IdeeLibere n° 6

 

IdeeLibere

Periodico d’informazione della Casa di Reclusione "Ranza" di San Gimignano - Siena

Anno II numero 6    agosto - settembre 2003

 

 

40 gradi … al fresco!

Dei delitti e delle pene … alternative

Perché solo Sofri?

Un giorno da … "docente"

Lezioni dalla trincea

Offesa alla povertà, anzi all'umanità

TG 2 Palazzi e "Ristretti Orizzonti"

L'attuale società musulmana

Le ferie di Athos

Emozione

Una bella iniziativa

Conoscere il carcere

Sbarrati

Un incontro fatale

Il pallone è sgonfio

L'imbuto

C'era una volta la torta di mele

40 gradi … al fresco!

 

Anche quest’estate sta passando, con i soliti problemi mondani, all’esterno, e i soliti problemi (ancora una volta irrisolti) … dentro. I nostri telegiornali ci hanno fatto fare indigestione di notizie e notiziette di bassissimo spessore culturale, perché noi siamo italiani e come da tradizione dobbiamo sapere dove trascorrerà le vacanze estive il vip di turno, oppure dove andrà a sposarsi il calciatore dell’anno.

E ancora una volta eccoci qui, a riempire le nostre macchine per il caffè, a preparare sughi per la cena, a riempire il nostro quotidiano con i gesti più inutili, soprattutto in un periodo come questo, l’estate, in cui le carceri si svuotano … di personale addetto! Il mondo esterno sta concludendo le ferie estive, chi al mare e chi in montagna; ma tutti, puntualmente, ecco che si lamentano del sensibile aumento del caldo.

L’afa! Tutti gli anni la stessa replica, tutti gli anni le stesse facce, tutti gli anni le stesse parole. L’acqua scarseggia, il caldo aumenta, nelle città non si respira e quasi dovremmo essere contenti della nostra situazione.

Già, perché in fondo noi siamo dei privilegiati! Chi non vorrebbe essere al nostro posto, rilassati, nel dolce far niente, qui dove il sole non viene quasi mai a disturbarci? Cosa può esserci di meglio? Forse essere al posto di quel calciatore, o di quel vip che è partito per la Costa Azzurra? Ma no, sono soltanto illusioni, i veri fortunati siamo noi, che possiamo distenderci su un letto e restarci tutta la giornata, senza il timore che squilli il telefono di casa o che ci arrivino ospiti a pranzo, con famiglie al seguito.

Fuori si lamentano, quasi se la prendono con il clima insopportabile che, poverini, non permette loro una vacanza decente; noi intanto intoniamo quel motivetto che ogni estate tormenta gli italiani e che dice “per quest’anno, non cambiare …” e magari, con qualche modifica alle parole potremmo anche farla nostra, appropriandoci, seppur solo con la fantasia, di tutte quelle belle cose che la gente fuori sta denigrando ogni santo giorno. Cosa non si farebbe pur di apparire in televisione!

E allora forza e coraggio, concludete anche quest’anno le vostre vacanze cercando di non temere le spiagge affollate o il caldo infernale di quest’estate; anche queste, nella vita, sono prove che bisogna affrontare con coraggio e decisione. Siate uomini!

 

La Redazione

Dei delitti e delle pene… alternative, di Sergio Romano

 

Siamo particolarmente lieti di pubblicare una lettera pervenutaci da Sergio Romano i cui contenuti la Redazione condivide a pieno e che, forse osiamo sperare troppo, potrebbe portare linfa vitale ad un dibattito che finalmente affronti, per risolverli, annosi problemi. Siamo orgogliosi di ospitare uno scritto dell’ex Ambasciatore presso la Nato ed a Mosca, Prof. Romano che, al momento è editorialista del Corriere della Sera e, da anni, cura una rubrica fissa su Panorama. La sua semplicità espositiva, la sua lucida analisi dei fatti socio-politici è nota anche oltre il nostro Paese. L’attenzione che ci ha voluto riservare è anche una piccolo successo per il lavoro di Idee Libere che, evidentemente è apprezzato e condiviso.

 

La Redazione

 

Qualche settimana fa ho partecipato a una tavola rotonda, in una sala del Senato francese, per la presentazione dei primi nove volumi dell’opera completa di Cesare Beccaria, pubblicata a Milano per una iniziativa di Enrico Cuccia, allora presidente di Mediobanca. Fra i partecipanti vi era Robert Batinder, ministro della Giustizia all’epoca della presidenza di Francois Mitterand. Fu lui che soppresse in Francia la pena di morte e fu per suo merito che l’ultima ghigliottina finì in qualche vecchio deposito dello Stato francese. Abbiamo parlato naturalmente dell’opera maggiore di Beccaria ("Dei delitti e delle pene") e abbiamo cercato di descrivere la straordinaria influenza che il suo breve trattato ebbe sulla cultura giuridica europea nella seconda metà del 700. Dal punto di vista statistico i principi di Beccaria sembrano godere oggi di una incontestata popolarità. La pena di morte è stata abolita, di fatto, in 106 paesi, fra cui 30 hanno preso tale decisione dopo il 1990. Molte esecuzioni capitali, soprattutto negli Stati Uniti, suscitano manifestazioni di protesta e appelli alla clemenza. Benché la Corte Suprema non la consideri contraria alla costituzione, l’opinione pubblica americana sembra orientarsi nuovamente verso le tendenze degli anni Settanta, quando il principio dell’abolizione venne accolto e praticato nei singoli Stati della Federazione. Recentemente, al termine del suo mandato, il governatore dell’Illinois ha dichiarato, per i condannati a morte in attesa di esecuzione, una moratoria. Il suo successore sembra condividere la sua posizione. I sondaggi di opinione segnalano che i nemici della pena capitale, negli Stati Uniti, sono ancora in minoranza, ma sempre più numerosi. Altrove (in Cina, in Russia, nei paesi islamici) la situazione è alquanto diversa; e anche nelle de-mocrazie europee vi è tuttora chi crede nella sua efficacia punitiva. Ma Beccaria redivivo osserverebbe con piacere che negli ultimi duecento anni le sue idee hanno fatto molta strada. Dovrebbe constatare, tuttavia, che gli Stati democratici, anche quando cercano di ispirarsi a principi umanitari ed educativi, non sembrano poter rinunciare al principio e alla pratica della detenzione forzata. Non possono farlo, paradossalmente, proprio perché sono democratici e debbono tener conto della loro opinione pubblica. Anche se le statistiche sono spesso meno inquietanti di quanto non si creda, le società dei paesi avanzati hanno la sensazione di essere minacciate dalla criminalità, dal teppismo, dal terrorismo. La domanda di sicurezza è divenuta un imperativo politico a cui nessun partito, di destra o di sinistra, può sottrarsi. Se un "pentito" gode di eccessivi privilegi o, peggio, se un detenuto in licenza commette un reato, l’opinione pubblica punta un dito accusatorio contro il governo e chiede giustizia. Molti uomini politici sanno che il carcere è una terapia brutale, spesso dannosa. Ma non possono voltare le spalle ai loro elettori. Non sono un giurista, non sono un uomo politico e non credo all’utilità di proposte genericamente umanitarie. Mi limito a constatare che il sistema penitenziario della maggior parte degli Stati dell’Occidente democratico crea più problemi di quanti non ne risolva. E mi piacerebbe che il governo italiano chiedesse a un "comitato di saggi" di mettersi nei panni di Cesare Beccaria per scrivere un breve libro che potrebbe intitolarsi "Del carcere e delle sue alternative".

Perché solo Sofri?, di Senio Sensi

 

La “grazia” è strumento giustamente previsto nel nostro ordinamento legislativo, ma non può essere utilizzato in maniera disomogenea

 

Mentre scrivo non accenna a chiudersi la campagna mediatica sul caso Sofri. Dopo l’appello di oltre 300 Onorevoli e le sollecitazioni provenienti da più parti affinché venga concessa la grazia, il Ministro Castelli ha affermato che non la si può concedere solo a Sofri. Il quale, tra l’altro, ha confermato di non volerla richiedere in quanto, a suo avviso, equivarrebbe a dichiararsi colpevoli di un reato che dice di non aver commesso. Tutti ricorderanno che dopo 8 processi durati quasi 22 anni, Sofri, Bompressi e Pietro stefani sono stati condannati per l’uccisione del commissario Calabresi: era il 1972. Sofri, ritenuto un mandante, si è sempre professato innocente chiedendo, infine, la riapertura del processo che non è stata concessa. La stessa Corte Europea dei diritti umani ha sentenziato che “quello contro Sofri è stato un giusto processo”. Quindi, se si crede nella giustizia, per via processuale tutto è compiuto. Sofri ha accettato la condanna e sta espiando presso il carcere di Pisa. Lo fa con dignità e, tramite i suoi scritti, contribuisce in maniera serena al dibattito su temi sociali con nessuno spazio alle polemiche velenose ed ai giochi politici. Fin qui i fatti. La “grazia”, che è un gesto di clemenza che condona la pena ma non estingue il reato, deve essere richiesta al Presidente della Repubblica dall’interessato o da un parente stretto, ma in casi eccezionali il codice di procedura penale ne prevede la concessione anche in assenza di domanda o di proposta. Basta l’intervento del Ministro della Giustizia. L’atto di clemenza è stato sottoscritto con svariate motivazioni; alcune di quelle che citiamo sono davvero poco condivisibili: “abbiamo di fronte a noi una persona ben diversa, un uomo molto cambiato e non più il cattivo maestro”; “ha dimostrato rispetto per la legge, sobrietà e correttezza”; “non rappresenta più nessun pericolo”; “è uno degli intellettuali più raffinati del paese e disciplinatamente sta espiando una pena che ritiene ingiusta”; ”forse qualche anno fa sarebbe stato inopportuno ma adesso l’ambiente mi sembra più tranquillo”; “la pietas non cancella nulla e non va contro la giustizia”; “riconsegniamo con atto spontaneo di grazia, Adriano Sofri alla pienezza dei propri diritti di cittadino”, eccetera.

Confesso che trovo gli scritti di Sofri – che da anni leggo su Panorama – un contributo di idee di grande livello culturale. Alcune sue battaglie a favore di popoli oppressi dimostrano un impegno civile di alto significato ed anche le interviste rilasciate in video hanno dato del “detenuto Sofri” una immagine di un uomo che sa rigorosamente leggere le vicende italiane pur avendo molto sofferto (basti pensare a 22 anni di processi e otto anni di carcere). Si può dire per questo che sia uomo completamente recuperato alla società ed alle sue leggi ? E’ davvero colpa dello Stato, che dovrebbe, con atto di contrizione, riconoscere (ma perché solo in questo caso ?) che non si può condannare un uomo dopo 22 anni dai fatti contestati ? E può bastare tutto questo per far attivare un provvedimento che l’interessato non richiede? Non è possibile che, per chi come lui si proclama innocente, la grazia possa essere interpretata come sconfessione della sentenza? C’è poi scarsa considerazione nei confronti di chi sta dall’altra parte della barriera e cioè dalla sponda di chi ha avuto un familiare ucciso o menomato da anni di battaglie terroristiche: in molti gridano di fare qualcosa per le “vittime e non solo per i carnefici”. Come dare loro torto?

Qui scatta il secondo argomento caro alle “colombe”: è l’ora della pacificazione; gli anni del terrorismo sono ormai un ricordo e si impone un atto di clemenza verso Sofri come esempio di liberismo verso l’Europa (?). Siamo davvero sicuri, specie dopo i delitti D’Antona e Biagi, che l’emergenza terrorismo sia finita? E comunque: sarà mai possibile una rappacificazione per fatti di trenta anni fa quando, nonostante gli appelli provenienti da uomini di buona volontà di destra e di sinistra, non si riesce a metabolizzare quelli di sessanta anni fa ? E se davvero si vuol concedere il perdono per eventi di matrice politica, perché non generalizzarlo ad altre figure che, al pari o più di Sofri, hanno compiuto un percorso rieducativo e sono recuperati alla società civile?

Mal si capisce perché per questo detenuto “eccellente” si stia muovendo mezzo mondo, compresi parlamentari di centro destra per colpa dei quali il cosiddetto “indultino”, da loro non votato, non andava bene per i tanti reclusi quasi a fine pena e va invece bene per chi di 22 anni ne ha scontati 8?

Se “il caso” serve per aprire ad altre situazioni di specie uguale e magari anche diversa, niente da obbiettare, ma se la grazia a Sofri rimane un caso isolato destinato ad un “finissimo intellettuale” scatta immediatamente in chi scrive un rifiuto circostanziato. Nella mia qualità di direttore di questa rivista sto registrando, quasi giorno per giorno, la crescita esponenziale di alcuni detenuti che si stanno riabilitando grazie a percorsi faticosi ma pieni di volontà e speranza. Gente, talvolta con poca cultura, sta utilizzando il tempo … senza tempo del carcere per capire il mondo che li circonda, per accettare i propri sbagli, per espiare con dignità e per prepararsi ad un reinserimento con “armi” pacifiche in mano. L’arma della cultura, dello studio, della conoscenza, della lettura, della scrittura, del lavoro, dell’arte. Un percorso faticoso che per loro è più difficile da compiere perché, di base, non hanno avuto in dotazione genitori ricchi, risorse economiche copiose, luoghi e compagnie per crescere.

Constato quasi giorno per giorno i loro miglioramenti nel modo di parlare, di porsi di fronte ai problemi, di scrivere, di capire gli altri e di porsi domande sugli sbagli del passato e sull’incognita del futuro. Anche costoro debbono essere aiutati. Forse più di altri perché il loro tragitto è stato più difficile, perché le loro sofferenze sono state maggiori. Ecco perché, personalmente, e senza nessun valore politico, ritengo che se la grazia sarà concessa a Sofri non si potranno lasciare nelle patrie galere intanto i 2500 malati quasi terminali e poi chi, forse anche più di Sofri, ha accettato la condanna, ha espiato in silenzio, ha compiuto un percorso di crescita ed è pronto ad esser reinserito nel mondo civile. “Senza pericoli per nessuno”. Ancora una volta la legge deve essere uguale per tutti. Su questo argomento la Redazione apre un dibattito e invita i lettori a esprimere liberamente le proprie opinioni.

Un giorno da … "docente", di Lino Lupone

 

Ogni tanto capita a tutti di montarsi la testa. Può accadere perché sei particolarmente bello o intelligente, per un’impresa riuscita e per tantissimi altri motivi. Personalmente l’ultima volta che ho provato questa sensazione è stato dopo aver ricevuto dalla Dott.ssa Fineschi la proposta di recarmi con lei all’Università di Firenze per tenere una “lezione” sul tema del carcere agli studenti del suo corso di psicologia. Accettai la proposta senza esitazioni e dopo qualche giorno ci ritrovammo all’Università. Fino al momento di entrare nel cortile dell’Ateneo non avevo accusato nessun sintomo d’emozione o paura. Però, varcata la soglia dell’aula, il panico. Decine di giovani persone, forse un centinaio, quasi tutte di sesso femminile sedute e pronte per il nostro incontro. Iniziai a sudare; le gambe mi tremavano per il contraccolpo inaspettato di un pubblico tanto vasto. Mi lasciai scivolare lungo una parete e poi mi sistemai vicino alla cattedra cercando di non perdere il contatto rassicurante con la D.ssa Fineschi e all’improvviso quel movimento fece scendere il silenzio. Mi osservavano tutti con i loro occhi troppi curiosi per non spaventarmi mentre io scrutavo lo spazio intorno in modo periferico, spazio che pareva rimpicciolirsi e risucchiarmi. Scorrevo i loro sguardi senza soffermarmi e pensavo al mare di sospetti e diffidenze che ci divideva. Erano immagini più che pensieri, impulsi che mi sfioravano rendendomi del tutto inadeguato di fronte alla differenza d’età, cultura ed esperienze che ci divideva. Mi sembrava però che con un piccolo sforzo avrei potuto rompere il ghiaccio e allora cominciai a dare senso a quell’incontro presentandomi ed iniziando a raccontare le mie esperienze in carcere. Col passare dei minuti, nonostante rimanesse l’emozione, mi accorgevo che le differenze e le paure si dissolvevano. Mi sentivo ascoltato, apprezzato e il loro coinvolgimento era totale. Nei momenti in cui i ricordi più brutti facevano emergere dolore e rabbia era come se intorno avessi una cornice di sguardi e presenze ad arginare quei sentimenti che mi permetteva di esprimermi con serenità. Non mi sembrava di aver mai parlato così volentieri del mio passato e di non aver mai trovato delle persone tanto intelligenti e sensibili ad ascoltarmi. L’atmosfera diventava sempre più distesa tanto che riuscivamo persino a farci delle risate senza comunque che il senso dell’incontro perdesse d’intensità. Troppo presto però arrivò il momento di salutarci. Rimanevano pochi minuti per le strette di mano, per una sigaretta fuori dell’aula e per scambiarci impressioni e saluti. Ricorderò sempre questa bellissima esperienza perché mi ha permesso per qualche ora di sentirmi una persona tra tante con i sogni, le paure, le responsabilità di tutti, dei miei stessi interlocutori. Devo davvero ringraziare tutte le persone stupende che mi hanno ascoltato e che mi hanno offerto i loro consigli e i loro sentimenti e in modo particolare la D.ssa Fineschi e tutte coloro i che, inviandomi le loro sensazioni, hanno voluto testimoniarmi la loro stima e l’utilità di quest’incontro. Diventerete delle ottime psicologhe.

Lezioni dalla trincea, di Carla Fineschi

 

Nell’Anno Accademico 2002/03 ho ottenuto l’insegnamento di Psicologia Giuridica presso l’Università di Firenze. Ho voluto dedicare al carcere il mio primo anno di insegnamento, poiché l’ho sempre ritenuto l’istituzione che maggiormente mi ha formato professionalmente ed emotivamente. Il corso si è quindi focalizzato sull’attività trattamentale negli istituti penitenziari.

Ho dato agli studenti informazioni e nozioni sulla Legge Gozzini e sulle sue modalità attuative, ma sentivo che non bastava, che era necessario per questi ragazzi rompere stereotipi che li legano alla percezione del carcere.

Ho pensato dunque di invitare gli “operatori di trincea”, coloro che quotidianamente vivono l’istituto e che, con mille difficoltà, cercano di migliorarne la qualità. Non era sufficiente perché dovevamo dar voce anche a chi “usufruisce” di questa struttura e dei suoi operatori: il detenuto. Ho chiesto quindi a Lino di fare una lezione sulla sua esperienza detentiva e proprio lui ha aperto il corso di insegnamento, raccontandosi con emotività, dandosi completamente, parlando delle sue sofferenze e delle sue fragilità. Per questo non finirò mai di ringraziarlo.

E’ venuta poi la dottoressa Pesci, che ha illustrato le competenze degli educatori e lo ha fatto con la consueta umanità, comunicando agli studenti il suo amore per il lavoro che svolge da anni.

E’ intervenuto in seguito il Dottor Cecchi, che ha parlato della sua esperienza con i gruppi di auto-aiuto per detenuti alcolisti o tossicodipendenti. Ha svolto infine lezione la Dottoressa Venturini, che ha rotto gli schemi del Magistrato inflessibile, legato solo alla legge, alla punibilità e non alle persone che commettono reati. Il corso ha ottenuto un grande successo e gli studenti hanno mostrato soddisfazione per aver sentito professionisti che operano nel campo e che hanno cercato di dar loro un messaggio: “cercate d’accogliere gli altri senza pregiudizi, dando spazio e voce all’emotività”. Un grazie a tutti ed in particolare a Lino per la sua disponibilità a “mettersi a nudo” superando paure ed incertezze. I frammenti di lettere che pubblichiamo sono parte di scritti inviati dai ragazzi che hanno seguito il corso.

Offesa alla povertà, anzi all'umanità, di Francesco Seminerio

 

Ascoltando un telegiornale sono rimasto colpito dall’abilità con la quale il giornalista passa da un argomento all’altro senza nessun problema. All’apparenza nulla di anormale, se non fosse che gli argomenti sono: la fame nel mondo e l’acquisto e gli stipendi dei giocatori di calcio.

Nel reportage girato credo nel sud Africa, quelli immagini erano a dir poco agghiaccianti: bambini malnutriti, servizi igienici inesistenti e malattie letali come l’Aids che dilagano a macchia d’olio. Oserei affermare che si tratta di immagini arcaiche se rapportate all’ attuale realtà occidentale, la quale, come a discolparsi, è molto presente con gli aiuti umanitari (forse?!) per aiutare a risolvere i problemi causati dalla povertà. Dopo pochissimi secondi, odo commentare l’acquisto di un giocatore di calcio inglese da parte di una società spagnola per svariati miliardi, nonché l’onorario di alcuni giocatori che raggiunge cifre esorbitanti per il solo merito di mettere quella sfera, dicasi pallone, nella rete, e permettere ai tifosi di gridare "gool!". Stabilito che lo squilibrio economico non riguarda solamente il calcio, ma quasi tutti gli sport professionistici (basti pensare alla formula 1, alla boxe, etc.), e pur considerando che il loro lavoro richiede molta fatica e sacrificio, è logico che siano così strapagati? E aggiungo, siamo talmente abituati a questa realtà, che neanche una sequenza di forti immagini come queste riesce a scuoterci ?

Purtroppo con tutta sincerità le risposte ad ambedue le domande sono negative e duro ammettere che mentre in altre parti del globo esseri umani sono condannati a vivere in maniera ignobile per la semplice "colpa" di essere nati in quella parte del globo terrestre, in altre parti ci sono persone che solo per possedere doti sportive innate, possono vivere come dei dell’antico Olimpo. E la contraddizione assurda, è che tutti siamo d’accordo che non dovrebbero esistere queste "diversità" ma allo stesso tempo con il nostro comportamento passivo incentiviamo questa ambigua ed illogica discriminazione.

TG 2 Palazzi e "Ristretti Orizzonti".  Una bella ed innovativa realtà nel campo dell’informazione in carcere

 

Il Tg 2 Palazzi è nato circa 4 anni fa per iniziativa di Emilio Vesce, giornalista e parlamentare recentemente scomparso, a conclusione di un corso sul linguaggio dell’informazione realizzato con i contributi didattici di un gruppo di volontari, in collaborazione con la Cooperativa Volontà di Sapere di Venezia. Questa è, nel suo genere, un’iniziativa unica: attività redazionale, riprese e montaggi si svolgono interamente nello studio interno all’istituto, mentre per i servizi esterni si avvale dei reportage di “inviati” in permesso o in misura alternativa.

Il notiziario, trasmesso fino a poco tempo fa unicamente nel circuito televisivo del carcere, documenta incontri, convegni, seminari, manifestazioni sportive, spettacoli ed altri momenti di vita culturale interna spesso intensa, fornisce indicazioni ai detenuti sulla normativa vigente in istituto, sui corsi scolastici, di formazione e sulle altre opportunità, affronta temi riguardanti il disagio e l’emarginazione, informa sulle iniziative volte al recupero e al reinserimento promosse da enti locali, istituzioni e volontariato sociale. Gli scopi dell’attività sono, quindi, quelli di avvicinarsi al linguaggio televisivo, attraverso incontri e analisi di prodotti multimediali, oltre ad imparare l’uso corretto delle varie attrezzature. Il fine è la progettazione di una fiction TV (L’importanza di chiamarsi Totò) interamente prodotta all’interno dell’istituto. Da oltre due anni si è affiancata, all’attività principale del Due Palazzi, anche quella del D.V. Deo, laboratorio multimediale e di regia digitale, con il contributo dell’associazione Art Rock Caffè di Abano Terme (PD), che peraltro provvede alla formazione professionale dello staff. E’ stato così possibile realizzare il video “Eco & Moda”, che ha partecipato alla manifestazione svoltasi al Ser.T. di Santagata Bolognese, dove ha vinto il primo premio Agis 2000 e la nomination per l’Italia al Festival “Potokina” di Colonia.

All’attivo anche documenti sulle attività interne e sulla condizione degli stranieri in carcere (Oltre alle sbarre e United Color of Ristretti). Da Settembre 2001, il TG 2 Palazzi viene trasmesso in tutto il Nord - Est, ogni sabato alle 13.00 dall’emittente televisiva RTR. Agli spettatori liberi si propone di mostrare momenti di vita in carcere sconosciuti, insospettabili e ignorati dai media “esterni”. Tutta l’attività è coordinata dalla Dott.ssa Antonella Barone e attualmente sono impegnate al TG quindici persone, tra redattori, speaker, cameraman ed addetti al montaggio. L’aspirazione di questi ragazzi è quella di mettere a frutto, una volta espiata la pena e lavorando onestamente, tutto quanto imparato durante gli “inutili” anni trascorsi in carcere.

(Per gentile concessione della Redazione di “Ristretti Orizzonti”, dal Carcere “Due Palazzi” di Padova

L'attuale società musulmana, di Jmila Hammou

 

Dietro la falsa idea che l'Islam è la causa del soffocamento politico, economico e sociale degli stati arabi, si nasconde l'interesse politico ed economico di chi è contrario alla fondazione di uno stato musulmano in Cecenia, in Afghanistan, nel "nuovo Iraq" e in tutti i così detti "paesi arabi moderati". L'Islam ha una concezione d'insieme della vita, e non tratta solo i rapporti tra l'uomo e il suo creatore, tanto che la rivelazione del Corano inizia con la parola: lèggi! La civiltà araba si è costituita essenzialmente tra il VI e XV secolo. Questa fu "l'età dell'oro" , epoca in cui il mondo arabo sviluppò le scienze religiose e quelle filosofiche, unendo l'aspetto esplicativo alla fede, nacquero le scienze sociali e le scienze del diritto (Usul Al Fiqh), le scienze della storia e della geografia, la topografia, l'astronomia, le scienze naturali, l'ottica e la medicina, la meccanica, la chimica e la fisica, la matematica, le arti e l'architettura. Si costruirono dappertutto ospedali, università e biblioteche chiamate" Case della saggezza" che contenevano una "marea" di libri, archivi ed opere. I sapienti, gli scienziati, i ricercatori musulmani della storia, come Kindi, Farabi, Ibn Sina (Avicena), Ibn Rushd (Aerroé), Ibn Khaldun, Masudi, Jaber ben Hayyan (Algebra), Quarismi (Logaritmi), Omar Qayyam ed altri ancora, hanno lasciato le tracce della civiltà musulmana, contribuendo in modo particolare ed importante alla storia dell'umanità intera.

Dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella prima guerra mondiale, gli arabi sono stati soggiogati dai governi europei in una serie di nuovi stati creati su mandato della lega delle nazioni negli ex territori ottomani. I governi indipendenti nati successivamente hanno conosciuto un'altra sconfitta. Dal punto di vista economico, la società islamica non è decollata, finendo col cadere sotto il controllo commerciale delle compagnie petrolifere, delle banche e delle industrie occidentali. È rimasta tecnologicamente arretrata, sotto il punto di vista intellettuale, culturale e progressivo. Cosa è andato storto?

Se torniamo all'epoca del rinascimento del mondo musulmano e facciamo un confronto sociale e religioso, con i nostri giorni, notiamo che non siamo più quei musulmani che hanno contribuito allo sviluppo religiosamente parlando, perché il Corano è anche una vera e propria istituzione che regolamenta tutto, perfino il rapporto fra l'uomo e l'animale. Edward Gibbon, lo storico del declino di Roma, ha scritto un famoso passaggio in cui immagina la prospettiva di un insegnamento del Corano nella scuola di Oxford, al contrario di alcuni sociologi che attribuiscono il fallimento dei paesi musulmani proprio alla non separazione dell'autorità religiosa da quella dello stato. La verità è che sono pochi gli stati islamici che applicano codesta legge alla lettera, per non dire che sono inesistenti. Per una soluzione, noi musulmani, dobbiamo partire da noi stessi, reintegrando le nostre famiglie sotto l'applicazione del Corano, la Sharia (il corpus della legge islamica) e la Sunna (le abitudini e le pratiche religiose del nostro profeta Mohammad), poiché la famiglia costituisce la base della società. Solo così possiamo vivere un'evoluzione del rinascimento senza dover ricorrere alla violenza che durante i secoli ha dimostrato di essere incapace di risolvere problemi di vario tipo, come del resto hanno evidenziato gli ultimi gravi episodi che hanno provocato vittime e distruzioni.

Le ferie di Athos, di Enzo Falorni

 

Sono Athos, un bel cane addetto alla guardia della casa del mio padrone Ugo, della moglie Tina e della piccola Nicoletta. Sono forte, ho una muscolatura possente: gli amici del vicinato mi chiamano “Rambo”. Il giardino, specie la notte, è tutto a mia disposizione e chilometri faccio intorno per non farmi sfuggire nessun movimento sospetto: anche una foglia d’albero quando casca, la sento! Il giorno sonnecchio (con un occhio solo) nella mia dependance attrezzata di tutto, anche se, la devo dividere con qualche Pulce; ma con la crisi degli alloggi che c’è oggi, non mi posso lamentare: Attilio il gatto di casa, non lo faccio mai entrare, anche se tra noi c’è un patto segreto: io gli lascio ogni tanto un pezzetto di carne e lui si fa inseguire da me, così posso ringhiare e far pensare a tutti che sono cattivo.Speriamo ci credano! Attilio poi, non mi fa i bisognini sopra i mucchietti di terra dove sotto ho sotterrato la mia riserva d’ossa. Nella vita non si può mai sapere; perlomeno fino a quando comanderanno gli uomini! Bèh; tra poco sarà l’ora della passeggiata esterna mattutina con Tina, che ha un collo lungo e sottile, (mi sembra una giraffa) anche quando si accoccola per mettermi il collare è sempre alta, sì che io non sono niente male; però non mi è mai riuscito di odorare il suo cappellino e così non so se le ciliegine che ha sopra sono vere o no! Con lei accompagniamo Nicoletta a scuola, così potrò capire odorando, se i miei amici Ringo e Camilla sono già usciti. Ecco che arrivano. Nicoletta è proprio carina: oggi ha quel vestitino rosa che mi piace tanto e, con quei capelli rossicci sembra proprio una cipollina. Stiamo uscendo: ecco, lo sapevo! Ringo è già passato! Quante volte gli ho detto di non sporcare qui, questa è la mia zona! Mi devo proprio arrabbiare con lui. Se Camilla invece non ha cambiato le sue abitudini tra un attimo ne sentirò il suo profumo: è sì, eccoci! Snif, snif, mamma mia: ogni volta che la “sento”, ogni mio muscolo si gonfia. Qualche sera la inviterò a cena nella mia dependance! Eccoci a scuola: ora per dieci minuti mi dovrò sorbire le chiacchiere di quelle “galline” delle amiche di Tina. Poi il giro dei negozi fin da Pietrone il macellaio. Lui ha un debole per me: perché così “gonfia” lo scontrino di cassa! Sì, bravo Pietrone! Anche quell’osso bello calloso, là sulla destra, si proprio quello! Ooh, meno male: anche per oggi posso dire la preghierina di ringraziamento per il lauto pasto. Pietrone nel “sacchetto” ha messo anche un bel pezzo di polmone per Attilio; così non verrà a miagolare strofinandosi a me come una prostituta e, mangerò in pace. Non capisco però, come faccia a masticare quella carne che sembra gomma. Ma chi li capisce questi gatti! Finalmente a casa: ora faccio un giro intorno al giardino, per vedere se tutto è a posto, poi aspetterò l’osso. Ugo il padrone è già tornato, la sua macchina è qui. Come mai così presto?

Dopo verrò a saperlo da Aristide; il pappagallo Ara, che ripete tutto: anche quello che non dovrebbe! Così è: assicura che, domani, la scuola finisce e farò un giro intorno al giardino, per vedere se tutto è a posto, poi aspetterò l’osso. Ugo il padrone è già tornato, la sua macchina è qui. Come mai così presto? Dopo verrò a saperlo da Aristide; il pappagallo Ara, che ripete tutto: anche quello che non dovrebbe! Così è: assicura che, domani, la scuola finisce e andremo tutti in ferie al mare come la famiglia Fantozzi. La guardia al posto mio, la farà un addetto dell’istituto di vigilanza; speriamo non mandino Beppe, non lo posso soffrire e neanche ad Attilio và a genio: ci confonde tutti gli odori degli alberi del giardino orinando sui tronchi! Qualche giorno gli lascerò un segno nei pantaloni, come faceva lo spadaccino “Zorro” con i suoi rivali! Ma ora pensiamo all’osso, che è meglio! E’ mattino. Che buon odore di fresca natura c’è in questo giardino: non lo cambierei con altro al mondo: sto proprio bene a lavorare qui! Ugo comincia a “caricare” la macchina: mamma mia quanti pacchi e pacchettini! C’è anche la gabbia di Aristide e quella di Attilio; il mio collare con guinzaglio non lo vedo: forse sarà dentro un sacchetto. Finalmente si parte: chissà dove andiamo in ferie, perché in macchina si sta’ stretti e si respira male. Sono oramai tre ore che viaggiamo; speriamo di fermarci presto, perché mi scappa un bisognino. Ecco Ugo, sì là va bene, fermati! Quella è una bella piazzola, ci sono gli alberi, così potrò alzare la zampa. Aaaah, mi sento meglio; ora sono pronto per ripartire. Ma... che fanno? Vanno via senza di me? Hei, Hei, sono qui tornate: avete dimenticato il vostro Athos! Non si vedono più; mi merita aspettare: si accorgeranno della mia assenza e, torneranno a prendermi! E’ notte. Devo credere con rabbia e tristezza che mi hanno abbandonato; ho anche un po' di paura: non mi sento più “Rambo”. Diventerò un randagio? Randagio sì: ma sarò sempre orgoglioso di aver fatto il mio dovere! Però che vita da cani e, che bestie sono questi uomini!

Emozione, di Salvatore Giudice

 

E venne la primavera! Uscire dal carcere dopo tanti lunghi anni, fu come essere travolto da un mare di indescrivibili emozioni. Era primavera, la mattina del 30 Maggio 2003 che ebbi l’occasione di usufruire di un permesso premio: il mio primo permesso premio! Erano le 5 del mattino, quando mi svegliai da un faticoso sogno. Mi alzai del letto e mi preparai il mio primo caffè, durante il quale cominciai a lanciare una serie di occhiate all’orologio, le cui lancette sembravano essersi fermate: mai il tempo mi fu cosi ostico!

In attesa del rumore della moca che da tanti mattine mi accompagna, mi lavai sotto un getto d’acqua fredda,che mai mi fu cosi caro. Non fu facile attendere l’ora x, l’emozione aumentava, la paura iniziava a prendere piede, il cuore sembrava impazzito, e per un attimo, per un lungo attimo, non riuscii nemmeno a realizzare la realtà che stavo vivendo. Arrivata l’ora x, sentii avvicinarsi nel lungo e silenzioso corridoio l’Agente di servizio, che appena aperto lo spioncino della porta della mia cella, con voce roca mi disse: “Giudice è pronto?”. Il rumore delle chiavi feci spalancare, poi, il verde e cupo cancello. Uscii tremante, lasciando il mio sguardo sulla grande mole di mio fratello che sdraiato sulla branda... mi salutò silenzioso. Attraversai il lungo corridoio dove si sentivano solo il rumore dei miei passi che si confondevano con i battiti del mio cuore. Superato il primo cancello, vidi il mondo esterno che mi attendeva, rappresentato dalle mie due professoresse (Angeli Custodi), la mia emozione si mescolò con la loro, rendendo quella mattina qualcosa di magico. Finalmente si aprì anche l’ultimo cancello, il più pesante.

Sono trascorsi da allora dieci giorni e non posso fare a meno di ripensare all’esperienza appena vissuta. Credo che sentire il rumore delle macchine, vedere le persone passeggiare, il vivere quotidiano della agente, per me così frenetico, sia l’unico vero scopo della vita, da custodire gelosamente come il bene più prezioso. Tutto questo non vuole essere soltanto una riflessione, ma anche un profondo ringraziamento a tutte quelle persone che mi hanno regalato sei ore della loro fiducia e per avermi dato modo di parte.

Una bella iniziativa, di Jmila Hammou

 

Finalmente i molteplici incontri avuti da noi detenuti stranieri, con l'associazione Iride, hanno sfornato il libro "Il viaggio interrotto… voci di immigrati dal carcere ". Abbiamo parlato delle nostre esperienze, delle difficoltà, e dei problemi che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo lontano dalle proprie patrie e dai propri cari, instaurando un rapporto amichevole e sincero con Antonia, Caroline, Daniela, Elida, Michela, Sonia che, oltre al comune progetto, ci hanno regalato un sostegno morale e tanto affetto. Di tali valori la maggior parte di noi ha un grande bisogno considerato che - molti - non hanno la possibilità di effettuare colloqui con le proprie famiglie. Trovare delle persone che ti sappiano ascoltare e prestare la loro attenzione è sempre più difficile nella società odierna che riserva poco spazio ai sentimenti di chi è in libertà, figuriamoci per chi vive dentro questo mondo fatto di mura e sbarre, chiuso al filtraggio di una palese umanità che è invece molto importante nella vita, soprattutto per chi vive una realtà come la nostra.

La presentazione si è svolta in questo istituto il giorno 12 luglio 2003, con la partecipazione anche dei detenuti italiani e la presenza dell'educatrice Dott.ssa Pesci, delle insegnanti Signore Beltrami e Baldi e, non meno, del personale della Polizia Penitenziaria presente con l'Ispettore Superiore, Comandante Vegni. Il tutto si è svolto in un clima di serena comprensione raggiungendo, anche, momenti di viva commozione grazie all'intervento di alcune membri dell'associazione e di alcuni detenuti autori del libro e non. Un progetto che mira a portare fuori dall'istituto storie di uomini che non sono nati criminali, ma che le complicazioni e le barriere del sopravvivere hanno fuorviato. E anche una campagna di sensibilizzazione e di riflessione che invita alla non vendetta dello Stato e della società, ma si prefigge la ricerca della comprensione e della tolleranza dandoci la possibilità di reintegrazione, fermo restando che anche da parte nostra dobbiamo rispettare le leggi, le tradizioni e la cultura del paese che ci ospita. Noi della redazione, invitiamo a leggere quest'opera sperando che sia oggetto di studio da parte delle vari associazioni impegnate nel problema "immigrati" e soprattutto dalle forze governative che trovano difficoltà a varare leggi per favorire l'integrazione. A nome di tutti i detenuti stranieri e italiani di Ranza, noi della redazione "Idee Libere" rivolgiamo un sincero ringraziamento all'associazione Iride, alla Dott.ssa Ciompi (Direttrice dell'aria pedagogica) che ha fortemente voluto questa iniziativa e l'Educatrice, Dott.ssa Pesci, nonché la Direzione dell'istituto, senza dimenticare la Sezione Soci San Gimignano di Coop. Centro Italia per il contributo alla realizzazione della festa di presentazione del libro.

Per la ricezione del volume ci si può rivolgere, fino ad esaurimento delle scorte, a I.R.I.D.E.

Associazione Interculturale di Donne - Via T. Pendola, 37

53100 Siena oppure casella postale n. 176

53100 Siena (e-mail: iride@virgilio.it).

Conoscere il carcere, di Massimiliano Ruggero

 

Conoscere il carcere, nel suo contesto, per coloro che vivono fuori da queste mura si rivelerebbe qualcosa di veramente “sconvolgente”; spesso infatti si tende a convincersi di sapere sempre tutto di tutto, ci si ritiene informati sulle più svariate situazioni che, sebbene troppe volte (abilmente) nascoste ai nostri occhi, sono pur sempre parte della nostra società. E’ il caso degli Istituti di Pena, edifici spesso fatiscenti di cui l’opinione pubblica crede di sapere ogni cosa, sentendosi così in diritto ed in dovere di esternare ognuno la propria opinione ed il proprio giudizio al riguardo. Molte volte, troppe volte, chi vive fra queste mura viene considerato come qualcuno da tenere lontano fino alla sua morte, a volte augurandosi che questa arrivi al più presto o, addirittura, esprimendo tutto il proprio apprezzamento per una condanna, quella capitale. Ci sono in effetti paesi che tuttora applicano tale condanna, la pena di morte appunto, ma quasi nessuno si è mai soffermato a riflettere e far valutazione sulla sua effettiva efficacia; in questi paesi ad esempio i reati non diminuiscono, anzi i numeri ci dicono che sono in costante aumento e questo è il risultato dell’applicazione della pena capitale, che dimostra la più totale inefficacia. Inoltre c’è chi vede una tale condanna come l’unico risarcimento nei confronti dei familiari di una vittima, dimenticandosi di vivere in un paese la cui religione cattolica va in tutt’altra direzione che non quella della vendetta. Fra l’altro, un tale risarcimento nei confronti dei familiari di una vittima, porterebbe soltanto a commettere un ulteriore danno ai familiari del reo, che peraltro non hanno alcuna colpa; paradossalmente, tutto questo potrebbe persino essere considerato come una sorta di “faida di Stato”! In realtà, tutti dovremmo vedere la figura del detenuto con altri occhi, perché esso non è un alieno ma una semplice persona, con i suoi difetti, i suoi problemi, i suoi sbagli, le sue esigenze, i suoi diritti, le sue richieste d’aiuto e, certamente, le sue responsabilità. Occorre dare sempre una nuova possibilità a queste persone, è un loro diritto ed un dovere di ogni cittadino “libero”; c’è piuttosto da guardare oltre, perché oggi la giustizia Italiana non è fra le migliori macchine istituzionali a questo mondo, tutt’altro. Inciampare nei suoi ingranaggi potrebbe accadere a chiunque, anche alla persona più onesta e docile di questo pianeta! Basterebbe tenere sempre presente questo concetto, per domandarsi se sia giusto o meno inasprire e reprimere sempre di più una condanna, la cui sofferenza è già di per sé estremamente forte; un detenuto non dev’essere considerato come un virus da cui difendersi in qualunque modo: i detenuti non piovono da un altro pianeta, ma sono il frutto della società di cui anche tu lettore fai parte, e non sono nemmeno i peggiori! E’ proprio questa incomprensione, che porta troppo spesso parte della società a tenersi a debita distanza, impedendo così al detenuto di trovare quell’aiuto concreto, quella mano tesa che gli permetterà un giorno di riprendersi quella vita che aveva buttato via senza quasi rendersene conto.

Mi soffermo così su un’affermazione che mi è rimasta impressa sin dal primo giorno in cui ho avuto modo di leggerla: un detenuto reinserito è un investimento per tutta la società, diversamente sarà sempre e solo una sorta di cancro che continuerà ad avanzare inesorabilmente.

Sbarrati, commento di Jmila Hammou

 

Da questa poesia si intravede il senso dell'angoscia di uno studente. Un ragazzo "libero", che per un'iniziativa della scuola Igea, del professore di ginnastica Nardini - nonché la volontà degli studenti - ha avuto modo di entrare all'interno di questo carcere di Ranza per partecipare alla partita di calcio vestendo la maglia del suo Istituto scolastico. L'impatto con questa realtà è stato da lui espresso in modo esplicativo, evidenziando sentimenti e pensieri di questo mondo crudele, formato da mura, cancelli e sbarre che, spesso, non lasciano filtrare il senso dell'umanità, perché buona parte della società considera i detenuti parassiti da emarginare e da tenere nella pattumiera, rifiutando la conoscenza di questa realtà. Vorremo ricordare le parole di Don Mario Ferrari, cappellano della casa circondariale di Lodi: "i detenuti non piovono da un acido pianeta, ma sono il frutto della società e nemmeno tra i peggiori!"

 

Un brivido mi percorre, mi attraversa la schiena, si scarica, dai piedi, a terra. E’ solo l’inizio, solo il primo cancello, il primo, banale, controllo. Cerco fanciullescamente un punto debole per la fuga, in realtà scorgo solamente delle divise in riga. Dentro è asettico, vuoto, non mi interessa la luce, solamente le sbarre, noto, non il ricamo che l’ombra cuce. Nello sguardo di alcuni vedo la speranza, ma in quale domani? Mi assale ancora la riluttanza. Dico ad un grigio piantone, che c’è più di un criminale fuori da questa prigione, e da banchiere è vestito questo tale. E perciò fuori rimane, rispettato e ringraziato, colui che ruba la vita, il pane, al povero disgraziato. Lui mi dice “dai basta, non facciamo di questi pensieri, non puoi far sempre la cosa giusta”, e così tutto rimane uguale a ieri.

 

“...lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano, quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano. Se tu penserai e giudicherai da buon borghese, li condannerai a cinquemila anni più le spese. Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo.” 

 

(“La città vecchia” di F. De Andrè)

 

E l’allegria prima finta ora vien fuori istintiva, era costretta da una cinta: il mio “buon senso” che la reprimeva. Dopo i saluti, le mille parole, mi colpisce finalmente la sbarra che ricama il sole ed ogni ombra rende opprimente. Ora che si richiude il portone e posso guardare ogni orizzonte e vivere come nella canzone, senza sbarre, col sole in fronte. Posso affermare, parola mia, pur non sapendo cos’è la libertà, che là dentro è grigia prigionia e solo fuori posso trovare la felicità.

 

(Matteo Mascherini - 5°C)

Un incontro fatale, di Francesco Seminerio

 

Durante un noioso pomeriggio, mentre mi trovavo ospite in una cella, di una struttura detentiva, per puro caso feci la conoscenza di Sua Eccellenza “ Madame Lettura”. Tutto accadde quasi per gioco, o per volontà Divina, o magari causato dal caldo afoso dei mesi estivi; sinceramente ancor oggi non saprei spiegare la motivazione che siglò questo felicissimo incontro. Tutto si svolse nell’ incoscienza totale, nel senso che ero annoiato e rattristato, mentre i miei organi visivi focalizzarono un testo di un tale Pirandello Luigi.

Presi la stesura e lessi che il dotto scrittore aveva origine sicula, mi pare della zona di Girgenti (Agrigento). Quindi essendo anch’io nato nella splendida Trinacria, forse per curiosità iniziai a leggere quelle pagine. Sintetizzando, fu l’inizio di un adorabile corteggiamento istruttivo, sia a Sua Eccellenza che in seguito alla sorella "Lady Cultura"

All’improvviso quasi tutti i pomeriggi noiosi, divennero colmi di curiosità e gioia: le ore trascorrevano velocemente e in me si accresceva la volontà di continuare a leggere fino alla stanchezza totale, per scoprire il contenuto di quelle pagine sporcate di un adorabile inchiostro. Effettivamente non furono sempre rose e fiori, soprattutto quando incontravo sulla mia strada vocaboli sconosciuti, che mi provocavano e continuano a provocare una confusione totale alla mia mediocre cultura. Ma dopo la prima momentanea nevrosi, ricorrevo e ricorro, al caro vecchio amico vocabolario, che a stento riusciva a spiegarmi il significato di un pensiero o di una parola, permettendomi di continuare a percorrere quel sentiero sconosciuto. Oggi, a distanza di tempo ripercorrendo mentalmente quel fortuito tragitto, sostengo che anche in luoghi tetri e freddi come le patrie galere, avvengono incontri per certi aspetti significativi e importanti, che possono cambiare in parte l’essere umano. Per quanto mi riguarda, oltre ad aiutarmi a trascorrere il tempo, anzi ad ignorare il Lucifero - ozio, la lettura mi ha consentito di scoprire nuovi orizzonti letterari e di fare la conoscenza di grandissimi scrittori, continuando ad ampliare il mio bagaglio culturale. Questo scritto, è solamente una riflessione di un uomo ristretto, ma libero di apprendere.

Il pallone è sgonfio. Ovvero: come sono riusciti a rovinare un bel giocattolo

 

Di tutto, di più. I segnali erano già stati forti un anno fa: inizio ritardato dei campionati di A e B perché non c’era intesa con le pay tv. Durante tutto il campionato finito a Giugno abbiamo visto di tutto: Presidenti in lite tra di loro e, in pool, contro i vertici calcistici. Attacchi furibondi agli arbitri con epiteti irripetibili perché, alcuni presidenti, si ritenevano continuamente e in malafede danneggiati. Parole grosse contro i designatori arbitrali che “avrebbero tramato” ora contro questo ora contro quello. Un burattinaio vergognoso, messo in piedi per giustificare, spesso, le proprie incapacità e le proprie scelte sbagliate.

E poi il ricorso alla giustizia ordinaria ( i vari TAR disseminati in Italia) per modificare una sentenza, inappellabile secondo il codice sportivo, non gradita. E così i Magistrati avrebbero disegnato la composizioni dei campionati di A e di B. Addirittura una squadra, retrocessa dalla B alla C e con un distacco di 22 punti dalla quart’ultima, salvata non si sa per quali motivi e reintegrata nella categoria superiore. Una vergogna. E mentre scriviamo non sappiamo se i campionati inizieranno e quando. Credo che ormai la frittata sia fatta, anche perché quando uno sport come il calcio ha bisogno del Governo per sorreggersi dopo le burrasche da esso stesso provocate per manifesta incapacità, è difficile sperare che qualcuno si ravveda. Ma se almeno un Presidente, un arbitro, un alto dirigente di lega o di federazione avesse voglia di pensare anche agli altri, oltre che alla sua poltrona, non occorrerebbero misure straordinarie. Ci proviamo, senza presunzione, a dirne qualcuna. Definire in maniera intangibile i livelli di giudizio per le punizioni a società e giocatori ed affermare che chi dovesse ricorrere alla giustizia ordinaria perderà dieci punti in classifica; i giocatori raddoppierebbero la squalifica. Tornare al sorteggio, per fasce, degli arbitri. Rinnovare totalmente i vertici della Lega e della Federazione affidando gli incarichi a manager non implicati nelle società calcistiche.

Ci rendiamo conto che anche il calcio vive il libero mercato e quindi è sottoposto alle leggi della domanda e dell’offerta, ma non si può continuare a strapagare i calciatori come avviene oggi: occorre calmierare. Ed infine i presidenti dovrebbero valorizzare di più i vivai interni con lo scopo di lanciare giovani con meno pretese e maggior “fame”, in termine figurato. Tutto questo (ed altro) forse rappresenta solo un sogno, ma l’alternativa è la fine del football, come si chiamava 120 anni fa quando fu importato dall’Inghilterra; cercasi orecchie disponibili ad intendere!

L'imbuto, di Fabio Perrone

 

Alcune interpretazioni che dal vivere sociale si acquistano o si è costretti ad affittare, alcuni stati di parziale incoscienza spingono certi uomini a camminare sull'orlo di un imbuto. Si gira in tondo barcamenandosi, finché di colpo la terra non comincia a sgretolarsi e a franare sotto i piedi, si precipita vorticosamente giù per quel imbuto, avvolte da una densa nuvola di polvere, frullati e strapazzati ci si ritrova in uno spazio buio e angusto seduti su un gelido lastricato. Siamo nelle viscere del mondo. Gli occhi increduli si guardano intorno con lentezza spettrale, pieni come sono di sconcerto e di terriccio. Non c'è via d'uscita.

Appena dietro, proprio in alto, si percepisce solo la presenza di un debole cerchio di luce che sembra arrivare da molto lontano, attraverso quel tubo che ci ha risucchiato. Ma la vista è nebulosa, la polvere sospesa in aria non ha ancora finito di depositarsi, è lì a ricordarci il luogo da cui proveniamo. Poi il tempo, il tempo che tormenta, matura e invecchia. Il tempo che disperde gli ultimi granelli di quella nostra vita, franata su un terreno maledettamente insidioso. Il cerchio di luce ora sembra una feconda luna piena in una limpida notte costellata di sogni. Ci si guarda dentro, le pareti interne velate d'oscurità, sono lambite da ombre di luce, che si allungano dal cerchio più avanti. Stiamo esplorando quel tubo che ci ha scaricato lì. Stiamo guardando attraverso il nostro passato come dalla parte stretta di un imbuto, sicuri che dall'altro capo la prospettiva si allarga, la dimensione temporale si inverte volgendo all'avvenire, nonostante quel che si vede sia l'esatta proiezione del solito vecchio cerchio. Per il futuro si transita dal passato, è questo che ci stiamo dicendo. Non con due pesi e due misure decidono cosa fare di noi, hanno sempre usato un imbuto.

C'era una volta la torta di mele, di Massimiliano Ruggero

 

Passa il tempo, come una nube che, portata dal vento, inesorabile prosegue il suo viaggio senza una meta ben definita. Passa il tempo e con esso sembrano passare le tradizioni, i piccoli gesti di una volta, le antiche fiabe che i nonni raccontavano ai nostri padri e alle nostre madri. Tutto sembra perdere valore, significato ed importanza. Proprio pensando a ciò, a volte, mi soffermo a riflettere su piccole cose che mi riportano alla mente gesti semplici ma carichi di significato, umili sapori come quello di una torta di mele preparata in casa, da mia nonna che era sempre pronta a raccontarmi qualcosa che io, allora, credevo fosse una fiaba ma che oggi mi rendo conto era soltanto esperienza di vita, raccontata ad un bambino.

Ecco allora che spesso mi chiedo il motivo per cui, nella società attuale, ci sia così poco rispetto e così poca attenzione verso quelle persone che noi chiamiamo “anziani” ma che io definirei semplicemente “saggi”. Guardandomi attorno, vedo ben poca considerazione nei confronti di queste persone che hanno solo da insegnarci a vivere; vedo poca attenzione nei loro riguardi. Spesso provo vergogna nel vedere questi “nonni” rinchiusi in cosiddette Case di riposo, come se avessero commesso chissà quale reato nella nostra società; meriterebbero certamente qualcosa di più, meriterebbero stima, affetto, comprensione, attenzione, riguardo, cure, tempo da dedicare loro, insomma rispetto. In fondo tutti quanti dovremmo ricordarci che la nostra società, sebbene con i suoi difetti e le sue pecche, oggi ha qualcosa che deve soltanto a queste persone, che affrontando un passato fatto di fame e di povertà ci hanno dato quel che oggi abbiamo e che, fra l’altro, stiamo gettando al vento un poco alla volta con la nostra incoscienza. Da bambini ascoltavamo le loro vicende, credendo fossero soltanto delle favole; oggi invece ci rendiamo conto che i loro racconti erano i segni di una vita trascorsa nella sofferenza ma anche nella speranza di un mondo migliore e solo per questo dovremmo essergliene grati in ogni modo. Purtroppo oggi la società sembra avere troppa fretta, sembra aver tempo solo per se stessa e per le cose più inutili, dimenticandosi quindi di queste persone che invece ci hanno sempre dato senza, quasi mai, aver avuto in cambio nemmeno un semplice “grazie”.

Oggi sembra non esserci più spazio per loro se non in Ospizi, ambienti squallidi, poveri di umanità e amore. Ci si preoccupa di un canile mal gestito, di un animale abbandonato, ma mai che ci si ricordi di un anziano che certamente, con tutto il rispetto per gli animali, meriterebbe una certa precedenza! Occorrerebbe allora che la società, prendesse seriamente coscienza che queste forti ma allo stesso tempo fragili persone esistono, ci hanno dato molto e molto possono insegnarci. Quella torta di mele, preparata dalle nostre nonne, oggi racchiude in se tutto quello che noi dobbiamo ancora imparare o che forse da troppo tempo abbiamo dimenticato. Ricordiamoci che un giorno anche noi vivremo quell’età ma forse, allora, noi non avremmo nulla da raccontare, non saremo dei saggi e non potremo insegnare ai nostri nipoti il sapore di ciò che mangiavamo, quand’eravamo bambini e credevamo alle favole.

 

 

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