Cappellani e lavoro

 

Cappellani per il lavoro: l'indultino non basta

 

L'Eco di Bergamo, 9 settembre 2003

 

Uscire non basta. Fuori dalle celle un ex detenuto ha un solo bisogno: rimettersi in collegamento con la società con un lavoro. Dunque chi può dare una mano si faccia avanti. Questo, in sintesi, l'appello che don Virgilio Balducchi, cappellano del carcere di via Gleno e delegato regionale dei cappellani, lancia oggi, in discreto anticipo rispetto alla prevedibile scarcerazione dei primi detenuti che a Bergamo beneficeranno dell'indultino.
Don Balducchi, in prima linea anche nella ricerca di attività lavorative per i detenuti che escono beneficiando delle misure alternative di detenzione, spera che una possibilità possa aprirsi anche per i detenuti che saranno scarcerati per effetto del tanto atteso indultino.
"È fondamentale - spiega il cappellano - che coloro che escono riescano a trovare soluzioni lavorative in breve tempo. Il mio invito è generalizzato: chi può dia una prospettiva a chi uscirà dal carcere con l'indulto, ma anche con altre forme di scarcerazioni. La cosa importante è che si dia una possibilità continuativa, che si trovi una forma di normalità nel mercato del lavoro. Certo, esistono possibilità nelle cooperative sociali e anche nei comuni, ma è fondamentale che il mondo delle imprese dia una risposta a questo tipo di esigenza.

Chi volesse intervenire deve solo rivolgersi a noi o al Comitato carcere e territorio. Sapremo trovare rapidamente il modo di dar seguito alla buona volontà". Il cappellano di via Gleno interpella il mondo del lavoro, ma non solo per l'indultino. Altre persone sono al momento impiegate nelle cooperative sociali legate alla realtà del carcere, e per loro sarebbe giunto il momento di spiccare il salto in un lavoro "normale".

"Per ognuno - spiega don Balducchi - stiamo predisponendo una scheda che ne descrive le capacità e le esperienze lavorative accumulate in diversi mesi di attività fuori dal carcere. Entro la fine dell'anno ci servirebbero 14, 15 posti di lavoro, così da poter liberare altrettante opportunità nelle cooperative sociali e avviare al recupero altri detenuti".
Certo, nella casa circondariale di via Gleno c'è chi spera di uscire, ma anche chi sa per certo che una domanda di ammissione ai benefici dell'indultino non la potrà firmare mai. Sono i detenuti della sezione speciale di "massima sicurezza", che per i reati commessi si son visti esclusi dall'atto di clemenza. "In queste persone la delusione è tanta - spiega don Fausto Resmini, anch'egli cappellano - perché nei mesi precedenti si erano create molte aspettative. Ora invece questo provvedimento così limitato ha diffuso malessere e senso di sfiducia nello stato".
Essere detenuti nella sezione di massima sicurezza significa fare un'altra vita, dentro il carcere.
Difficile, per questi detenuti, poter avviare davvero un percorso di recupero, pur restando detenuti. Difficile essere ammessi ai corsi, alle iniziative di riabilitazione che pure in via Gleno si organizzano come quasi in nessun altro carcere in Lombardia.

"Anche per questo - spiega ancora don Resmini - l'atto di clemenza era visto da questi detenuti come un'occasione irripetibile per riallacciare un dialogo tra loro e lo Stato, tra loro e la Giustizia. Ma al momento della decisione si sono visti sbattere la porta in faccia. Anche loro chiedevano una possibilità, un gesto che dimostrasse e infondesse nuova fiducia. Invece no, e ora non so davvero quando una speranza del genere potrà essere riaccesa. A noi sta il compito di riflettere su quale potrà essere il punto d'incontro tra questi detenuti e lo Stato". Va comunque detto che l'indultino risolverà poco, anche per chi potrà beneficiarne.

"Per come è stato approvato - aggiunge il sacerdote - molti detenuti non lo vedono come una vera occasione di recupero. Una volta liberati avranno ancora troppi legami con la giustizia, troppi obblighi di firma, di residenza.
Senza una più ampia libertà di movimento anche le occasioni di lavoro si ridurranno".

 

 

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