Giornalismo dal carcere

 

Innocenti evasioni

Giornale dell’Istituto Penale per Minori di Treviso

Numero 4 – gennaio 2005

 

Lettera ad un amico 

Il mio amico albanese 

La mia storia 

Affettività dietro le sbarre 

Il dolore dentro 

Carcere:la prima impressione

Il grande amore

Amare in cela 

Una biografia

LETTERA AD UN AMICO

Ciao S., come stai a Potenza?
Mi spiace che sei rimasto solo, ti dico una parola per me sei stato un fratello più che un amico, non posso dimenticarlo. Tu ti ricordi quando sei arrivato a potenza e mi hai detto una parola io ti risposi si?
Dopo 2 giorni ci hanno messo assieme abbiamo parlato di tutti i nostri problemi i nostri ricordi, tu mi hai detto “la gente ti vuole bene solo quando lavori e hai soldi, quando non li hai non ti mandano neanche una lettera” .
Ti ricordi quando eravamo assieme mi raccontavi della tua famiglia perché sei andato via dalla Romania? Sergio ti ricordo quanto abbiamo sofferto insieme.Tu mi chiedesti che quando sarei uscito ti avrei mandato una lettera per farti sapere se avevo trovato un lavoro e comunque per dirti che non ti avevo dimenticato.

Tu come stai? Ti hanno mandato in una comunità come dicevano gli educatori? Quando uscirai tu per favore fai una telefonata alla mia famiglia per avere notizie e digli di me .Spero che possiamo tutti e due fuori trovare un posto di lavoro e ritrovarci, stare in galera ci distrugge la vita e nessuno della nostra famiglia e amici sanno dove siamo, tutti i giorni gli diciamo bugie perché non vogliamo fargli sapere che siamo qui.
R.D.

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IL MIO AMICO ALBANESE

Questa è la mia storia di amicizia con un ragazzo albanese si chiamava D. che ho incontrato in comunità a Copenaghen.
Aveva 18 anni mentre io ne avevo 15, ero appena arrivato e non conoscevo nessuno , lui è stato il mio primo amico, perché parlava un po' italiano e potevo capirlo.
Con me era gentile, buono , io gli davo le sigarette lui mi aiutava a capire cosa succedeva: ad esempio quando un mio amico è stato chiamato dalla polizia per l'interrogatorio , l'ho chiamato e gli ho chiesto cosa stava succedendo perché ormai era trascorso molto tempo, e lui è andato da un educatore turco che gli ha spiegato cosa stava succedendo e poi mi ha raccontato e tranquillizzato.
Lui scappava sempre per andare dalla ragazza, lo vedevo poche volte, 
gli piaceva ascoltare musica rock, si lamentava perché era da un anno li ed ancora non aveva i documenti. Gli educatori gli dicevano di non tornare in comunità perché la polizia lo avrebbe preso e rimandato in Albania, gli volevano bene e cercavano di consigliarlo in maniera giusta. Ma lui un giorno tornò e la responsabile della comunità che lo aveva visto chiamò la polizia che lo porto via 
A me piaceva stare con lui perché mi aiutava a capire tutto quello che succedeva in comunità cosa dovevo fare e come comportarmi. Mi sentivo protetto stavo molto meglio con lui che non all'inizio quando sono entrato in comunità che facevo il pazzo perché ero pieno di problemi.
è stato molto triste quando la polizia è venuto a prenderselo per portarlo in Albania, lui piangeva perché si trovava bene li, aveva la ragazza, gli amici, era piu di un anno che si trovava in comunità.
Mi ricordo che piangeva e non voleva andare via, diceva che stava male in Albania e non ci voleva tornare, piangeva tanto, io l'ho abbracciato e baciato perché dispiaceva anche a me, era l'ultima volta che l'ho visto.
Mi piacerebbe tanto rincontrarlo.

B.C.

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LA MIA STORIA

Mi chiamo Mohamed vengo dal Marocco ho 17 anni ,vivo in Italia da 5 anni. Per arrivare in Italia, ho preso la nave per arrivare fino in Spagna poi ho preso la corriera per arrivare a Genova e ci sono rimasto per un mese era il mese del ramadan,a Genova mi sono trovato bene poi la mia vita è continuata a Verona vivevo con degli amici marocchini.
Sono venuto in Italia per vedere come era, ma era diversa. Per uno sbaglio sono finito qua.
Ho trovato gente buona e gente razzista tipo che mi guardavano male.
Ho avuto anche amici che mi trattavano come un italiano uno di loro.

J.M.

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AFFETTIVITA’ DIETRO LE SBARRE

In carcere non si trova l'affetto, se per affetto si intende vivere un rapporto intenso come quello che uno prova per un caro amico/a, oppure per la propria ragazza o, ancora, per la propria famiglia. In carcere si è costretti (da un'Autorità Giudiziaria) a stare, non è una scelta… e quindi i legami che nascono sono condizionati dalla detenzione, fino a che punto non sempre si riesce a stabilirlo…. Credo che una volta terminata l'esperienza detentiva riprenderò alcuni rapporti…ma solo quando sarò libero, sarò libero di scegliere con quale delle persone conosciute vorrò continuare ad avere rapporti…

Come si vive l'affettività in carcere????
Ogni giorno penso alla mia famiglia, soprattutto a mia madre, penso: “stanno bene o male? cosa staranno facendo?…”. La legge mi permette di poterli vedere solamente 6 volte al mese ed, eventualmente sentirli telefonicamente (anche se io, per alcuni motivi legati alla normativa, non posso contattarli) a cadenza settimanale. Posso scrivere e ricevere lettere…… Tutto questo non basta. Non basta né per me e né per altri ragazzi. Credo che per gli adolescenti che vivono questa particolare esperienza (per chi possibile) sarebbe importantissimo poter contare su un sostegno maggiore da parte della propria famiglia , aiuterebbe a superare meglio la detenzione.
In questo periodo la mia fidanzata mi ha lasciato senza spiegare i motivi. Non potendo parlare con lei, ho sofferto da solo, non ho chiesto l'aiuto di nessuno perché nessuno ti può aiutare in alcuni momenti.
Il carcere non ti permette di comunicare con le persone nei momenti in cui senti che questo è importante…. Non l'ho potuta incontrare, nonostante gli oltre 2 anni che siamo stati insieme. Non è consentito, la legge permette di vedere solo genitori e conviventi, ma gli altri affetti??? Gli amici???
Credo che con la mia ragazza parlerò una volta uscito di qua perché non credo sia possibile risolvere il rapporto attraverso comunicazioni epistolari……

M.P.

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IL DOLORE DENTRO

Sto troppo male qui dentro, troppo nervoso e cosi mi faccio dei tagli sul braccio.Il dolore fisico nasconde per un po' il dolore della mia anima.

Uso qualsiasi cosa, lo faccio sempre di nascosto e quando gli assistenti mi scoprono
mi aiutano con le parole, con le medicazioni.

Gli educatori mi consolano ma il dolore dell'anima
resta dentro di me sempre forte.

Durante il giorno mi distraggo con i miei compagni
nelle diverse attività, ma quando arriva la sera e resto solo con i miei pensieri, i miei ricordi e la mia solitudine, allora il dolore diventa cosi forte che
devo fare qualcosa per non sentirlo

K.L

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UN GRANDE AMORE

Il mio grande amore si chiama Aurora ha 3 anni ed è mia figlia che chiamo patatina di papà, anche se ho 17 anni io mi sento proprio un papà vero. L'ho vista nascere e quando è uscita ho pianto tantissimo, ero tanto emozionato. Dopo a casa la portavo a dormire con me e le prime notti stavo sveglio tutta la notte a guardarla, baciarle le manine i piedini le orecchiette. Dopo un paio di mesi sono dovuto andare in comunità e potevo vederla e coccolarla una volta ogni 2 settimane. Adesso sono qui in istituto (IPM) e non la voglio vedere perché sto male quando se ne deve andare e io rimango qui. So che sta bene con la sua nonna (mia madre) ma non è lo stessa cosa di averla vicino a me.
Quando dopo un anno lei ha incominciato a chiamarmi papà mi sono emozionato tantissimo la portavo sempre con me, eravamo inseparabili. Mi ricordo che quando sono venuti a prendermi (gli agenti) e mi hanno messo le manette lei non voleva che me ne andassi e voleva venire con me, mi hanno portato via tra le lacrime e sofferenza del distacco…un brutto ricordo.

A.

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AMARE TRA LE SBARRE

1)“è difficile mantenere l'amore con una ragazza qui in istituto, se dovessi passare tanti anni è meglio che la lasci subito”
2)“no, no io non lascerei la supplicherei di non lasciarmi finché non sia proprio lei a decidere, qui dentro sono loro che comandano, noi possiamo fare poco”
3)“credimi meglio lasciarla che uscire cornuto”
1)“io l'ho lasciata e adesso rileggo le lettere, rivedo le foto mi ritorna in mente, il tempo me la farà dimenticare, ma adesso soffro tantissimo, l'amore quello vero fa soffrire…penso solo a lei”
2)”Ma se l'amore è vero la lontananza non fa paura”
1)”ma scusa per te l'amore cos'è? Per me significa starle vicino, non farla sentire sola, aiutarla se ha problemi, io voglio stare con la mia ragazza a casa fuori, ho troppo paura di essere tradito e che mi prenda in giro, qui in galera non hai contatti come fuori, ti devi accontentare e sperare….no no….cosi non funziona”
3)“ci sono troppe tentazioni fuori, dentro di me non faccio altro che pensare a lei fuori che può tradirmi”
1) “pero' capirei se lei mi tradisse, se avessi una pena lunga lo capirei”
4) “quando esco vado dalla mia ragazza, vado in Romania e poi in Inghilterra”
1) “l'amore vero fa soffrire, pensi solo a lei “
4) “avevo 13 anni ,lei 14 siamo cresciuti assieme, l'odiavo da morire, non potevo sopportarla, facevamo sempre baruffa, poi crescendo siamo cambiati, stavamo sempre assieme e già incominciavamo ad innamorarci poi un giorno in treno lei mi ha baciato….ci sposiamo presto e mi piacerebbe avere 5/6 bambini”
1) “ si ma tu esci fra un mese”
4) “ si si”
4) “ a ecco!”
M.P. B.A.V.N.

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CARCERE:LA PRIMA IMPRESSIONE

Il posto era brutto e triste, mi hanno messo in cella subito con altri rumeni, e questo è stato un bene cosi è stato più facile abituarmi e cosi avevo meno paura.
Poi è venuto il mediatore culturale che mi ha spiegato come funzionava e mi ha dato una tabella con le regole e poi gli educatori mi hanno dato le attivtà cosi passo il tempo meglio.

N.S. 

Subito ho pensato alla mia famiglia lontana che non poteva sapere dove ero e cosa mi stava succedendo.
Le prime notti non riuscivo a dormire e le sbarre mi facevano impressione e se riuscivo a dormire quando mi svegliavo mi sembrava di stare in un posto diverso, ma invece era la cella.. 

J.M. 

La prima volta ero triste,il posto era brutto le sbarre mi hanno fatto subito impressione, ero confuso e non sapevo cosa mi stava capitando, e poi mi hanno messo
in cella con altri Rom e allora e andata maglio , ma comunque non riesco mai a dormire tutta la notte, mi sveglio sempre e non riesco a prendere sonno.
D.A

 

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UNA BIOGRAFIA

Mi chiamo C. Sono un ragazzo rumeno di 17 anni.
Per 4 mesi sono stato a Milano e ho vissuto soprattutto in città, poi sono andato a Roma, Assisi, Ventimiglia, Verona, Bologna, Ferrara e Parma. Poi ho deciso di cambiare Paese e sono andato in Francia dove sono rimasto un mese e mezzo e poi ho deciso di andare in Danimarca perché avevo degli amici che mi aspettavano.
Uno di questi miei amici era stato fermato dalla polizia e come minorenne senza documenti era stato portato in comunità. Lui aveva parlato di me alla polizia e visto che sopravvivere in città era molto dura loro gli hanno detto di venire a prendermi.
Così gli hanno pagato i biglietti del treno e dopo due giorni mi è venuto a prendere e mi ha portato con lui in questa comunità in Danimarca.
I minorenni senza documenti possono chiedere asilo politico e quindi in attesa dei documenti vengono collocati in una comunità che si trova a 45 minuti di treno da Copenaghen.
Il posto era molto bello perché si trovava in mezzo ai boschi ed ho imparato l'inglese che era la lingua usata da noi ragazzi stranieri per comunicare.
I ragazzi ospiti venivano da tutto il mondo: Afghanistan, Iraq, Iran, Somalia, Vietnam e Mongolia. Era la prima volta che incontravo persone cosi diverse e all'inizio è stata molto dura perché non sapevo parlare l'inglese e neanche il danese.
C'era solo un ragazzo albanese che parlava un poco di italiano, ma con gli altri non potevo parlare fino a quando ho imparato a parlare inglese e cosi ho iniziato a fare amicizia con tutti.
La sveglia era alle 8.00 di mattina, andavo a fare la doccia, poi facevo un po' di colazione e andavo a scuola (attività obbligatoria) fino alle 10.30, poi c'era la ricreazione e tornavo a scuola fino alle 12.30.
Si pranzava e poi si tornava a scuola fino alle 14.00; dalle 14.00 alle 18.00 facevo quello che volevo, dopo le 18.00 andavo a computer un'oretta e mezza e poi andavo alla sala giochi a giocare a biliardo con il mio amico. Andavamo a mangiare e dopo come tutti andavamo a vedere qualche film. Poi si andava a dormire e così si passava la giornata.
Ogni venerdì c'era la discoteca così i ragazzi non andavano a Copenaghen con il rischio che restassero fuori tutta la notte: la regola era che nessuno poteva restare fuori perché altrimenti telefonavano alla polizia.
Quando qualcuno faceva il compleanno si faceva una bella festa: venivano i ragazzi dalle altre comunità, si ballava, si mangiava e quando un ragazzo riusciva a prendere i documenti si festeggiava tutti assieme con una grande festa. Durante i colloqui con i miei educatori avevo la possibilità tramite il telefono di essere collegato direttamente con l'interprete che da casa traduceva simultaneamente.
Avevo 2 educatori: una iraniana e uno svedese; io parlavo di più con quello svedese, con lui facevo tante cose, cucinavamo assieme pollo con patate e io poi facevo l'insalata per tutti, andavo a fare la spesa con lui e lo aiutavo a sistemarla.
C'erano tante cose che potevamo comperare e quindi consumare tutti i giorni, mangiavamo tutti insieme. La domenica con il mio amico ci facevamo da mangiare per conto nostro a turno, una domenica io e una domenica lui.
Il mio educatore preferito, quello svedese, mi diceva sempre “se ti serve qualcosa dimmelo che ti chiamo il traduttore e parliamo di tutto quello che vuoi tu”; sentivo che mi voleva bene. Quando mi svegliava per andare a scuola mi dava la sigaretta e poi se ne andava perché sapeva che mi svegliavo solo con la sigaretta.
A scuola studiavo il danese e l'inglese, la matematica, la musica. Lavoravo anche in falegnameria, facevo mobiletti grezzi.

Quando uscivo andavo a Copenaghen dove c'era un bellissimo parco vicino alla stazione che si chiamava Tivoli aperto ai cittadini d'estate e fino a capodanno.
Si facevano spettacoli, c'era una giostra che andava sopra e sotto l'acqua e c'era un padiglione con babbo natale e le renne, tutto meccanico. C'erano tanti giochi divertenti da fare come quelli dei luna park dove si potevano vincere premi.
C'erano tanti negozi che vendevano addobbi di natale e negozi di prodotti tipici. In una piazza si poteva comperare fumo e tutta la droga leggera. C'era anche una pista di skate board: andavo li a divertirmi, poi tornavo alla comunità.
Ho conosciuto una ragazza russa e una slovacca, una rumena, una afgana. Avevo due amiche intime una russa e l'altra armena che era orfana di padre. Prima di venire in comunità viveva con la madre in Norvegia. Mi raccontava tutto e mi chiedeva consigli sui vestiti, per me era come una sorella e anche con la ragazza russa avevo un rapporto fraterno perché parlavamo di tutto e passavo tanto tempo con loro.
Quando tornava dalla città mi raccontava tutto quello che aveva fatto; potevo contare su di lei e lei poteva contare su di me. Siamo stati insieme un anno, erano le mie preferite; sono rimasto in contatto con tutte e due, ci siamo telefonati e mi mancano tanto perché erano parte della mia famiglia. Mi piacerebbe che fossero qui per parlare dei nostri ricordi, dei nostri amici rimasti.
Ricordo anche il mio amico albanese, di quando la polizia è venuta a prenderlo per riportarlo in Albania perché non aveva ottenuto asilo politico; è stato molto brutto vederlo con le manette mentre piangeva perché non voleva andare via; io ero molto commosso e triste per lui.
Dopo un colloquio con la polizia me ne sono andato perché non mi hanno dato i documenti ed era inutile stare lì.
Lì ho imparato a diventare più tranquillo: gli educatori e tutto il personale mi parlavano tanto, si fidavano di me; mi portavano a pattinare sul ghiaccio ed io ero diventato la loro ombra. Mi sentivo molto coccolato e protetto.
Non si usava mai la violenza e quando c'era un problema grosso (p.es. I ragazzi minacciavano gli educatori con armi bianche) veniva chiamata la polizia a risolverlo. 
è stata un'esperienza che porterò sempre con me perché stare lì mi è piaciuto molto.
è tutto un altro mondo: più tranquillità, più igiene e ordine. I ragazzi non erano diffidenti come in Italia. Tutti stavano con tutti, senza pregiudizi e la convivenza era pacifica. Il rispetto non veniva imposto ma era naturale. Io rispettavo molto un ragazzo slavo perché lui era più grande di me e non perché mi costringeva a farlo.

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