Educatori degli Istituti Penitenziari e con il CSSA  Centro Servizio Sociale Adulti del Ministero di Grazia e Giustizia, si occupano dei contatti con le aziende esterne, progettando i singoli percorsi di inserimento e fornendo il necessario supporto alla persona ed all’impresa.

 

Gli strumenti che precedono e facilitano l’inserimento sono diversi:

il tirocinio formativo, si tratta di uno stage di breve durata (1 o 2 mesi) un rapido percorso formativo che consente di verificare "sul campo", cioè in un’impresa privata o in cooperativa, le competenze lavorative della persona e le capacità di adattamento alle regole della vita "esterna". Durante questo periodo non sono previsti corrispettivi economici di alcun tipo, solo le coperture assicurative.

il tirocinio lavorativo, può essere una seconda tappa, più avanzata, di un percorso di inserimento: consente di apprendere, in azienda o in cooperativa, competenze lavorative effettivamente spendibili e di verificare la "tenuta" nei contesti esterni. La durata è variabile, da un minimo di 1 mese ad un massimo di 12 mesi, durante il quale il Tirocinante percepisce un contributo economico (350/600 mila lire mensili) erogato dal Servizio, a carico del Fondo Regionale e dei Comuni.

la borsa lavoro, è finalizzata a costituire il rapporto di lavoro al termine del percorso di apprendimento e di formazione in azienda. Può durare da 3 a 12 mesi a seconda della complessità del profilo professionale e delle caratteristiche  personali della persona detenuta. Il Borsista riceve un contributo (500 / 800 mila lire mensili) sempre a carico della Regione  e del Servizio, che in molti casi sono anticipati dall’impresa.

L’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro facilita i contatti e avvia collaborazioni con i Servizi Territoriali e gli operatori del Ministero della Giustizia.

 


Attività lavorative all’esterno della struttura penitenziaria

 


Lavoro all’esterno Art. 21 O.P.: nel caso in cui il lavoro sia svolto presso imprese private, l’O.P. prevede esplicitamente che "il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della Direzione dell’Istituto a cui il detenuto o l’internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine del personale dipendente e del Servizio Sociale"(art. 21 O.P.).

Al lavoro esterno sono equiparati, i corsi di formazione professionale tenuti all’esterno del carcere. È data la possibilità di accedere a questo tipo di attività lavorativa a tutti i detenuti e gli internati, quindi anche a coloro che sono in attesa di giudizio, ma devono essere rispettate una serie di rigorose disposizioni che attengono: all’orario di uscita, al tragitto per recarsi sul luogo di lavoro, ai mezzi di trasporto usati per i trasferimenti, alla sede del lavoro, alla pausa per il pranzo e all’esatta individuazione del luogo dove consumare il pasto, nonché all’orario di rientro nell’istituto di Pena. Il programma di ammissione al lavoro esterno è redatto dal Direttore dell’Istituto ed approvato dal Magistrato di Sorveglianza.

 

 

Semilibertà: " consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dall’Istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale" (art. 48 O.P.).

Possono essere ammessi a questo regime:

chi è stato condannato alla pena dell’arresto e della reclusione non superiore a 6 mesi, se il condannato non è stato affidato  in prova ai Servizi Sociali;

la persona con pena detentiva non superiore a tre anni, se mancano i presupposti per la concessione dell’affidamento in prova ai Servizi Sociali;

il detenuto che abbia scontato almeno metà della pena.

Questo regime prevede una maggiore libertà di movimento rispetto all’ipotesi dell’art. 21 O.P., in quanto si considera unicamente il rispetto degli orari di uscita e di rientro negli Istituti, appositamente istituiti per ospitare i semiliberi, i quali possono così organizzare più autonomamente la propria giornata e i conseguenti spostamenti sul territorio.

 

 

Affidamento in prova ai Servizi Sociali: è questa la misura alternativa al carcere che consente al condannato di usufruire di maggior libertà, con l’unico vincolo di rientrare al domicilio entro un orario predeterminato.

L’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro si rende disponibile a fornire servizi, informazioni ed orientamento per facilitare l’avviamento al lavoro, rivolgendosi agli Sportelli operanti a San Vittore, Opera e Monza, e presso la propria sede.

Cooperative Sociali

 

 

La Legge 381/1991 regola la costituzione ed il funzionamento delle Cooperative Sociali, che possono essere di due tipi:

gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi

svolgono attività diverse: agricole, industriali, commerciali o di servizi, finalizzate all’inserimento di persone svantaggiate. Fra queste persone sono comprese condannati ammessi alle misure alternative.

Ogni Cooperativa Sociale deve essere costituita da almeno il 30% di lavoratori svantaggiati, oltre che da soci ordinari e da eventuali soci volontari. Per tutti i soci lavoratori svantaggiati la cooperativa sociale fruisce dello sgravio totale dei contributi previdenziali e assistenziali.

Le Cooperative Sociali possono ottenere l’affidamento, in convenzione, di commesse di lavoro da parte di Enti pubblici (es. : manutenzione del verde, pulizie, stampa e legatoria, catering, ecc.) senza partecipare a gare d’appalto, purché finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate, ed entro il limite delle norme comunitarie, che stabiliscono la soglia di 200.000 ECU EURO (circa 400 milioni).

Per i detenuti e le detenute che intendono dare corso ad una Cooperativa Sociale è necessario presentarsi da un Notaio (i costi sono abbastanza contenuti). I soci costituenti devono essere almeno 9, di cui il 30% appartenenti alle tipologie dello svantaggio.

Lavoro all’interno degli istituti

 

Secondo l’art. 19 della Legge 56/87:

"3- Lo stato di detenzione o di internamento non costituisce causa di decadenza dal diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria o speciale.

6- Quando il lavoro a domicilio si svolge all’interno degli istituti penitenziari, il datore di lavoro versa alla direzione dell’istituto medesimo le somme dovute al lavoratore al netto delle ritenute previste dalle leggi vigenti, dimostrando ad essa l’adempimento degli obblighi relativi alla tutela assicurativa, previdenziale ed infortunistica.

7- Per il lavoro a domicilio svolto all’interno dell’istituto penitenziario (lavoro "domestico"), si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della legge sull’Ordinamento Penitenziario in materia di svolgimento di attività artigianali, intellettuali o artistiche per proprio conto."

I detenuti che lavorano in carcere per ditte esterne o per l’Amministrazione Penitenziaria godono degli stessi diritti e doveri dei lavoratori "liberi", in caso di contenziosi con il datore di lavoro sono garantiti tutti i diritti costituzionali.

 

 

Lavoratori tossicodipendenti

 

 

I lavoratori indagati o imputati non possono essere licenziati. Secondo il DPR 309/1990, i lavoratori già assunti a tempo indeterminato o determinato,  di cui è accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali accedono ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) o di altre strutture terapeutiche-riabilitative e socio assistenziali, hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta al trattamento riabilitativo, per un periodo non superiore ai tre anni. L’assenza di lungo periodo per il trattamento terapeutico-riabilitativo è considerata, ai fini normativi, economici e previdenziali, come l’aspettativa senza assegni degli impiegati civili dello stato e situazioni equiparate.

 

 

Lavoratori stranieri

 

 

La Legge 40/98 che disciplina in modo complessivo tutta la materia dell’immigrazione non dispone di adeguata regolamentazione, per cui oggi è solo parzialmente applicabile.

Se il cittadino extracomunitario, in possesso di regolare permesso di soggiorno, si rende colpevole di un reato non ostativo al rinnovo del permesso stesso, dopo aver scontato la pena prevista, può restare in Italia e godere dei diritti di cittadinanza (e del diritto al lavoro). In caso, invece, di reato ostativo, la persona viene espulsa.

I benefici di cui possono godere i detenuti stranieri sono corrispondenti a quelli degli altri detenuti di nazionalità Italiana  (art. 21, O.P. semilibertà, affidamento ai Servizi Sociali) in quanto prevale lo status di "detenuto" rispetto a quello di "straniero", con le relative regole di riferimento.

La circolare del Ministero del Lavoro, 27/93, definisce che è rilasciato un apposito atto di avviamento al lavoro per i detenuti extracomunitari che abbiano un provvedimento per attività lavorativa esterna (prescindendo dall’iscrizione al collocamento e dal possesso del permesso di soggiorno).

 

 

Formazione professionale

 

 

Il periodo detentivo deve essere utilizzato per migliorare la professionalità, in tutti gli Istituti Lombardi si svolgono corsi professionali, promossi dalla Regione Lombardia e/o da Enti specializzati. Ogni detenuto può progettare il proprio tragitto formativo per agevolare il reinserimento nella società, anche con l’aiuto di operatori e volontari. L’attenzione deve essere rivolta a figure professionali che il mercato del lavoro esterno richiede, e non avventurarsi in percorsi di studio che poi non danno prospettive di sbocchi concreti.
E’ indispensabile frequentare i corsi per conseguire la licenza media inferiore, titolo di studio richiesto per qualsivoglia tipo di lavoro.

L’art. 21 O.P. prevede uscite dal carcere anche per stage e tirocini formativi.
E’ molto importante la formazione linguistica per i cittadini stranieri, così da facilitare il successivo inserimento nel mondo del lavoro e nel sociale.

 

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