L'Opinione delle carceri

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

L’Opinione on line, 23 novembre 2004

 

Ecco come morì Marcello Lonzi

Presidente Ciampi, batta un colpo

Livorno: le foto della vergogna

Guantanamo o Livorno?

La speranza di chi è dentro e chi è fuori dal carcere

De profundis, voci da dietro le sbarre

"Capito mi hai..", parlano i detenuti di Nuoro

Vietti, articoli imperfetti

Ecco come morì Marcello Lonzi

 

Pubblichiamo una solo foto della sequenza proveniente dall’autopsia del detenuto Marcello Lonzi, morto ufficialmente per infarto nel carcere delle Sughere a Livorno nel luglio di un anno fa. La famiglia chiede giustizia alle istituzioni fidandosi di esse. Per chi volesse vedere le altre agghiaccianti immagini diamo il link del sito che le ha pubblicate. In molti intanto si domandano se sia possibile che cose come queste avvengano nel penitenziario della città natale di Ciampi.

 

Presidente Ciampi, batta un colpo

 

Illustre presidente Carlo Azeglio Ciampi, le scriviamo per la seconda volta in meno di sei mesi per esporle il caso del detenuto Marcello Lonzi. Quest’uomo è morto nel carcere delle Sugheri a Livorno nel luglio del 2003. Ma non si può parlare a cuor leggero di "cause naturali" o di "infarto" come invece ha sinora fatto l’inchiesta amministrativa interna. A meno di non volere essere cinici come i referti medici che constatavano l’avvenuta morte dei detenuti ebrei di Auschwitz che secondo la burocrazia nazista morivano tutti di collasso cardiocircolatorio. Presidente Ciampi quello delle Sughere è il carcere della città di Livorno. Cioè la sua. Le chiediamo solamente di dire una parola di giustizia e di andarsi a vedere su internet (ci andrà anche lei no?) alcune delle foto che non abbiamo voluto pubblicare per senso di responsabilità verso lo stomaco dei nostri lettori.

 

Dimitri Buffa

 

Livorno: le foto della vergogna

 

"Marcello Lonzi, deceduto per cause naturali", con questa laconica affermazione era stata richiesta al Gip presso il tribunale di Livorno, da parte del pubblico ministero, l’archiviazione per la morte del giovane livornese deceduto nel carcere delle Sughere la sera dell’11 luglio 2003, ad appena 30 anni. Così non è stato, invece, grazie all’opposizione presentata dal sottoscritto difensore e sulla quale si dovrà pronunciare definitivamente il Gip in data 10 dicembre 2004.

Del resto le foto del corpo di Marcello parlano da sole e raccontano di un uomo che doveva scontare ancora appena 4 mesi di carcere e che nemmeno sotto ad un tir poteva ridursi in queste condizioni. Marcello è stato torturato a lungo, sul suo corpo sono ben visibili i segni del martirio e secondo il nostro perito di parte anche le impronte dei tacchi dei suoi carnefici. Questo crimine non resterà impunito.

 

Guantanamo o Livorno?

 

Dopo la pubblicazione su www.anarcotico.net, ora le foto della vergogna, le foto che ritraggono il cadavere martoriato di Marcello Lonzi, sono ben visibili anche nella home-page di www.radicalidisinistra.it. I radicali di sinistra hanno quindi raccolto e fatto proprio l’appello partito dal sito anarchico di divulgare le foto quale arma di denuncia sociale. Desidero, per questo, e non solo, ringraziarli pubblicamente per il loro alto senso civico e coraggio, perché, al contrario, c’è chi non se l’è sentita di pubblicarle. A loro ricordo che certi crimini possono essere consumati solo con l’omertà dei codardi. Le foto sono state spedite anche ad Amnesty International, che da Londra ha pure contattato la madre di Marcello ed alle principali testate europee.

 

Avvocato Vittorio Trupiano

 

Ps - Ecco il link interno al sito "radicalidisinistra.it" dove chi desidera può vedere le foto dell’autopsia di Marcello Lonzi, che L’opinione per non turbare la sensibilità dei propri lettori ha ritenuto di non dover pubblicare. Giudicate voi se è plausibile un referto per morte dovuta ad infarto. http://www.radicalidisinistra.it/2004/news/novembre/lonzi2.htm

 

La speranza di chi è dentro e chi è fuori dal carcere, di Francesca Mambro

 

Il carcere è fonte di convegni e dibattiti che non servono a niente. Qualcuno dice che l’unico aspetto davvero positivo di questi convegni riguarda i volontari che altrimenti getterebbero la spugna frustrati e scoraggiati dalla lentezza burocratica con cui avvengono i cambiamenti sul pianeta carcere. A Frascati c’è stata la convenzione programmatica dell’associazione Nessun Luogo è Lontano che ha visto una tavola rotonda dal titolo "Il carcere chi è dentro e chi è fuori. Il denominatore comune della paura".

Nessun luogo è lontano, una onlus ramificata sul territorio del centro Italia, che opera da 6 anni nel settore dell’immigrazione ha proposto alla politica italiana una carta di diritti per la cittadinanza e rappresentatività agli stranieri. Come è stato detto in entrambi gli schieramenti politici è ora di mettere in cantiere una più democratica e articolata integrazione del cittadino immigrato nel tessuto sociale e politico italiano. Non per astratto buonismo, o per espandere all’infinito un welfare system già in passivo, ma per una piena integrazione allo straniero e vivere in una società più sicura per tutti.

L’idea semplice non esclude i cittadini detenuti. E’anche per questo che il presidente di Nll Fabrizio Molina ha voluto fortemente che l’associazione si aprisse alla realtà del carcere e che ai detenuti arrivasse il messaggio che davvero nessun luogo è lontano. Al dibattito è intervenuto l’on. Angiolo Marroni come garante della regione Lazio. Ha spiegato che il garante è una figura che collabora dialetticamente con altre istituzioni al fine di garantire quei diritti fondamentali di cui la persona detenuta è titolare e che non perde a seguito della detenzione: dignità, salute, formazione, lavoro e che purtroppo i detenuti stranieri non godono degli stessi diritti di quelli italiani.

"Si può immaginare che la pena carceraria sia l’unica via percorribile, la migliore per garantire giustizia? Che cosa significa e cosa si fa effettivamente per il reinserimento dei detenuti?". Durissimi i commenti sul 41-bis "vendetta dello Stato, tortura", forte il richiamo alla necessità di una normativa europea in materia penitenziaria "che prenda il meglio che c’è". L’associazione ha ospitato anche i bambini di Rebibbia con il gruppo dei volontari di "Roma Insieme" che si occupa dei figli delle detenute in carcere, guidata da Leda Colombini che ci ha ricordato: "E’ assolutamente necessario non penalizzare i figli di queste madri per ridurre i danni della detenzione. Ciò non significa depenalizzare chi ha commesso un reato ma restituire dignità e investire sul futuro".

Oltre il 60% delle detenute del carcere di Rebibbia è di origine straniera (di 21 madri solo 2 sono italiane). Penalizzate dalla cosiddetta "Legge delle madri", che interessa solo le detenute italiane, le detenute straniere sono ulteriormente colpite dall’obbligo di espulsione previsto dalla Legge Bossi-Fini una volta scontata la pena. Don Sandro Spriano cappellano del carcere di Rebibbia ha raccontato la sua esperienza quotidiana con i detenuti e invitato tutti ad interrogarsi cosa significhi veramente fare giustizia quando ci troviamo nella maggioranza dei casi di fronte a storie di ordinaria povertà e disperazione e con un carcere che a fronte di 1000 detenuti, sabato mattina ne contava 1700.

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

Liberate i bambini

 

Caro direttore, sono Torrenti Mario, le scrivo dall’infermeria del G14 in occasione della giornata mondiale per i diritti dell’infanzia del 20 novembre. Le chiediamo noi tutti, compagni del G14, di far sentire la nostra autorevole voce affinché vengano trovate misure alternative alla detenzione in carcere dei circa 60 bambini attualmente ristretti in Italia.

E’ inconcepibile far pagare la sofferenza della chiusura fra sbarre a creature innocenti che non per propria colpa riporteranno traumi psicologici irreversibili. Capiamo che all’inizio la legge in questione fu concepita per andare incontro a motivi umanitari ma fu un errore in quanto non sono state predisposte e applicate le misure alternative. Crediamo che il "vulnus" scaturente della reclusione dei bambini sia infinitamente superiore a quello proveniente dal concedere alle madri detenute una pena mitigata. Ci auguriamo che questo nostro appello sia accolto dalle forze politiche parlamentari. La ringrazio e auspico che venga pubblicato. La saluto anche da parte di tutti i compagni ricoverati presso l’infermeria del G14.

 

Mario Torrenti, Roma, Rebibbia li 16.11.2004

 

"Capito mi hai..", parlano i detenuti di Nuoro

 

Alla cittadinanza nuorese. Denunciamo il fatto che nell’istituto di Nuoro non si sconta solo la privazione della libertà ma anche una reclusione in un ambiente difficile ed ostile, angusto e malsano, con condizioni igieniche terribili (nelle celle e nei passaggi siamo costretti a fare i bisogni corporali davanti agli altri senza nessuna riservatezza). In questo carcere sono insufficienti gli educatori, gli assistenti sociali, i medici (il dentista non opera da più di un anno). Le strutture sono fatiscenti, i rapporti con l’amministrazione sono difficili e discrezionali, le opportunità di lavoro all’interno quasi nulle.

Viviamo, in poche parole, in un ambiente dove non esiste alcun presidio di tutela dei diritti e della legalità, a parte l’ufficio di Sorveglianza di Nuoro, ma i provvedimenti del magistrato di sorveglianza non vengono applicati e né presi in considerazione. Ma come è possibile questo? La direzione del carcere può permettersi di ignorare ciò che scrive il magistrato? È perché il sindaco e il consiglio comunale di Nuoro non eleggono un difensore civico dei diritti dei detenuti di Badu Œe Carros, come hanno già fatto i sindaci e i consigli comunali di Roma e di Firenze e come stanno facendo altri comuni italiani?

Per farci sentire e per sensibilizzare i soggetti a cui è stata inviata questa nostra lettera e tutta la cittadinanza di Nuoro abbiamo deciso in modo pacifico e costruttivo, noi detenuti che proveniamo dal "continente" (non partecipano i detenuti sardi, anche se sono solidali con questa nostra iniziativa, perché non vogliamo che corrano il rischio di essere deportati fuori dalla loro regione, lontani dalle proprie famiglie, come è accaduto a noi), a partire dalla mezzanotte del primo dicembre attueremo per tre giorni una battitura notturna della durata di 15 minuti. Battitura ai cancelli come forma di protesta pacifica.

 

Cosa chiediamo

 

Il federalismo penitenziario (tanto caro all’ingegner Castelli, ministro della Giustizia), ossia la fine della deportazione dei detenuti, quelli del continente in Sardegna e quelli sardi nel continente. È un diritto dei detenuti, espresso chiaramente nell’Ordinamento penitenziario (art.28) e ribadito nel Nuovo regolamento esecutivo (art. 115), quello di scontare la pena in un carcere che sia nella stessa regione o il più vicino possibile a dove vive la propria famiglia.

L’applicazione dei provvedimenti dell’ufficio di Sorveglianza, per esempio, quelli relativi alla riservatezza e all’igiene dei bagni sia nelle celle che nei passaggi; alla forma del contratto di lavoro, cioè che sia rispettata la forma scritta richiesta dalla legge per il contratto di lavoro parziale; alla verifica semestrale dell’assegnazione dei detenuti nella speciale sezione di elevato indice di vigilanza come previsto nell’art. 32 del Nuovo regolamento esecutivo e ribadito dal decreto del magistrato di sorveglianza di Nuoro.

Una riflessione: non vi sembra un po’ strano che noi "delinquenti" dobbiamo protestare (rischiando eventuali rapporti disciplinari), per il rispetto della legge, dei regolamenti e dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza! Un’ispezione nel carcere di Nuoro da parte del ministero per accertare queste numerose illegalità.

Un’incontro con i consiglieri regionali e con i parlamentari eletti nella regione Sardegna. Solidarietà da parte della società esterna e soprattutto da parte delle associazioni e dei singoli cittadini di Nuoro. Martedì 30 novembre 2004, dalle ore 19.00, si terrà un banchetto informativo presso i giardini di P.zza Vittorio Emanuele, a Nuoro.

 

Vietti, articoli imperfetti, di Mauro Mellini

 

La fine dell’ipocrisia: così avremmo dovuto definire il dibattito in televisione dell’altra sera sul "permesso" a Brusca. Brusca che fece strangolare e sciogliere nell’acido il piccolo Di Matteo perché figlio di un pentito, Brusca che fece saltare in aria Falcone, Brusca pentito, collaboratore di giustizia. Ipocrisia: non solo permessi premio, ma liberazioni condizionali, pene scontate in semilibertà (cioè in libertà "protetta" e retribuita), impunità e privilegi ne sono stati distribuiti a pentiti di ogni genere, autori di decine di omicidi, i più efferati.

E a "collaboratori" condannati (si fa per dire) per calunnia in corso di collaborazione (tuttavia definita "preziosa" e "virtuosa"; un esempio: Salemi Pasquale da Porto Empedocle), autori di ricatti ed estorsioni sempre in corso di "collaborazione. Ipocrita l’affermazione del sottosegretario alla Giustizia Vietti, il quale ha creduto bene di dichiarare che la legge sui pentiti va benissimo e che, se a Brusca è stato concesso quel permesso premio che ha fatto svegliare tante coscienze addormentate di fronte allo sconcio dei pentiti (quello vero, e soprattutto il più grave, dell’attribuzione del valore di prova alle loro dichiarazioni, retribuite con questi ed altri "benefici"), questo è colpa del magistrato di sorveglianza che non ha tenuto conto che, per legge, il permesso premio può essere concesso solo al detenuto che non sia "socialmente pericoloso", mentre Brusca lo è (gli altri pentito non lo sono?).

Vietti ha barato. Ha barato perché non possiamo ritenere che non conosca le norme sui pentiti ed, in particolare, gli articoli 58 bis (persone che collaborano con la giustizia) e 30 ter (permessi premio). Tali norme, nel loro originario testo, effettivamente prevedevano solo che la concessione dei permessi (e degli altri benefici) non fosse condizionata ai "limiti di spesa" e stabilendo, invece, che tutte le disposizioni relative alle condizioni (e quindi anche a quella dell’assenza della "pericolosità sociale") non si applichino per questi signori.

Dunque, è la legge che ha voluto che i pentiti andassero in giro "sciolti" anche se socialmente pericolosi, come, del resto, è difficile ritenere che non siano i collaboratori pluriomicidi etc. etc.. Oppure Vietti non ha barato. Si è confuso (e con lui i suoi collaboratori che lo avranno "istruito", quanto meno, per affrontare la trasmissione) nel pasticcio degli articoli di legge e dei "rinvii" dall’uno all’altro di essi, con le successive modificazioni ermetiche e complicate. Benissimo: comunque, chieda scusa al magistrato di sorveglianza, a Brusca (perché no?) e, soprattutto, ai telespettatori.

E mediti un pochino sulla legge sui pentiti e su quei benefici sempre più ampi e scandalosi, al suono dei quali sono comprate le "rivelazioni" dei suddetti signori. Benefici tanto grossi ed impensabili che non gli erano neppure sembrati possibili. O che non gli era sembrato possibile far sapere quanto impensabili fossero alla gente che lo stava ascoltando.

 

Pagina a cura di Dimitri Buffa Scrivete a: L’opinione, rubrica "L’opinione delle carceri", via del Corso 117 – 00186 Roma - E mail redazione@opinione.itbuffa@opinione.it

 

 

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