Garçon n° 36

 

Garçon, la voce dei ragazzi dell’I.P.M. di Casal del Marmo

Anno XI - n° 36

 

L’innamoramento in carcere

Parlare, parlare

L’innamoramento in carcere

 

Secondo me l’amore in carcere non esiste, perché una volta usciti da qua dentro si dimentica tutto, proprio perché non è vero amore vero. Sono tutte fesserie che tirano fuori, da qua dentro, perché vedono certi nostri atteggiamenti in un modo sbagliato, esagerato.

Sì, forse si può anche amare, ma fino ad un certo punto anche perché in carcere non si può conoscere mai bene una persona, come è veramente.

Durante la detenzione le persone sono diverse, mentre fuori da casa le vedi come sono. Poi ci sono anche delle difficoltà nello stare insieme, nel frequentarsi, nello stare vicini il più possibile. Qua dentro puoi provare solo emozioni ma non come quelle che provi fuori, quindi per me è solo un gioco. Per gli altri non lo so, ma io la penso così.

L’amore in carcere non esiste e non esisterà mai perché è la situazione stessa in cui ti trovi che non ti porta a giudicare se è un sentimento vero. Non sai nemmeno se una volta fuori potrai incontrare ancora questa persona e, se anche la incontrassi, forse la troveresti diversa, ti sentiresti a disagio e non ci capiresti proprio più niente. Perché non è più la stessa persona.

E allora io dico che è simpatia ciò che provi per uno che come te sta soffrendo la detenzione, può esserci una particolare attenzione, una manifestazione di affetto, un sentire il bisogno di essergli vicina, di avere certe effusioni, per cui non devi preoccuparti né debbono preoccuparsi gli adulti che ci sorvegliano e che non capiscono questa necessità, che non ha nulla di sporco, di illecito e per questo a volte puniscono per una e vicinanza… troppo ravvicinata. Perché crearsi problemi dove non ci sono?

 

Licia

 

Parlare, parlare

 

Si! È decisamente meglio parlare, di poco o a volte anche di niente! Parlare del tempo ma non fermarsi mai a pensare al tempo che passa e non torna!

Parlare di cose che non contano, perché quelle che contano fanno male dentro e non si possono né raccontare né scrivere, non possono nemmeno essere pensate, perché si chiudono intorno al cuore e lo schiacciano! Perché scrivere? Per far finta di aprire una finestra, scrivere vomitando fuori quello che sta marcendo dentro, ma che tanto resta li perché la carta e la penna "là dentro non ci arrivano".

Perché raccontare? Beh, a questa domanda non so proprio rispondere, io non mi so raccontare, non lo voglio nemmeno fare. Raccontare a chi? E, soprattutto, raccontare cosa?

Ci sono dei fantasmi neri che non possono essere liberati, perché mi fa paura raccontarmi e poi vedere negli occhi di chi ascolta tutto lo schifo delle mie parole! E, allora, raccontiamoci solo favole, parole leggere che non lasciano tracce nell’anima! E arriviamo alla domanda più cattiva: perché pensare? Per rendersi conto di quanti capitoli sono stati chiusi troppo in fretta, per capire quanti rapporti sono stati cancellati. Pensare a quante storie non vorrei aver vissuto, pensare serve solo a far dire "se potessi tornare indietro", ma visto che indietro non si torna… e allora pensiamo al futuro!

Bello, con il mio fantasma nero, che sicuramente durerà molto di più di anni 8 e mesi 6 di reclusione. Penso ad un futuro diverso e ho paura, perché so che gli incubi saranno gli stessi di oggi! E allora parliamo del sole, della luna, dei programmi della televisione, oppure guardiamoci solo negli occhi e viviamo in silenzio! Happy freedom.

 

Handy

 

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