La popolazione detenuta

 

Autore di questa analisi è il prof. Marzio Barbagli, ordinario di sociologia all’Università di Bologna e uno fra i più importanti studiosi a livello europeo

 

La popolazione detenuta

 

Nel nostro paese, dal 1990 ad oggi, il numero dei detenuti è raddoppiato e le carceri sono sovraffollate. Siamo forse di fronte ad un’altra anomalia italiana? Quale è la situazione degli altri paesi? E da cosa dipendono questi mutamenti? Per dare una risposta a questi interrogativi esamineremo le variazioni nello spazio e nel tempo del tasso di detenzione, cioè del rapporto fra il numero di carcerati e quello degli abitanti.

Si stima che nel mondo vi siano oggi 8 milioni e 600 mila carcerati (condannati con giudizio definitivo o in attesa di sentenza). La metà di questi si trovano negli Stati Uniti, in Cina ed in Russia. Tenendo conto della popolazione residente, vediamo che il campo di variazione del tasso di detenzione è molto vasto (tabella 1).

In testa alla graduatoria dei paesi vi è la Russia (con 730 detenuti per 100.000 abitanti) mentre al secondo posto vi sono gli Stati Uniti. In coda abbiamo l’India, il Giappone, l’Angola e la Nigeria (con 40 detenuti). Dunque, il tasso di detenzione dei primi è ben diciotto volte maggiore di quello dei secondi. Forti sono anche le differenze fra le varie regioni o aree del mondo. Escludendo gli Stati Uniti, è l’Europa orientale che ha oggi il tasso di detenzione più alto, seguita dall’Africa, dall’America Latina e dall’Asia. L’Europa occidentale ha il tasso più basso, ma presenta al suo interno una certa eterogeneità. In cima alla classifica vi sono l’Inghilterra ed il Galles, in fondo i paesi nordici (Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia). A metà strada fra i primi ed i secondi troviamo l’Italia, insieme alla Francia, alla Germania e all’Olanda.

In molti paesi, nell’ultimo secolo e mezzo, vi sono stati grandi mutamenti anche riguardo alla popolazione detenuta. A metà dell’800 la situazione dell’Europa era molto diversa da quella di oggi. Il paese con il tasso di detenzione più alto era allora l’Italia, seguito dai paesi nordici, mentre l’Inghilterra (che oggi, come si è visto, è in testa alla classifica) aveva il tasso più basso. In tutti questi paesi, tuttavia, è iniziato allora un processo di diminuzione del tasso di detenzione che, con qualche oscillazione, è durato per più di un secolo.

In Italia, ad esempio, questo tasso è sceso da 217 detenuti (per 100 mila abitanti) nel 1863 a 40 nel 1970 ed a 45 nel 1990. Nell’ultimo ventennio, l’andamento della popolazione detenuta è stato assai diverso a secondo dei paesi (in Europa o nella altre aree mondiali). In molti di questi il tasso di detenzione è nuovamente salito, ma in alcuni è sceso.

Oltre che in Italia, è cresciuto in Svizzera, in Francia, nel Regno Unito, mentre è diminuito in Finlandia. Fuori dall’Europa, i due paesi che meglio illustrano queste opposte tendenze sono gli Stati Uniti ed il Giappone. Nel primo, dal 1978 ad oggi, il numero totale dei detenuti nelle prigioni di stato, federali e locali è quintuplicato, passando da 425 mila a oltre due milioni. Nel secondo, invece, il tasso di detenzione è continuamente diminuito nell’ultimo mezzo secolo, andando da 120 nel 1950 a 40 oggi.

Queste fortissime variazioni nello spazio e nel tempo sono dovute a numerosi fattori: all’importanza della detenzione preventiva ed alle dimensioni dello strato delle persone in attesa di giudizio rispetto a tutta la popolazione delle carceri; alla lunghezza o severità delle pene comminate e più in generale alla politica penale seguita; al numero di reati commessi; ai provvedimenti di clemenza emanati. Le ricerche finora condotte ci dicono che quest’ultimo fattore è quello che meno influisce sui trends.

Le serie storiche dell’Italia, della Francia e di altri paesi mostrano che il tasso di detenzione subisce una flessione dopo un’amnistia, ma riprende immediatamente a salire. Molto più importante è il diverso uso che si fa della detenzione preventiva. Fare confronti fra paesi in questo campo non è certo semplice. Ma, per quanto insoddisfacenti, i dati disponibili mostrano che questo ricorso è tanto più frequente quanto più basso è il livello di sviluppo economico di un paese. Tuttavia, anche fra le nazioni industrializzate vi sono differenze rilevanti e la nostra è una di quelle nelle quali da molto tempo la quota delle persone in attesa di giudizio è più elevata. È dunque questa, a bene vedere, la vera peculiarità italiana.

In parte, le variazioni del tasso di detenzione dipendono da quelle del tasso di criminalità. Se il Giappone ha un numero minore di carcerati degli altri paesi altamente sviluppati è anche perché ha un tasso più basso di omicidi, di furti e di rapine. Significativi sono anche i mutamenti avvenuti in Giappone nell’ultimo mezzo secolo. In questo paese, subito dopo la seconda guerra mondiale, vi è stato un forte aumento sia del tasso di criminalità che di quello di detenzione, che hanno raggiunto il picco nel 1950.

Nei venticinque anni successivi, il numero degli omicidi e dei furti in appartamento ha subito una forte flessione e questo è stato accompagnato da una contrazione della popolazione carceraria. Anche nel periodo compreso dal 1975 ad oggi il tasso di criminalità e quello di detenzione si sono mossi insieme, prima aumentando, poi di nuovo diminuendo.

Tuttavia, in complesso le ricerche finora condotte mostrano che la relazione fra il tasso di detenzione e quello di criminalità è molto debole.

Tutte le informazioni di cui disponiamo fanno pensare che la dimensione della popolazione carceraria dipenda soprattutto dalla severità delle pene e più in generale dalla politica penale che un paese segue. È quanto emerge dall’analisi delle variazioni sia nello spazio che nel tempo. La Finlandia, ad esempio, aveva alla metà del ’900 un tasso di detenzione molto più alto degli altri paesi europei, mentre oggi ha il tasso più basso. Questo radicale mutamento non è riconducibile all’andamento della criminalità, ma al fatto che la politica penale di questo paese è cambiata diventando meno severa, che la lunghezza delle pene per alcuni reati è stata ridotta, mentre la concessione della sospensione condizionale della pena è stata facilitata.

D’altra parte, è ai mutamenti della politica penale che possiamo ricondurre l’aumento del tasso di detenzione che si è avuto negli Stati Uniti nell’ultimo quarto di secolo e le differenze esistenti fra questo e gli altri paesi. Le poche ricerche comparate fin qui condotte hanno mostrato che, per alcuni reati (i furti ed in particolare quelli negli appartamenti), la durata delle pene scontate in carcere è maggiore negli Stati Uniti che in altri paesi. Quello che comunque è certo è che, nel corso degli anni ’90, negli Stati Uniti è stata adottata una politica penale sempre più dura. In tutti gli stati sono state approvate leggi che prevedono, per i reati violenti e per quelli riguardanti la droga, una pena minima obbligatoria, riducendo la discrezionalità dei giudici. Inoltre, in California ed in molti altri stati sono state votate leggi (definite spesso con lo slogan, ripreso dal baseball, "three strikes and you are out") che prevedono pene particolarmente severe per i recidivi, per coloro che vengono condannati tre volte di seguito. Questa politica penale più severa ha prodotto un aumento del numero di carcerati per droga e un allungamento della durata delle pene scontate in prigione.

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