La prigione americana

 

La prigione americana, incubatrice delle masse

di Megan Comfort

 

Le Monde Diplomatique, 16 giugno 2003

 

Secondo le statistiche rese note l’’8 aprile 2003 dal ministero della giustizia, la Francia non ha mai avuto una tale quantità di detenuti: 59.155 persone affollano (e i posti sono 48.603) 185 strutture penitenziarie. L’esigenza di sicurezza è caratteristica di un’epoca di crisi politica e si rinforza, alimentata da politici in cerca di notorietà.

L’anno elettorale 2002 è stato quindi segnato da una popolazione carceraria in crescita: dal primo settembre 2001 al primo settembre 2002, il numero di detenuti è aumentato del 14%. Più lunghi anche i tempi di detenzione, minor numero di ricorsi a riduzioni di pena e alla libertà condizionata, prolungamento della detenzione provvisoria, l’istituzione giudiziaria evita di riflettere sulla missione di reinserimento sociale che dovrebbe avere il carcere e sui modi per evitare l’arresto e la detenzione di persone per le quali essa è inutile o addirittura dannosa.

Il governo di destra ha annunciato la creazione di 28 nuove prigioni, da qui al 2007, per aumentare la capacità del parco penitenziario fino a 60.000 unità. A questo ritmo sfrenato s’intende raggiungere il "modello" americano? Negli Stati Uniti si contano circa due milioni di detenuti - 700 ogni 100.000 abitanti.

Ma queste incarcerazioni di massa pongono molti più problemi di quanti ne risolvano. Quando escono dal carcere i pregiudicati americani ricevono tra i 2 e i 200 dollari di "gate money" (buonuscita) per ricominciare, i loro vestiti vecchi e un biglietto per raggiungere la città in cui sono tenuti a stare.

Ma molti di loro nella realtà escono dal carcere con un bagaglio diverso: dei 9 milioni di detenuti liberati nel 2002, più di 1.3 sono portatori del virus dell’epatite C, 137.000 hanno contratto quello dell’Aids e 12.000 hanno la tubercolosi. Queste cifre - fornite dalla Commissione nazionale per la salute in carcere - rappresentano rispettivamente il 29%, tra il 13 e il 17%, e il 35% del numero totale di americani colpiti da queste malattie. Da anni i ricercatori nel campo della salute pubblica lanciano l’allarme: l’epidemia d’arresti che ha colpito il paese si accompagna a un’incubatrice di massa delle malattie infettive negli istituti penitenziari.

Queste cifre impressionanti non hanno nulla di sorprendente. Molti comportamenti tenuti in carcere - come l’utilizzo di droghe per endovena la prostituzione o la violenza - sono causa di trasmissione di tali malattie. Perciò una banale retata della polizia si può tradurre nell’arresto di persone gravemente malate o a un passo dall’esserlo. Una volta dietro le sbarre tali comportamenti perdurano, ma senza le precauzioni usate all’esterno: poiché i rapporti omosessuali, l’utilizzo di droghe e di violenza contravvengono alla legge del carcere, tutto il materiale legato a queste pratiche – siringhe, aghi, candeggina, preservativi o protezioni in lattice - fanno parte di un mercato clandestino (perfino l’acqua pulita per il risciacquo di tale materiale è difficile da reperire).

Risultato: un sistema in cui i detenuti si arrabattano che causa la mancanza ad esempio di oggetti per fare le endovene e, quindi, l’utilizzo in comune "siringhe" di fortuna (fatte con cartucce di penne, cannucce o corde di chitarra).

Mentre in assenza di preservativi i rapporti sessuali, forzati o consenzienti, si hanno senza alcun tipo di protezione. E poi tatuaggi e piercing, attività prive di rischi se condotte nei centri specializzati, diventano modi di trasmissione del virus dell’HIV o di quello dell’epatite C, se fatte in carcere. Essendo proibite, il materiale necessario a praticarle è severamente vietato; per questo conservato con cura e condiviso dai detenuti.

La decorazione del proprio corpo è un’attività molto valorizzata e ritualizzata da questi ultimi, per i quali "i tatuaggi creano delle rappresentazioni permanenti dell’identità che non possono essere sottratte da altri; sono delle affermazioni positive del se in un ambiente forzatamente negativo".

Questi segni rappresentano anche un modo di segnalare in maniera visiva l’affiliazione di ognuno a una gang piuttosto che a un’altra permettendo quindi di distinguersi tra una folla di individui anonimi e intercambiabili.

Illegali in prigione, tali attività implicano l’uso di aghi, si fanno quindi in clandestinità e sono per questa ragione sottostimate. I ricercatori ritengono tuttavia che il tatuaggio riguardi un numero di detenuti più consistente che la somministrazione per endovena di droghe, e potrebbe a tutti gli effetti costituire la principale via di trasmissione del virus dell’Aids e dell'epatite C dietro le sbarre.

Il fatto è che troppo spesso i detenuti ignorano le modalità di trasmissione, di prevenzione e di cura delle malattie virali. Spesso non avevano nessun tipo di copertura sanitaria prima di essere arrestati. Negli Stati Uniti l’assicurazione sanitaria è infatti legata alla buona volontà dei datori di lavoro che la offrono ai loro dipendenti ai quali viene però sottratta una quota mensile dal salario. L’assistenza sanitaria gratuita, destinata ai più poveri, esclude qualsiasi trattamento legato alla tossicodipendenza, alle malattie mentali e ad altri mali gravi.

"Il sistema sanitario statunitense è stato definito successivamente un non sistema, un semplice prodotto del caso o un patchwork di servizi di assistenza, rilevano Paul Farmer e Barbara Rylko Bauer. In realtà è spezzettato, disarticolato, frammentario, inefficace". Entrando in un carcere, il condannato può ignorare di essere portatore di una malattia infettiva e nondimeno che si trova in una situazione a rischio.

Al loro arrivo in carcere e poi periodicamente durante la detenzione, ai detenuti vengono fatti test per vedere se sono affetti da tubercolosi e sifilide, ma nulla viene organizzato contro l’HIV o l’epatite C. Senza contare che quando le procedure mediche non vengono spiegate (nel caso in cui un prigioniero non parli l’inglese, come avviene per molti ispanici) quando viene loro prelevato il sangue, molti detenuti credono a torto di aver fatto tali test. E quindi in assenza di altre informazioni s’immaginano di non essere risultati malati.

Il ricorso a laboratori medici incompetenti o disonesti aggrava la situazione: tra il 1990 e il 2000, un laboratorio privato della California ha continuato a consegnare all’amministrazione penitenziaria dello stato falsi risultati di test relativi a decine di migliaia di detenuti.

Allertati da grossolani errori d’ortografia e d’altro tipo apparsi nei rapporti ricevuti, i responsabili del ministero della salute californiano hanno visitato il laboratorio scoprendo "pile di materiali inutilizzati, disordine completo, materiali per i test vecchi o inutilizzabili per compiere analisi". Quattro anni dopo, quando il San Francisco Chronicle ha divulgato l’accaduto, l’amministrazione penitenziaria non si è preoccupata di far rifare i test ai detenuti che avevano ricevuto informazioni finte o sbagliate sul loro stato di salute. E, nel frattempo, lo stesso direttore del laboratorio in questione ha ricevuto l’autorizzazione ad aprire un altro laboratorio d’analisi!

Stessa storia quando un detenuto del Michigan ha potuto accedere, grazie ad un errore del personale carcerario, al suo dossier medico risalente a un’incarcerazione precedente, scoprendo i risultati positivi di un test sull’epatite C fatto due anni prima. Nel frattempo si era ammalata di epatite C anche la sua compagna, con cui aveva vissuto tra una detenzione e l’altra (sicuramente durante uno dei permessi).

Quest’ultimo caso tira fuori un problema nascosto all’opinione pubblica: tra i nove milioni di persone scarcerate ogni anno dalle prigioni statunitensi (che, leader mondiali in materia, ostentano uno stock di due milioni di detenuti) un’alta percentuale è portatrice di malattie infettive che potrà diffondere nei luoghi in cui andrà a vivere, rischiando di infettare partner o le persone con cui condividerà siringhe o liquidi corporali.

I detenuti non vedono però il carcere come un luogo a rischio in tal senso. Per questo motivo non ritengono opportuno prendere precauzioni particolari per evitare i rapporti sessuali non protetti quando vengono liberati.

In realtà nella misura in cui il carcere fornisce pasti regolari, un tetto e un minimo di cure mediche, coloro che vivono al di fuori in condizioni precarie come i senza tetto, arrivano anche a considerare il carcere come un luogo relativamente sano - soprattutto quando vedono ex detenuti uscirne riposati, ben nutriti e dotati di muscoli grazie alla pratica regolare di ginnastica e sollevamento pesi.

Il crollo del welfare ha raggiunto un livello tale che le strutture carcerarie "si comportano sempre più come agenzie di assistenza sanitaria di primo soccorso" per gli americani più poveri. Per gli strati ai margini della società il pugno di ferro dello stato punitivo funziona, paradossalmente, come un’ala protettiva che può permettere loro per un po’ di tenere la testa fuori dall’acqua.

 

Una combinazione esplosiva

 

Ciò nonostante, gli errori, la negligenza e l’incompetenza possono intralciare la fornitura d’assistenza medica adeguata agli accusati e ai prigionieri. Alcuni medici sanzionati per errori commessi o incapacità professionale dimostrata, con il divieto di lavorare nell’ambito "civile", continuano a praticare la loro attività nelle carceri. E accade anche che i farmaci vengano somministrati in maniera sbagliata, come nel caso di quel detenuto della Florida al quale venivano dati i retrovirali durante i pasti, nonostante il divieto assoluto di mangiare per le due ore precedenti e successive alla somministrazione degli stessi. Tali obbrobri sanitari contribuiscono a creare varietà di virus resistenti alle stesse medicine.

Anche se con i suoi difetti, l’assistenza sanitaria ricevuta dietro le sbarre può in alcuni casi presentarsi come migliore di quella riservata agli ex detenuti una volta fuori dal carcere. I 41 milioni di statunitensi privi d’assistenza sanitaria devono provvedere da soli alle loro spese mediche - o farne a meno. L’ufficio censimenti stima che oltre 71,5 milioni di cittadini sono privi dell’assistenza sanitaria per parte dell’anno. Il costo delle assicurazioni contro gli infortuni e le parcelle dei medici fanno sì che la spesa per le visite mediche sia da tre a cinque volte superiore negli Stati uniti che in Europa; il prezzo dei farmaci è alle stelle; la fattura in caso di degenza prolungata in ospedale può arrivare a centinaia di migliaia di dollari.

Chi non può permettersi tali spese è costretto a ricorre al pronto soccorso pubblico tenuto per legge a curare i pazienti in stato grave, ma il cui livello d’assistenza è paragonabile a quello dei paesi del terzo mondo per la mancanza di mezzi e per la pesantezza dei sistemi burocratici. Così, per ironia della sorte, i detenuti sono le uniche persone negli Stati Uniti d’America ad avere il diritto, costituzionalmente riconosciuto, ai servizi d’assistenza medica - per tutto il tempo in cui si trovano sotto la tutela penale dello stato.

L’alto tasso di infezioni tra i detenuti determina costi sempre più pesanti per gli istituti penitenziari. E gli elettori si mostrano sempre meno disponibili a pagarne il prezzo. Rischiando così che la combinazione esplosiva dell’incarcerazione di massa delle fasce povere, assieme ad una politica di "laissez faire sanitario" per la popolazione libera, sfoci in un disastro della sanità pubblica nazionale.

 

 

 

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