Articolo di Marco Cafiero

 

Castelfranco Emilia: un’esperienza?

di Marco Cafiero

 

Progettouomo.net, 31 marzo 2005

 

Le perplessità dei procedimenti applicati nei confronti dei tossicodipendenti nasce tra le mille contraddizioni che da oltre trenta anni caratterizzano il dibattito estenuante sulla presenza del tossicodipendente in carcere. Non sono bastate le apparenti inversioni di rotta, che hanno mantenuto comunque inalterata l’illiceità della detenzione e del consumo di stupefacenti - tale da agevolare l’inserimento del consumatore nel circuito criminale -, a smorzare la querelle: si continua a cercare, infatti, una risposta adeguata al tossicodipendente detenuto.

Il Dpr 309/90 prevedeva l’istituzione di sezioni a custodia attenuata che decollavano con fatica alla fine degli anni novanta, sulla scorta dell’esperienza di Sollicciano e del Progetto "Arcobaleno".

L’idea, naturalmente buona, era quella di facilitare il passaggio del detenuto tossicodipendente al circuito penale esterno, caratterizzato da un progetto di recupero, attraverso un momento di decantazione in luoghi sempre restrittivi ma meno destrutturanti. Non mi sembra che l’idea, però, sia stata la panacea. I tossicodipendenti continuano ad affollare le patrie galere, le esperienze di questo tipo sono molto limitate e, comunque, poco recettive.

Nel frattempo l’orientamento politico sembra essere diretto ad un maggior rigore sanzionatorio, anche se foriero di alternative, purché garantisca il controllo sociale. La proposta di legge denominata "Fini" è, infatti, il frutto della volontà di correggere una normativa che non ha prodotto i risultati sperati e, nel contempo, di mandare un forte messaggio di disvalore sociale nei confronti del consumo di stupefacenti.

Sicuramente la politica indiscriminata nei confronti delle sostanze, se da un lato risponde alle esigenze di cui sopra, dall’altro, come abbiamo già evidenziato, rischia di criminalizzare fasce sociali indifferenziate. Sulla scorta di tale orientamento nasce il progetto di Castelfranco Emilia. E’ evidente la volontà di offrire opportunità salvifiche conseguenti proprio al pugno di ferro che potrebbe abbattersi sui consumatori di sostanze. La coerenza è ineccepibile, l’opportunità fa pensare.

 

La riabilitazione necessita di ambienti adeguati

 

Non voglio unirmi al coro dei luoghi comuni che proliferano sulla possibilità che una realtà del genere possa diventare un "ghetto", mi preoccupa, solo, l’idea che una struttura simile si cronicizzi. Temo che possa rappresentare una rinuncia all’applicazione più flessibile della pena nei confronti dei tossicodipendenti. Potrebbe divenire la "modalità" di curare il tossicodipendente in carcere per eccellenza, a discapito di quella più ovvia rappresentata dalla realizzazione di un percorso all’esterno.

E’ molto facile cadere in tranelli ideologici denigrando a priori un progetto del genere, per questo motivo non ritengo opportuno prendere posizione contro l’aspetto gestionale che vede, indiscutibilmente in pole position, la Comunità di San Patrignano.

L’idea di privatizzare il sistema sanzionatorio mi appare ancora lontana e di difficile realizzazione. Non voglio pensare che questo progetto ne rappresenti il presupposto: tale timore è, forse, un ulteriore tranello ideologico. Sicuramente questa iniziativa apre le porte all’approvazione di una normativa che, nelle more dell’approvazione, dovrebbe consentire ai nostri politici di attuare adeguati correttivi. La realizzazione di una struttura di tal genere rischia di cristallizzare una ideologia di estremo rigore che, a mio avviso, non costituirà la soluzione adeguata.

Sono ancora dell’idea che l’intervento in carcere vada effettuato in modo assolutamente pregnante, ma per periodi brevi e mirati alla fuoriuscita di soggetti tossicomani. L’ambiente restrittivo non consente un percorso di recupero adeguato: è difficile smantellare codici comportamentali tipici della struttura penitenziaria. Chi lavora nelle comunità di recupero sa come è difficile gestire persone sottoposte agli arresti domiciliari all’interno delle strutture comunitarie.

Come si può pensare di attuare un percorso riabilitativo articolato e fondato sul cambiamento all’interno di un edificio, già carcere tradizionale, con tutte le restrizioni che vi sono e con l’impossibilità, da parte del detenuto, di effettuare una scelta tra un regime attenuato e, quindi, privilegiato, ed il carcere tradizionale. Riflettiamo.

 

 

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