IdeeLibere n° 5

 

IdeeLibere

Periodico d’informazione della Casa di Reclusione “Ranza” di San Gimignano - Siena

 

Anno 2 - N° 5        giugno - luglio 2003

 

 

Un mondo di barriere
L'estate, le canne, gli amici
Fenomeno Kamikaze...
Speciale minori
Alunni dell'Istituto "A. Volta" di Colle V.E.
Alla scoperta del giornalismo
Parole in libertà
San Gimignano e il carcere
Da ristretti a "Ristretti"
Sono garantiste le leggi penitenziarie?
I ceramisti di Ranza
Cani e gatti
Quale luna park
Le tre fiere
Io e la scuola


Un mondo di barriere, di Massimiliano Ruggiero

 

In un mondo sempre più avanzato, tecnologico, moderno e spesso futurista, puntuali come orologi svizzeri si presentano molte volte problemi che giacciono da sempre nei meandri più oscuri della nostra civiltà. Fame nel mondo, risorse del nostro pianeta sperperate senza il minimo ritegno, guerre tanto micidiali quanto assurde. Ma ci sono anche problemi, apparentemente di tutt'altra portata, con i quali non tutti convivono; si provi ad esempio a domandare quali sono i problemi che puntualmente, un disabile, deve affrontare ogni santo giorno ed ecco che spunterebbero fuori una serie di ostacoli che a noi sembreranno certamente banali, ma che purtroppo ci sono e potrebbero diventare ostacoli per ognuno di noi: le barriere architettoniche. Nel nostro paese, spesso la tecnologia viene adoperata per migliorare i nostri computer, dare qualità grafica ad un videogioco, perfezionare il suono di un lettore CD, o dare più rapidità alla nostra cucina, in funzione della fretta con cui oggi si muovono le persone nelle nostre città. Ma c'è chi di fretta non ne può avere, c'è chi impiega tempi interminabili per uscire dalla propria abitazione, chi deve affrontare mille peripezie per entrare in un locale pubblico e chi, addirittura, si vede costretto a rassegnarsi e a sentirsi quindi sempre più emarginato da quella società che continua a definirsi civile.
Oggi un disabile non ha la possibilità di muoversi più o meno agevolmente senza l'aiuto di una persona che lo accompagna; entrare in un locale pubblico molte volte risulta quasi impossibile, come risulta spesso impossibile poter far uso di una metropolitana.
Una persona immobilizzata su una sedia a rotelle, infatti, come potrebbe fare a salire o scendere una rampa di scale, per raggiungere ad esempio un qualunque treno? Ci sono in Italia dei sottopassaggi le cui scale dovrebbero essere accessibili grazie ad un particolare congegno che, automaticamente, trasporta il disabile da una parte all'altra; occorre in realtà utilizzare il condizionale, in quanto in molte città queste strutture tecnologiche, simili a dei veri e propri montacarichi, non sono in funzione o, addirittura, sono lasciate alla mercé del nulla, senza un addetto al loro controllo e, quindi, inutilizzabili.
Ci sarebbe da chiedersi se in questo paese ci sia o no il buon senso (dicesi anche "civiltà") di riconoscere l'esistenza di queste persone, che come tali dovrebbero essere rispettate. Un portatore di handicap oggi si trova a dover combattere quotidianamente contro ogni sorta di indifferenza, prima fra tutte quella che gli viene dimostrata palesemente da chi dovrebbe prestare invece più attenzione, più sensibilità e più rispetto.
Mancano le strutture, manca il personale, mancano i fondi. Queste sono le solite tre risposte dietro alle quali gli enti pubblici si nascondono ogni volta che ci si trova a dover affrontare un problema che, come questo, non dovrebbe nemmeno esistere; in realtà occorrerebbe semplicemente pensare meno alla grafica di un videogioco e prendere un po' più in considerazione la vita di queste persone, perché il mondo appartiene anche a loro, sebbene non facciano guadagnare ad un'azienda quanto fa guadagnare invece l'ultimo modello di videogame a cristalli liquidi!

L'estate, le canne, gli amici, di Lino Lupone

 

Quand'ero giovanissimo, l'estate era la parte migliore dell'anno e insieme agli amici aspettavo i fine settimana per partire e trascorrere il weekend in una spiaggia muniti di sacco a pelo, fumo e pochi spiccioli per sopravvivere. Penso spesso a quel periodo della mia vita, ai mitici o rovinosi anni ottanta. In quegli anni se non ti facevi le canne eri un secchione o un… coglione. Se le facevano tutti tranne i secchioni e i coglioni. Erano i tempi degli sballati, della musica a pala, del punk dei Cure e dei Depeche Mode, del rock degli U2, ecc. Ci confrontavamo con le prime esperienze sessuali, con gli intrecci sentimentali, con le grandi scelte. Allora esisteva un motto "meglio un giorno da leone che cento da coglione" oppure "meglio ladro che frocio" e via dicendo. Sembrava di vivere tutti in un grosso contenitore con l'acqua che lentamente ti saliva alla gola e farsi una canna, o addirittura qualcosa di più forte, poteva essere una via di fuga alla quale aggrapparsi, o forse era solo un modo un po' più vile per sfuggire la realtà. Certo era da idioti ma chissenefrega. In fondo, per me, quegli anni rappresentavano ancora il periodo che ricordo con più affetto. Non il più bello, ma il più intenso, sì. Ricordo che dormivo quattro ore ogni notte, ne lavoravo dodici e nelle restanti non facevo altro che godermi un viaggio senza limiti perché allora, i limiti, assomigliavano ad un'invenzione per privarci della libertà. Che pazzi eravamo io e i miei amici. Ci misuravamo ogni giorno con i rischi solo per il gusto di fare i conti con gli imprevisti, col destino e con la follia.
Ripensandoci, ciò che facevamo, mi appare come una specie di gioco estenuante a chi dimostrava di avere meno cervello, ma allora mi sembrava la vita e forse lo era, ma non poteva funzionare per sempre.
Mario e Ginco adesso sono felicemente sposati; anche Giuseppe è sposato, ma all'eroina. Un altro dei miei amici si è suicidato poco più che ventenne perché la tipa lo aveva lasciato; Tommy continua a vivere nel suo mondo pacifico, fumando l'impossibile, sempre in viaggio tra l'Olanda, l'India e il Nepal e Andrea fa il bidello in un liceo e si fuma le canne che sequestra ai ragazzi che sorprende a spinellarsi nei bagni della scuola. Ah dimenticavo... io sono ancora in galera, le canne non hanno più alcun significato e, chissà, questa potrebbe essere la volta buona per, come dice mia madre, "mettere un po' di cervello".
A conti fatti quel periodo è stata una bella esperienza che mi è servita per prendere atto che noi non potevamo controllare tutto ciò che è successo e nemmeno prevedere cosa sarebbe stato di noi.
Insomma, nelle storie di noi altri, credo esista un disegno divino, o forse è solo il caso, non lo so, ma so che non dipende esclusivamente da noi. Quindi posso anche rilassarmi e vivere di più il presente senza preoccuparmi troppo di ciò che accadrà domani.

Fenomeno Kamikaze…, di Jmila Hammou

 

Iniziamo a dare un termine giusto a questo fenomeno partendo dalle sue origini, per arrivare a quello che sta travolgendo le popolazioni e infiammando i rapporti umani, come fanno del resto le guerre. La parola kamikaze fu attribuita ad un tipo di azione militare che i Giapponesi compivano durante la seconda guerra mondiale contro gli americani, lanciandosi con i propri aerei contro le navi USA, ubbidendo agli ordini dei loro superiori. Si parla quindi di una scelta strategico-militare che ne richiama una più antica la quale aveva permesso ai loro avi di sconfiggere i mongoli tra il 1274 e il 1281, prendendo il nome dal "vento divino" TOKKOTAI. Ma parliamo delle attuali " operazioni di martirio", anche se non so fino a che punto possano essere chiamate tali.
L'Islam non ammette attentati verso i bambini, anziani e innocenti, neanche in tempo di guerra, ma invita la Jihad, che vuol dire "sforzo su se stessi": sforzarsi di combattere la povertà, resistenza ed autodifesa contro le tentazioni del male. I musulmani, costretti a difendersi da chi li attaccava, proclamavano la Jihad, cioè lo sforzo per l'autodifesa e la resistenza con la ricompensa della vita in paradiso e tutto quello che questo offre.
Così come accadeva nell'XI secolo, all'epoca delle crociate, e nel XIV secolo, all'epoca dei mongoli di Genghiz Khan. Nell'Islam non esiste il concetto di guerra "santa", nessuna guerra è mai santa, al contrario, essa costituisce una maledizione per l'uomo, così come le azioni di terrorismo contro i civili da qualunque parte esse provengano. Io credo che gli aspiranti martiri del Medio Oriente, associano la Jihad ad una idea: visto che morire si deve, tanto vale portarsi con se più nemici invece che nessuno. E' un'arma estrema e disperata, che non fa che svegliare reazioni altrettanto violente e disastrose verso la popolazione civile; è un continuo "botta e risposta" che non intimorisce né una parte né l'altra. Tuttavia, il terrorismo non è espressione di un potere centralizzato e gerarchizzato che pianifica le sue azioni, ma si esplica con modalità che prevedono una miriade di luoghi diversi, è "l'esercito del potere polverizzato". Per cui la lotta contro esso implica misure che cerchino di eliminare le cause profonde che lo hanno reso possibile e lo fanno progredire.
E allora, fino a quando deve regnare questa situazione?
La mia risposta è: finché non ci sarà giustizia vera non ci sarà pace, perché i signori che hanno il potere di far sì che questo accada, hanno progetti ben diversi. Si nascondono dietro nobili propositi, tipo esportare la democrazia, ma essa non può sorgere dalle rovine, dalla morte e dall'odio.
Per arrivare ai loro sporchi obbiettivi economici, politici, e militari, usano ogni mezzo a disposizione, calpestando i diritti internazionali, minacciando chi li sostiene, e censurando persino la libertà di stampa e d'espressione con arroganza e prepotenza. Questo vale per molti regimi nel mondo. Inoltre, come si fa a credere in un mondo migliore e pacifico quando la strategia americana non prevede passi indietro rispetto all'impostazione attuale, ma prevede di creare stati-birillo che devono essere in sintonia con i loro sistemi? Vale per la Siria, l'Iran, ma anche per l'Arabia Saudita, l'Egitto e il Pakistan che hanno manifestato il proprio nervosismo per il modo in cui gli americani si stanno muovendo nella regione. Sembrerebbe esistere un progetto per il nuovo secolo americano (Pnac), che è un associazione governativa di estrema destra che ha fra i suoi capi Donald Rumsfeld, Dick Cheney e altri membri dell'amministrazione Bush, e ha come obbiettivo l'affermazione degli USA come unica potenza mondiale.
Secondo la mia modesta analisi personale, tutto ciò non può che far prevedere un crescente anti americanismo radicale nel mondo arabo e musulmano e, quindi, sfornare purtroppo altri guerrieri decisi a sacrificarsi per odio e oppressione provocando vittime innocenti senza giungere ad una soluzione.

Speciale minori, di Silvano Lanzutti

 

Com'è difficile reinserirsi…

 

Almeno una volta nella vita ogni genitore ha affrontato la paura che il proprio figlio possa trovarsi coinvolto in qualche brutta storia di cronaca; alcuni hanno poi vissuto tutto questo. Purtroppo si parla troppo poco di reati minorili, forse ingannati dalla percentuale che vede un tasso del 3% circa dei reati commessi in Italia in quelli commessi da minori; la più bassa in Europa. Questo è sicuramente sbagliato, oltre ad essere un male per tutti quei minori disagiati che vivono in quartieri degradati, con famiglie allo sbando, o quei tanti ragazzi stranieri che, per la regioni che tutti sanno, non possono contare nemmeno sull'appoggio di una famiglia allo sbando. Non posso avere la presunzione di pensare come evitare tutto questo, ma posso pronunciarmi sul cosa fare dopo che un minore ha varcato la soglia di un carcere minorile. Molte, forse troppe volte, si cercano i motivi per cui un minore che lascia il carcere ci ritorni, nei quartieri, nelle famiglie o nel fallimento degli operatori del carcere.
La mia esperienza mi dice che non sempre è così. Non sempre la colpa va attribuita a queste cause. Come prima cosa, un minore che ha commesso un reato viene considerato un criminale, senza fare alcuna distinzione di età. Ci sono leggi che rischiano di intralciare il programma di reinserimento, come succede troppo spesso, facendo sì che un ragazzo non abbia più nessun punto di riferimento, anche nel campo lavorativo. In altre parole, troppe volte i minori che lasciano il carcere una volta scontata la pena, vengono lasciati in balia del loro destino, troppo spesso crudele.
Alcuni mesi fa il Ministro della Giustizia R. Castelli ha proposto una riforma sui minori, riforma già approvata dal Consiglio dei Ministri. Se posso esprimere un parere personale, mi sento di dire che si tratta di una riforma puramente forcaiola. Il minore va seguito nel suo percorso di recupero, va tutelato, va difeso e va capito. La riforma invece prevede solo un inasprimento del carcere, delle pene e dei trasferimenti nei carceri ordinari. Infatti ora chi ha commesso un reato in età minore, sconta la pena nel carcere minorile fino a 21 anni, la riforma prevede il trasferimento nel carcere per adulti a 18. Il minore, attualmente, non è perseguibile per legge se non ha compiuto i 14 anni, la riforma abbasserebbe l'età punibile a 12.
A mio avviso una riforma dovrebbe prevedere, come prima cosa, la tutela di chi, dopo aver commesso un reato, deve affrontare un percorso di reinserimento nel contesto sociale. Va fatto presente, ad esempio, per chi non ne fosse al corrente, che c'è un articolo del Codice della Strada, l'Art. 120, che prevede la perdita dei requisiti morali e conseguente revoca della patente di guida per chi ha subito una condanna non inferiore ad anni 3 e per chi è sottoposto a misure di sicurezza personali, come ad esempio la Sorveglianza Speciale.
La cosa che a me sconvolge, è che questo articolo viene applicato anche a chi ha commesso un reato in età minore. Allora mi viene da pensare dove sia finita la tutela dei minori, dov'è finito quel principio morale che ci ha sempre fatto tenere in maggior considerazione i minori, dov'è finita la civiltà di un Paese che così si definisce ma dimostra il contrario?

Eppure ero ancora un "bambino"

 

Due volte ho varcato la soglia dell'Istituto Penale Minorile di Milano C. Beccaria: nel '93 e nel '95, sempre per lo stesso reato. La prima sensazione che ho avuto arrivando davanti alla porta della sezione (gruppo) è stata quella di trovarmi in un classico carcere americano, di quelli che si vedono quotidianamente nei film. Coperte e lenzuola in mano, un detenuto mi ha raccolto al volo su indicazione del capoposto per accompagnarmi in sezione. Arrivati al 3° piano una porta di ferro mi divideva da un rumore assordante di voci, bigliardini e roba simile. Aperta la porta mi ha colpito subito la vista di un corridoio con una decina di porte in ferro pesante (blindi) da una parte e una decina dall'altra.
I compagni venivano a curiosare chi fosse quel "nuovo giunto", a chiedere per cosa fossi lì. Pian piano ho preso confidenza con il posto e con i ragazzi, con gli operatori e con gli educatori, con il campo e con tutto ciò che mi circondava. Quando mi sono ambientato del tutto, sono stato scarcerato. Dopo un anno e mezzo si presenta il conto con la condanna definitiva a 4 anni e 8 mesi di cui 8 mesi già scontati; rimangono 4 anni che fare? Le scelte sono due: aspettare la cassazione rischiando di ottenere non più che una conferma della condanna, trovandomi con una pena definitiva a 4 anni da scontare in un "vero" carcere, o fare in modo che l'ordinanza di custodia venga emessa quanto prima per cavarmela con un anno di carcere minorile? Opto per la seconda soluzione! Così il 13 Luglio del 1995, munito di valigia con tutto l'occorrente, mi reco presso il Beccaria e chiedo di costituirmi. Dopo una settimana vengo assegnato al 3° gruppo e, nel corso del primo colloquio con l'educatrice, gli espongo tutti i miei progetti: a Ottobre lavoro esterno, a Dicembre il primo permesso e a Giugno Affidamento in prova al Servizio Sociale. Lei rimane colpita dalla mia determinazione, anche perché, nell'anno trascorso lì, è successo tutto ciò che io avevo previsto, grazie anche ai vari operatori che mi hanno aiutato a impostare un buon programma. Purtroppo, posso affermare che il lavoro molto positivo di tutte queste persone non ha avuto buon fine, ovviamente non per loro colpa; uscito dal carcere nel 1996, pensavo di potermi considerare reinserito, lavoravo e avevo trovato una condizione psichica veramente ottimale. Da lì a breve ho dovuto fare marcia indietro e riprendere un cammino troppo tortuoso, al punto che ho dovuto conoscere anche la realtà carceraria degli adulti. Il macigno che mi è precipitato addosso è stato con la revoca della patente che mi ero tanto sudato, facendomi perdere quel lavoro che tanto mi entusiasmava: il corriere o padroncino o come lo si voglia definire. Perso quello è stato come se avessi perso me stesso e ogni punto di riferimento. Anche gli operatori dei Servizi Sociali sono stati impotenti e, cosa più raccapricciante, è che nessuno ha tenuto in considerazione il fatto che io mi stessi reinserendo. Perfino il Ministero degli Interni e il Consiglio dei Ministri, rigettando i miei ricorsi, hanno affermato che "prima del reinserimento del ricorrente prevale la sicurezza e l'ordine pubblico".
Allora mi viene spontanea una domanda: se i minori che commettono un reato non vengono aiutati a reinserirsi, come si pensa di ottenere la sicurezza e l'ordine pubblico? La risposta sta nel fatto che io sono tornato a commettere reati i quali, se fossi stato più tutelato, non avrei sicuramente commesso!

Alunni dell'Istituto "A. Volta" di Colle V.E. Cari Ragazzi…, di Lino Lupone

 

Come annunciato nel precedente numero, prosegue - e si conclude - il resoconto di un incontro con i ragazzi del Liceo Classico "A. Volta" di Colle Val d'Elsa. Il Prof. Fabio Berti e il nostro Direttore Responsabile presentarono il nostro giornale e discussero con i ragazzi sul Carcere e sulle pene alternative. Pubblichiamo altri interventi scritti dagli studenti e una delle risposte fornite ai ragazzi dai redattori. E così, in piccolo, abbiamo creato un confronto che se anche necessariamente "a distanza" è servito ad ambo le parti.

Leggendo le riflessioni di alcuni di voi la prima considerazione che mi sono fatto è stata di carattere critico. Quelle frasi, infatti, mi suonavano scontate, proposte con distacco, quasi come se l'argomento rappresentasse qualcosa di simile ad un compito noioso, ma in effetti trapelava una sorta di tenerezza che apprezzavo. Poi ho riflettuto sui miei 16 anni. Ho immaginato di trovarmi al vostro posto di fronte a due "tipacci" invadenti che mi mettevano sotto gli occhi dei giornali creati da sconosciuti, forse ladri o rapinatori, ai quali, in seguito, avrei dovuto comunicare i miei pensieri sull'argomento, non prima di un'attenta riflessione che la mia insegnante mi chiedeva con un fucile puntato alla schiena. Naturalmente ho esagerato. Non sarà proprio andata così, ma se mi fossi trovato realmente al vostro posto, forse, mi sarei annoiato a morte. D'altra parte ho pensato: quale potrebbe essere la finalità di questo scambio di opinioni? A me piace pensare che quest'esperienza, anche piccola, possa servire a voi per capire meglio i problemi del carcere, ma soprattutto per prevenirlo, per non commettere, già da ora, quegli errori che in futuro possono diventare irreparabili. Per noi, invece, l'utilità è quella di ritrovare momenti per ricominciare a sognare: fare dei passi indietro non significa fallire ed io affronto questo momento difficile, questo passaggio, con la voglia di migliorarmi, di fare progetti, e non c'è stimolo migliore che confrontarsi con un giovane che vive il periodo più bello e fertile della vita. Si, lo so! Voi penserete: Bello mica tanto… È per questo motivo che spero di esservi utile; diciamo per mettervi in guardia. L'adolescenza è il periodo più bello, ma, per alcuni versi, anche il più complicato. Si iniziano a tracciare le linee fondamentali per costruire il futuro e spesso i sogni, gli slanci, le delusioni, la voglia di ribellarsi possono diventare sintomi pericolosi se affrontati con poca cautela. Mi piacerebbe raccontarvi quante volte ho fatto le mie scelte senza seguire il consiglio di nessuno solo per dimostrare la mia forza e il mio carattere. Solitamente andavo incontro a delle "tranvate" terribili che invece di farmi chiedere aiuto, mi inorgoglivano, mi riempivano di sfida soprattutto nei confronti del mondo degli adulti, che io proprio non sopportavo. Lentamente, in modo quasi impercettibile, invece di costruirmi il futuro mi preparavo la strada per il carcere attraverso dei passaggi che ora ritengo stupidi e pericolosi. Credo, infine, che tramite questo scambio ognuno di noi possa far tesoro delle cose che ritiene utili che, per quanto mi riguarda, si riferiscono all'importanza di "esserci", di poter contribuire e di avere voce verso l'esterno anche solo con queste poche righe che leggerete. Ci sarebbero ancora tantissime cose da dire ma non vorrei sembrare prolisso (forse lo sono già stato), quindi non mi rimane che ringraziarvi per aver ispirato questo salto nel passato e salutarvi con il desiderio che possiate apprezzare le mie parole.

 

"stanza buia, stretta e bassa; luogo dove si sta malvolentieri, perché non ci si sente liberi". Così il vocabolario definisce il carcere. Pensiamo sia giusto che i detenuti debbano scontare la loro pena, ma nello stesso tempo non devono perdere la facoltà di potersi esprimere e di liberare quelli che sono i loro sentimenti. Il giornale è un'occasione in più per sfogarsi, così quella stanza buia, stretta e bassa potrà far filtrare uno squarcio di libertà che ogni giorno che passa gli sembrerà sempre più irraggiungibile.

 

Fiammetta & Eleonora

 

Il carcere: è un luogo dove viene limitata la libertà delle persone, ma non la loro umanità. L'invito che facciamo con questo pensiero è a continuare ad essere uomini indipendentemente dagli errori commessi. Penso che l'iniziativa del giornale e dei vari percorsi di reinserimento nella società, siano già un enorme passo avanti per mostrare al mondo la vita del carcere e anche per far sentire più vivi i carcerati.

 

Classe 3° C

 

Abbiamo conosciuto un mondo nuovo: quello del carcere. Questo era per noi un mondo estraneo che, essendo chiuso tra quattro mura, restava isolato dalla nostra realtà. Abbiamo discusso molto su questo tema e quello che ci sentiamo di dire è che tutti siamo uomini e possiamo sbagliare, ma allo stesso tempo dobbiamo essere consapevoli delle nostre azioni ed essere pronti a pagarne le conseguenze. Non ci sentiamo in grado di giudicare e crediamo che ognuno debba avere un'altra possibilità meritandosela.

 

Azzurra, Serena, Vittoria. 3° D

Alla scoperta del giornalismo

 

Nella Val d'Elsa, zona nella quale si trova anche la nostra Casa di Reclusione, esistono delle scuole che o si sono già cimentate o si stanno cimentando con la creazione di un "giornale di Istituto" Ad esempio presso la Scuola Media Inferiore "Arnolfo di Cambio" di Colle Val d'Elsa la Preside, con il supporto indispensabile degli insegnanti, ha dato vita ad un minicorso di giornalismo, cui hanno partecipato il nostro direttore Responsabile e il giornalista/scrittore Sandro Scali, con lo scopo di organizzare i ragazzi delle attuali "seconde classi" a gestirsi il loro periodico che vedrà la luce nel prossimo anno scolastico. Nell'ambito di quella apertura all'esterno che è nella finalità di IdeeLibere ci piace dare spazio a brani e poesie scritte da quei… futuri giornalisti. Auguri !

Streghe…

Streghe: vecchiacce rachitiche e rugose, basse, gobbe, gonfie di stracci rattoppati e rammendati con naso aquilino e bitorzoluto e cappellaccio a punta, dotate di scopa volante e di malefici poteri forniti dal demonio. Questo nell'immaginario collettivo.
In realtà i loro grandi poteri non erano altro che la conoscenza delle erbe ed il loro utilizzo a fine medicamentoso. Ma la maggior parte della gente non aveva le loro stesse conoscenze e l'ignoto spaventa, perciò chi sapeva cose non comuni veniva processato. Durante il processo venivano prese in considerazione varie caratteristiche della presunta strega. Ad esempio veniva ritenuta colpevole a maggior ragione se era nata il 1° Novembre o il 25 Dicembre, se aveva i capelli rossi o se era la settima figlia di una settima figlia.
Se poi aveva un segno particolare nel corpo era il finimondo: credevano fosse il segno del diavolo. Alla nascita dell'inquisizione, all'imputata veniva data l'opportunità di pentirsi rifiutando il patto con il diavolo, ma siccome nella maggior parte dei casi la strega non era una strega e ribadiva questo concetto, veniva bruciata lo stesso. Finiva quasi sempre sul rogo, ma per arrivarci veniva massacrata: doveva sopportare le torture più atroci per confessare colpe che non aveva, e durante il processo non poteva neanche guardare in faccia chi la condannava, perché secondo gli inquisitori, avrebbe potuto fargli il malocchio o incantarlo per farsi liberare. Per raccogliere prove contro di lei, venivano chiamate a testimoniare alcune perone che dicevano di averla vista commettere atti di stregoneria, e la costringevano a ripetere tutte le formule e gli scongiuri che aveva usato. Da questi giudicavano se era una strega buona o malefica. I contadini credevano efficaci le formule delle streghe, perciò fuori dai tribunali ricorrevano spesso al loro aiuto. Le streghe avevano libri speciali in cui tenevano tutte le formule e gli scongiuri, che tramandavano solo in punto di morte alla persona di cui si fidavano di più, perché se a conoscere i rimedi erano in troppi, questi perdevano effetto. Di norma le streghe abitavano vicino al bosco, perché così avevano a portata di mano le erbe necessarie per le presunte pozioni. Queste erbe andavano raccolte rigorosamente a piedi nudi e meglio se nella notte del solstizio d'estate, in cui tutti i loro principi attivi venivano potenziati. Alcuni scongiuri che usavano le streghe sono giunti fino a noi sotto forma di filastrocche e cantilene, quindi siamo tutti avvisati: se mentre cantileniamo succede qualcosa di strano, non meravigliamoci!

 

Valeria Taddei -Vanessa Bezzi - Irene Aiazzi, Scuola Media "Arnolfo di Cambio"

 

L'amico è...

 

Se riesci a perdonare
se riesci ad aiutare
se riesci a star vicino
a chi è odiato da tutti
sei un vero amico

 

Edoardo

 

L'amico è…

 

Orecchie per ascoltare
bocca per consigliare
mano per aiutare
cuore per amare
braccia per accogliere la tua solitudine

 

Lucrezia

Parole in libertà, di Angelo Contarino

 

 

Nelle fiabe e nei miti si racconta spesso che il protagonista, bambino o adulto che sia , resta prigioniero di qualche incantesimo o molto concretamente del suo antagonista.
Nel linguaggio del racconto mitico le prove interiori dell'eroe sono proiettate fuori di lui e vengono considerate prove esterne, conflitti sociali, contrasti personali. Quante prove ha dovuto superare Ulisse prima di ritornare nella sua bella Itaca? Quante volte è stato catturato e imprigionato?
Questa sensazione di prigione, non fisica ma psicologica e spirituale, io l'ho provata varie volte, e come nelle favole, degli oggetti magici mi sono venuti incontro per superarla o renderla meno tagliente e dolorosa. Uno di questi oggetti è la scrittura creativa. Uno strumento spesso alla portata di mani di tante persone, ma che diventa vivo e creativo quando si realizzano alcune condizioni preliminari: la sincerità, la fiducia e il rischio di guardarsi dentro. Un corso di scrittura creativa ho proposto in carcere con la speranza che producesse gli stessi effetti che ha avuto su di me, di libertà espressiva e di autoconoscenza. Dopo qualche mese di lavoro, nonostante gli alti e i bassi prevedibili, con il gruppo dei più frequenti, abbiamo raccolto dei bei frutti- segno che la formula ha funzionato ed in certi casi è stata sorprendente.
Le "parole in libertà" che seguono sono il risultato di un corso che senza avere finalità letterarie si è avvicinato agli obiettivi che si era proposto: "Usare i segni in maniera creativa per il piacere di esprimersi, di raccontare e di rappresentare sogni, utopie e fantasie. Scoprire e re-incontrare il piacere di scrivere senza lasciarsi portare dagli automatismi e dai modelli consolidati a livello culturale. Cercare e trovare le proprie parole magiche, il proprio stile e il proprio ritmo. Condividere gli sforzi e i risultati, in un'atmosfera di fiducia e relativa intimità."
Queste "parole in libertà" appartengono a delle persone che hanno mostrato interesse a comprendere il linguaggio delle favole e il senso che in esse ha la prigione.

San Gimignano e il carcere, di Francesca Chellini (*)

 

Un legame saldo che necessita di continue verifiche

 

Il rapporto tra la città e la struttura penitenziaria è stato sempre forte ed anche nei momenti difficili segnati da episodi gravi, clamorosi, di proteste, di rivolte, di fughe, questo rapporto non si è mai allentato, né trasformato in ostilità o rifiuto.
Si potrebbe sbrigativamente considerare questa sorta di legame, come una diretta conseguenza di una collocazione che, per molto tempo, ha visto la struttura a ridosso delle piazze, in pieno centro storico e liquidare la questione, come una sorta di necessità che obbligava ad accettare la presenza di un vicino, spesso ingombrante. San Gimignano, questo è il vero dato di fatto, invece, non ha mai vissuto il carcere come separato, come corpo estraneo alla propria comunità. La storia del Penitenziario, la presenza di tanti lavoratori e delle loro famiglie sono, da sempre, parte determinante della vita e dell'identità sangimignanese.
Accanto alle difficoltà organizzative, nate con la messa in funzione della nuova struttura di Ranza, a partire dalle difficoltà di collegamento per l'assenza di un servizio di trasporto pubblico, difficoltà particolarmente sentita oltre che da chi in carcere lavora, soprattutto dai familiari dei detenuti, accanto ai problemi di sicurezza e di serenità, legati alla carenza numerica degli operatori, in questi anni gli importanti cambiamenti sociali, culturali ed economici che ci hanno accompagnato, sono esplosi e si riflettono e condizionano anche la vita carceraria.
Basti pensare al crescere dei detenuti stranieri e ai problemi che ne derivano.
Questa situazione, nuova sotto molti aspetti, fa crescere bisogni diversi, ma apre anche opportunità e fa risaltare l'importanza di un intervento che sia propriamente educativo, prima ancora che punitivo, finalizzato al recupero, alla crescita personale, alla valorizzazione delle capacità e potenzialità della persona che è detenuta. Occorre sempre più investire risorse e progettare sulla formazione professionale e culturale, creare un tessuto sociale ed economico favorevole, accogliente, capace di accompagnare e sostenere un reale reinserimento. Sono state sperimentate, e sono in corso, varie positive esperienze, che vedono collaborare con la Direzione, la Provincia, gli Enti Locali, primo fra tutti il Comune di San Gimignano, ed anche Associazioni e Volontariato che possono portare, all'interno del carcere una presenza viva e preziosa.
Anche se questo percorso incontra ancora forti resistenze, la direzione è giusta: coinvolgere e responsabilizzare tutti i soggetti presenti sul territorio. Una presenza come quella di un Istituto di Pena deve riguardare e interessare, essere vissuta come positiva e spingere ad esercitare tutta la nostra attenzione e partecipazione.

 

(*) Assessore alle Politiche Sociali del Comune di San Gimignano

Da ristretti a "Ristretti", di Silvano Lanzutti e Massimiliano Ruggiero

 

L'esperienza di due detenuti i quali, grazie al beneficio dei permessi premio, hanno partecipato, come invitati e "inviati", al Convegno "carcere: non lavorare stanca", che si è tenuto nell'Istituto Due Palazzi di Padova

Grazie alla collaborazione che è nata con il giornale del carcere di Padova "Ristretti Orizzonti" abbiamo ricevuto l'invito a prendere parte, sia come collaboratori di quel giornale che come inviati di questo, ad una iniziativa molto importante: un Convegno sul lavoro nelle carceri italiane. Il tutto è stato organizzato dal "Centro di Documentazione Due Palazzi (redazione di Ristretti Orizzonti)" e dalla " Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia", in collaborazione con la Casa di Reclusione di Padova.
Le personalità presenti sono di gran spessore nella vita "penitenziaria", tra cui: Alessandro Margara (ex Magistrato di Sorveglianza di Firenze ed ex direttore del Dap), Licia Roselli (direttrice dell'Agenzia di Solidarietà per il Lavoro - AgeSol - di Milano), Carmen Bertolazzi (Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia), Monica Vitali (Giudice del lavoro, autrice del libro "Il lavoro penitenziario"), Romeo Gatti (Punto Informazione Lavoro Detenuti di Firenze - P.I.L.D.), Carlo Alberto Romano (Ass. Carcere e Territorio di Brescia, Progetto Sportello), Stefano Anastasia (Ufficio del Comune di Roma per il lavoro ai detenuti - Ass. Antigone), rappresentanti di enti locali e della cooperazione sociale.
L'esperienza è stata unica e molto importante, per noi che abbiamo potuto assistere ad un evento simile e per l'intera popolazione detenuta che è stata al centro dell'attenzione dei vari interventi. Molti i temi discussi: dal lavoro interno alle misure alternative, passando per le cooperative sociali; la Legge Smuraglia e i vari enti, pubblici e privati, che si impegnano a dare la possibilità di svolgere un'attività lavorativa a chi è in carcere; gli sportelli per l'orientamento al lavoro di detenuti ed ex detenuti; l'inserimento lavorativo per gli stessi: osservazioni, strumenti, percorsi.
I temi di apertura si sono concentrati sui dati relativi al lavoro interno e sulle misure alternative ed i problemi che vengono a crearsi nel dopo carcere. Di fondamentale importanza l'intervento del Dr. Margara il quale sminuisce alcuni dati positivi affermando che si parla di un 25 % di detenuti attualmente occupati, ma in realtà il numero è ridotto a circa il 10 %. Concentra gran parte del suo intervento su questo e sulla revoca della patente di guida; cosa che definisce "strumento ordinario di lavoro".
Anche l'intervento di Licia Roselli è stato di rilevante importanza; ha esposto una serie di iniziative a cui la Age.So.L. ha dato vita. Ha parlato degli sportelli dentro e fuori le carceri milanesi, delle difficoltà a cui vanno incontro nel cammino di sensibilizzazione delle imprese. Ha fatto le veci anche di Riccardo Rebuzzini (Presidente del Consorzio Nova Spes di Milano) che non ha potuto essere presente.
A metà giornata il buffet multietnico durante il quale siamo riusciti a fare la conoscenza del Dr. Margara e a scambiare quattro chiacchiere in particolare sul problema delle patenti. I lavori sono ripresi intorno alle 14.30, divedendo gli ospiti in due gruppi: uno con il Dr. Margara per approfondire il tema della misure alternative, l'altro è rimasto nella palestra che ha ospitato il Convegno, approfondendo il tema della varie iniziative riguardanti l'inserimento lavorativo e i problemi che circondano tale tema: l'impegno di enti locali e di cooperative sociali a favore di soggetti svantaggiati, la sensibilizzazione di imprese etc... etc...
Proprio per conoscere l'effettiva importanza di Cooperative Sociali e delle Associazioni di Volontariato, durante il Convegno è stato proiettato un filmato interamente girato e "confezionato" da un gruppo di detenuti del carcere di Padova; le immagini, accompagnate da interviste, hanno presentato una realtà che nell'intero sistema penitenziario dovrebbe essere presa in seria considerazione, come esempio di uno strumento valido per un concreto reinserimento nel mondo esterno.
Le Cooperative Sociali infatti, come molte Associazioni di volontariato, non solo tendono a seguire il detenuto offrendo un'opportunità lavorativa durante il percorso detentivo, ma anche ad offrire sostegno una volta finito tale percorso.
Una realtà, quella del carcere Due Palazzi, in cui il detenuto realmente può scoprire le sue capacità per poi sfruttarle, con un concreto appoggio da parte di chi crede veramente in un reinserimento, per un futuro che non debba per forza restare nella fantasia di ognuno di noi.
Nella realtà veneta sono già parecchie decine i posti di lavoro che si sono realizzati attraverso la costituzione di Cooperative Sociali (per esempio "Il Cerchio" e "Giotto"), contribuendo così al reinserimento e al recupero sociale di chi, altrimenti, sarebbe rimasto ai margini della società. A Venezia per esempio, presso il carcere femminile, si confezionano abiti in stile veneziano del 700 che poi vengono utilizzati per esposizioni. Ad "indossare" questi abiti sono i manichini interamente costruiti dai detenuti del carcere di Padova, che svolgono un lavoro di grande impegno e capacità.
Un Convegno quindi, durante il quale sono emerse molte possibili soluzioni per un concreto reinserimento del detenuto, con l'appoggio di chi realmente crede con tutte le sue forze in un futuro migliore, anche per coloro che in passato hanno commesso degli errori.
Ci auguriamo che il modello conosciuto a Padova, possa estendersi presto anche in altre regioni italiane, affinché la detenzione possa finalmente avere uno scopo concreto: quello di ricostruire e non di distruggere definitivamente.
Un particolare ringraziamento va rivolto: al Magistrato di Sorveglianza di Siena Dr.ssa M. L. Venturini, la quale ci ha concesso l'opportunità di recarci nel Carcere di Padova; alla coordinatrice del giornale "Ristretti Orizzonti" Ornella Favero, la quale si è attivata particolarmente per permettere il nostro ingresso in Istituto; alla Casa Accoglienza "Piccoli Passi" di Padova, la quale ci ha accolti in modo veramente stupefacente; alle redazioni di "Ristretti Orizzonti", la quale, nel corso del Convegno, ci ha consentito di prendere visione del nostro giornale (IdeeLibere), pubblicato sul loro sito internet: www.ristretti.it

Sono garantiste le leggi penitenziarie?, di Antonio Cottini (Avvocato)

 

L'intervista rilasciata dalla Dr.ssa Venturini sull'ultimo numero di "IdeeLibere" mi stimola ad intervenire su un argomento che mi è sempre stato particolarmente a cuore, perché attiene alla mia convinta adesione ad un principio che non solo è costituzionalmente garantito (cioè quello che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato - art 27 Carta Costituzionale), ma investe più globalmente la struttura etica che ogni individuo deve a mio parere costruirsi nell'osservanza dei criteri di umana solidarietà che ci provengono anche dalla morale cristiana alla quale tutti siamo stati educati.
Sicuramente anche per una sorta di deformazione professionale sono sempre stato un convinto oppositore del diffuso giustizialismo che da ogni parte della società civile promana in maniera concretamente percepibile; non nego che, talvolta, il senso di ripulsa che viene provocato da delitti particolarmente efferati possa indurre, umanamente, alla sensazione di trovarsi di fronte ad individui irrecuperabili sul piano sociale; ma, a prescindere dalla sempre ricorrente possibilità di errori giudiziari (le cronache sono piene di sentenze che vengono totalmente ribaltate passando da un grado all'altro del giudizio, segno evidente che qualcuno non ha correttamente interpretato le risultanze processuali), non credo che una moderna società civile possa rinunciare a svolgere almeno un tentativo per verificare se un condannato possa essere recuperato al contesto collettivo.
In questa ottica devo convenire con la Dr.ssa Venturini che le leggi esistenti (in particolare la "Gozzini", via via modificata), se correttamente applicate, costituiscono un buon meccanismo di verifica circa le possibilità di formulare prognosi attendibili per un successivo reinserimento del condannato in ambito sociale; così come devo riconoscere che il Tribunale di Sorveglianza di Firenze - quello di cui ho maggiori riscontri - ha sempre cercato di applicare con elasticità, coerenza ed obiettività i meccanismi premiali che la legge prevede.
E' assolutamente giusto - a mio parere - che un condannato debba essere valutato nella sua personalità, nei suoi comportamenti, nelle sue aspirazioni e che, entro i limiti consentiti, lo si possa ritenere meritevole di godere di determinati benefici; e non si può censurare un sistema sol perché una percentuale ( peraltro infinitesimale) di chi gode di certi trattamenti preferenziali commette poi azioni delittuose quando si trova all'esterno della struttura carceraria; la perfezione non è di questo mondo e certi segnali possono essere interpretati in maniera errata; ma non per questi sporadici episodi si può negare a tutta la restante massa di reclusi di poter avviare un percorso di reinserimento sociale e lavorativo o puranco una progressiva (via via che si avvicina il fine pena) una maggiore frequentazione della propria famiglia.
V'è se mai da sottolineare che tali meccanismi funzionano in maniera costruttiva fino al momento in cui la persona si trova in espiazione di pena, ma non vi sono poi sistemi (e soprattutto strutture) che tutelino in qualche modo il condannato che termina il periodo di detenzione; accade con una certa frequenza, soprattutto a coloro che non hanno fuori del carcere una famiglia od anche soltanto una casa che li accolga, che essi, posti in libertà, non abbiano mezzi di sostentamento né un luogo in cui andare, e si trovino da un giorno all'altro "in mezzo ad una strada", e le strutture sociali esistenti sul territorio non sono assai spesso in grado di fronteggiare certi bisogni primari; occorrerebbe che almeno nell'immediato successivo vi fosse una sorta di prosecuzione del reinserimento, anche per evitare che soggetti pur seriamente intenzionati a ricostruirsi una posizione sociale si trovino privi di ogni mezzo di sostegno rischiando di ricadere inevitabilmente nel crimine, così indirettamente dando ragione a tutti coloro che vorrebbero che chi ha sbagliato anche una sola volta nella vita venisse rinchiuso in carcere e fosse… gettata via la chiave.

I ceramisti di Ranza, dei detenuti del corso di ceramica

 

Siamo i ragazzi del gruppo di ceramica e vorremmo con questa lettera far conoscere l'attività che da qualche mese stiamo svolgendo nel corso che frequentiamo. Vorremmo innanzitutto dire che questa attività ha messo in luce delle potenzialità creative, sotto la guida esperta dei docenti, che non avremmo mai pensato di avere e già questo ci fa riflettere su quanto ancora possiamo scoprire di noi soltanto avendone la possibilità.
Venendo a lavorare in questo spazio, abbiamo visto molti lavori realizzati in anni precedenti da altri ragazzi, e un po' ci dispiace vedere e pensare che tanto impegno e creatività, possano rimanere chiusi nel magazzino della scuola. Ci piacerebbe poter far vedere ai familiari dei detenuti, che siamo capaci di creare dei piccoli capolavori con il nostro impegno, questo almeno in parte ci potrebbe gratificare e siamo sicuri che farà piacere a quanti verranno a Ranza come visitatori, attraverso iniziative espositive come una mostra permanente, sita nei luoghi di accesso all'istituto, e potendo organizzare delle mostre anche all'esterno.
Cogliamo l'occasione per salutare e ringraziare quanti ci hanno permesso di fare e proseguire questa esperienza. Speriamo che tutto quello che è stato fatto per noi, sia fatto e prosegua per i ragazzi che verranno dopo di noi.

Cani e gatti, di Giuseppe Perrone

 

Cani e gatti per il mercato pari sesso. Fino a ieri c'era solo l'"oh my dog", oggi è arrivato l'"oh my cat". Per par condicio, profumo per entrambi. Dove si sta andando? Si è già in alto mare. Cucce e ciotole firmate (brande anonime e gavette di latta), tappetini riscaldati (e stanze che sono celle frigo d'inverno e forni d'estate), pedane per accedere agevolmente in auto (e blindi malconci e strettini con l'optional delle manette ai polsi durante i viaggi), pet corrier e tute da jogging e stiamo parlando di animali, di persone solo tra parentesi.
Come dire, la mania del pet di lusso è esplosa ed il mercato si lecca i baffi. E poiché mania fa rima con follia, ecco le ultime follie del mercato: beauty center, biscotti, bio, palestra, piscine e scuole di ballo. Vacanze!!!
Ghandi diceva che se il grado di civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta le bestie, viene da chiedersi che cosa direbbe di noi in questo momento. Che siamo un popolo civilissimo e lo saremmo se non fosse per l'esistenza di quell'altra massima che recita: " il grado di civiltà di un paese si misura (anche) dalle condizioni delle sue prigioni".
Siamo messi male. Due problemi su tutti: la sterilizzazione delle leggi Gozzini e Simeoni, con conseguente sovraffollamento delle carceri, ormai cronico, che stanno assottigliandone il grado indicatore di diritti civili, si badi! Nella società degli eccessi, manie e follie non bastano, e la globalizzazione ci fa conoscere perfino il delirio d'Oltreoceano.
Negli USA esistono le "dog generation"che rivendicano un diritto per il loro Fido, hanno ottenuto la "giornata di lavoro a sei zampe". Così il 23 Giugno ogni americano può andare in ufficio con il proprio cane.
Non avendo io - noi - né cani né uffici, rilancio la proposta di istituire la "giornata assieme ai propri cari", che non è il colloquio. Che già c'è. Sto forse delirando? Beh, allora fosse solo un delirio -questo- potrei recarmi proprio da qualche terapeuta comportamentista di un bel fox-terrier di vip. L'oro ce l'hanno. In conclusione, a proposito d'oro, il confronto uomo-bestie di questa pagina non deve leggersi come colpa verso coloro che esagerano con i loro animali, ma vuole essere un richiamo al nobile principio della "ridistribuzione delle ricchezze di un paese" che non funziona affatto, nonostante il grandioso processo globalizzante.
Infatti, solo per ricordare -nel mondo- ogni giorno 1,5 milioni di persone, non di cani, rischiano la vita per fame e mancanza di sanità. Auguri!!!

Quale luna park, di Enzo Falorni

 

Ricordo che era il mese di settembre, quando nel mio paese natio si festeggiava la festa, che chiamavamo il "Perdono". I preparativi iniziavano settimane prima e vi partecipavano tutti gli abitanti del paese, donne e bambini compresi. Ognuno aveva un suo compito ben preciso. Gli uomini montavano gli Stand gastronomici, le donne preparavano dolci e addobbavano delle tavole principesche da quanto "Ben di Dio" vi era; noi bambini, invece, facevamo gli … assaggiatori! Questi preparativi erano una festa nella festa, ed era bello vedere cosi tanta partecipazione e collaborazione. Il paese era unito, le divergenze rimandate. Poi, due giorni prima dell'inizio della festa - che durava cinque giorni - ecco che arrivava il Luna Park. Noi bambini ci dividevamo in gruppetti, ed ogni gruppo si metteva di guardia all'inizio delle strade che portavano al paese, cosicché, quando i primi carrozzoni del Luna Park si intravedevano, il gruppetto avvistatore dava l'allarme e tutti insieme, poi, gli andavamo incontro. Da quel momento non ci staccavamo più dal Luna Park. La ruota panoramica, la casa dei mostri, l'auto scontro, l'otto volante, la giostra dei cavallini per i più piccoli, e poi tanti banchi pieni di bambole e giocattoli vari che si vincevano, o al tiro a segno, o pescandoli con canne di bambù munite d'anello alla fine della lenza. Era per noi un mondo di fiaba, con i giostrai personaggi così diversi da noi del paese. I loro bambini, ho sempre pensato che fossero figli di maghi, streghe, fate e orchi. Qualche volta giocavamo con loro, ma non facevamo a tempo ad affiatarci, che i cinque giorni di festa passavano e partivano per altri paesi, per altre feste. Mondo strano il loro, hanno il compito di far divertire, ma sono sempre tristi. Gli abitanti del paese vicino venivano alla festa e, nonostante il campanilismo acceso, lo scopo era quello di divertirsi passando ore in armonia. Ricordo quei giorni come giorni sereni; un'epoca dove le difficoltà dell'uno erano prese in considerazione dalla comunità, che se ne faceva carico, e faceva il possibile per risolverle per il "buon vivere" comune. Quanto sono lontano quei giorni, non solo nel tempo, ma nella realtà odierna. Oggi la società si distingue per individui che assomigliano a tanti giostrai tristi. La comunità non esiste più, si è sfaldata nell'egoismo del singolo, come pure un sempre maggior numero di famiglie. Chissà perché, chissà per cosa. Non ci divertiamo più, se non in un finto divertimento; non aiutiamo più il nostro simile, e se lo facciamo seppur in minima parte, è solo per facciata. Viviamo per l'apparire e non per l'essere. Camminiamo senza una meta, senza un ideale, guardandoci dentro quello specchio cui chiediamo: "Chi è il più bello del reame?". Dove ci porterà, allora, la nostra superbia, il nostro finto perbenismo? Non certo alla festa del … perdono! Quella festa è morta e sepolta nei ricordi del passato, che mai più ritornerà. Peccato che, Dio, donandoci l'intelligenza, ci ha dato anche tanta stupidità, ormai diventata padrona della nostra vita e del mondo intero. La stessa che porterà alla distruzione se non rifiorirà, in noi, l'intelligenza; anche la natura ci ha avvisato mandando segnali ben precisi: sapremo raccoglierli? Non conosco la risposta, essa è nelle menti dei politicanti della terra e nelle nuove generazioni; io sono vecchio e, oramai, inserito nella gran cerchia degli stupidi: se non lo fossi sarei considerato "Socialmente pericoloso!".

Le tre fiere, di Francesco Seminerio

 

Premettendo a priori che, confrontando questa mia visione, violo e potrei offendere il sommo poeta Dantesco (la Divina Commedia), da qualche periodo ho innanzi agli occhi una chiara ma effimera immagine. Vedo l'essere umano che, con grande fatica ed a passi lenti, tenta di risalire un dirupo, che in seguito lo dovrebbe condurre nel pianeta "Salvezza"; almeno spero!
Ma all'improvviso, a distanza di pochi metri, appaiono maestose le tre fiere: il denaro, il potere e il successo (come nell'illustre poema) e, questi esseri perfidi, crudeli ed ignobili bloccano il cammino dell'uomo; anzi lo inducono a ripercorrere il tragitto percorso in precedenza.
L'uomo ha la consapevolezza di essere simbiotico con le fiere, ma contemporaneamente ne ha una tremenda paura, in questo è conscio di aver creato e perseverato in mali catastrofici; ma adesso risvegliandosi e riscoprendo in lui valori nobili e indelebili come: la fratellanza, la pace e l'umiltà, assume una posizione di smarrimento ed incredulità. Dunque ricordando che al divino poeta vennero in aiuto prima il poeta mantovano (Virgilio), e dopo Beatrice, mi domando: verrà in suo aiuto qualche essere celestiale? Ma nel frattempo odo voci sconosciute e vili che rivendicano i mali subiti, incitano le fiere ad azzannare l'uomo e, anche il colore azzurro del cielo, diventa nero ed oscuro.
All'improvviso mi sveglio, sudato e spaventato, cercando di ricordare quello che avevo sognato, ma riflettendoci si incrementa maggiormente in me lo spavento, il timore, in quanto oggi realmente siamo tutti alla ricerca frenetica delle fiere sognate, magari a discapito degli altri, e soprattutto abbiamo inabissato in un oceano profondo e torrido, principi e valori basilari. Quindi penso: ma è possibile che nel III millennio, era delle innumerevoli innovazioni e scoperte genetiche, scientifiche, tecnologiche etc. etc., si combattono nel mondo oltre 50 guerre e la fame dilaga a macchia d'olio nel nord Africa?
Per cui mi sorge un dubbio: il mio era un sogno? E se lo era, l'uomo riuscirà a raggiungere la via della "Salvezza"? Sinceramente ho molte perplessità a riguardo, ma comunque ripeto è solamente una fantomatica scena che appare ai miei organi visivi. Ma vi immaginate se fosse la fotografia dell'uomo del III millennio?

Io e la scuola, di Francesco Cascone

 

Da ragazzo, forse per l'età che avevo, la scuola ha significato ben poco per me, ma ora è tutt'altra cosa. Nei giorni in cui non è possibile andare a scuola mi sento come se mi mancasse qualcosa, e per questo non vedo l'ora che venga il giorno successivo perché io possa seguire le lezioni degli insegnanti.
Probabilmente questa passione per la scuola è da mettere in relazione anche con il fatto che stare senza far niente non mi piace.
Infatti quando è capitato che per ragioni personali oppure sindacali è mancato qualche insegnante, ho preferito recarmi nella classe più vicina a seguire la loro lezione, per poter comunque imparare qualcosa di nuovo. Eppure quando ho deciso di iscrivermi a scuola l'ho fatto per un altro motivo: poter avere il computer portatile in cella. L'informatica mi affascinava molto. Ma poi quando ho cominciato a frequentare le lezioni, la scuola ha catturato tutta la mia attenzione al punto che le attività che abitualmente svolgo nel carcere, sono passate in secondo piano. So che sarà difficile arrivare alla maturità, ma se dovessi restare ancora per molto in carcere, impiegherò tutte le mie energie per cercare di ottenere il diploma,pur consapevole che mi potrà servire a poco una volta tornato in libertà. Però voglio comunque provare ad avere la soddisfazione di poter dire: c'è l'ho anch'io un diploma. A chi legge potrà sembrare strano, ma la ragione che mi induce a continuare a frequentare la scuola, oltre a quella appena esposta, è di accrescere il mio grado di cultura, perché solo così potrò essere sicuro, quando tornerò in libertà, di non tornare più in carcere. In passato ciò che mi ha portato sulla strada è stato senz'altro l'ignoranza.
Forse non è stata l'unica, ma se avessi avuto alla spalle un bagaglio culturale che mi avesse spinto a riflettere, avrei certamente valutato le conseguenze che avrebbe comportato una scelta scellerata come quella che mi accingevo a prendere e che mi avrebbe sicuramente condotto in carcere. Onestamente non avrei mai immaginato di dovermi confrontare con le altre persone sul piano della cultura, perché l'unico modo che io conoscevo di confrontarmi da ragazzo era quello della forza; il concetto democrazia, tanto caro alla mia insegnante di italiano, lo ignoravo, mentre oggi anche se a caro prezzo, il mio modo di confrontarmi con le persone è cambiato. Nel frattempo, ho imparato ad ascoltare e ad ammettere gli errori, mentre prima… avevo ragione sempre e solo io.

 

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