Giustizia europea

 

Le garanzie non sono mai troppe, di Mauro Palma

 

Fuoriluogo, 30 dicembre 2003

 

Non tira un buon vento sull’Unione europea. L’imminente allargamento avverrà senza uno schema comune di principi e norme operative che ne costituisca l’ossatura teorica, oltre che la possibilità pratica di agire in modo coeso. Restano gli attuali trattati, ma l’Unione non ha una soggettività giuridica che le permetta, per esempio, di essere parte della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Lo sono tutti i suoi membri, ma non l’Unione e qualora si allargasse in futuro, come alcuni auspicano, a qualche stato non europeo, questo non sarebbe automaticamente Vincolato al rispetto di quei diritti che tale Convenzione tutela. È solo un esempio, per dire che il burocratico e voluminoso testo, impropriamente proposto come Costituzione europea, lascia pochi rimpianti, ma il vuoto che rimane dopo il sostanziale abbandono del percorso fin qui fatto non può essere salutato positivamente neppure dai suoi critici più feroci.

In questo contesto va collocata l’attuazione nei singoli ordinamenti del mandato d’arresto europeo. Uno spazio politico europeo è tale se è costituito non solo da comuni istituzioni, ma da comuni principi di libertà, di giustizia, di cooperazione sociale ed economica. La cooperazione giudiziaria è, quindi, parte essenziale della sua costruzione, se il rendere giustizia è letto come garantire diritti e non ristretto alla funzione repressiva. Partire dal mandato d’arresto è, quindi, un po’ partire dal punto terminale. Ma, dopo l’11 settembre 2001, il provvedimento ha avuto una forte accelerazione, in parallelo con quello volto a estendere gli strumenti di lotta al terrorismo.

Ora, quando è in gioco la libertà personale le attenzioni e le garanzie non sono mai troppe. Anche perché i normali strumenti di estradizione esistono e sono ben funzionanti tra gli stati dell’Unione. E quando l’estradizione non si è avuta è bene interrogarsi sul perché piuttosto che cercare di vanificare l’ostacolo incontrato. Il nuovo sistema dovrà essere - si legge nelle sue premesse - rapido e semplice. E considerazioni di rapidità e semplicità sembrano aver dettato il testo che la Commissione giustizia della Camera ha esaminato a fine novembre: di fatto un mero recepimento - così recitava anche il titolo - della decisione europea.

All’opposto, cautela, ma anche diffidenza verso i propri partner europei, emerge dal testo che la Commissione ha poi approvato: anche il titolo è cambiato, non più un mero recepimento, ma norme necessarie per conformare il diritto interno alla decisione europea. Naturalmente, essendo il primo un testo proposto dai democratici di sinistra e il secondo il frutto della penna del presidente della Commissione, lo scontro è stato declinato in linguaggio nostrano.

Dirsi, quindi, a favore di molti punti di cautela che sono stati introdotti rischia di apparire fiancheggiatore di chi si suppone voglia concedere qualcosa agli umori provinciali della Lega o tutelare qualcuno ben noto da incursioni di magistrati europei. Eppure per molti aspetti, il testo adottato pone condizioni condivisibili e necessarie: che il mandato sia eseguito nel contesto del rispetto dei principi e delle disposizioni della nostra Costituzione nonché della tutela dei fondamentali diritti alla libertà e al processo equo, garantiti dalla citata Convenzione europea. Ribadirle non vuol dire tacciare gli attuali altri stati membri di iniquità o di illiberalità; vuol dire piuttosto tutelare ogni persona, anche in futuro, da ogni applicazione rapida, efficace, ma forse non troppo attenta al valore della libertà personale. Del resto esso riprende largamente un testo elaborato dall’Unione delle camere penali e presentato da Rifondazione, teso a evitare che per i reati per i quali è previsto il mandato europeo si attenui quel presupposto che il nostro ordinamento prevede per la privazione della libertà: l’esistenza di gravi elementi indiziari e di effettive temporanee esigenze cautelari.

L’elenco delle 32 aree di reati che un anno fa venne stabilito come area d’azione del mandato d’arresto europeo è già ampio: da reati gravissimi fino al traffico di veicoli rubati, al favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali, alla contraffazione di prodotti commerciali. E ogni area può contenere figure di reato diverse, frutto di specifiche culture e tradizioni. La richiesta, quindi, che il singolo comportamento debba essere specificatamente previsto come reato sia nel paese che chiede l’arresto sia in quello che deve darne corso, è senz’altro un altro necessario elemento di verifica. Nella cautela e nella puntigliosità del testo approvato, alcuni hanno letto la volontà di impedirne un’ effettiva attuazione: democratici di sinistra e i colleghi della margherita hanno abbandonato la discussione.

Certamente alcuni aspetti vanno nella direzione dell’intralcio (procedure più restrittive delle attuali) e altri dell’esprimere sfiducia verso i propri partner europei (stabilire se il provvedimento cautelare sia stato sottoscritto o meno da un giudice indipendente, in se supponendo che non sempre lo siano). Ma, questi aspetti possono essere rimossi in aula, accettando però il principio che su un tema particolare quale è quello della libertà delle persone, le garanzie non devono essere ostacoli ne poter essere lette come tali, bensì elementi essenziali all’esercizio di giustizia.

 

 

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