La modificabilità del giudicato

 

La essenziale modificabilità del giudicato sulla pena

Università degli Studi di Firenze - Facoltà di Giurisprudenza

Relatore: Prof. Fabrizio Corbi - Tesi di laurea di: Maurizio Milani

 

Premessa

 

In questo lavoro si intende trattare il fenomeno esecutivo nel processo penale sotto l’aspetto che forse più evidenzia l’autonomia di questa fase rispetto all’iter procedimentale che ritualmente viene fatto terminare con il passaggio in giudicato del provvedimento penale conclusivo.

Si considera pacifico che il fenomeno esecutivo, nel suo complesso di attività dirette alla realizzazione delle condizioni "formali" di operatività del comando, è senz’altro parte integrante del processo penale: dopo tutto senza le attività esecutive il provvedimento penale rimarrebbe un dato meramente ricognitivo di un giudizio di condanna e, in pratica, sarebbe inutiliter datum. Non costituiscono invece, almeno tendenzialmente, un momento insopprimibile dell’iter processuale, le attività di esecuzione "in concreto" nei loro multiformi contenuti. Ed è proprio in relazione a questo aspetto che si rivendica l’autonomia succitata: le modificazioni che la pena, determinata ed irrogata in fase "cognitiva" e quindi ancora in pieno processo, può subire in fase "esecutiva" una volta che su di essa si è formato il c.d. giudicato.

Il lavoro si articola in due parti, dal canto loro variamente suddivise. Con la prima si intende trattare argomenti a carattere generale e propedeutico degli istituti di diritto positivo oggetto invece della parte successiva. In particolare si intende soffermarsi brevemente sul concetto generale di pena e sul rapporto pena-uomo, nonché sul principio della essenziale modificabilità della pena alla luce dell’art. 27 della Costituzione. Dopodiché si analizzano le nozioni di giudicato e di irrevocabilità nonché il rapporto fra di esse. Si rende poi necessario, in questa prima parte, svolgere una riflessione sui principi informatori dell’ordinamento penitenziario di cui alla L. 26.07.1975 n. 354 e successive modificazioni, non senza arricchire la trattazione con alcuni salienti riferimenti storici.

Nella seconda parte vengono invece affrontati gli istituti di diritto positivo che hanno materialmente provocato l’incrinarsi del mito dell’intangibilità del giudicato e che rappresentano, in definitiva, le c.d. "aperture" del carcere. Questa parte si apre con un capitolo dedicato al ruolo del pubblico ministero presso il giudice dell’esecuzione e della magistratura di sorveglianza: quest’ultima infatti interviene direttamente sul contenuto sanzionatorio del titolo adeguando la pretesa punitiva ai risultati di un giudizio non più sul fatto-reato o sulla responsabilità bensì sull’autore e questo ai fini di un trattamento individualizzato in progress che trova la sua giustificazione nella Carta costituzionale innanzitutto, ma anche nelle principali leggi che hanno messo in radicale discussione il principio della inderogabilità della esecuzione integrale della pena. Segue, poi, la trattazione delle c.d. misure alternative alla luce, in particolare, degli ultimi sviluppi legislativi. Sempre in questa parte viene affrontata una tematica dal taglio nettamente processualistico: la norma di cui all’art. 671 c.p.p. concernente l’applicazione in fase esecutiva della disciplina ex art. 81 c.p. circa il concorso formale ed il reato continuato. Si tratta di uno strumento molto importante per il giudice dell’esecuzione, la cui introduzione ha determinato un ulteriore incrinatura del giudicato. Infine, in questa parte figurano anche i provvedimenti clemenziali dell’amnistia impropria, dell’indulto e della grazia: istituti, questi, meno ricorrenti ma che comunque vanno anch’essi ad incidere sul giudicato sulla pena.

 

 

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