Riparazione del danno in affidamento

 

Monitoraggio delle esperienze di riparazione del danno

nell’affidamento in prova al servizio sociale

 

www.giustizia.it, gennaio 2004

 

La Commissione di studio sulla "Mediazione penale e giustizia riparativa" istituita dal Capo Dipartimento con DCD del 26.02.2002 ha esitato l’analisi dei dati relativi alla prima parte del monitoraggio delle esperienze nell’ambito dell’affidamento ex art. 47, 7 co. O.P.

La Commissione, coordinata dalla dott.ssa Maria Pia Giuffrida, Dirigente Generale, ha come obiettivo quello di pervenire alla prospettazione di linee guida che assicurino nell’ambito dell’esecuzione penale di soggetti adulti - uniformità di criteri applicativi, finalità politico-criminali e standard operativi e quantitativi in materia di giustizia riparativa, in linea con le Raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa.

Anche in Italia è emersa, infatti, negli ultimi anni una particolare attenzione per la cosiddetta giustizia riparativa che può essere definita, in prima approssimazione, come una forma di risposta al reato che coinvolge il reo e - direttamente o indirettamente - la comunità e/o la vittima nella ricerca di possibili soluzioni agli effetti dell’illecito e nell’impegno fattivo per la riparazione delle sue conseguenze.

Il fenomeno criminoso viene letto, in tale ottica, infatti non solo come trasgressione di una norma e lesione (o messa in pericolo) di un bene giuridico, ma come evento che provoca la rottura di aspettative e legami sociali simbolicamente condivisi che richiede l’adoperarsi per la ricucitura di tali legami e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.

La rilevanza culturale, giuridica, operativa del tema è tale che sono state adottate la Raccomandazione (99) 19 sulla base della mediazione in ambito penale del Consiglio d’Europa e i Principi Base sulla giustizia riparativa in ambito penale delle Nazioni Unite (2002).

Fra le disposizioni dell’ordinamento giuridico italiano che aprono alla prospettiva riparatoria, particolare rilievo godono le previsioni di cui all’art 47 co. 7 O.P. (nel verbale deve anche stabilirsi che all’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato...) e all’art. 27 co. 1 D.P.R. 230/00 (nell’ambito dell’osservazione della personalità viene espletata una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l’interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa).

L’applicazione della norma, ispirata al modello della giustizia riparativa, ha dato vita a prassi operative interessanti e diversificate che vedono come protagonisti i Tribunali di Sorveglianza, i CSSA, gli affidati e altri soggetti.

Il monitoraggio avviato dalla Commissione ha avuto quindi lo scopo di tentare di fare una mappa dell’esistente, di conoscere come e quanto i CSSA già oggi programmano, rispondono all’autorità giudiziaria e impiegano principi di giustizia riparativa all’interno dell’esecuzione dell’art. 47 dell’O.P. c. 7 e dell’art. 94 TU DPR 309/90.

Tale conoscenza è sembrata infatti indispensabile per integrare l’elaborazione teorica sulla giustizia riparativa che la Commissione sta sviluppando in parallelo, secondo un piano di studio e di ricerca proposto dagli esperti Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato, e pervenire dunque alla prospettazione di linee guida da diramare agli Uffici periferici (Istituti penitenziari e Centri di servizio sociale per adulti)

 

Il monitoraggio si è sviluppato in due tempi

 

La prima scheda, inviata agli Uffici periferici con nota n. 0315664-2002 del 16.07.2002, e finalizzata alla rilevazione degli orientamenti, delle iniziative assunte e delle modalità operative utilizzate da ciascun CSSA in merito alle esperienze riparatorie nell’affidamento, è stata compilata personalmente dai direttori dei Centri. L’elaborazione dei dati pervenuti è stata curata dall’Ufficio statistico di questo dipartimento.

La seconda scheda, inviata agli Uffici periferici con nota n. 0341019-2002 del 31.07.2002, e tesa in particolare ad acquisire una descrizione analitica dei progetti riparatori (ipotizzati o realizzati) rispetto a un consistente campione di affidati, è stata compilata dagli assistenti sociali incaricati coordinati dai referenti nominati dai direttori. Il commento dei risultati è all’ordine del giorno della prossima riunione della Commissione.

Riflessioni e commento dei risultati della prima parte del monitoraggio Al 1° questionario inviato nel luglio 2002 ai direttori dei Centri di servizio sociale per adulti hanno risposto tutti i 57 Centri.

L’analisi dei primi risultati, pur se denota alcune incongruenze dovute soprattutto all’interpretazione dei quesiti posti, fornisce comunque delle indicazioni utili non solo per una valutazione delle applicazioni attualmente in corso, ma anche per individuare i nodi irrisolti che saranno oggetto di approfondimento nei successivi lavori di questa commissione.

Si tratta di nodi irrisolti che investono non solo gli aspetti operativi, ma anche e soprattutto la definizione dei contenuti e dei significati connessi alla giustizia riparativa, la cui chiarificazione è un presupposto imprescindibile per il corretto avvio di una sperimentazione. Il questionario - anche se ciò non era stato esplicitato nella lettera d’invio - è stato formulato ricomprendendo gli items in tre aree di interesse delle quali si terrà conto nell’analisi dei dati. La prima area di interesse riguarda gli aspetti organizzativi dell’attività dei CSSA in relazione all’applicazione della giustizia riparativa: come si è attivato il CSSA, quali le linee operative, quali gli operatori e le risorse/strutture coinvolte (items 1,2.3,4).

Dai dati si rileva una discreta attivazione dei 57 CSSA rispetto alla Giustizia Riparativa: interlocutori privilegiati risultano essere la Magistratura di Sorveglianza (29), gli Enti Locali (24) e il Privato sociale (29). E’ invece del tutto irrilevante il dato relativo agli incontri con Centri di mediazione, associazioni di volontariato e associazioni a favore delle vittime. Compare in qualche misura il coinvolgimento in attività formative (16). Se ne deduce una tendenza ad inserire la giustizia riparativa in una prospettiva soprattutto giudiziaria ove i principali interlocutori sono il TS e il CSSA, con un’assenza al momento di qualsiasi coinvolgimento del territorio.

L’analisi dei dati relativi a questo settore dimostra come l’ipotesi di applicazione della giustizia riparativa si concretizzi allo stato attuale soprattutto in attività interne all’ufficio quali riunioni (23 come 1° scelta), o definizioni delle linee di intervento (24 come II scelta); Ciò dimostra la fase del tutto iniziale delle azioni/attività che riguardano la giustizia riparativa, sia in relazione alle istituzioni referenti sia in relazione alle iniziative intraprese.

Tale fase ancora iniziale è ulteriormente confermata dal fatto che molti CSSA (41) non hanno ancora provveduto a elaborare un progetto di riparazione. I 16 Centri che hanno provveduto a elaborare un progetto in tal senso non sono pochi, ma i dati disponibili non forniscono al momento informazioni ulteriori che riguardino i contenuti e le modalità di attuazione di tali progetti. Un’analisi territoriale delle risorse esistenti e dei progetti realizzati potrebbe essere preziosa per i lavori di questa commissione.

La quasi totalità dei CSSA non si è mai avvalsa dell’opera di mediatori penali (56) e ciò oltre ad essere effetto dell’attuale incertezza, in merito alle ipotesi operative praticabili, potrebbe anche essere la conseguenza di una scarsa diffusione sul territorio di servizi di mediazione. Sarebbe interessante una lettura dei dati anche selezionandoli per ambiti territoriali per verificare territorialmente le risorse presenti.

È quasi completamente assente (49) la stipula di convenzioni ed è interessante notare che ove esistano convenzioni (8) queste vengano stipulate 4 con associazioni di volontariato 4 con strutture pubbliche. Tale dato fa propendere verso l’affermazione di una tendenza sia nell’attività dei CSSA che nelle richieste del TS verso la promozione di attività socialmente utili come prescrizione da inserire nell’applicazione dell’art. 47. Tale orientamento - in linea peraltro con le attuali direttive del DAP - sarà oggetto anche di successiva conferma.

E’ significativo inoltre considerare che 26 uffici non hanno risposto alla successiva domanda che chiede con quali strutture il Centro collabori in assenza di convenzioni, e che la maggior parte di detti uffici si rapporti prevalentemente (1° scelta: 18 e 2° scelta: 24) con associazioni di Volontariato.

La presenza del 50% di convenzioni con le associazioni di volontariato e il diffuso maggiore ricorso alle medesime risorse si ritiene possa dipendere essenzialmente dalla maggiore praticabilità di tali ipotesi poiché spesso si tratta di associazioni già conosciute e con le quali il Centro collabora per altre attività. Si rilevano di contro difficoltà a inserire una persona in attività nel settore pubblico. La seconda area di interesse riguarda sia i rapporti tra CSSA e TS sia la metodologia operativa dello stesso CSSA (items 5,6,7,8,9,10,11).

L’analisi dei dati di risposta alla 5 domanda (43 Centri rispondono no, 14 si) dimostra la tendenza da parte dei servizi a prevedere un percorso riparatorio solo in presenza di una richiesta esplicita da parte del TS. Tale dato impone una riflessione su come debba essere riformulato il rapporto funzionale e la possibile interazione tra i Centri e la Magistratura, che sarà oggetto di successivo approfondimento.

Il dato che rileva, che in 46 Centri non sono stati attivati sistemi di rilevazione, valutazione e monitoraggio, è la diretta conseguenza di un’applicazione tuttora limitata di progetti riparativi. Non è irrilevante il dato (20 hanno risposto in senso affermativo) relativo all’inserimento nella banca dati dell’archivio delle risorse di rete delle risorse disponibili ad accogliere persone ai sensi del 7 CO. ex art. 47 OP. Tuttavia tale dato va considerato con cautela, anche se è compatibile con una certa attivazione riscontrata nell’attività dei Centri nel promuovere riunioni d’ufficio e nello stabilire contatti con la magistratura di sorveglianza, gli enti locali e il privato sociale.

È interessante notare che il TS chiede sempre o spesso al CSSA l’indagine sia per i soggetti che fanno istanza di affidamento ex art. 47 O.P. (41/13) sia per i soggetti che fanno istanza di affidamento ex art. 94 T.U. DPR 309/90 (34/11). Il dato relativo all’applicazione dell’art. 94 è tuttavia meno frequente (in 10 casi viene richiesto raramente): si può ipotizzare che per tali richieste il magistrato possa avere acquisito da altre fonti notizie sulla personalità e l’ambiente sociale del condannato e prevalentemente dalla documentazione sanitaria. Si può altresì notare come la magistratura attribuisce all’inchiesta sociale un valore fondamentale tra le attività svolte dal servizio.

Ben 44 CSSA acquisiscono le sentenze di condanna e tra questi ben 41 Centri la chiedono al giudice di cognizione. Si rileva come dato preoccupante la mancata attivazione di ben 13 CSSA per acquisire le sentenze e di contro va notato che solo in un caso il Tribunale di Sorveglianza viene citato come organo che concorra - con l’invio della sentenza - alla concreta possibilità dei Centri di contestualizzare la propria attività rispetto al reato da parte dei soggetti segnalati dal TS e presi in carico.

L’acquisizione della sentenza assume importanza per l’inchiesta socio familiare (39) che deve essere effettuata dall’assistente sociale sul condannato e in tre casi viene richiesta al momento della concessione dell’affidamento. E’ ampiamente confermata (45) una metodologia operativa che prevede una riflessione sul reato, le sue conseguenze ed eventuali ipotesi riparatone. Ciò lascia presumere - anche in relazione ad altri items come l’attività del servizio sociale sia già ampiamente proiettata - nell’ambito delle metodologie professionali proprie - all’attivazione di percorsi di responsabilizzazione dei condannati.

L’analisi dei dati raccolti evidenzia come i Centri nella relazione da inviare al TS non facciano riferimento in larga parte ne al contesto del reato ne alla disponibilità del reo ad aderire ad una ipotesi riparatoria, ne ad una ipotesi riparatoria vera e propria (30/30/36). Non è tuttavia irrilevante il numero dei centri che attesta no la presenza nelle relazioni delle 3 categorie considerate (27.27.21). Ciò comporta una distribuzione piuttosto equa che non esclude che il servizio sociale faccia comunque in buona parte una ipotesi riparatoria da proporre al Magistrato di Sorveglianza: tale risultato sembra però contraddire il dato precedente da cui risultava che il CSSA solo in misura limitata propone all’affidato un percorso riparatorio in assenza di una prescrizione del TS.

La terza area di interesse riguarda la prescrizione riparativa vera e propria in riferimento ai contenuti, alle modalità operative ed ai soggetti coinvolti (items 12,13,14,15,16,17,18,19).

E’ rilevabile una differenza significativa in merito all’inserimento del 7 co. dell’art. 47 da parte del TS se si tratta di affidati ex art. 47 o affidati ex art. 94: nel primo caso la prescrizione viene prevalentemente inserita spesso (24), ma anche sempre (14), mentre nel secondo caso viene prevalentemente non considerata (30) e se viene considerata (27) in maniera rilevante (16) è prevista raramente. Tale tendenza dimostra che per i tossicodipendenti è prevalente la finalità curativa sebbene essi commettano anche reati comuni.

Si rileva una distribuzione omogenea di applicazione della prescrizione a tutti i reati (20) o ad alcuni reati, dato che può apparire contraddittorio ed andrebbe approfondito. Nel secondo caso alcuni reati è prevalente comunque la tipologia di reati contro la persona 18 I scelta), ma anche reati contro il patrimonio (15 come I scelta) e qualche reato contro la pubblica amministrazione (3/4) e d’impresa (4 come II scelta). Anche a tale proposito varrebbe la pena approfondire il perché di tale prima scelta: gravità del reato, danno alla vittima e pertanto maggiore significatività della riparazione? O la scelta della tipologia del reato è casuale ed è soprattutto determinata dalla praticabilità dell’ipotesi riparatoria?

La prevalenza di prescrizioni generiche da parte del TS (37) è contemperata anche da una certa rilevanza di prescrizioni specifiche rapportate al reo e al tipo di reato(16) e di richiesta di predisporre un progetto riparativo (15): quasi del tutto assente la disposizione di contattare la vittima (49), e nei pochi casi presenti (8) ciò viene raramente (7) e se ne fa carico al condannato (4) e al difensore (3).

Analoga distribuzione omogenea si rileva in merito alla richiesta di riscontro da parte del TS per l’avvenuto risarcimento previsto nella sentenza di condanna (24 SÌ, 33 NO). Va rilevato che può essersi creato un equivoco rispetto alla formulazione della domanda; si intendeva, infatti, l’accertamento da parte del giudice del risarcimento previsto nella sentenza di condanna che può essere stato confuso con il risarcimento previsto all’interno della prescrizione riparativa. Andrebbe pertanto fatta una verifica sul dato emerso.

Di contro per quanto riguarda la tipologia delle prescrizioni riparative si evince dai dati che è prevalente quella che prevede una riparazione materiale di tipo economico (32 centri come I scelta) facilmente confusa con l’azione risarcitoria, ma è significativo anche il dato relativo all’attività gratuita di pubblica utilità (13, 26, I e II scelta).

Pur considerando che in molti casi non si è avuta nessuna risposta (11 - 1° scelta, 27 2° scelta), è chiaro che la prescrizione prevista al co. 7 dell’art. 47 OP è soprattutto eseguita, quando lo è, nelle forme di attività riparativa di natura economica e nell’attività di volontariato. Non a caso tra i primi items le strutture coinvolte che emergono in modo significativo sono soprattutto le associazioni di volontariato. E’ interessante notare che ciò si verifica in un numero consistente di Centri (26).

Il numero consistente di affidati che cercano autonomamente la risorsa presso cui prestare l’attività gratuita (26) mette in luce il problema della mancata attivazione da parte di un rilevante numero dei centri pur in presenza di indicazioni in tal senso da parte del Dap. Ciò comporta l’iniziativa da parte del condannato mediante presumibilmente l’avvocato difensore.

Vanno presi con cautela i dati sulla possibile revoca dell’affidamento in caso di mancato adempimento delle prescrizioni, ove i valori corrispondenti si distribuiscono con una certa omogeneità, SÌ in 24 centri, NO in 33, poiché si può ipotizzare che i Centri abbiano fatto riferimento nel rispondere al mancato adempimento di qualsiasi prescrizione e non di quella riparatoria, non essendo questo stato chiaramente esplicitato nella domanda.

Rispetto all’influenza che il mancato adempimento può avere sulla declaratoria è prevalente una risposta negativa (35), anche se non è rilevante il dato affermativo (24). Ciò conferma il diverso valore e i diversi significati attribuiti dalla magistratura alla prescrizione riparativa.

Dai dati degli items 18 e 19 si evince tuttavia la tendenza da parte della Magistratura ad attribuire alla prescrizione riparativa un valore vincolante sia in relazione all’ammissione sia in relazione all’esito. In relazione all’ultimo item da una lettura dei dati si evince che i Centri attribuiscono una maggiore problematicità alla fase dell’esecuzione (- 28) rispetto a quella dell’indagine (+ 28), ma il dato andrebbe ulteriormente chiarito.

 

Conclusioni

 

Dall’analisi dei dati raccolti con il 1° monitoraggio si possono formulare alcune riflessioni:

 

L’applicazione della giustizia riparativa nell’affidamento in prova è tuttora in fase iniziale e viene gestita all’interno dei rapporti tra TS e CSSA, con scarsa presenza e coinvolgimento delle strutture del territorio.

Emerge la tendenza da parte della magistratura ad utilizzare criteri diversificati sia nei contenuti che nella valutazione delle prescrizioni.

All’interno delle prime applicazioni della prescrizione riparativa prevalgono modalità soprattutto orientate verso la riparazione economica e l’attività gratuita in favore della collettività.

Si evince una mancanza di chiarezza circa il significato della riparazione la cui fisionomia soprattutto economica comporta notevole confusione con il risarcimento del danno, e conseguente ambiguità rispetto agli obiettivi.

È di tutta evidenza l’importanza di gettare le basi per la riflessione critica sul reato e lo sviluppo di ipotesi progettuali già nella fase operativa dell’inchiesta sociale.

La metodologia propria del servizio sociale tesa a dare impulso alle capacita del reo ad autodeterminarsi nel senso di un cambiamento è fondamentalmente idonea a sviluppare una corretta riflessione sul reato e le sue conseguenze.

La difficoltà di contestualizzare l’indagine e gli interventi rispetto al reato nasce spesso dalla mancanza di corrette notizie sul reato medesimo.

La presenza di una cultura orientata alla riabilitazione del reo piuttosto che alla rivalutazione della vittima ha significato fino ad oggi un limite allo sviluppo di ipotesi riparatorie.

 

 

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