Approccio alla tossicodipendenza

 

Note a favore di un approccio globale alla tossicodipendenza

di Carlo Alberto Romano

 

Dignitas, novembre 2003

 

Secondo una nota definizione dell’Oms la tossicodipendenza è: "una condizione di intossicazione cronica o periodica, dannosa all’individuo e alla società prodotta dall’uso ripetuto di una sostanza chimica, naturale o di sintesi".

Sono sue caratteristiche:

il desiderio incontrollabile di continuare ad assumere la sostanza e di procurarsela con ogni mezzo;

la tendenza ad aumentare la dose per avere gli stessi effetti piacevoli;

la dipendenza psichica e talvolta fisica dagli effetti della sostanza.

 

Nella tossicodipendenza sono quindi compresi aspetti diversi.

l’aspetto giuridico: il consumatore di prodotti vietati infrange una norma e quindi incorre in una sanzione;

l’aspetto economico: la sostanza stupefacente rappresenta un costo per l’individuo e per la società;

l’aspetto medico – farmacologico: concerne lo stato di salute del consumatore egli effetti biochimici indotti dalle sostanze sull’organismo;

l’aspetto psichiatrico: concerne i disturbi psichici connessi al consumo;

l’aspetto psicologico: concerne le conseguenze sul consumatore nella vita di relazione;

l’aspetto socio – culturale: concerne la dissonanza con il suo ambiente sociale.

 

Come altri fenomeni, anche la tossicodipendenza è quindi di tipo complesso; si tratta, in particolare, di un fenomeno composto da fattori fra loro eterogenei, di natura culturale, economica, psicologica, biologica e giuridica, che costituiscono a loro volta differenti epifenomeni e che, singolarmente, ritroviamo frequentemente nei comportamenti umani. Diventare tossicodipendente non dipende quindi dal caso ma da circostanze fortemente influenzanti. Il fenomeno della tossicodipendenza è generato dall’interazione di tre fattori:

la sostanza;

il consumatore;

l’ambiente sociale in cui si realizza l’incontro dei primi due fattori.

Il consumatore non può essere valutato a priori come una personalità patogena, il suo consumo di sostanze stupefacenti è solo una, anche se talvolta dominante, delle varie attività poste in essere dal soggetto e una sostanza diventa droga e ingenera dipendenza solo in presenza di quell’ambiente che ha correlato le attività soggettive e la sostanza stessa. La tossicodipendenza deve pertanto essere trattata nella sua globalità, in caso contrario l’approccio rischia di essere parziale e non esplicativo del fenomeno.

Dal punto di vista criminologico, e non medico legale, non esiste un limite preciso che separi lo stato di non tossicodipendenza da quello di tossicodipendenza, si tratta di una evoluzione di fasi e tappe successive, diverse e asincrone da soggetto a soggetto. Quando si stabilisce un rapporto di causalità tra le modificazioni del suo stato di coscienza e la compulsione verso la sostanza, l’ambiente sociale nel quale è avvenuta l’iniziazione al consumo diventa determinante, e la tossicodipendenza viene conseguentemente definita come devianza, oppure disagio.

La distinzione non appaia pretestuosa; in base all’approccio definitorio variano anche le strategie di prevenzione che, nonostante la loro eterogeneità, sono sostanzialmente riconducibili a due paradigmi teoretici:

strategie riconducibili ai paradigma del disagio, che ricollegandosi al modello medico, spiega la tossicodipendenza in base a cause intra-individuali e cioè come malattia;

strategie riconducibili al paradigma adattivo che la interpreta in rapporto all’interazione della persona con il suo ambiente di vita.

Secondo la prima teoria, il consumo abituale di droga è frutto di una predisposizione individuale che può avere base biologica e/o psicologica e che si manifesta in conseguenza del contatto con la droga. I tossicodipendenti sono dei malati, sia perché presentano tali anomalie, sia perché l’azione della droga ha distrutto o ridotto la loro capacità di autonomia. Dal momento che il tossicodipendente è un malato, la sua malattia per essere curata richiede il trattamento di esperti.

Il paradigma adattivo, costituisce la sintesi di diverse teorie sviluppate in ambito psichiatrico, psicologico e sociologico e interpreta il ricorso alla droga come il risultato di un intreccio complesso di fattori, da quelli biologici, a quelli cognitivo motivazionali e di personalità, a quelli interpersonali e situazionali. In questa prospettiva l’abuso di sostanze stupefacenti è visto come una strategia disfunzionale utilizzata per il tentativo di fronteggiare esperienze e situazioni di disagio.

 

Questo paradigma non interpreta l’abuso di sostanze stupefacenti come una sorta di malattia, di patologia o di disordine, ma come il risultato del tentativo di far fronte a disparate situazioni tramite l’uso di certe sostanze.

L’adesione all’uno o all’altro paradigma non è indifferente e influenza il modo in cui i problemi associati al consumo di sostanze stupefacenti e psicotrope sono valutati e orienta la scelta dei tipi di trattamento che si possono adottare.

Il problema riguardante la scelta delle strategie preventive più opportune risulta quindi connesso con la capacità di "cogliere l’eterogeneità della tossicodipendenza, per cui non esiste un modello standard valido per tutte le situazioni, ma si devono accettare le molte strade con l’unico discrimine del rispetto della persona; si devono evitare le scelte univoche per concentrarsi sulla differenziazione dei servizi."

Pare che il motivo dominante nei percorsi decisori in tema di scelta di strategie preventive sia la contrapposizione fra due priorità: l’esigenza repressiva e l’esigenza della salute pubblica. Ciò ha originato la contrapposizione fra due opzioni, ormai assurte ad un ruolo e funzione ideologica, quella proibizionistica e quella anti proibizionistica. Da un lato l’opzione repressiva, che proibisce decisamente anche il consumo, che combatte le sostanze illegali a tutti i livelli, dal traffico internazionale al consumo occasionale, in una visione della tossicodipendenza legata soprattutto all’aspetto di devianza che ha spesso sommato alla tossicodipendenza stessa l’aspetto delinquenziale che è conseguenza della sua illiceità; essa persegue quale obiettivo finale di ogni sforzo preventivo "una società senza droga".

Dall’altro l’opzione liberale che si muove nell’ottica del rischio minore; parte dalla constatazione che le droghe siano ormai imprescindibilmente connesse alla nostra società, propugna un’azione di contrasto verso gli interessi delle organizzazioni criminali ma non verso il consumo personale; propone una distinzione fra droghe leggere e pesanti, in base ai rischi scientificamente riconosciuti sul piano sanitario e sociale; il tossicodipendente è considerato soprattutto un malato ed ogni sforzo deve essere profuso per evitare che entri in contatto con le organizzazioni criminali che gestiscono lo spaccio; non punta all’astinenza totale, ma alla reintegrazione sociale della persona, anche attraverso la capacità di autogestione del consumo personale.

Certamente la lotta alla droga non è solo una questione di polizia giudiziaria, anche se la nota preponderante delle politiche di contrasto dei paesi europei privilegia una impostazione basata sulla repressione di produzione e traffico illecito delle sostanze stupefacenti.

Ciò discende sostanzialmente dall’adesione alle tre Convenzioni internazionali delle Nazioni Unite. la Convenzione unica sugli stupefacenti di New York, la convenzione di Vienna del 1971 sulle sostanze psicotrope e quella del 1988 contro il traffico illecito, ispirata ad un inasprimento della repressione non solo dell’offerta ma anche della domanda di droga.

D’altro canto lo stesso Parlamento europeo nel giugno del 1995 ha riconosciuto che "vi sarà sempre nella nostra società, una domanda di droga (…) le politiche finora adottate non sono state in grado di impedire l’espansione dei i commercio illegale di sostanze stupefacenti". Vero è che le proposte terapeutiche praticate in quest’ottica di rigida contrapposizione si sono rivelate non in grado di arginare il fenomeno. Probabilmente è giunto il tempo di superare questa rigida contrapposizione, per lasciare spazio ad un approccio di convivenza conflittuale con la droga, inteso come scelta di rifiuto di ogni atteggiamento elettivamente neutrale o impositivo.

Ideologico è configurare la droga come immagine moderna del male, come colpa, ma lo è anche teorizzare il diritto alla droga come libertà, ignorando gli effetti distruttivi delle tossicodipendenze. È un diritto non essere punito per l’uso di droga, ma lo è pure non essere abbandonati a se stessi nel proprio disagio e nella sofferenza; da più parti si avanza l’idea di intervenire sulla persona, più che sulla sostanza, o comunque, su entrambe.

Percorsi coerenti sembrano essere quelli di separare nettamente tra loro, sui piano culturale e normativo, droghe pesanti e leggere, in quanto trattasi di realtà disomogenee e diverse per tipologia di consumatori e caratteristiche delle sostanze; sviluppare interventi di riduzione del rischio, confrontando esperienze europee sugli interventi possibili (Paesi Bassi, Confederazione Elvetica, Germania etc.); dare voce ai consumatori di droghe, quali interlocutori accreditati delle istituzioni nella elaborazione delle strategie preventive, superando la visione del tossicodipendente oggetto di intervento punitivo o, al più, riabilitativo.

La lotta al consumo di stupefacenti non riguarda solo le persone coinvolte, aspetto peraltro certamente non indifferente, quanto le conseguenze sociali che tale sistema produce, cioè le conseguenze su quell’ambiente sociale nel quale è avvenuta l’iniziazione al consumo e che abbiamo poc’anzi definito determinante in proposito; e così non ci si può occupare della sostanza senza prendere in considerazione chi ne fa uso. In conclusione ribadiamo che la tossicodipendenza deve essere trattata nella sua globalità e qualsiasi ipotesi di intervento su uno soltanto degli elementi che la costituiscono, consumatore, sostanza o ambiente rappresenta un errore scientificamente grossolano.

 

 

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