L'Oblò dicembre n° 7

 

L’Oblò

Anno 1, numero  7, dicembre 2003

 

 

Augurissimi…

Il Progetto "La Nave", ovvero "riparto dal reparto…"

"La squadra è come la moglie"

Qual è la sua opinione in merito al trasferimento di San Vittore?

Teatro… ma non solo

Caro Carol

Io, Jasmin e i suoi parenti

Convegno al "Palazzo delle Stelline: minori-scuola-carcere e società

L’acqua del pozzo

 

Augurissimi…

Questo numero di dicembre de l’Oblò ricorre sotto le tradizionali festività e ricorrenze quale migliore occasione per incontrarci, dirci che ci siamo e amiamo ancora… In questi mesi ne sono avvenuti di fatti stupefacenti: ci siamo scoperti, riscoperti, rafforzati stando assieme. Nuova, ulteriore occasione per conoscerci, condividere asperità e gioie che viviamo in questo splendido viaggio che ci vede ovunque compagni, sia lungo le tortuose strade della vita, che nelle navi che solcano tempeste furiose, puntando ognuna verso la sofferta e desiderata meta.

Per dirla tutta, la voglia di parlare e di vedere come vanno le cose non c’è ancora passata: con questo numero abbiamo voluto riassumere i momenti più belli, quelli più difficili, i più divertenti che abbiamo vissuto nei mesi in cui, sottocoperta, ci siamo riuniti per la stesura di questi articoli. Esprimono e raffigurano i momenti salienti del nostro percorso, migliorandoci numero dopo numero, giorno dopo giorno. È bello incontrarsi ancora, sapendo che siamo compagni e andiamo tutti nella stessa direzione, imbattendoci, a volte, nelle difficoltà. Buone feste…

(sommario)

La redazione

 

 

Il Progetto "La Nave", ovvero "riparto dal reparto…"

 

Il progetto "La Nave" ovvero "riparto dal reparto" riguarda circa l’organizzazione da parte dell’Unità Operativa Area penale e carceri (ASL città di Milano) di un nuovo reparto carcerario, appena ristrutturato secondo la nuove norme dell’Ordinamento penitenziario ed attivo dal 19 luglio 2002. Un reparto che non è strettamente orientato al trattamento interno ma che si occupa della riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti attraverso l’accompagnamento all’esterno e quindi attraverso la formulazione del progetto terapeutico da svolgersi anche in regime di esecuzione penale esterna (misure alternative).

Non è un reparto quindi organizzato e pensato come comunità terapeutica in senso stretto, non è una sezione a custodia attenuata, non è una sezione penale (in quanto le persone qui ubicate possono trovarsi in qualsiasi fase dell’iter processuale) ma si costituisce come spazio che permette di osservare affiancare e progettare in condizioni meglio mirate e più idonee al compito. Il progetto è stato intitolato -riparto dal reparto- poiché i detenuti tossicodipendenti vi arrivano dopo un periodo di detenzione presso il II raggio, il cosiddetto C.O.C., quello dove il nostro Servizio opera da oltre un ventennio.

E da qui devono ripartire con un progetto di accompagnamento, verso l’esterno. Il reparto si trova al 4° piano del III raggio e offre condizioni ambientali cosiddette "a norma", quindi migliori e più adeguate anche al bisogno di spazio vitale. La disponibilità della direzione della Casa circondariale ad accettare ed accogliere per questo nuovo spazio un progetto ASL, di trattamento per tossicodipendenti, ha permesso di creare un piccolo reparto che può accogliere fino a 43 persone, già conosciute e selezionate al II raggio, secondo criteri che tengono conto:

del bisogno e della richiesta della persona

della situazione giuridica che offra la possibilità di ipotizzare un progetto terapeutico

del consenso e della motivazione ad un percorso terapeutico organizzato o da organizzare con i nostri operatori, in collaborazione con i Servizi territoriali.

I detenuti che arrivano in questo reparto devono firmare un Contratto (qui a fianco illustrato ): le regole sono poche, legate ad una convivenza pacifica, alla dismissione del tipico linguaggio coattivo. L’organizzazione:

le celle sono aperte affinché ci sia un richiamo all’autoresponsabilizzazione e l’operatore non debba utilizzare forzature o imposizioni di vario genere. Le persone qui ubicate seguono le loro attività senza bisogno di essere chiamati

è una condivisione degli obbiettivi e la collaborazione attiva degli agenti di Polizia penitenziaria

nel reparto sono presenti due operatori quotidianamente, dal lunedì al venerdì, i quali si occupano di raccogliere e/o proporre iniziative, di curarne e facilitare l’organizzazione e l’esecuzione, di promuovere e sostenere il clima relazionale

la giornata inizia sempre con una riunione allargata a tutte le persone per ricordare gli impegni e discutere eventuali proposte o critiche; la conclusione avviene alle ore sedici con un saluto generale

sia gli operatori che i referenti detenuti, che si autocandidano ogni quindici giorni, redigono giornalmente un diario, denominato "Diario di bordo" visto che gli utenti hanno chiamato il reparto "La Nave", che simboleggia il viaggio che stanno percorrendo, ognuno verso il proprio porto

Il progetto, le attività e le offerte trattamentali del reparto sono state meglio descritte ed illustrate su carta e sono in visione presso l’Unità Operativa ASL, per chi ne volesse sapere di più legga il numero 0, marzo 2003.

(sommario)

 

 

"La squadra è come la moglie"

Intervista a Leonardo

 

"Se perdi 6 - l in Italia, come fai ad uscire di casa?". Dal Brasile, in Spagna quindi in Francia, in Italia, in Giappone, ancora in Brasile, per poi tornare qui da noi. Leonardo, ala destra del grande Milan, si può sicuramente annoverare tra i migranti del Calcio. "In Giappone non c’è cultura del calcio. Lì è uno spettacolo. Allo stadio c’erano solo bambini. Il Maracanà è il Maracanà. Alla finale del campionato del mondo con l’Uruguay, del 1956, hanno fatto entrare 200.000 persone, quando ne poteva contenere solo la metà! Qui in Italia è tutto esasperato: la difesa, le botte. Si fa molta fatica e capisco Rivaldo. In Spagna, il gioco non è cosi asfissiante. C’è la cultura del gol. Li puoi prendere il pallone, guardarti attorno e lanciare. In Italia no".

In Italia tutti addosso ai loro campioni fuori e dentro gli stadi. Anche qui a San Vittore Leonardo ha avuto una calorosissima accoglienza, da interisti, juventini e milanisti. Autografi, battute, strette di mano. Calore che si aggiunge al caldo di questo luglio. Attraverso i blindi del Coc, foglietti improvvisati per raccogliere il ricordo indimenticabile del campione. Un campione fedele. "Ho sempre avuto la fortuna di giocare in una sola squadra in ogni nazione in cui ho giocato. Sono fatto così. La mia squadra è come la moglie… Non avrei mai accettato un trasferimento ad un’altra squadra italiana, anche se quando ti dicono: tu non sei da Inter o da Milan devi andare via, ma dove vai".

Non si è parlato solo di calcio a La Nave con Leonardo, ma anche di solidarietà, della fondazione che il campione rossonero ha creato per offrire opportunità di successo ai ragazzini delle favelas di Rio e San Paolo. "Attraverso il teatro, io sport, l’arte, questi ragazzini possono emergere. Forse non tutti sanno che grandi campioni di calcio, Rivaldo, Ronaldo, Romario, sono partiti da situazioni di vita drammatiche. Romario a sei mesi ha rischiato di morire per l’inondazione che ha distrutto la sua capanna nella favelas di Rio. Proprio in questi giorni un ragazzino che ha frequentato i nostri corsi, inizierà a recitare in una telenovelas. Per noi è una grande soddisfazione. Un gruppo musicale, nato nei nostri centri, continua a girare il Brasile portando allegria nelle feste di paese. E per loro è un lavoro!". Si commuove Leonardo nel parlare del Brasile, tanto che dice: "Ora torniamo a parlare di calcio!".

(sommario)

David Gentili

 

 

Qual è la sua opinione in merito al trasferimento di San Vittore?

Alessandro Fonti, Isabella Merzagora, don Donato e Marco Girardello rispondono

 

Quattro voci autorevoli, tutte contro lo spostamento di San Vittore. Abbiamo intervistato due esperti di psicologia e criminologia clinica, il dottor Alessandro Fonti e la professoressa Isabella Merzagora e due persone impegnate socialmente con i detenuti, don Donato - cappellano della Casa Circondariale di Verbania -, e il dottor Marco Girardello referente sul territorio del Centro Formazione professionale piemontese Casa di carità Onlus -, e cittadini di Milano.

In generale le opinioni di coloro che lavorano nel campo, confluiscono su una risposta comune no allo spostamento! In particolare il dottor Fonti denuncia un artifizio di tipo nevrotico nello spostamento della Casa circondariale, in quanto, si verrebbe a negare e a disprezzare una realtà presente vissuta come scomoda Sottolinea, inoltre, che prima di spostarlo lo si toglie dal punto di vista psicologico, e che quindi si verrebbe ad aumentare, nei suoi ospiti, il sentimento di esclusione dalla società, togliendo il senso di appartenenza. Questo processo non aiuta i bisogni e le esigenze delle persone presenti a San Vittore.

La professoressa Merzagora sposta l’accento della domanda su quelli che sono i problemi di San Vittore e del carcere in generale. il suicidio e l’autolesionismo, i tagli delle spese sanitarie, il trattamento che non è mai esistito, l’alto numero degli agenti di Polizia penitenziaria e i carenti corsi di formazione. Quindi, per la professoressa, il problema del trasferimento è secondario. Don Donato si sofferma sul tema della protesta: potenzialmente, rimanendo in centro, i detenuti possono essere ascoltati. Guarda, inoltre, al discorso del trattamento e della riabilitazione alla società proponendo corsi formativi e/o sportivi all’esterno delle mura carcerarie, per inserire nel sociale e offrire migliori condizioni di vita.

Il dottor Girardello ritiene che i veri interessati siano i detenuti e che tocchi a loro scegliere. Tuttavia, facendo un paragone con la Casa circondariale di Verbania, che rispetto a San Vittore è più facile da gestire, perché più piccola, meno rumorosa, e non ha il problema del sovraffollamento, risponde dicendo che bisognerebbe chiedersi qual è la dimensione giusta per un carcere in una grande città, ma dal punto di vista economico ritiene più conveniente creare una struttura grande e capace fuori, piuttosto che investire in una vetusta e vincolata all’interno della città. Le risposte dei cittadini milanesi si sono rivelate eterogenee, ma in media si può affermare che propendono per uno spostamento, se si può offrire maggiore vivibilità a chi vive al suo interno. (sommario)

Daniela Barbini

 

 

Teatro… ma non solo

Frequento da due mesi il corso di teatro ed è formidabile quanto mi stia aiutando, divertendomi. Ho scoperto un mondo, un pezzo di puzzle che mi permette di capire ancor di più il quadro della mia persona. Ogni volta, quando proviamo una scena, cerchiamo di perfezionare i tempi, la convinzione di chi realmente vive la sceneggiatura e l’armonia composta da stonature, urla, sussurri, silenzi e pause.

lo ho trovato subito grosse difficoltà: ho cercato di usare il mio modo di essere e di vivere, per farlo sembrare più verosimile, ma non andava, perché non ho mai capito come si usa la concentrazione. Pensavo che concentrarsi era tendere nervosamente verso qualcosa, invece è credere in quello che fai senza pensare, indeciso, ad altre cose: è attivazione dell’ascolto ed essere lì, in quel momento, interamente. Giocare a diventare altro non attraverso uno stereotipo, ma covando la naturalezza che il personaggio ha nell’essere quello che è.

Nella realtà penso ad una cosa e subito in me ne frulla un’altra, questo atteggiamento, per forza di cose, devo modificarlo. Voglio dare e trovare i tempi della mia vita, mettere ordine fra i momenti di lavoro e di gioco, tra il rilassamento della spensieratezza e la meditazione. Sono contento di aver trovato in me un mazzo di carte mischiate a caso, dove la concentrazione per cogliere e ottenere il meglio di me, si trova dove dovrei staccare la spina, svuotandomi della tensione di centinaia di input che arrivano giornalmente. I tempi per fare un ottimo lavoro non esistono solo a teatro, ci sono anche nella realtà, indispensabili per vivere al meglio e raggiungere obbiettivi appaganti. Spero, continuando teatro, di conoscere maggiormente le mie difficoltà e la mia persona a me sconosciuta. (sommario)

Walter Madau

 

 

Caro Carol

Ho incontrato il Papa

 

Con un permesso speciale sono stato scortato in Vaticano, dove Carol mi aspettava ansioso. "Ciao Luca", mi ha detto, "come vedi ho voluto incontrarti, per sapere da un detenuto se le parole che ho pronunciato in Parlamento, siano state ascoltate". "Caro Papa, non ti preoccupare di me, le tue parole non sono state ascoltate, non solo in parlamento, ma in tutto il mondo e a tutti i livelli, come tu puoi vedere.

Immagino la sofferenza che provi". Dette queste parole l’ho abbracciato stretto: "Tieni duro Carol e ricordati che il Papa è un po’ in ogni uomo e prima o poi ognuno dovrà fare i conti con questo. Il tuo pianto è uguale al mio"; gli dissi. Di colpo, però, sento una voce che dice: "Cambio lenzuola". Miii… Ero nella mia branda, in cella, era tutto solo un sogno. Beh, eccomi qui, a San Vittore. La mattina ha l’oro in bocca, si sa, qui lo sanno in tanti perché siamo in tanti, tutti con le orecchie piene di parole… in un luogo che trabocca… (sommario)

Luca Negri

 

 

Io, Jasmin e i suoi parenti

Ho sentito parlare molto di lei tanti anni fa dalla gente, come fosse una star internazionale Aveva parenti stretti in tutto il mondo ma lei proveniva dall’Asia Jasmin era una star, ma non la conoscevo, tutti la cercavano ovunque, m ogni angolo, qualcuno con un po’ di fortuna riusciva a trovarla; sembrava soddisfarli, estasiarli e sfinirli. lo continuavo ad incuriosirmi dei loro comportamento strano e misterioso, sembrava quasi che la volessero proteggere. Jasmin in realtà era lì, ma non la vedeva nessuno al di fuori di quel gruppetto a volte ansioso, che si mescolava con il resto dei mondo indifferente e ignaro dei comportamento strano che lo osservavo.

Jasmin in realtà era protetta da quel gruppo come fosse la cosa più cara di questo mondo, ricercata perfino dalla polizia, che sembrava volesse portarla via come fosse un oggetto di rara bellezza, da trovare a tutti costi. La cosa strana era che poca gente mi dava il consiglio di non cercare di conoscere Jasmin; è pericoloso il suo incontro, quasi fatale, ma Jasmin continuava ad alimentare la mia irrefrenabile curiosità, che sta per esplodere a momenti, perché nel mio gruppo conoscevamo la sua lontana parente che è la nobile Maria.

Maria ci teneva sempre allegri e sorridenti, eravamo meno strani dei gruppo di Jasmin, magari stravaganti, quasi menefreghisti per il modo di vestire e di come portavamo i cappelli lunghi e sporchi, unica differenza da quei ragazzi che agivano misteriosamente, nascondendosi da tutti. Il mio gruppo cercava invece di farsi notare trasgredendo le regole che la società impone a tutti, ma la Maria non creava misteri perché era conosciuta e tollerata come fosse di casa. Jasmin ha un fratello maggiore che è molto diverso da lei: sempre candido come la neve, spesso frequenta un altro genere di personaggi, ricchi famosi e mafiosi, a volte anche ambigui, non per questo meno misterioso o pericoloso di Jasmin.

Un bel giorno un mio amico d’infanzia di nome Antony ebbe la bella pensata di presentarmi la famosa e misteriosa Jasmin non so se maledire quel giorno oppure il mio amico, ma talmente affascinato dal suo mistero ho voluto soddisfare la mia curiosità. Al primo impatto nel vederla sembrava quasi fragile, innocua, bastava un colpo di vento e svaniva nell’aria. Devi saperla maneggiare come un artificiere che disinnesca una bomba, ma con Jasmin tutto è diverso, la bomba la inneschi e non la fermi più.

Quel maledetto giorno Jasmin mi ha dato una sensazione strana mai provata prima, non sapevo se amarla oppure odiarla, sentivo che mi aveva preso qualcosa che apparteneva a! mio profondo, ma non riuscivo a capire che cosa. Dopo tanti anni di fedeltà a Jasmin, che mi aveva reclutato nel suo esercito, pensavo a lei come fosse l’unica a dissetare il mio morboso bisogno di star bene. Oggi so di certo che ero stordito come un pugile che ha preso un gancio da KO per aver sottovalutato il temibile avversario.

Mi sento tradito, soggiogato, privato di tutto, perfino dei mio pensiero libero, escluso dalla realtà per inseguire lei. Oggi sono io che sto cercando di scappare da Jasmin e dai suoi parenti, ma non è così facile, in un modo o nell’altro incontro sempre il suo esercito indaffarato nella sua ricerca, che mi sembra disorientato come il turista che ha perso la sua guida. So che Jasmin era buona quando ne avevo bisogno, non sapevo che era anche ladra delle anime e ricattatrice. Ho paura di incontrarla come la madre di tutte le bombe. (sommario)

Ernesto Bernardi

 

 

Convegno al "Palazzo delle Stelline: minori-scuola-carcere e società

Associazione Gruppo carcere "Mario Cuminetti", Bambini senza sbarre

 

L’associazione Gruppo carcere Mario Cuminetti è stato il primo gruppo in Italia nel 1985 a chiedere e usufruire dell’ articolo 17 dell’Ordinamento penitenziario (integrato dalla legge Gozzini) per svolgere attività culturale in carcere e creare un collegamento fra carcere e città. L’associazione prende il nome dal suo fondatore, Mario Cuminetti, teologo, saggista e operatore culturale, impegnato per il rinnovamento della società e in particolar modo per il problema degli emarginati. L’associazione si occupa del rapporto genitori detenuti e figli da quattro anni, collegandosi idealmente ad un lavoro iniziato nel 1985, con seminari nell’Istituto penitenziario milanese San Vittore, su "affettività, paternità, maternità".

Il punto di partenza con cui l’associazione affronta questo problema è il dramma dei bambini per i quali non si può e non si deve prescindere dalla relazione con i loro genitori, consapevoli che l’esperienza centrale su cui lavorare è la separazione, violenta e subita, e le difficoltà individuali successive di adattamento ad un diverso contesto affettivo. Il bambino infatti non può crescere senza una relazione parentali fondante, per questo è necessario tentare di recuperare, quando è possibile, la relazione spezzata dalla detenzione (articolo 9 Convenzione ONU), relazione che dovrebbe essere valutata spostando l’ottica culturale che privilegia solo l’adattamento sociale (lavoro, casa), peraltro fondamentale, anche su un adattamento più relazionale e affettivo.

Il lavoro si sviluppa attraverso l’individuazione di un percorso di accompagnamento del minore e della madre nella loro esperienza di separazione e di necessità di mantenimento della relazione. Questa necessità è prioritaria e vitale per il bambino, per la sua identità ed equilibrio psichico di base; consapevoli che anche il genitore in carcere attraversa un momento grave di disorientamento e necessita di un sostegno per recuperare un’identità genitoriale persa o da ricostruire.

In Europa, secondo uno studio francese, risulta che degli 800.000 bambini di genitori detenuti 43.000 sono italiani e il 30% segue la strada della detenzione. In quest’ottica il nostro intervento si pone quindi anche in una prospettiva di prevenzione sociale, come tentativo di interrompere un destino di carcere che pare ripetersi nei figli in modo inesorabile. I genitori detenuti che hanno aderito al gruppo associazione "bambini senza sbarre" si riuniscono 2 ore e mezza la domenica pomeriggio, presso una saletta del carcere San Vittore.

Agli incontri con gli operatori dell’associazione partecipano circa 15 genitori-detenuti, che tra loro discutono favorendo gli stimoli e le motivazioni per approfondire tematiche e problematiche legate alla condizione di genitori-detenuti e le relazioni familiari, discutendo sugli argomenti e le problematiche inerenti questa situazione. Il gruppo interagisce in modo autonomo ed è riconosciuto dalla direzione del carcere. (sommario)

 

 

L’acqua del pozzo

Regnava un tempo nella lontana città di Wirani un Re che era potente e, al tempo stesso, saggio. Era temuto per la sua potenza e amato per la sua saggezza. Ora, vi era in quella città un pozzo, la cui acqua era fresca e cristallina, e da cui attingevano tutti gli abitanti, compreso il Re e i suoi cortigiani, poiché non esisteva nessun altro pozzo. Una notte, mentre tutti dormivano, nella città penetrò una strega, e versò nel pozzo sette gocce di un liquido strano, dicendo: "Da questo istante, chi beve di quest’acqua diventerà folle".

Il mattino seguente tutti gli abitanti della città, escluso il Re e il gran ciambellano, attinsero dal pozzo e divennero folli, come la strega aveva predetto. E per tutto il giorno la folla nei vicoli angusti e nelle piazze della città non fece altro che bisbigliare. "Il Re è pazzo. Il nostro Re e il gran ciambellano hanno smarrito la ragione. Non possiamo certo servire un Re folle, dobbiamo detronizzarlo". Quella sera il Re ordinò che un calice d’oro fosse colmato con acqua del pozzo e quando glielo portarono, ne offrì anche al gran ciambellano. E ci fu gran gioia in quella lontana città di Wirani, perché il Re e il gran ciambellano avevano riacquistato la ragione. (sommario)

Francesco Ghelardini

 

 

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