La situazione nelle sezioni del 41 bis

 

Un mondo oscuro di violenze e di diritti negati

La situazione nelle sezioni del 41 bis

 

Diritto & Libertà, n° 7 2003

 

Il giro nelle sezioni delle carceri dove sono detenuti i sottoposti al regime del 41 bis, compiuto da Maurizio Turco e Sergio D’Elia, nell’estate del 2002, è iniziato il 14 giugno e si è concluso il 27 luglio. Ne ripartiamo, qui di seguito, una breve cronaca.

 

Il giro cella a cella

 

Nonostante le ripetute richieste, la mappa delle carceri non era stata fornita, "per motivi di sicurezza", né dal Ministero della Giustizia né dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (DAP); essa è stata ricostruita via via grazie alle informazioni fomite dagli stessi detenuti o dagli operatori penitenziari incontrati nel corso delle visite.

La durata della visita è stata mediamente di quattro ore a carcere; in quello di Parma è stata di circa nove ore per la gravità della situazione riscontrata. La visita a ogni detenuto, preceduta ogni volta da un colloquio con i responsabili del carcere e da un giro nei passeggi dell’aria, nelle sale dei colloqui e nelle salette della socialità, ha portato via mediamente dieci minuti.

Eccetto in due o tre casi, tutti i 645 detenuti visitati hanno chiesto di parlare con noi. Con una decina di loro non abbiamo potuto parlare perché, al momento della visita, erano impegnati in videoconferenza o perché erano a letto, ammalati (in alcuni casi in stato vegetativo).

Le sezioni del 41 bis sono gestite dai GOM (Gruppo Operativo Mobile), reparti speciali, dei quali abbiamo potuto verificare la professionalità e, in linea di massima, l’uniformazione alle regole dettate centralmente. Laddove la gestione non è affidata ai GOM, come nel carcere di Parma, la situazione è più grave, dal punto di vista del trattamento riservato ai detenuti in 41 bis, come se i custodi "normali" di detenuti così "speciali" volessero dimostrare che anch’essi sanno gestire il "carcere duro"; per dimostrare ciò essi adottano qualche restrizione supplementare.

 

L’Area Riservata... riservata a chi?

Le 13 sezioni del 41 bis sono quasi sempre in una palazzina separata dal resto del carcere e sei di queste hanno una cosiddetta Area Riservata per i detenuti "eccellenti", del rango di Totò Riina, Leoluca Bagarella, Nitto Santapaola e pochi altri (17 in tutto). Di solito esse si trovano al piano terra della sezione, quella meno areata e illuminata del carcere; con il bagno nella stanza, che spesso si riduce ad un servizio igienico "alla turca" o, nel migliore dei casi, ad un water posto dietro un muretto. Il "passeggio" di questi detenuti più "speciali" degli altri è una possibilità spesso non sfruttata perché, "andare all’aria", per loro vuol dire andare in una sorta di gabbia di cemento armato di due, tre metri per cinque e alta tre metri, chiusa in cima da una pesante rete a maglie molto strette.

I detenuti dell’Area Riservata sono totalmente isolati dagli altri detenuti in 41 bis; in quest’area sono finiti anche detenuti dallo scarso rilievo criminale, i quali dopo una lunga e accurata selezione sono stati designati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per adempiere alla funzione di fare compagnia ai "capi di Cosa Nostra" dal momento che, da un paio d’anni a questa parte, i giudici hanno riconosciuto a questi ultimi il diritto all’aria in comune e alla socialità. È quanto è accaduto a Salvatore Savarese, un condannato per associazione a delinquere di stampo camorristico, entrato in carcere nell’82 e uscito nel ‘96, poi rientrato nel ‘99 per una condanna a tre anni; quando noi lo abbiamo incontrato egli aveva solo un ultimo mese da scontare.

Proveniva dal carcere di Trani, dove non era in 41 bis, era stato sottoposto al regime del carcere duro di Ascoli nell’aprile del 2001.

 

Le sezioni "normali" del 41 bis

 

Le sezioni "normali" del 41 bis hanno un bagno separato ricavato in un angolo. In alcune sezioni, come quelle di Cuneo, de L’Aquila e di Viterbo, alle finestre delle celle vi sono tre sbarramenti: il primo, realizzato con vere e proprie sbarre; il secondo, attraverso una rete piuttosto fitta; il terzo attraverso una rete di fasce di ferro leggermente inclinata verso l’esterno perché possa entrare nella cella un po’ di aria e di luce (chiamata in gergo penitenziario "gelosia") o con vetro antiscasso.

Per i detenuti, reclusi in queste celle, vi è stato un notevole abbassamento della vista. Quella che abbiamo appena descritto è solo una delle tante limitazioni sofferte nelle sezioni del 41 bis, che i detenuti di Viterbo, rivolgendosi al capo dello Stato, in una lettera del 5 agosto scorso, hanno definito "sofferenze inutili e non ragionevoli, inflitte per mero sadismo, tanto da far maturare nel popolo dei reclusi la certezza che le stesse abbiano il solo scopo di annullare del tutto persino la loro coscienza e volontà".

I detenuti di queste sezioni escono prendere l’aria, due ore al giorno, in gruppi di sei o sette; allo stesso modo si compie il tempo della socializzazione, in una saletta di solito ricavata da due celle di cui è stato rimosso il muro divisorio; essi possono scegliere di recarsi in uno spazio adibito a palestra dotato, a volte, di una cyclette, di un vogato re e di una panca per la ginnastica con i pesi. I passeggi per l’ora d’aria variano da carcere a carcere. Si va da quelli, davvero ridotti, di Viterbo fino a quelli, delle dimensioni di un campo di calcetto, come a Spoleto.

In queste sezioni, ci sono anche detenuti che non hanno lo spessore criminale di capi mafiosi. Un terzo di essi è in attesa di un giudizio definitivo, e molti di coloro che sono stati condannati in via definitiva hanno già scontato la pena per il reato "ostativo" alla concessione dei benefici penitenziari, che ha motivato l’applicazione del 41 bis.

Prima di parlare di proroghe e di stabilizzazione, bisognerebbe effettuare uno screening serio dei 645 detenuti in 41 bis, per verificare a chi (e come) è stato applicato il "carcere duro". È esemplare, a tale riguardo, il caso di Giuseppe Chierchia di 36 anni, di Torre Annunziata in provincia di Napoli, entrato in carcere nel giugno del ‘99 per scontare la pena, a lui comminata per un reato del ‘90 passato in giudicato (per associazione finalizzata allo spaccio e ad altro), che finirà di scontare tra pochi mesi. È stato assolto il 29 novembre del 2001 dalla Corte di Assise di Napoli per i reati di associazione di tipo mafioso e per omicidi per i quali, semmai, sarebbe stato giustificato il 41 bis. Recentemente egli è stato, inspiegabilmente, sottoposto al 41 bis.

Il detenuto descrive il suo caso in una lettera inviata a Radicali Italiani a cui allega una copia delle sentenze con una sintesi della sua posizione giuridica:"Credo di essere l’unico in tutta Italia a stare in 41 bis con reati per i quali dovrei stare in un circuito normale. Per l’unico reato che sto scontando (art. 74 e altro, ndr), nel periodo in cui ero in attesa di giudizio, ho avuto gli arresti domiciliari e poi la libertà provvisoria; ora non capisco per quale motivo, devo scontare in 41 bis la mia condanna definitiva. Quando sono andato a discutere il 41 bis davanti al Tribunale di Sorveglianza di Perugia il 31 gennaio del 2002, e il mio legale ha presentato ad esso la sentenza di assoluzione per i reati che lo avrebbero giustificato, il tribunale non ha voluto tenerne conto. Così sto ingiustamente al 41 bis, privato del calore dei miei cari e soprattutto dei miei figli in tenera età. Non sono un mafioso né un camorrista; ho solo fatto un errore dodici anni fa, e lo sto pagando caramente."

 

Il vetro dello scandalo

 

I colloqui, uno al mese, si svolgono in un locale di solito molto piccolo, una sorta d’acquario col vetro divisorio fino al soffitto, con una telecamera e con un citofono attraverso il quale ha luogo la comunicazione tra detenuti e parenti. Le sale adibite ai colloqui sono di varie dimensioni; vi sono quelle più grandi come a Tolmezzo e quelle più piccole come a Viterbo ed a L’Aquila, che sono delle dimensioni di due "cabine telefoniche" di 1 metro quadrato; di esse, una è destinata al detenuto e l’altra ai familiari che sono costretti ad entrarvi uno alla volta, servendosi del citofono per comunicare.

Poi vi sono quelle senza vetro divisorio, che servono per i dieci minuti di colloquio con i figli minori di 12 anni: esse non hanno appunto il vetro, ma un bancone che consente il contatto fisico; questi colloqui e questi contatti sono sottoposti a videoregistrazione, attraverso una telecamera opportunamente predisposta. In queste sale si verificano di solito le scene più penose: bambini in tenera età che, staccati dalla madre che non può accompagnarli, piangono, urlano e scappano dal padre che non hanno mai visto o che non riconoscono più. Sono frequenti i casi di figli minori di detenuti in 41 bis, che ricorrono a trattamenti psicoterapeutici.

Il vetro divisorio è il problema su cui tutti i detenuti si sono soffermati: "La nostra protesta civile è per poter abbracciare i nostri figli. Il vetro divisorio è una tortura psicologica; ci sono mezzi alternativi come le telecamere, i microfoni etc.. Se lo mantengono, è solo per farci pentire; ma il pentimento coercitivo non è genuino" hanno dichiarato molti detenuti. Pur di avere un minimo contatto coi propri cari, un detenuto è arrivato a proporre:"Potrebbero farci mettere le mani attraverso due buchi praticati nel vetro come avviene in certi laboratori per i ricercatori che devono trattare sostanze pericolose". E, a proposito di pericolosità, vi è da dire che, nei decreti ministeriali di assegnazione al 41 bis, i familiari in visita ai detenuti sono visti come la fonte principale di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Sui colloqui con o senza vetro è illuminante un episodio riportato nella Relazione del Procuratore Generale della Corte d’Appello di Caltanisetta, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2000 (15 gennaio 2000). Nella relazione, tra le operazioni di polizia giudiziaria che hanno avuto successo, viene menzionata quella di cui, qui di seguito, viene riferita la cronaca: "In data 21 gennaio 1999 la Squadra Mobile eseguiva un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Paolello Antonio e Tascone Leonardo in ordine ai delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso e tentata evasione. Il provvedimento scaturiva dall’esito di mirate indagini che, sulla base della videoregistrazione dei colloqui in carcere tra il detenuto Paolello e il nipote Tascone, nonché di intercettazioni ambientali, avevano portato ad accertare un piano di fuga del primo da eseguire con l’impiego delle armi anche a costo di commettere una strage durante una delle tante sue traduzioni per partecipare a udienze processuali". Dalla notizia si evince che i colloqui coi familiari possono essere video-registrati e costituire fonte di informazione utile per attività investigative e per prevenire reati. Con buona pace del vetro divisorio!

 

Altre limitazioni

 

Oltre alle limitazioni scritte nel decreto del ministro e che valgono per tutti i detenuti in 41 bis, c’ è poi il valore aggiunto limitante che è a discrezione del singolo direttore del carcere.

Ad esempio, la lista della spesa consentita varia da sezione a sezione. A Spoleto, sono pericolosi i fagioli; a Parma, le uova; a Terni, i sigari (anche se fumati nell’ora d’aria). In alcune carceri è consentito il walkman per studiare l’inglese; in altre, non è consentito. In molte carceri i libri non fanno parte del carico di dieci chili previsto per i pacchi mensili forniti dalle famiglie; in altre carceri, come ad Ascoli, il peso dei libri rientra in quel computo; a Novara e a Cuneo, a discrezione del Tribunale di Sorveglianza, viene concesso di ricevere dai familiari finanche quattro pacchi al mese. A L’Aquila è consentito indossare una giacca imbottita e trapuntata durante l’inverno: di tale privilegio non godono invece i detenuti di Viterbo e di Novara. A Parma addirittura sono consentiti perfino quattro colloqui al mese.

Nelle sezioni del 41 bis, i detenuti non possono frequentare corsi scolastici; si può studiare solo per proprio conto e l’unico intermediario con i professori è un educatore, che però si fa vedere raramente. Ciononostante, non sono rari i casi di detenuti che si sono diplomati in 41 bis o hanno conseguito una laurea o la stanno conseguendo.

 

La salute in 41 bis

 

La cura della salute di questi detenuti è un optional ed è affidata al buon cuore di operatori penitenziari, spesso gli stessi agenti, piuttosto che alla presenza di un presidio sanitario efficace. Non sono rari i casi di detenuti infartuati, colpiti da ictus, operati di cancro, paralizzati o costretti sulla sedia a rotelle che non hanno il "piantone" in cella o che non hanno avuto nemmeno pochi giorni dopo l’operazione.

Leonardo Vitale, di 47 anni (anche se ne dimostra 70), operato per un tumore al cervello il 31 luglio del 1999 all’Ospedale S. Camillo di Roma, è stato dimesso il 7 agosto e dopo sette giorni è stato messo in una cella dell’Area Riservata della sezione 41 bis del carcere di Viterbo, dove si trova tuttora da solo, tra grandi difficoltà e con un servizio igienico "alla turca", e dunque inadeguato. Antonino Geraci, di 85 anni, è passato dagli 86 chili di peso che aveva nel ‘92, quando è entrato in carcere in regime di 41 bis, ai 57 di adesso. Egli si trova nel cosiddetto centro clinico della sezione 41 bis di Secondigliano; è quasi cieco; è sempre a letto o sulla sedia a rotelle; non fa l’ora d’aria da più di un anno, e non ha il piantone. Lo aiuta un compagno di cella, Francesco Loiacono, che del piantone avrebbe bisogno egli stesso, per via dei suoi tre infarti e del cuore, necrotico per il 65%, e che invece è costretto a imboccare l’altro per consentirgli di alimentarsi e ad accompagnarlo in bagno.

Va inoltre denunciata la situazione nel Centro Diagnostico Terapeutico del Carcere di Parma entro il quale vi sono anche quattro detenuti in 41 bis, ai quali viene tenuta chiusa, per tutto il giorno, la porta blindata della cella, che viene aperta al sopraggiungere della notte per evitare che abbiano contatti con gli altri detenuti. Uno di questi è Marcello Gambuzza, in carcere da cinque anni; egli è sempre stato nel "circuito normale", ma da un mese è in 41 bis. Essendo entrato in carcere già infermo e sulla sedia a rotelle per un colpo d’arma da fuoco, che lo ha colpito al midollo spinale paralizzandolo dalla quarta vertebra in giù, è costretto a stare a letto; non ha un piantone ed è visitato dal medico solo quando lo richiede. La biancheria non gli viene cambiata.

Egli ha un catetere che gli consente di orinare; deve inoltre farsi aiutare da una guardia a sedersi sulla sedia a rotelle per recarsi nel bagno e, poiché la sedia non vi entra, è costretto a riversare l’urina nel bidè. Lo stesso accade per un altro detenuto, Giovanni Alfano, anch’egli costretto sulla sedia a rotelle a seguito di un’ischemia cerebrale. Egli è entrato in carcere, cinque anni fa, con un peso corporeo di 105 chili e attualmente, a causa di un’anoressia ipocondriaca, pesa solo cinquanta chili; è da tre anni e mezzo in 41 bis, nel cosiddetto centro clinico di Parma.

Luigi Giuliano è detenuto a L’Aquila dopo essere stato in isolamento per tre anni a Parma; erano trascorsi 20 giorni dal momento in cui si era costituito (anche se nei fascicoli risulta arrestato dalle forze dell’ordine), quando venne assegnato al 41 bis. Nel ‘98, per motivi di salute, il Ministero gli ha attenuato il regime duro e, il 12 giugno del 2002, gli ha revocato anche il regime attenuato. Tra le varie patologie di cui soffre vi è anche quella dovuta ad una grave disfunzione del fegato per la quale è necessario un trapianto; ma egli non è seguito da alcun medico.

 

Le donne in 41 bis

 

Le donne in 41 bis sono tre: tutte detenute nel carcere di Rebibbia. Una di esse, Maria Buompastore, di Montescaglioso in provincia Matera, è in carcere da quattro anni ed è in 41 bis dal 31 gennaio del 2001. Essa è stata condannata in primo grado insieme a suo marito, anch’egli in 41 bis, a 22 anni di carcere, ha tre bambini, di cui uno malato di leucemia. Un’altra è Erminia Giuliano, di Napoli, arrestata nel dicembre del 2000, la quale è in 41 bis dal maggio del 2002 ed è ancora in custodia cautelare. Non ha nessun precedente penale, ed è in attesa del primo grado di giudizio; in due anni non vi è stata ancora alcuna udienza processuale, mentre per sei volte è cambiato il collegio giudicante. La terza e ultima donna in 41 bis è Teresa De Luca, di Napoli, condannata in appello ad otto anni di reclusione per traffico di droga (tale pena è divenuta successivamente definitiva) è stata arrestata nel dicembre del 2000 per associazione camorristica e sottoposta al 41 bis nel gennaio del 2001.

"Mi hanno arrestato per far pentire mio figlio (Antonio Bossa De Luca, anche egli in 41 bis a Parma, in condizioni gravi di salute, ndr)" ha dichiarato. Ha altri quattro figli, tra cui uno che è diventato balbuziente da quando l’ha vista in carcere, la prima volta che vi era finita, nel ‘98.

 

La gabbia procedurale

 

Oltre che della cella del 41 bis, i detenuti sono prigionieri anche di una sorta di "gabbia procedurale", dalla quale non riescono ad uscire, se non per mezzo del pentimento. Infatti la proroga semestrale dei decreti, spesso sempre gli stessi e basati sulle note informative degli organi di polizia, non consente loro di ricorrere in Cassazione perché i tribunali di Sorveglianza rispondono ai loro reclami quando ormai il decreto è stato "rinnovato" e per la Suprema Corte viene meno l’interesse a prendere in esame il loro ricorso. E dunque, si contano sulle dita di una mano i casi di detenuti che hanno visto il loro reclamo accolto da un Tribunale di Sorveglianza o un loro ricorso accolto dalla Cassazione; nell’uno o nell’altro caso si è trattato di una "vittoria di Pirro" per il detenuto perché, nel frattempo, un "nuovo" decreto ministeriale annullava tutto. "Siamo in una sorta di gioco dell’oca," ha detto un detenuto "nel quale si riparte sempre e inesorabilmente dal punto di partenza".

 

Le videoconferenze

 

Molti sono i detenuti condannati in processi fondati sulle dichiarazioni dei pentiti; la possibilità di difendersi si è drasticamente ridotta da quando è stato inaugurato il sistema delle videoconferenze.

"Prima del 41 bis," ci ha detto un detenuto "ho vinto molti processi; poi con le videoconferenze ho cominciato a perderli, perché è impossibile difendersi; il mio avvocato non riesce a fare una sola domanda al pentito che mi accusa perché, dopo aver reso le sue dichiarazioni, si allontana. Il 41 bis serve a produrre pentiti da cui non ci si può difendere per via delle videoconferenze; si tratta di un circolo vizioso (e perfetto) per chi accusa". le stesse modalità tecniche di comunicazione, di possibilità di ascolto e di comprensione tramite i collegamenti in videoconferenza, sono tali da non assicurare agli imputati di mafia una effettiva possibilità di difendersi. Di tutto questo è emblematico il cosiddetto "proclama" di Leoluca Bagarella. Nessuno ha potuto ascoltare cosa ha detto realmente Bagarella quel giorno eppure, forse, proprio per questo, si è aperta la fiera delle interpretazioni "autentiche": si è trattato, ci si è chiesti, di un messaggio in codice, di un ricatto politico odi un annuncio di guerra di mafia?

 

41 bis e diritti umani

 

La classe politica, nel suo complesso, fatte salve alcune eccezioni, è ferma nella determinazione di conservare il regime del 41 bis, senza scorgere nell’applicazione di condizioni di pena così inumane il rischio di morte e di degrado del nostro senso di umanità e dello stato di diritto. Coloro che parlano di stato di diritto, di Costituzione, di rispetto dei diritti umani anche nei confronti dei capi mafiosi, vengono considerati dei garantisti ingenui o addirittura degli utili idioti.

Non sono in discussione le azioni e le responsabilità di tali detenuti, ma sono in discussione la nostra identità, la qualità dello Stato e quella della società civile; cosa rischieremmo di divenire, se noi non riconoscessimo al peggiore degli assassini quei diritti umani fondamentali che egli ha negato alle sue vittime. È proprio di fronte a situazioni di grave emergenza che si misura la forza di uno Stato, e la forza di esso Sta innanzitutto nell’affermazione del diritto e nel rispetto della legalità.

Porre l’aggressore in condizione di non nuocere, di non minacciare più la nostra vita, la nostra sicurezza, è obiettivo prioritario dello Stato. Ma dopo aver visitato le sezioni del 41 bis e riscontrato alcune storie di detenuti li rinchiusi, ci chiediamo se lo Stato italiano stia realizzando questo obiettivo o non stia invece vendicandosi di fatti orribili, con ciò arrecando un danno inutile a se stesso e andando verso una deriva pericolosa della propria civiltà.

 

Sezioni del 41 bis: Cuneo, L’Aquila, Marino del Tronto (Ascoli Piceno), Novara, Parma, Pisa (Centro Diagnostico Terapeutico), Rebibbia (Femminile), Rebibbia (Maschile), Secondigliano (Napoli), Spoleto, Terni, Tolmezzo (Udine), Viterbo.

 

Detenuti in 41 bis (al 27 luglio 2002): 645, di cui 17 nell’Area Riservata.

 

Posizione giuridica: 421 definitivi (e non); 55 ricorrenti; 81 appellanti; 79 in attesa di primo giudizio; 9 non classificati (dati non forniti dall’ufficio matricola di alcune carceri).

 

 

 

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