Siamo al traguardo?

 

Forse questa volta siamo al traguardo

 

Il noto adagio dice: "Non dire quattro fin che non l’hai nel sacco", ma questa volta, salvo imprevisti, la situazione politica e parlamentare è tale d’aver maturato la sofferta decisione di risolvere, nei limiti del possibile, la penosissima condizione del nostro sistema penitenziario sovraffollato come mai prima d’ora era avvenuto: 58mila presenze su 42 mila posti. Domenica 22 dicembre la Commissione Giustizia della Camera ha licenziato per “Aula” (dove saranno discussi il 16 gennaio 2003 ) due disegni di legge non sovrapponibili e confliggenti, nel senso che l’Assemblea dovrà scegliere l’uno o l’altro (a questo punto è molto improbabile che li rigetti entrambi). Il primo intitolato "Sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di tre anni per reati commessi prima del 31 dicembre 2000", è un testo unificato dal relatore Buemi dei disegni 3323 (Pisapia) e 3386 (Fanfani).

La detta sospensione è concedibile una sola volta, sono esclusi i reati più gravi ed allarmanti, è concessa d’ufficio, è subordinata ad una serie di prescrizioni che se violate comportano il ripristino del carcere da parte del Magistrato di Sorveglianza, in caso contrario, la pena è dichiarata estinta. Il secondo testo, unificati dal relatore vari disegni di legge, prevede un condono classico di tre anni, revocabile, con varie esclusioni oggettive, per reati commessi entro il 30 giugno 2001.

Vale la pena di sottolineare che tutti o quasi tutti i disegni di cui sopra, sono di deputati; che il Governo è rimasto inattivo; che il secondo potrebbe non ottenere la maggioranza qualificata di 2/3 richiesta dall’art. 79 Cost. novellato nel 1992; che il ministro si è dichiarato contrario, (per altro rimettendosi al Parlamento); che il primo progetto, a differenza del secondo, può essere approvato a maggioranza semplice perché l’art. 79 sopra citato parla solo di “amnistia ed indulto”.

La novità sta proprio qui: la sinistra, allo scopo di sbloccare la situazione e neutralizzare l’effetto paralizzante dell’art. 79, per la prima volta ha "inventato" un nuovo istituto, quello della sospensione condizionale e generalizzata delle pene non superiori a tre anni. E’ pur vero che la misura non è prevista dalla nostra costituzione, ma non è neppure vietata: il legislatore è il dominus assoluto in tema di reati e di pene. Così come può crearne di nuovi, altrettanto può abolirli o sospenderli. Ma d’altra parte il codice penale da sempre concede al giudice della cognizione il potere di sospendere la pena nei singoli casi (artt. 163 e sgg.)

Si aggiunga che la motivazione dell’emanando provvedimento Bueni, esclude esplicitamente trattarsi di atto clemenziale, per nulla giustificato dalla situazione sociale attuale tutt’altro che tranquilla. Trattasi piuttosto di un provvedimento eccezionale, di portata limitata, dettato dallo stato di necessità in forza del quale la parte finale della pena detentiva inflitta per reati minori, a causa dell’incapienza del sistema evidentemente sottodimensionato rispetto ai bisogni reali, viene d’ufficio trasformata in una sorta di detenzione domiciliare, con prescrizioni precise sotto controllo della polizia.

Infatti, non è il caso di farsi illusioni, perché il sovraffollamento resterà, anche se attenuato, entro un anno al massimo la situazione sarà tornata ai livelli attuali, mentre per realizzare il piano edilizio straordinario che il ministro dovrebbe presentare entro gennaio, in forza dell’art. 5 legge 259/2002, occorreranno alcuni anni.

Concludendo, in estrema sintesi, tre sono le correnti di pensiero che in materia emergono e si fronteggiano in sede politico-parlamentare, resta fermo che nessuno parla di atto di clemenza. La prima, rappresentata dal disegno di legge Buemi approvato dalla commissione Giustizia della Camera di cui sopra si è detto, è una proposta originale, lineare, coerente che raccoglie una maggioranza piuttosto ampia e trasversale, con ottime prospettive. La seconda, di minoranza (disegno Fanfani) preferiva alla sospensione l’affidamento in prova al Servizio Sociale, concesso d’ufficio, senza osservazione della personalità o al più sulla base della regolare condotta certificata dal Direttore.

Fortunatamente la proposta non è passata, altrimenti sarebbe stato inferto un colpo mortale alla Riforma del 1975. A parte il Servizio Sociale non ancora strutturato in modo da reggere un carico di lavoro del genere sia per il controllo che per l’aiuto, deve essere chiaro che usare le misure alternative per alleggerire il carcere, sarebbe un errore che determinerebbe la rinuncia definitiva alla rieducazione, alla osservazione della personalità, al trattamento individualizzato.

Sono questi principi cardine irrinunciabili, che devono essere difesi a oltranza, costi quel che costi, se non vogliamo buttare a mare gli ultimi 25 anni di duro lavoro.

La terza, minoritaria, giustizialista, sostenuta da AN e Lega (che peraltro saggiamente lasciano libertà di voto ai loro deputati) è contraria a qualsiasi provvedimento. Tale presa di posizione è incomprensibile sul piano storico ed umano e profondamente ingiusta in diritto, perché:

 

si richiama alla critica situazione sociale che crea nella gente allarme, paure, sfiducia   e dimentica che l’art. 2 del disegno esclude tutti i reati gravi. I beneficiati saranno soltanto condannati di bassa o nulla pericolosità sociale;

non tiene in conto alcuno il fatto che tuttora i detenuti in Italia vivono in condizioni inaccettabili perché il sovraffollamento comporta condizioni di vita degradate, umilianti, pericolose per la salute oltre ad impedire un minimo di trattamento rieducativo. Risulta così chiaramente violato l’art. 27 della Costituzione che esige senso di umanità e attività tendenti alla rieducazione.

le condizioni suddette sono irrinunciabili, obbligatorie per lo Stato, primarie in senso assoluto perché non c’è esigenza di sicurezza che tenga e che giustifichi una situazione così deficitaria. La sicurezza deve essere garantita ma da un sistema legittimo.

dimentica tale posizione di arretratezza culturale che già oltre 150 anni addietro, uno studioso bresciano dimenticato, l’avv. Giuseppe Saleri scriveva (ed era un seguace delle teorie filadelfiane) che la pena deve essere circoscritta “nel limite del necessario” e che il delinquente in carcere, salvo l’effetto della punizione, non perde né i diritti dell’uomo né quelli di membro del sociale consorzio.

 

Parole profetiche riprese dalla Corte Costituzionale con la sent. 26/1999 che, fulminando l’art. 35 legge 354/75 per la mancanza di strumenti a difesa dei diritti dei detenuti, cosi privi di tutela giudiziaria, ha scritto che devono essere salvaguardati quei "diritti non temporaneamente compresi con effetto della pena" e che "la dignità" della persona è protetta attraverso il bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo che anche il detenuto porta con se lungo tutto il corso dell’esecuzione...". Spiega la Corte che il detenuto e’ esposto al possibile pericolo di abusi e pertanto la vigilanza deve essere rigorosa.

 

 

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