Spiragli n° 31

 

Spiragli

Rivista dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino

Anno 6, numero 31 – dicembre e gennaio 2006

 

Una voce, da lontano

Il mistero buffo

Non sono di quel tipo

La differenza

Una voce, da lontano

 

di Vincenzo Ciappa

 

Ciao a tutti, ragazzi; tanti di voi non mi conoscono e forse pochi si ricordano di me, ma questo non importa. Mi chiamo Vincenzo Ciappa, una vita fa stavo nelle vostre condizioni. Sono stato dimesso dall’OPG di Montelupo nel 2001, un giorno indimenticabile, che però ho cercato di rimuovere ad ogni costo; ma non si può cancellare, non si cancella una vita passata sotto il segno della spersonalizzazione, del martirio della propria dignità, dove si è persino sussurrato che io fingessi sulla mia disabilità. Come se fossi un banchiere capace di comprare referti di notissimi medici per evitare un misero anno di cura e custodia. Amici miei, nessuno più di me, o forse voi più di me, conoscete quanto sia terribile vivere una condizione tanto dura; voi più di me sapete quanto si deve lottare per farsi largo; voi sapete bene che questa strada non ha senso, sapete anche che vivere di poco è meglio che vivere di tanto per poco perché il tanto che voi sognate lo si può avere soltanto lottando ogni minuto della vita. Io ho preso coscienza che per rifarsi una vita è necessario uscire dal concetto che mi ha portato a bruciare l’intera mia esistenza passata.

Ma non è mai tardi, credetemi; basta poco per avere una vita dignitosa, dove nessuno oserà dirvi o impostare la vostra vita. Ciò si ottiene lottando senza andare oltre: senza volere ciò che vorremmo perché ciò che si vuole deve essere paritario a ciò che si può ottenere. Fermati un attimo, rifletti attentamente, chiediti se la tua vita vale il rischio di un furto, di una rapina, di un momento di gelosia, di un momento di rabbia, di invidia, di facile benessere economico. Non ne vale la pena perché alla fine il benessere che ti permette di spassartela dura un attimo, e non puoi avere tutto ciò che gli altri hanno. Ricorda che lo Stato, giusto o sbagliato, ha delle leggi che noi dobbiamo rispettare. Se non lo fai, lo Stato (cioè noi), deve difendersi; magari ti perdona una volta, due, tre, ma poi ti presenta il conto; pensa che tu sia malato (e noi sappiamo se siamo malati), ti rinchiude, non si fida più di te; ti tiene nella speranza, ti fa credere che ci sia una speranza; intanto gli anni passano; la tua vita si accorcia, come l’elasticità della tua mente, la speranza che il tempo svanisce e si cade nel male oscuro, nella depressione; alla fine scegliamo di non vivere più, cerchiamo fonti di autodistruzione, ed è la fine. Ma voi non dovete cadere nello sconforto; credetemi, basta poco. Non rifiutate quello spiraglio, anche piccolissimo, che vi viene offerto; prendete in mano quel piccolissimo spiraglio, fatelo vostro, entrateci dentro e da li iniziate a mettere un mattone alla volta; non perdete di vista una sola volta la vostra dignità e non importa se non avete nulla, perché quel nulla è tanto, è la vostra vita. La nostra vita sono sette fili di canapa che dobbiamo intrecciare due alla volta e quello dispari deve essere tagliato così da avere la treccia uniforme.

Scusatemi, non è una morale che vi faccio. Io ce l’ho fatta. La mia treccia va avanti piano piano, senza correre e mi sto costruendo una vita mia, e per fare ciò devo assolutamente ricor­darmi del mio passato, delle mie sofferenze, ma principalmente delle sofferenze che ho cau­sato alla società. Alzarsi la mattina, aprire la porta senza aspettare un altro che te l’apra, uscire fuori alle cinque della mattina, camminare sotto la pioggia o svegliarti di notte accanto alla donna che ami, ti da un senso di gioia. Sono piccolissime cose ma sono l’essenza della nostra vita. Io, in un anno che ho trascorso a Montelupo, ho avuto delle cose che mai in 24 anni di carcere avevo avuto. Ho incontrato delle persone gentili che hanno avuto parole di conforto, mi hanno dimostrato affetto che mai avevo avuto, mi hanno inserito nella loro famiglia, ho mangiato al loro tavolo, alla pari. Nei loro occhi c’era tanta tristezza ma erano sempre presenti con gesti e parole che mi hanno riempito di gioia e di amore. Adesso, cari amici, fate un sorriso; la vita è nelle vostre mani, non bruciatela, non toglietevela. Prendetela in mano, accettate tutte le condizioni e sfrattate in positivo quello spiraglio che vi viene concesso. L’importante è riflettere sempre su ciò che fate. Un augurio a tutti di buon anno, dal vostro amico.

 

 

Il mistero buffo

 

di Daniele Golinelli

 

Or votando con l’inchino si completi il gran bottino delle leggi personali, questo sconcio senza uguali. Del diritto sia mattanza, ma l’Italia ne ha abbastanza.

 

Il mistero buffo è un’opera del premio Nobel Dario Fo. Il mistero buffo è anche avere un ministro leghista della Giustizia come l’onorevole Castelli, il quale permette e avalla l’ideologia repressiva di maltrattamenti e condizio­namenti psicologici, per via del sovraffollamento nelle carceri. Giustamente nella nostra società, dopo una presa di coscienza, è stata approvata una legge la quale prevede anche la carcerazione in caso di maltrattamenti nei confronti degli animali. La conseguente domanda che mi pongo è: ma per chi maltratta i detenuti non è prevista nessuna sanzione? È giusto costringere i detenuti in spazi insufficienti, con gli stessi ammassati e ammucchiati e come unico strumento di riabilitazione un telecomando della televisione, rendendo vano il primario scopo della reclusione prevista dalla stessa Costituzione.

L’articolo 27 è chiaro quando afferma che le pene non devono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione. Invece la riabilitazione è un’utopia e il sovraffollamento e l’assistenza sanitaria posta in essere stona con il più elementare concetto di umanità. Il mistero buffo è la dichiarazione dello stesso ministro Castelli, sostenuta all’indomani dell’approvazione della legge ex-Cirielli: “Costruire nuovi istituti di pena per far fronte al sovraffollamento degli istituti penitenziari”. Problematica inevitabile all’applicazione di una legge che sancisce e quindi toglie la possibilità di ottenere benefici in caso di recidiva; e i recidivi nelle carceri rappresentano il 70 per cento.

Il mistero buffo è quindi fare propaganda a discapito dei detenuti in quanto il ministro leghista era già a conoscenza da tempo che la Corte dei Conti aveva bocciato questa manovra finanziaria. La Corte ha in seguito criticato l’attività programmatoria nel settore dell’edilizia penitenziaria, ritenendo che abbia “inde­bitamente disatteso le di­sposizioni sulla program­mazione dei lavori pubblici”. Giustizia e condizioni delle carceri sono i problemi sociali a cui bisogna far fronte, perché affrontarli significa interrompere una flagranza di violenza di Stato, visto che l’Italia è stata condannata dalla giustizia europea comples­sivamente 180 volte negli ultimi anni, per l’eccessiva lunghezza dei processi.

Sollevare il problema dell’amnistia com­porta silenzi imbarazzati o considerazioni di inopportunità da parte di quasi tutte le forze politiche e comprensibili obiezioni da parte dei tecnici e della stessa opinione pubblica. Amnistiare alcuni reati e condonare una parte delle pene già comminate attraverso 1’ indulto è sempre in verità una forma di rinuncia ed anche probabilmente una lesione del diritto dei cittadini e delle vittime dei reati a vedere riconosciute le proprie ragioni. Ma per la stessa obiettività, mi pare debba essere conosciuto e rico­nosciuto un dato di fatto: l’attuale sistema delle pene e dei luoghi preposti alla loro esecuzione non risarcisce nessuno, ma costituisce il mistero buffo. Come definire diversamente l’evidenza: per limitarsi solo agli ultimi cinque anni, ben 265.000 persone hanno beneficiato della prescrizione dei reati per i quali erano state inquisite. L’amnistia è premessa di riforme e non conseguenza.

L’amnistia è un provvedimento a carattere generale che condona la pena in tutto o in parte senza estinguere il reato. Entrambe sono concesse dalle Camere a maggioranza di due terzi, come regola l’articolo 79 della Costituzione. La stessa amnistia è stata fino al 1990, anno in cui per l’ultima volta vi si è ricorsi, unico rimedio eccezionale per evitare il progressivo aggravarsi di un sistema; infatti si è ricorsi alla stessa per 42 volte dal dopoguerra ad oggi, proprio per evitare le problematiche carcerarie. Il provvedimento di emergenza dovrebbe rendere tutti consapevoli della necessità assoluta di ricostruire la normalità. Il quotidiano Repubblica ha indetto un referendum tramite il suo sito internet, che poneva il quesito se fosse giusto concedere l’amnistia

Quasi 11.000 le risposte, delle quali il 54 per cento si dice contrario al provvedimento, mentre il 40 per cento è favorevole. In contrap­posizione, accantonando la laicità dello stato-politico e lo stato-vaticano che ricorda la visita di Carol Woytila al Parlamento italiano nel 2002, e attraverso l’Osservatore Romano dichiara: “La dispo­nibilità mostrata puntualmente da molti esponenti politici in occasione di pubbliche esibizioni e rimasta ultima di immotivate dimenticanze”.

Quindi di quegli applausi che sancivano l’approvazione del discorso del pontefice, con il quale ministri e deputati si erano idealmente pronunciati, è rimasta solamente una malinconica lapide a ricordo della visita. II giorno di Natale, l’onorevole Pannella ha organizzato un corteo a Roma, preceduto da uno sciopero della fame di tre giorni, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica ed anche gli stessi politici, per creare un presupposto di riflessione per un atto di clemenza. In quei giorni, 207 deputati hanno sottoscritto la richiesta di convocazione straordinaria, la quale è stata fissata per il 27 dicembre dal presidente della camera onorevole Casini, suscitando il dissenso per l’inadeguata data del dibattito, all’indomani di una ricorrenza importante. Circa la metà di chi aveva firmato la convocazione era presente e comunque si è preso atto che non c’è stata una posizione dominante al fine di approvare un provvedimento di clemenza.

A metà gennaio la commissione giustizia della Camera ha mantenuto l’impegno di arrivare a un testo sull’amnistia su cui l’aula può discutere, il quale prevede un’amnistia di 4 anni e un indulto revocabile in caso di recidiva di reato di 2 anni. Ma il problema rimane quello di costituire i due terzi previsti dalla legge e che l’opposizione nel programma elettorale propone invece di cambiare tornando alla maggioranza semplice. E poi non solo la discussione accesa tra i rappresentanti dei partiti per l’atto di clemenza, ma anche trovare un accordo su quali reati escludere da un’eventuale provvedimento. Il testo discusso e approvato in commissione presenta anche un difficile problema sulla data da cui applicare l’amnistia.

Infatti all’articolo 79 la Costituzione stabilisce che il riferimento al primo disegno di legge è perentorio e vincolante e quindi bisogna risalire al giugno 2001 quando fu presentata la prima proposta, la quale crea il paradosso di approvare una amnistia nel 2006, ma che si applica in definitiva soltanto per i reati effettuati fino al giugno 2001. Nessuna clemenza il verdetto, in quanto il Parlamento seppellisce con un doppio voto il provvedimento della commissione giustizia della camera. E pone così fine a un dibattito politico infinito, aperto dalla visita alle Camere di papa Woytila, e proseguita attraverso il corteo di Natale promosso dal partito radicale. A Montecitorio hanno festeg­giato la Lega e Alleanza Nazionale, contrari da subito a qualsiasi apertura in favore dei detenuti. E allora, secondo i sindacati di Polizia penitenziaria, nello spazio temporale di un anno, ci saranno ventimila detenuti in più a seguito della legge ex-Cirielli, la quale prevede, in caso di recidività, la non applicazione delle misure alternative.

Ma non cè solo il problema delle carceri che scoppiano perché la popolazione carceraria è di sessantamila detenuti, con moltissimi immigrati, coloro che non riescono a pagarsi un buon avvocato per ottenere quella che nel nostro Paese è “l’amnistia di classe”, cioè la prescrizione. Cè anche l’altra grande questione della giustizia, perché sono nove milioni in Italia i processi pendenti che, tra vittime e accusati, riguardano venti milioni di persone, cioè un terzo del Paese e ingombrano le scrivanie dei magistrati. Quello che auspico è che nella prossima legislatura trovi applicazione un nuovo codice penale anticipato da una amnistia che possa coinvolgere Adriano Sofri, e che possa essere estesa fino a com­prendere i reati commessi nel 2005; ed infine che il mistero buffo del ministro Castelli si disperda nelle nebbie verdi della sua Padania… A proposito, buon carnevale!

 

 

Non sono di quel tipo

 

di Eduart Shani

 

Voglio raccontarvi la mia vita in Albania e in Italia. Io non sono di quel tipo di persona che pensate voi. Che io faccio del male alle persone e agli esseri umani. Io non sono mai stato aggressivo con nes­suno in Albania. Lavoravo soltanto per vivere, come tutti. Ho cominciato a lavorare a sedici anni, dopo otto anni di scuola obbligatoria. Per un anno ho lavorato in una cooperativa dopo ho lavorato come muratore fino a diciotto anni. Poi sono andato militare, come tutti gli albanesi durante il regime comunista, perché era obbligatorio per due anni. Nel 1990 è cambiato il sistema politico e in Albania è venuta la democrazia. Quando è cambiato il sistema io lavoravo con un camion che mi aveva portato mio fratello dall’Italia.

Facevo un po’ di commercio con il camion ma non era un lavoro che mi faceva guadagnare tanti soldi. Per quello ho deciso di venire in Italia nel 1996. Appena sono arrivato ho cominciato a lavorare con un amico di mio fratello. Lavoravo in regola: avevo il permesso di soggiorno, pagavo i contributi ogni sei mesi per due anni. Facevo il giardiniere nella sua casa. Poi ho dovuto cambiare lavoro perché lui non mi pagava più come prima. Però non stavo mai senza far nulla: facevo tutti i tipi di lavoro, con i muratori, imbianchino, giardiniere, falegname, pulizie in teatro e al cinema. Dal 1998 al 2000 lavoravo in nero, non pagavo i contributi e non avevo assicurazione. Però avevo sempre il permesso di soggiorno. Il 10 ottobre del 2000 ho fatto quel tentato omicidio, come sapete. Ma io non sono di quel tipo che faccio male alle persone. La vita è una sola e tutti la vogliamo vivere nel bene e nel male. La vita è bella.

 

La differenza

 

di Alfredo Sartori

 

Provengo dall’OPG di Aversa, in provincia di Napoli. In quel posto non si poteva andare in libertà se qualche parente non si prendeva la responsabilità. Ma nessuno si interessava a me. Ho scelto la proposta di essere trasferito dall’OPG di Aversa a quello di Montelupo Fiorentino, dove mi sono fermato per sette mesi. Qui l’ospedale è migliore, il vitto è superiore, il livello di vita è trent’anni più avanzato, le persone che ci lavorano sono buone e belle, specialmente le operatrici e le dottoresse. Ho vissuto sette mesi discreti: sono arrivato ammalato e pesavo 82 kg. Ora ne peso 96, anche se mi è rimasto qualche osso rotto nelle gambe e nel piede sinistro; tutto ad opera di delinquenti incontrati ad Aversa. Ma ho perdonato senza fare denunce.

Il giudice di sorveglianza si è dimostrato con me una persona cara: dopo dieci anni di questa vita mi ha informato che andrò in una comunità ad Asti. Verrò accompagnato dagli operatori che mi hanno informato che lassù si vive un po’ meglio. Spero che dopo sei mesi di comunità, il giudice mi darà la revoca e così potrò tornare nella mia città, Pordenone, dove faccio ancora in tempo a godermi un poco la mia vita e la mia moto, dopo dieci anni di reclusione in vari OPG, senza vivere con la gente civile. Qui a Montelupo sono stati tutti molto bravi, anche il direttore e i miei compagni internati, ai quali mando i miei saluti. Spero che vada tutto per il meglio, per me e per gli altri, per chi rimane e per chi va a casa. Grazie a tutti e a tutte; spero di finire per sempre e di uscire dalla comunità e tornare a casa mia perché nei posti dove ho vissuto ho versato delle lacrime di sofferenza e di dolore.

 

 

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