L'Opinione delle carceri

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

L’Opinione on line, 16 novembre 2004

 

Regione Lazio, i detenuti rimangono senza garante

Chi boicotta il garante del Lazio?, di Francesca Mambro

Che si aspetta a chiudere il carcere di Sassari?

I motivi della protesta dei detenuti di Siracusa

Regione Lazio, i detenuti rimangono senza garante

 

Sono passati quasi nove mesi dalla sua istituzione, ma il garante dei diritti dei detenuti voluto all’unanimità dal consiglio regionale del Lazio rimane di fatto un concetto senza sostanza. La persona che era stata prescelta, Angiolo Marroni, non riesce ad ottenere il via libera da via Arenula e dal Dap, e per assistere e visitare i carcerati è costretto a presentarsi nei penitenziari sotto la veste di "volontario". La situazione di stallo, secondo l’interessato, sarebbe determinata dalle istituzioni che "tra loro non si parlano".

 

Chi boicotta il garante del Lazio?, di Francesca Mambro

 

Che cosa ne è stato del garante per i diritti dei detenuti? Il 26 febbraio, il consiglio regionale del Lazio eleggeva Angiolo Marroni garante dei diritti dei detenuti. Il Lazio è la prima regione in Italia ad aver istituito questa figura di garanzia, prevista dalla legge regionale numero 31 dell’ottobre 2003 che ha istituito un "ufficio del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale". E’ passato un anno e l’ufficio del garante resta una legge all’avanguardia con un garante nominato solo sulla carta. Molte persone chiamano il partito Radicale e la regione Lazio e chiedono come mettersi in contatto con lui…

 

Onorevole Marroni, che cosa non sta funzionando in questa storia del garante della Regione Lazio?

Vi è a tutti gli effetti una situazione di stallo che non è assolutamente plausibile. E’ da febbraio che cerco di avere dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria un protocollo di intesa per entrare nelle carceri del Lazio e dare seguito al mio mandato, ma nessuna decisione è stata presa dal ministero. Per ovviare all’impasse di questa decisone ho proposto al Dap di farmi entrare negli istituti di pena i ai sensi dell’articolo 117 2° comma dell’ordinamento penitenziario ma ufficialmente non mi hanno dato alcuna risposta. In via del tutto informale si dice che questo articolo non è stato mai applicato prima d’ora. A me sembrerebbe un buon motivo per cominciare e non lasciare che passi un altro anno con un niente di fatto! Nel frattempo in merito c’è stata un’interrogazione alla Camera dell’on. Lucidi e la risposta del ministro non è stata lusinghiera. Secondo il ministero, il garante dovrebbe entrare nei penitenziari con l’articolo 17 che viene rilasciato a discrezione del direttore del carcere. E’ chiaro che questo snatura il senso della legge e riporta l’ufficio del garante all’interno dell’amministrazione penitenziaria. Il garante è e deve restare super partes. Anche il consiglio regionale non è rimasto a guardare. Vista la situazione di stallo il consigliere di maggioranza l’on. Troia ha proposto, solo per questa legislatura, di modificare la legge eliminando l’incompatibilità che prevede come in questo ufficio non possano lavorare politici con cariche istituzionali, avvocati, giornalisti. Questa modifica permetterebbe di rendere operativo il garante perché il consigliere regionale ha già accesso a tutte le carceri del Lazio per colloqui e visite ispettive.

 

A suo avviso è un problema di resistenza o indifferenza?

La sensazione che ho avuto è di scarsa cooperazione tra organi governativi. Forse dovrebbero parlarsi di più perché la legge sul garante è stata approvata all’unanimità dalla regione Lazio, governata dalla maggioranza di centrodestra. Da parte mia, per continuare ad entrare in carcere resto in carcere come volontario, anche se è assurdo non poter usare la struttura e i mezzi a disposizione dei detenuti. Se solo fossi a pieno titolo garante.

 

Che si aspetta a chiudere il carcere di Sassari?

 

Quattro anni fa la prigione di San Sebastiano di Sassari pose di fronte all’opinione pubblica il dramma delle carceri. Il pestaggio dei detenuti da parte degli agenti di custodia rappresentava però solo la punta dell’iceberg: la condizione del penitenziario sardo risultava infatti incompatibile con le esigenze di rispetto della persona umana e di rieducazione del detenuto. Si chiese la chiusura del carcere ed il trasloco in una sede idonea. Da allora non è cambiato niente.

A fine ottobre il presidente dell’Associazione nazionale detenuti non violenti, Evelino Loi, e il consigliere provinciale, Antonello Unida, hanno iniziato uno sciopero della fame che si è concluso il 4 novembre per protestare contro una situazione di paralisi che sembra senza soluzione. Spiega Unida: "La struttura penitenziaria è stato costruita 164 anni fa obbedendo ai requisiti principali: primo fra tutti il trovarsi fuori della città. Adesso però, in seguito all’espansione urbanistica, si trova in pieno centro cittadino e, nonostante gli interventi di manutenzione e di migliorie compiuti negli anni resta sempre un complesso ideato e realizzato ai tempi del Regno Sardo - piemontese".

I numeri sono sufficienti per descrivere come sia insostenibile tenere in vita il penitenziario. Ben 220 detenuti sono ospitati in un carcere che ha una capacità di raccolta di 140. Il 70 per cento della popolazione carceraria è costituita da tossicodipendenti per i quali risulta difficile prestare le cure sanitarie. Del tutto inadeguate sono poi le condizioni all’interno della celle: oltre al sovraffollamento c’è l’assenza dei bagni. Ci sono soltanto i bagni turchi, posti dentro la cella, che impediscono qualsiasi riservatezza e favoriscono il diffondersi di un ambiente malsano.

A completare questo quadro bisogna ricordare l’insufficienza della polizia penitenziaria che non riesce a svolgere un regolare turn-over. Anche questa categoria, che diventò protagonista ai tempi dei pestaggi, paga le conseguenze della distrazione che per troppi anni la classe politica locale e nazionale hanno avuto. Secondo quanto denuncia Unida però un altro fatto grave che si protrae da tempo è la scarsezza di operatori sociali: appena 3 per 220 persone. A questi pochi coraggiosi bisogna aggiungere il cappellano che si trova a dovere svolgere mansioni che esorbitano dal suo ufficio. In questo contesto aumenta il numero dei suicidi: un fatto che oramai non fa neppure più notizia.

Il nuovo carcere è un progetto di cui si discute ma che per il momento non trova possibilità di attuazione. Ci sono però segnali che qualcosa sta cambiando. Nell’ultima ispezione compiuta da una commissione parlamentare San Sebastiano è stato definito il carcere più fatiscente d’Italia: il Dipartimento amministrativo penitenziario ha annunciato, sulla scorta degli resoconti arrivati a Roma, un monitoraggio costante ed il varo di un progetto pilota per la Sardegna. Si tratta della realizzazione di un reparto ospedaliero per i malati di hiv in un braccio di San Sebastiano.

Nel breve periodo però è necessario, secondo quando chiedono Lio e Unida, che si intervenga su quel 70 per cento di tossicodipendenti internati per i quali sarebbe auspicabile che possano espiare la pena in comunità di recupero in cui sia possibile anche iniziare un trattamento sanitario. Un loro trasferimento consentirebbe anche l’allargamento degli spazi per i detenuti che ora sono ridotti al minimo.

 

I motivi della protesta dei detenuti di Siracusa

 

I detenuti della Casa circondariale di Siracusa - Cavadonna - considerato il perdurare delle insostenibili, quanto assurde, condizioni di vita all’interno delle carceri italiane dovute al sovraffollamento e ad una quasi inesistente applicazione delle norme in materia di Ordinamento penitenziario, hanno iniziato uno sciopero della fame che proseguirà a tempo indeterminato, contestualmente al rifiuto di tutte le attività sportive e scolastiche tenute all’interno dell’istituto, nonché al rifiuto di fruire delle ore d’aria previste dal regolamento, per protestare pacificamente, ma in maniera determinata, contro questo stato di cose.

Certamente non si vuole avere la presunzione, così agendo, di risolvere tutti i problemi che affliggono il "pianeta carcere". Il nostro vuole essere solo un modo, l’unico che possiamo adottare, per sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema che non riguarda solo i cittadini detenuti, ma investe in pieno tutta la società civile nel suo vivere quotidiano.

 

Oggi noi protestiamo per il riconoscimento di un diritto!

 

La legge 26 Luglio 1975 n. 354, meglio conosciuta come - Legge Gozzini -, non è cosa astratta, così come la Legge 1 Agosto 2003 n.207, sono Leggi del nostro Ordinamento giuridico, munite del sigillo dello stato ed è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarle e di farle osservare. Allora ci chiediamo: ma la Magistratura di sorveglianza, esiste ed opera presso il tribunale di Siracusa? Il presidente del Tribunale di Siracusa, Francesco Fabiano, avente giurisdizione sulla Casa circondariale di Siracusa, è a conoscenza della scarsa, quasi inesistente, applicazione delle leggi appena citate?

Legge 26 luglio 1975 n. 354, art. 54 "Liberazione anticipata" così recita: "Al condannato a pena detentiva che a dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata".

Certi di questo, facciamo una considerazione; visto che il Magistrato di sorveglianza del tribunale di Siracusa nega sistematicamente, quasi in modo scientifico, il riconoscimento del predetto beneficio, peraltro con delle motivazioni su cui varrebbe la pena poter discutere in maniera più approfondita, si avrebbe motivo di credere che a Cavadonna non esisterebbero quelle condizioni per attuare un sano e corretto programma di reinserimento, nonostante la direzione del carcere si sia prodigata non poco, a suo dire, nel creare all’interno dell’istituto, laboratori artigianali, culturali ecc. atte proprio a questo scopo e come evidenziano, tra l’altro, i tanti articoli di stampa sui vari quotidiani regionali.

Ma, se così è, non esiste un nesso logico tra l’esistenza di un valido programma di reinserimento che fa di Cavadonna un "carcere aperto" e la sistematica negazione del beneficio della liberazione anticipata i cui presupposti sono indefettibili per il suo riconoscimento; cioè aver dato prova di partecipare ai vari programmi rieducativi. Le due tesi sono in contraddizione tra loro.

Legge 1 Agosto 2003 n. 207 "Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni". L’art. 1 così recita: "Nei confronti del condannato che ha scontato almeno la metà della pena detentiva è sospesa per la parte residua la pena nel limite di due anni".

Anche qui si ha il dovere morale di fare una considerazione; non si riesce a capire del perché, il magistrato di sorveglianza del tribunale di Siracusa, non dia attuazione a questa Legge, visto che è assodato lo stato di sovraffollamento cronico del carcere di Siracusa che rende quasi impossibile, agli operatori penitenziari dell’istituto siracusano, lo svolgimento delle loro normali funzioni, e per i detenuti non esistono quelle condizioni di un vivere dignitoso consono ad una società civile e moderna, determinando così uno stato di insofferenza diffusa che inevitabilmente porta a delle situazioni di forte stress emotivo.

Esistono gravi carenze attuative rispetto al riconoscimento dei benefici della semilibertà, dell’affidamento in prova ai servizi sociali, la concessione dei permessi premio, tutte norme innovative queste che, se venissero applicate con coscienza e buon senso, darebbero un impulso positivo al "mondo carcere" ed eviterebbero tante sofferenze fisiche e psicologiche. La verità è che, allo stato, il diritto all’interno delle carceri è stato sospeso d’autorità. Alla magistratura di sorveglianza viene data quella discrezionalità, nell’applicare le norme, che la rende onnipotente, avendo essa la facoltà di applicarle nei modi e nei tempi che ritiene più opportuno.

In un paese democratico è plausibile tutto ciò? A chi giova mantenere in stallo queste situazioni! È questo che l’opinione pubblica si deve chiedere, il nostro è uno stato di diritto, non dovrebbe essere concesso a nessuno calpestare la Costituzione.

Il legislatore ha il dovere morale e politico di dare risposte, di porre rimedio ad una situazione divenuta insostenibile; non è più possibile continuare su questa strada, perseverando sarebbe un crimine verso le coscienze di cittadini che, se hanno sbagliato nei confronti della società, è giusto che paghino, ma è altrettanto doveroso per la stessa società, che lo facciano in modo civile e nel pieno rispetto delle regole e delle norme vigenti.

 

Questo, ad oggi, non sta avvenendo!

 

Si discute di amnistia, di condono, di indulto, facendo storcere il naso a molti, sapendo che, ad onor del vero, questi provvedimenti da soli non sono sufficienti a sanare il problema. Come ci insegna il recente passato, se a questi atti, che restano provvedimenti straordinari, non segue poi una reale politica sociale, appare inevitabile la loro inefficacia nel tempo, presentandosi così, agli occhi dell’opinione pubblica, solo un atto svuota-carceri. Noi come detenuti, oggi siamo qui per lanciare proposte concrete, senza falsi moralismi, per dare il nostro modesto contributo alla soluzione del problema carcere. Riteniamo, in primo luogo, che già la semplice applicazione della "Legge Gozzini" darebbe ossigeno al sistema giustizia, evitando quel collasso a cui, inevitabilmente, continuando così andrà incontro.

Pensiamo, inoltre, che sia auspicabile un atto di clemenza seguito poi da un reale impegno sul campo da parte dei servizi sociali. Infatti, una volta adottato un provvedimento di clemenza, qualsiasi esso sia, i servizi sociali del comune di residenza del condannato che ha beneficiato dell’atto, dovrebbero prendersi cura del predetto, tutelarlo nel suo nuovo status di ex detenuto e supportarlo nella difficile strada del reinserimento sociale, svolgendo così davvero quelle funzioni per i quali sono stati pensati ed istituiti.

Oggi, purtroppo, tutto questo non succede. Oggi, un cittadino che ha finito di scontare una condanna penale, si ritrova da solo, senza un reale punto di riferimento istituzionale che non sia solo sulla carta; è drammatico, ma è la realtà di questo momento! Quello che si consuma ogni giorno, all’interno delle carceri italiane, lo viviamo sulla nostra pelle, lo vivono le nostre famiglie, i nostri figli, continuamente e tacitamente discriminati da questa società che solo nel pensar comune non è razzista, ma che poi, nei fatti, si dimostra discriminatoria, eccome!

Queste sono le nostre argomentazioni, sicuramente non da tutti condivisibili, ma è proprio per questo che si cerca un dialogo con le istituzioni, con la società civile, per cercare di comprendere le cause di questo malessere diffuso. Per cercare quella soluzione che non sarà certo dietro l’angolo, ma che non verrà neanche da sola se ognuno di noi non si prodigherà alla sua ricerca. Quello delle carceri è un problema morale e di coscienza che investe tutti e tutti sono moralmente tenuti ad impegnarsi per la sua risoluzione.

 

I detenuti della Casa Circondariale di Siracusa - Cavadonna

 

Pagina a cura di Dimitri Buffa Scrivete a: L’opinione, rubrica "L’opinione delle carceri", via del Corso 117 – 00186 Roma - E mail redazione@opinione.itbuffa@opinione.it

 

 

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