L'Opinione delle carceri

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

L’Opinione on line, 19 ottobre 2004

 

Lo scandalo della cassa delle ammende

La giustizia italiota, di Valerio Spinarelli

Come gestisce Via Arenula i soldi per la rieducazione dei detenuti?

De profundis, voci da dietro le sbarre

Lo scandalo della cassa delle ammende

 

Doveva servire a finanziare corsi per il recupero dei detenuti ma a tre anni dall’emanazione del decreto istitutivo ancora non ha finanziato neppure un’iniziativa. I Radicali italiani denunciano la circostanza come l’ennesima riprova dell’esistenza di un caso Italia. Anche sulla pelle dei carcerati.

 

La giustizia italiota, di Valerio Spigarelli (Segretario dell’Unione delle Camere Penali Italiane)

 

Il congresso dell’Unione delle Camere Penali Italiane, tenuto a Bari e chiuso giusto dieci giorni fa, ha visto la partecipazione di 250 delegati in rappresentanza degli oltre 8500 avvocati penalisti iscritti. Nel corso dei lavori, ed in particolare durante la tavola rotonda alla quale hanno partecipato alcuni esponenti politici che si occupano di giustizia, si è colto con nettezza il nodo fondamentale che separa gli avvocati penalisti, e loro richieste, dalla gestione politica delle vicende di questa legislatura.

I penalisti italiani chiedono che il Giusto Processo venga calato, dalla solenne enunciazione contenuta nell’articolo 111 della Costituzione, nel corpo vivo del codice di procedura penale, attraverso un’opera organica di revisione di tutti gli istituti, dalle regole sulla durata delle indagini preliminari all’informazione di garanzia, dalle norme sulla custodia cautelare a quelle sul dibattimento, fino alle impugnazioni.

Una riforma organica promessa da tempo ma mai attuata per lasciar spazio alle leggi costruite sul contingente, talvolta l’emergenza (terrorismo, criminalità organizzata, violenza negli stadi, immigrazione clandestina) talvolta le necessità di risolvere specifiche vicende giudiziarie, come ammesso dal presidente della Commissione Giustizia della Camera, Pecorella, a proposito del lodo Schifani.

I penalisti chiedono un ordinamento giudiziario moderno e democratico, in attuazione delle regole costituzionali, che sancisca la vera terzietà del giudice rispetto alle altre parti del processo e disegni, per tutti i magistrati, un percorso di carriera fondato sull’indipendenza e la competenza. Separazione delle carriere, dunque, ma non solo. Della riforma dell’ordinamento giudiziario si parla da cinquanta anni e per farla non è necessario né sfidare la magistratura con inutili diktat né blandirla con trattative para-sindacali con l’Anm, come avvenuto anche in questi giorni, nell’inutile tentativo di superare resistenze corporative ben presenti e condizionanti.

I penalisti chiedono che l’ordinamento italiano, per quanto concerne i diritti civili, in special modo i diritti giudiziari, non venga indebolito, o magari stravolto, dal processo di unificazione politica dell’Europa. L’appuntamento del 29 ottobre 2004, quando il trattato costituzionale europeo verrà sottoscritto a Roma, è stata indicato come una data fondamentale per impegnare tutte le forze politiche del nostro Paese nella difesa delle tradizioni giuridiche del nostro ordinamento, e ancor di più della fragile casa del Processo Giusto appena edificato.

Europei per convinzione e per cultura, gli avvocati penalisti non soffrono di complessi di inferiorità nei confronti dei modelli processuali vigenti nell’Europa continentale, ancora improntati all’inquisitorio, e vedono con preoccupazione la costruzione di uno spazio di giustizia dominato dalle esigenze di sicurezza. Le tematiche del carcere e della pena sono state discusse partendo dalla intemerata del presidente della Commissione antimafia, senatore Centaro, il quale - buon secondo dopo il suo collega Maritati di cui ci occupammo nel luglio scorso su queste pagine - ha ammonito i giudici di sorveglianza ad applicare la legge sul 41 bis secondo i desiderata della Commissione, dunque in maniera tale da non revocare mai, a nessun detenuto, il regime differenziato.

In caso contrario, ha dichiarato il parlamentare, "sarà necessario modificare la legge ..o comunque intervenire per legge per attribuire la materia a Tribunali del sud". La gravità di tali affermazioni, che minano alle radici il rapporto che deve intercorrere tra il potere legislativo e quello giudiziario, è stata posta in luce da una mozione di censura approvata all’unanimità dal congresso, ciò nel silenzio di tutti coloro, dall’Anm ai vari commentatori, istituzionali e non, che pure sembrano avere uno spasmodico interesse per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura solo quando si parla di riforma dell’ordinamento giudiziario.

Di carcere, peraltro, si è parlato non solo con riguardo al 41 bis ma anche con riferimento alla mancata abolizione dell’ergastolo nel progetto di riforma del codice penale della commissione Nordio. Una occasione persa, anche se non definitivamente, per cancellare quell’agghiacciante "fine pena: mai" che si legge nelle matricole delle carceri italiane per i condannati all’ergastolo. Una sentenza disumana e senza speranze che nega la funzione rieducativa della pena solennemente proclamata dall’articolo 27 della Costituzione.

 

Come gestisce via Arenula i soldi per la rieducazione dei detenuti?, di Francesca Mambro

 

La Cassa delle ammende è un fondo di denaro dove vengono depositati i soldi che provengono dal pagamento delle ammende e delle multe oggetto delle sentenze penali di condanna; confluiscono nella Cassa anche tutti i beni mobili ed immobili confiscati alla criminalità. La legge (Dpr 230 del 30 giugno 2000), stabilisce che le finalità della CdA siano quelle di finanziare progetti di reinserimento lavorativo e sociale dei detenuti nonché di aiuto alle loro famiglie. Ne abbiamo parlato con Jolanda Casigliani del Comitato nazionale dei radicali italiani, collaboratrice del gruppo consiliare radicale in Piemonte.

 

Per quale motivo è oggetto di interesse da parte dei radicali?

Perché nell’ambito della nostra inchiesta sull’applicazione, o meglio - non applicazione - delle leggi in Italia (vedi i dossier sul "Caso Italia" www.Radicali.it), abbiamo verificato che questa, come molte altre leggi nel nostro paese, è rimasta lettera morta. In particolare, attraverso una serie di iniziative tra cui un convegno e numerose interrogazioni parlamentari, è emerso che la Cda a distanza di tre anni dall’emanazione del suddetto decreto, non ha ancora finanziato alcun progetto nonostante disponga di ben 80 milioni di euro, peraltro continuamente implementati; una cifra ragguardevole, tanti soldi, con cui migliaia di persone potrebbero essere concretamente aiutate ad uscire dal circuito dell’illegalità (ricordiamo che l’indice di recidiva in Italia si attesta intorno al 79%), e le famiglie dei detenuti sostenute con aiuti veri.

Questo inammissibile ritardo è stato giustificato, dai responsabili del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), per la mancanza del Regolamento interno che disciplina le modalità di presentazione dei progetti e delle relative attività istruttorie e la cui stesura, a detta del dott. Turrini, direttore del trattamento esterno, presentava notevoli difficoltà di "tipo amministrativo" (non ultima la partecipazione gratuita alle riunioni da parte dei membri del Consiglio di Amministrazione della Cassa: della serie "ma chi me lo fa fare"). Così, dopo mesi di pressing attraverso trasmissioni a Radio Carcere (in onda tutti i martedì alle 21 a Radio Radicale), articoli sui giornali ed un appello firmato da centinaia di operatori penitenziari, il Dap è finalmente giunto all’approvazione di questo Regolamento il 18 febbraio 2004.

 

Non siete ancora soddisfatti?

No, assolutamente e per vari motivi. Diciamo subito che, con quattro anni di tempo potevano produrre un testo più accurato: in otto articoli abbiamo rilevato almeno altrettanti errori ed omissioni gravi. Per entrare nel dettaglio e farci capire, occorrerebbe che il lettore disponesse del testo del Regolamento; possiamo comunque affermare che, oltre a mettere alcune "toppe" alla non impeccabile stesura di alcuni articoli della legge a cui fa riferimento il Regolamento (toppe che non migliorano ma complicano il problema), tutto l’impianto del suddetto crea una evidente disparità di trattamento tra le figure che sono titolate alla richiesta dei finanziamenti: per intenderci fra pubblico e privato.

Infatti, mentre per i progetti presentati dagli enti pubblici (Dap, Cssa…) è previsto un complesso sistema di controlli, per i soggetti privati (Associazioni di volontariato, Fondazioni…) non si prevede alcunché quasi a voler mandare, tra le righe, il messaggio che questi soldi devono rimanere nelle casse dell’amministrazione Penitenziaria che ne farà ciò che vuole in barba alla legge. Forse, come dice il Senatore Andreotti, facciamo peccato a pensare male ma quasi certamente non sbagliamo. Infatti, a dimostrazione di questo nostro "cattivo pensiero", il ministro Castelli già il 4 febbraio scorso, in una dichiarazione all’Ansa, dava per scontato il finanziamento di due progetti riguardanti la telemedicina e l’assistenza psichiatrica (7 milioni di euro complessivi).

La cosa strana è che il regolamento è stato emanato solamente il 26 febbraio 2004 ed è stato inoltrato alle Direzioni del Dap, ai provveditorati regionali e ai direttori delle carceri con lettera circolare del 30 luglio 2004. Come è possibile finanziare progetti ancor prima di rendere pubbliche le istruzioni indispensabili per presentare gli stessi? E come è possibile che il ministro sapesse in anticipo che tali progetti erano stati non solo presentati ma pure finanziati? E poi, le competenze in materia di sanità penitenziaria (in cui rientrano i due progetti finanziati) sono state trasferite dal ministero della Giustizia al ministero della Salute ben cinque anni fa (D.Lgs. 230 del 1999); inoltre, le finalità della Cassa delle Ammende, chiaramente esplicitate sia nella legge che nel regolamento, sono volte al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti nonché al sostegno delle loro famiglie e non alla sanità.

 

Prenderete altre iniziative su questo?

Sicuramente. Avevamo già avvertito il ministro Castelli che avremmo vigilato affinché questi soldi vengano spesi nel rispetto della legge e facciamo appello ai Garanti dei diritti dei detenuti perché si attivino al più presto per ottenere informazioni precise sui due progetti approvati: "La rete che cura" e "Va dove ti porta il cuore" nonché sul bilancio della Cda che da anni chiediamo invano di poter vedere.

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

Bimbi in carcere e handicappati

 

Signor ill.mo Dimitri, sono Torrenti Mario un detenuto che le sta scrivendo dall’infermeria di Rebibbia. N.C. di Roma. Nelle carceri italiane sono detenute madri con 50 bambini rinchiusi nelle sbarre fino a che il bambino non compia 3 anni e ciò credo che sia una cosa disumana; che sarà di queste piccole anime innocenti traumatizzate, che dall’infanzia conoscono il tunnel della giustizia. Penso a loro essendo padre di quattro figli. Posso immaginare un giorno quale choc nel crescere possano vivere questi bambini. Bisogna far sì che lo stato, il governo tenga conto del dramma di queste creature rinchiuse dentro quattro mura, dove non conoscono dall’inizio della loro vita il concetto della libertà.

Vorrei che si prendesse un provvedimento parlamentare quanto prima per far sì che questi bimbi insieme alle loro madri siano accolti in una struttura fuori dal carcere senza sbarre e guardie in divisa. Vorrei che fosse preso un provvedimento parlamentare per fare uscire gli handicappati dal carcere quando vi siano delle barriere architettoniche. Basterebbe, credo, scontare una sola pena, in una casa sorvegliata adeguatamente. Non la pena detentiva aggiunta al supplizio delle barriere architettoniche, anche, qui gli handicappati non sono un numero che stravolgerebbe il sistema.

Si tratta di poche decine di casi. Avere una Vigilanza opportuna creerebbe un grosso scompiglio mandare a casa una cinquantina di handicappati? Io nella fattispecie sono affetto da crisi epilettiche "grande male", sono affetto da una patologia che mi impedisce di mangiare, di ingerire cibi solidi, per cui ho perso più di 40 Kg e mi trovo in una situazione di deperimento che ha implicato anche le mie capacità motorie. Sono padre di quattro figli e credo che questi abbiano bisogno di me, se adeguatamente controllato non credo che la società possa venire a lamentarsi di un handicappato che sconta la sua pena chiuso dentro le mura della propria casa.

Io credo che chi è ammalato, e mi creda oltre a me in questa infermeria c’è chi rischia di chiudere gli occhi e non riaprirli più, possa scontare con una pena alternativa al carcere il proprio conto con la giustizia. Perché scontare due pene? La saluto, volevo con questa mia ringraziare la Mambro che si sta occupando molto del caso dei bambini reclusi.

 

Mario Torrenti, Roma Rebibbia, 10.10.2004

 

Un detenuto che sta diventando cieco

 

Mi chiamo Rosalba, iscritta a Cittadinanzattiva, Tribunale diritti del malato. Vorrei, un aiuto su una questione che è la seguente: A Radiocarcere, programma serio di Riccardo Arena (Radio Radicale), leggono lettere di detenuti; ed è in una di queste la denuncia da mesi di un detenuto di nome Ruggero Gaetano che non viene curato per un problema grave all’occhio e rischia di diventare cieco, dato che in uno dei due occhi già lo è già per una malattia contratta proprio in carcere.

Ho provato a telefonare al direttore del carcere di Poggioreale di Napoli e mi hanno risposto molto male anche cacciandomi giù il telefono. Così ho spedito un telegramma con scritto il seguente testo: Egregio direttore, chiedo un suo intervento urgente affinché il detenuto possa essere curato tempestivamente all’occhio, aspettare significherebbe cecità.

Non è arrivata ovviamente nessuna risposta. Ho spedito altri due telegrammi: uno al magistrato di sorveglianza di Napoli e uno al Dipartimento Amministrativo penitenziario di Roma. In più ho fatto una segnalazione a Cittadinanzattiva - Tribunale diritti del Malato e ho scritto ad alcuni parlamentari ed all’Urp della Regione campana. Dopo chiedo l’invio di lettere, come cittadini attivi, di solidarietà e di richiesta di cure urgenti al Direttore del carcere di Poggioreale per il caso sopraindicato. Scrivete su Gaetano Ruggero al Direttore del carcere di Poggioreale: via Nuova Poggioreale, 2 , 80143 - Napoli

 

Rosalba

 

L’interrogazione parlamentare sulla vicenda di Gaetano Ruggero

 

Camera dei deputati - Seduta del 30.9.2004 - Siniscalchi, Cennamo, Chiaromonte e Duca

Al ministro della Giustizi, per sapere - premesso che:

attraverso la lettura di segnalazioni scritte, nel corso della trasmissione Radiocarcere, si appreso che un detenuto di nome Gaetano, attualmente. Ristretto nel carcere Poggioreale a Napoli, sarebbe impossibilitato a curarsi. Nonostante risulti affetto da gravi patologie.

La segnalazione della intera vicenda legata alla sfortunata insorgenza delle patologie ed alle difficoltà di cura negli istituti di reclusione, appare particolarmente emblematica nella sua gravità e meritevole di adeguato ed opportuno approfondimento nell’interesse del cittadino detenuto e nel rispetto del pieno diritto alla salute che deve sempre prevalere anteponendosi ad ogni eventuale difficoltà logistica e strutturale; il detenuto avrebbe contratto nel corso della detenzione, all’interno di altro istituto di reclusione - ove si trovava ristretto in precedenza - una malattia ad un occhio che gli avrebbe compromesso, pressoché completamente, la funzione visiva; sfortunatamente anche l’altro occhio sarebbe stato successivamente investito da una grave patologia tale da richiedere complesse ed immediate terapie; il detenuto, trasferito nel carcere di Poggioreale, avrebbe dovuto curare la patologia per impedire un peggioramento ed una irreversibile degenerazione; all’interno della struttura, probabilmente anche a causa della inadeguatezza strutturale del padiglione nel quale il detenuto è stato destinato, lo stesso non sarebbe adeguatamente assistito nella cura della grave patologia;

la patologia necessiterebbe di un tempestivo intervento e di una immediata terapia medica per non degenerare e determinare la completa perdita della vista; risulta all’interrogante che a seguito della preoccupante segnalazione, diffusa via etere, una cittadina di Bologna, iscritta a "Cittadinanza attiva - Tribunale diritti del Malato" avrebbe tentato di segnalare l’urgenza del caso al direttore della struttura carceraria, anche attraverso l’invio di un telegramma; l’estrema gravità della segnalazione impone la verifica immediata della denunciata impossibilità per il cittadino detenuto di ricevere le necessarie cure alle quali ha diritto;

se il Ministro interrogato possa tempestivamente accertare i fatti ed, eventualmente, adottare gli opportuni provvedimenti per scongiurare il verificarsi di una situazione di grave ed imbarazzante disfunzione all’interno di una struttura che dovrebbe, comunque, garantire la tutela della salute di tutti i cittadini reclusi.

 

 

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