Articolo di Franco Corleone

 

Due mondi a confronto

di Franco Corleone

 

Mentre il Consiglio dei ministri dà il via al disegno di legge Fini, 69 deputati presentano una proposta alternativa

 

Fuoriluogo, 28 novembre 2003

 

Tanto tuonò che piovve. Dopo ripetuti annunci, il testo del disegno di legge finalizzato (parola di Fini) ad una "svolta di 180 gradi nella politica sulle droghe", è stato presentato in Consiglio dei ministri ottenendo un consenso unanime. La riunione a Palazzo Chigi si è tenuta giovedì 13 novembre e, con un pizzico di cinismo, si è approfittato dell’assenza del ministro Martino volato in Iraq per la strage dei militari italiani, evitando così ogni confronto. Lo stesso giorno e alla stessa ora si è svolta una conferenza stampa, per presentare la proposta di legge alternativa sottoscritta finora da 69 deputati e che ha il numero 4208. È interessante l’esame comparato dei due testi, che rappresentano due mondi, due culture, due concezioni del diritto, dello stato e della libertà dei cittadini.

 

La proposta del cartello "dal penale al sociale"

 

La proposta sottoscritta dai parlamentari diessini, della Margherita, di Rifondazione, dei comunisti italiani, dei socialisti e dei verdi ha un asse concettuale chiaro, coerente con il risultato del referendum del 1993 e con le acquisizioni migliori delle conferenze nazionali di Palermo, Napoli e Genova. Al fine di superare le contraddizioni della legge esistente, viene riproposto per la parte sanzionatoria il testo elaborato nella scorsa legislatura da una Commissione istituita presso il ministero della giustizia e coordinata dal magistrato Giuseppe La Greca (ipotesi rimasta sciaguratamente nel cassetto); per la parte sulle misure alternative, l’elaborazione curata da Sandro Margara. La relazione introduttiva alla legge riproduce anche il testo dell’appello-documento del cartello di associazioni "Dal penale al sociale", segnalando positivamente la sinergia fra momento istituzionale e movimenti della società, e fa proprio l’intendimento di non limitarsi alla denuncia e alla difesa dello status quo, ma di proporre un avanzamento per nuove politiche di inclusione sociale.

 

Pene più basse per una legge più giusta ed efficace

 

La proposta di legge prevede un sostanziale ridimensionamento delle pene: da 1 a 6 anni per lo spaccio delle sostanze della tabella I (eroina, cocaina, ecstasy), e da 6 mesi a 2 anni per la tabella II (canapa): al posto, rispettivamente, di 8-20 per la tabella I e di 2-6 anni per la tabella II. L’opzione di ridurre le pene nasce dalla constatazione del fallimento di quasi tredici anni di applicazione della Jervolino Vassalli, che aveva scelto l’innalzamento delle pene finalizzato al recupero in programmi alternativi al carcere. In realtà, la previsione di una pena minima di otto anni di reclusione per le condotte di semplice spaccio, ha determinato un rilevantissimo innalzamento delle pene da scontare, con migliaia di persone che non possono accedere ad alcuna misura.

Per ovviare a ciò, si sarebbe potuto innalzare i livelli di pena che consentono l’accesso alle misure alternative. Ma, come si spiega nella relazione introduttiva, "tale proposta, pur condivisibile nello spirito, si tradurrebbe però in una esaltazione della irrazionalità del sistema, allargando la forbice tra pena inflitta e pena effettivamente scontata. Più razionale appare la scelta di adeguare il sistema sanzionatorio ai livelli previsti dal codice penale per reati gravissimi, dall’associazione di tipo mafioso alla violenza sessuale, dalla rapina e l’estorsione alla corruzione e concussione. La pena attuale da otto a venti anni risulta sproporzionata, velleitaria e ingiusta".

Per lo spaccio di lieve entità le pene sono ridotte rispettivamente alla reclusione da sei mesi a tre anni e da tre mesi ad un anno. Si prevede anche per il soggetto tossicodipendente la possibilità di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.

 

Il consumo è completamente depenalizzato

 

L’art. 73, che incardina la parte penale della legge, è stato riscritto in maniera più semplice, senza le ridondanze attuali, riprese dalle convenzioni Onu, ed eliminando con chiarezza ogni ipotesi di sanzione per le condotte di consumo. È reso esplicito il principio che non è punibile né l’uso delle sostanze, né la detenzione per l’uso e che pertanto è punibile solo la detenzione al fine di cedere la sostanze ad altri per ricavarne un profitto, cioè in una parola, la vendita. Ciò significa che, a differenza di quanto accade oggi, non sono più penalmente perseguibili né la cessione gratuita né la cosiddetta coltivazione domestica. In questa logica sono soppresse anche le sanzioni amministrative per i consumatori, che rappresentano una inutile afflizione nei confronti di soggetti che avrebbero bisogno di aiuto e di sostegno, e non certo di una ulteriore spinta verso l’emarginazione e il delitto.

 

È riconosciuta la riduzione del danno

 

Un nuovo articolo prevede interventi di riduzione del danno e a titolo esemplificativo cita l’offerta gratuita di analisi delle sostanze per i consumatori (il pill testing); la predisposizione di luoghi igienicamente idonei presso i quali è possibile l’assunzione di sostanze (le injecting rooms); la distribuzione di siringhe e di profilattici. È una soluzione limpida per superare i dubbi che si sono manifestati in sede di interpretazione della legge e quindi in campo operativo.

 

Più facili le alternative fuori dal carcere

 

Le modifiche al sistema previsto per l’affidamento in prova dei detenuti tossicodipendenti (art. 90 e 94 in particolare) hanno lo scopo di superare le difficoltà di applicazione da parte dei tribunali di sorveglianza. Nel rivedere il regime degli interventi alternativi alla detenzione per i tossicodipendenti si sono prese in considerazione alcune situazioni di particolare disagio, fra le quali quella degli stranieri, per prevederne, comunque la presa in carico da parte dei servizi pubblici.

 

Il disegno di legge Fini, contro il referendum popolare

 

Il disegno di legge governativo è in totale opposizione al testo sopra esaminato, e propone misure e sanzioni assai più pesanti di quelle della legge Jervolino-Vassalli del ‘90. La gravità politica di questo provvedimento consiste in primo luogo nella cancellazione del risultato del referendum abrogativo del ‘93, che aveva bocciato la punizione del consumo ad uso personale. Per la prima volta si intenderebbe annullare la volontà espressa direttamente dai cittadini, e questo a mio parere pone anche problemi di legittimità costituzionale.

 

Pene pesanti per sostanze leggere

 

È reintrodotto l’art. 72, ossia la norma - manifesto sul divieto d’uso di qualsiasi sostanza, già abrogato dal referendum. L’altra modifica centrale nello schema repressivo e punitivo è l’unificazione delle tabelle delle sostanze per cui la stessa tabella I contiene l’oppio, la coca, le amfetamine, gli allucinogeni e la cannabis indica. Ciò significa che le pene dell’art. 73 (spaccio) vengono drasticamente inasprite, in quanto unificate verso l’alto: il semplice spaccio viene perciò punito con la reclusione da 6 a 20 anni. Anche la pena proposta per i "fatti di lieve entità" (leggi, il piccolo spaccio) è quella attualmente riferita alle sostanze "pesanti", cioè da 1 a 6 anni.

Una novità: per il piccolo spaccio, il giudice, su richiesta dell’imputato, può commutare la pena in uno stesso periodo di lavori forzati (eufemisticamente chiamati lavori di pubblica utilità) anche in comunità. Un altro cardine è la reintroduzione di una soglia quantitativa di sostanza detenuta, prevista nella tabella I al di sopra della quale scatta la presunzione di spaccio: una riedizione della famigerata "dose media giornaliera" contenuta nella Jervolino - Vassalli, anche questa abrogata dal referendum. Detto chiaramente: per diventare spacciatori presunti, non occorrerà vendere una quantità di sostanza a qualcuno, ma basterà avere a casa o in tasca più di 250 (in una prima versione si indicava la soglia di 150) milligrammi di cannabis, 500 di cocaina, 0,05 di acido lisergico, 200 di oppio, 200 di morfina, 200 di eroina.

 

Sanzioni amministrative più vessatorie, comunità come carceri

 

Per la semplice detenzione sotto la "soglia maledetta" prevista dalla burocratica tabella, scattano le sanzioni amministrative, rese ancora più odiose delle attuali e moltiplicate per tre volte o per sei volte per i possessori di uno spinello: con la previsione in caso di violazione, dell’arresto fino a diciotto mesi. La ventata punizionista ha abolito la semplice "ammonizione" da parte del prefetto, finora prevista alla prima violazione. Inoltre, il sottoporsi ad un programma terapeutico non sospende le sanzioni, come oggi accade. L’accanimento punitivo è mascherato dalla possibilità di eseguire un programma riabilitativo in comunità, in alternativa al carcere. Ma l’inasprimento delle pene rende più esplicitamente coattiva questa misura, trasformando così le comunità in luoghi di custodia più che di trattamento.

Dulcis in fundo: il programma terapeutico dei Ser.T. prevede che i medicinali stupefacenti siano utilizzati a dosaggi decrescenti. Insomma, come ci si aspettava, il metadone a mantenimento è stato demonizzato per legge. I 112 articoli del disegno di legge riservano sorprese allucinanti di ogni genere, dalla previsione di una spesa non inferiore a cinque milioni e rotti di euro per spese di campagne pubblicitarie, all’obbligo dei docenti nei corsi di informazione scolastica di denunciare i giovani che abbiano fatto uso di sostanze stupefacenti alle famiglie; dall’esautoramento delle regioni, al fiume di denaro utilizzato discrezionalmente dal dipartimento antidroga.

Ci sarà tempo e modo per analizzare questi e altri gravi aspetti della proposta Fini, ma intanto una cosa è certa: questo manifesto di intolleranza va combattuto con fermezza, senza riserve.

 

 

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