Tribunale di Ravenna

 

Tribunale di Ravenna

Ordinanza 12 gennaio 2006 (Giudice D’Agostini - Ricorrente B.)

 

In data 11 gennaio 2006 H. B. è stato arrestato dai Carabinieri di Ravenna nella flagranza del reato previsto Dall'articolo 73 Dpr 309/90 e condotto davanti al giudice del dibattimento ex articolo 558 Cpp per la convalida ed il giudizio direttissimo.
Ad esito dell’udienza, il Tribunale ha convalidato l’arresto.

H. B., quindi, ha richiesto il giudizio abbreviato. Conseguentemente è stata emessa ordinanza, ai sensi dell’articolo 438 comma 4 del codice di rito.

All’imputato viene contestata la detenzione di grammi 53,17 di hashish, non finalizzata all’uso personale e senza autorizzazione.

Ritiene il giudicante che, alla luce delle modalità della detenzione, delle condizioni soggettive dell’imputato e del quantitativo non esiguo della sostanza detenuta, il Pm abbia dimostrato l’insussistenza della detenzione per esclusivo uso personale, elemento negativo della condotta.

Tuttavia, al giudicante pare chiara la configurabilità nel caso di specie della circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dal comma 5 dell’articolo 73 Dpr 309/90 (fatto di lieve entità ), avuto particolare riguardo alla modesta quantità dello stupefacente detenuto, in parte verosimilmente acquistato dal B. per uso personale: l’episodio delittuoso, nel suo insieme, in riferimento alla consistenza qualitativa e quantitativa della droga oggetto dell’addebito, presenta connotati tali da poter essere definito di minore, minima offensività per la collettività (in proposito cfr., fra le ultime, Cassazione 19 ottobre 2004, Bassi e altri; Cassazione 3 novembre 2004, Nwbodo e altri Cassazione 2 dicembre 2004, Grado e altri; Cassazione 3 febbraio 2005, Pronest; Cassazione 21 giugno 2005, Lantani e altro).

In diritto, va ricordato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità , così costante da costituire diritto vivente, secondo il quale, con la previsione dell’articolo 73 comma 5 Dpr 309/90, non si è introdotta una fattispecie autonoma di reato bensì una circostanza attenuante ad effetto speciale (così, anche da ultimo, Cassazione 24 febbraio 2005, Cianchetta e Cassazione 21 dicembre 2004, D’Aquilio), soggetta ovviamente, nel caso di concorso con una o più circostanze aggravanti, al giudizio di comparazione previsto dall’articolo 69 comma 4 Cp, (in questo senso, espressamente, cfr. Cassazione 15 ottobre 2002 Mazzei; Cassazione 17 aprile 1998, Piccardi; Cassazione 12 dicembre 1997, Vassalli; Cassazione 16 aprile 1997, Bettoschi; Cassazione 8 luglio 1933, Cappelli; Cassazione 4 novembre 1992, Pezzolet), con l’ulteriore conseguenza che, in caso di ritenuta equivalenza, la pena è determinata senza tener conto di alcuna delle circostanze, ai sensi dell’articolo 69 comma 3 Cp.

Il comma 4 dello stesso articolo 69 prescrive che il suddetto giudizio di comparazione (o di bilanciamento) delle circostanze sia esteso anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole.

Tuttavia, detto comma è stato modificato dall’articolo 3 della legge 251/05, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 7/12/2005 ed entrata in vigore il giorno successivo: a seguito della novella (consistita nell’aggiunta della locuzione: “esclusi i casi previsti dall’articolo 99, comma 4, nonchè dagli articoli 111 e 112, comma 1, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti”), nel caso di recidiva reiterata, eventuali circostanze attenuanti potranno tutt’al più¹ essere valutate equivalenti rispetto alla recidiva medesima.

Nella fattispecie l’imputato è recidivo reiterato, atteso che lo stesso ha riportato sette precedenti condanne per delitti dolosi.

La recidiva reiterata può essere ritenuta, pur in mancanza di una precedente apposita dichiarazione giudiziale dello status di recidivo, dichiarazione che non ha natura costitutiva (Cassazione 16 marzo 2004, Marchetta e Cassazione 6 maggio 2003, Andreucci).

La finalità del giudizio di comparazione previsto Dall’articolo 69 Cp, che attribuisce al giudice la valutazione della prevalenza o equivalenza in caso di concorrenza fra circostanze aggravanti ed attenuanti, è quella risultante dallo schema dell’articolo 133 Cp, dovendosi così¬ valutare il fatto delittuoso, nell’esercizio del potere discrezionale riconosciuto da tale norma, nella sua complessità , avuto anche riguardo alle circostanze inerenti la persona del colpevole, dando poi rilievo a quello od a quegli elementi positivi o negativi qualificanti il reato ed il suo autore, ritenuti maggiormente significativi o di valore decisivo; in altri termini, si tratta di apprezzare la personalità del colpevole e l’identità del fatto, onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto (in questo senso cfr., da ultimo, Cassazione 28 giugno 2005, Matti).

Nel caso di specie, va evidenziato che la gravità del fatto e la conseguente pericolosità della condotta risultano di modesta entità (avuto riguardo alla detenzione di un piccolo quantitativo di droga leggera) e che i precedenti penali dell’imputato, anche se numerosi, si riferiscono a fatti di non rilevante allarme sociale; in due casi, poi, la pena venne sospesa, in altri tre casi la pena detentiva venne sostituita ed in un caso venne inflitta la sola pena pecuniaria.

Trattasi, inoltre, di episodi verificatisi negli anni 90, a parte l’ultimo, risalente comunque al 2001 (condanna con decreto penale per il delitto di lesione personale).

In considerazione di questi elementi, prima della ricordata novella, la circostanza attenuante ad effetto speciale sarebbe stata ritenuta senz’altro prevalente sulla contestata recidiva, valutazione ora preclusa dalla formulazione dell’articolo 69 ult. comma Cp.

Nel caso di specie, dunque, concessa detta attenuante in equivalenza con la contestata recidiva, la pena minima da infliggere all’imputato prima della applicazione della diminuente per il rito sarebbe quella di due anni di reclusione e 5.164 euro di multa, prevista dall’articolo 73 comma 4 Dpr 309/90, pena che appare manifestamente sproporzionata e non adeguata rispetto alla condotta posta in essere dall’imputato.

L’attuale formulazione dell’articolo 69 comma 4 Cp, come modificato dall’articolo 3 della legge 251/05, appare al giudicante in contrasto, innanzitutto, con l’articolo 3 comma 1° Costituzione e, quindi, con il principio di ragionevolezza quale accezione particolare del principio di uguaglianza.

E' noto che la Corte costituzionale ha più volte affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore la
determinazione della quantità e della qualità della sanzione penale; nel contempo, però, il giudice delle leggi ha evidenziato in numerose pronunzie (cfr., ad es., le ordinanze 438/01, 207/99, 368/95, 435/98, 456/97) che l’esercizio di tale discrezionalità può² essere sindacato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia luogo, quindi, a una disparità di trattamento palesemente irragionevole. Anche da ultimo, il giudice delle leggi ha opportunamente ribadito che a prescindere dal rispetto di altri parametri, la normativa deve essere anzitutto conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza (cost. sentenza 78/2005).

La sproporzione e l’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per casi quali quello in esame, avente una modesta offensività, confliggono anche con il principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27 comma 3 Costituzione), non apparendo soddisfacente, per motivare eventualmente la compatibilità della norma in esame con detta funzione, la mera possibilità di avvalersi, solo in sede esecutiva, delle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento.

La preclusione imposta al giudice di formulare eventualmente un giudizio di prevalenza di una o più circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, senza eccezione alcuna, comporta un appiattimento del trattamento sanzionatorio per situazioni che potrebbero essere assai diverse e potrebbe imporre come nel caso di specie l’applicazione di una pena manifestamente sproporzionata ed irragionevole, l’espiazione della quale non consentirebbe una rieducazione del condannato.

Certamente sono ipotizzabili altri casi ove l’irragionevolezza della norma contestata sarebbe ancora più evidente.

Volendo fare un solo esempio (ma ve ne potrebbero essere tanti analoghi), si pensi all’imputato, in precedenza condannato per un’ingiuria e per una minaccia (fatti commessi in due diverse occasioni, non avvinti dal vincolo della continuazione, giudicati con separati processi), il quale ceda una dose di eroina ad una terza persona: configurata l’ipotesi attenuata di cui all’articolo 73 comma 5 Dpr 309/90 (necessariamente) equivalente alla recidiva reiterata, l’imputato dovrebbe essere condannato alla pena minima di otto anni di reclusione e 25.822 euro di multa!

La questione proposta, dunque, appare rilevante nel giudizio de quo (dovendo il giudicante emettere una sentenza di condanna ad una pena non inferiore a quella prevista dall’articolo 73 comma 4 Dpr 309/90) e manifestamente non infondata (alla luce delle valutazioni sommariamente espresse).

 

PQM

 

visto l’articolo 23 legge 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 69 comma 4 Cp, come modificato dall’articolo 3 della legge 251/05, nella parte in cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall’articolo 99 comma 4 Cp.


Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia comunicata al presidente del Consiglio dei Ministri e ai presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

 

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