Carcere e droghe

 

Uscire dal carcere per uscire dalla droga

di Andrea Fantoma*

 

Il Dipartimento Nazionale per le politiche antidroga illustra le modifiche proposte dal Governo nel disegno di legge sulla droga, in merito alle misure di detenzione dei tossicodipendenti. Uno degli aspetti cruciali delle politiche sulle tossicodipendenze, sul quale siamo fortemente concentrati, quello dell’efficacia degli interventi, si pone come sfida ancora più impegnativa se riferito a detenuti tossicodipendenti o a tossicodipendenti autori di reati; si tratta, infatti, di un aspetto molto delicato poiché gli interventi sono rivolti a persone prive della libertà a causa di arresto o dell’applicazione della sanzione penale a seguito di condanna.

I progetti "La cura vale la pena" e "Dap Prima", dei quali si discutono oggi le articolazioni e alcuni risultati, e che seguo con molto interesse dalla loro nascita, rappresentano un importante segnale del valore aggiunto che la sinergia e la collaborazione tra le Istituzioni, tra diverse competenze e professionalità, possono apportare al nostro lavoro. Sono convinto che alle persone tossicodipendenti che, avendo commesso reati connessi al proprio stato, sono ristrette in carcere, vada rivolta una particolare attenzione.

La necessità di tale atteggiamento, del resto, è confermato anche dai dati della relazione al Parlamento degli ultimi due anni 2002-2003(1). Le osservazioni relative alla distribuzione maschio/femmina e all’età, chiariscono come la popolazione detenuta sia composta per il 90% di maschi di età inferiore a 40 anni. La forte presenza di detenuti stranieri (30%), soprattutto provenienti dal Nord Africa, Europa dell’Est, e America Latina sembra correlata all’aumento dei reati di traffico di sostanze stupefacenti.

Importante appare anche osservare come, a fronte di una sostanziale uniformità del numero dei detenuti nelle macroregioni del Centro-Nord e del Centro-Sud e Isole, la distribuzione sul territorio nazionale delle patologie di maggior impatto sociale e clinico (tossicodipendenza e malattia da HIV), analogamente a quanto accade fuori dal carcere, non è affatto omogenea, con regioni in cui le presenze giornaliere medie superano le 100 unità quali la Lombardia, il Lazio e il Piemonte, ed altre dove il problema della sieropositività per HIV in carcere appare pressoché irrilevante.

Da singoli studi condotti in diversi anni e in differenti Istituti si può tranquillamente asserire che le psicopatie, le malattie diffusive (epatiti virali croniche, TBC) e quelle dell’apparato grastroenterico, sono presenti con percentuali notevolmente superiori a quelle osservate nella popolazione in libertà. Quanto riferito deve far pensare ad interventi tecnici differenziati nelle varie regioni, secondo progetti locali finalizzati che tengano presente la peculiarità della domanda di salute proveniente dalle carceri.

Taluno argomenta che il problema della tossicodipendenza in carcere sarebbe legato all’illegalità delle sostanze e non alla gravità del problema della tossicodipendenza. Permettetemi, da medico, di dissentire profondamente da questa impostazione secondo la quale le persone entrerebbero in carcere perché le droghe sono illegali, non perché, come invece purtroppo è evidenziato da centinaia di pubblicazioni e ricerche scientifiche, ci sia un problema legato alla gravità della malattia, direi strettamente connesso all’uso di determinate sostanze, che può portare come conseguenza alla commissione di reati.

Non tratterò, per ragioni di brevità, delle teorie e delle polemiche che gravitano attorno al dibattito sulla relazione tra tossicodipendenza, devianza e criminalità. Ritengo sarebbe più utile, invece, capire se esistano e quali siano, (all’interno di un ottica che mira alla comprensione della personalità del tossicomane detenuto), i modelli di riferimento di cui ci si avvale tutt’oggi, al fine di chiarire quelle che sono le motivazioni che inducono questi soggetti a delinquere e i percorsi che delineano la loro carriera.

 

Del tossicodipendente detenuto si sa ancora troppo poco

 

Il tossicodipendente detenuto occupa, dal nostro punto di vista, un posto particolare nel panorama, seppur non vasto, degli studi clinici. Se delle caratteristiche psicopatologiche del tossicodipendente in genere alcuni dati si sono ottenuti, lo stesso non si può dire di questa specifica tipologia.

Ciò spiega e legittima, in qualche modo, il nostro interesse nell’indagare i motivi per cui questo tipo di ricerca, a nostro avviso fondamentale, si fermi letteralmente davanti al portone del carcere. Non si può negare la perplessità di coloro che nel carcere operano o di coloro che sul carcere teorizzano quando si scontrano con limitazioni di questo tipo. Limitazioni che danno vita a incomprensioni, facili generalizzazioni e costrutti ipotetici privi di un riconosciuto consenso.

E il dibattito non è e non deve essere solo psicologico, ma abbraccia ovviamente altri campi quali la sociologia, la medicina, la criminologia e non ultima la politica. Temi quali la prevenzione, le modalità detentive, l’intervento giuridico e quello terapeutico sono limitati da questa "latitanza" e poco efficaci le proposte ed i risultati. Del tossicodipendente detenuto si sa ancora troppo poco e non c’è da meravigliarsi se ogni teorizzazione che li riguarda presenta notevoli limiti.

Su questo il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga intende concentrare l’attenzione e gli sforzi atti a favorire una ricerca multicentrica che colmi, almeno in parte, il deficit di conoscenze di questa parte del fenomeno.

Tornando ancora per un momento ai dati, è opportuno peraltro rilevare come, a fronte di una lieve diminuzione dei detenuti (da 55.670 nel 2002 a 54.237 nel 2003) e, fra di essi, dei tossicodipendenti (da 15.429 nel 2002 a 14.332 del 2003), si noti un aumento dei trattamenti: per quanto riguarda quelli psico-sociali si va dai 12.369 del 2002 ai 15.082 del 2003, mentre quelli di tipo farmacologico vanno dai 7.172 del 2002 agli 8.081 del 2003).

 

Incentivare l’utilizzo di strumenti alternativi al carcere

 

Risulta evidente, quindi, l’interesse delle Istituzioni al recupero dei soggetti tossicodipendenti anche mediante l’utilizzo degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla vigente normativa.

In questa direzione si muove il disegno di legge di revisione del Testo unico sulle tossicodipendenze attualmente all’esame del Senato; e su questo mi voglio brevemente soffermare.

Gli interventi di modifica, infatti, si fanno carico del dramma sociale del tossicodipendente detenuto, prevedendo strumenti finalizzati a favorire la rieducazione e ad offrire al soggetto la certezza della solidarietà sociale attraverso programmi di recupero.

L’intento è duplice: da un lato, utilizzare la detenzione come fase di cambiamento e come momento di valutazione motivazionale, favorendo la trasformazione dell’ambiente carcerario destinato ad accogliere le persone tossicodipendenti in una struttura a carattere trattamentale (vagamente similare alle comunità terapeutiche), dall’altro, spingere, anche ricorrendo all’effetto deterrente della sanzione, il soggetto ad intraprendere percorsi di recupero che lo conducano al di fuori dello stato di tossicodipendenza.

Potenziando gli istituti già presenti nella legislazione vigente, il disegno di legge, dunque, prevede sia il miglioramento delle condizioni di espiazione della pena del detenuto tossicodipendente, sia vie privilegiate di allontanamento dal circuito carcerario, se lo stesso decide, o è nelle condizioni, di intraprendere un percorso di recupero.

 

Le modifiche proposte nel nuovo disegno di legge sulla droga

 

Questi principi cardine della riforma trovano un significativo riscontro nelle proposte di modifiche apportate ai seguenti istituti:

 

All’art. 89 (Arresti domiciliari): al fine di contemperare al meglio le esigenze di tutela della sicurezza pubblica da una parte e della salute del tossicodipendente dall’altra, si è integrato il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere con la previsione della obbligatoria sottoposizione agli arresti domiciliari, da scontare anche presso le strutture private iscritte all’albo di cui all’art. 116.

Poiché sovente i tossicodipendenti commettono i delitti di rapina ed estorsione aggravata si è ritenuto di estendere a tali reati l’applicabilità della disposizione, subordinandola tuttavia, in considerazione del particolare allarme sociale da essi destato, all’esecuzione di un programma terapeutico residenziale.

L’esigenza di garantire un contesto di sicurezza all’interno del quale applicare queste nuove forme di esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà e della pena al di fuori del carcere, ha richiesto l’introduzione di uno specifico obbligo di segnalazione a carico dei responsabili delle strutture di recupero, così da evitare usi strumentali degli istituti di favore. L’omissione della segnalazione da parte del responsabile, quando la violazione commessa dalla persona sottoposta al programma integri una fattispecie di reato, comporta la revoca o la sospensione dell’iscrizione all’albo di cui all’art. 116 e della convenzione di cui all’art. 117. In taluni casi, nel valutare la condotta omissiva, dovrà tenersi conto del peculiare ruolo del responsabile e delle inevitabili ripercussioni della denuncia sulla prosecuzione e sulle possibilità di successo del programma di recupero. Ad esempio, in caso di allontanamento del tossicodipendente dalla struttura, potrà considerarsi perfezionata l’ipotesi di omissione solo al trascorrere di un congruo arco temporale utile a consentire l’espletamento di ogni iniziativa finalizzata a ricondurre, in tempi ragionevoli, il soggetto all’interno della struttura stessa.

 

All’art. 90 (sospensione condizionale della pena), dal momento che la consumazione di reati unitamente all’uso di stupefacente costituisce indice di pericolosità sociale, si è ritenuto più opportuno riservare questo istituto solo a coloro che si sono già sottoposti con esito positivo al programma di recupero e preferire, per coloro che ancora hanno problemi di tossicodipendenza, il diverso istituto dell’affidamento il quale, attraverso le relative prescrizioni, appare meglio contemperare le esigenze di tutela della collettività da una parte e della salute dell’interessato dall’altra. Poiché è frequente che i tossicodipendenti commettano numerosi reati di modesto allarme sociale che li portano ad essere condannati a pene le quali, cumulate, eccedono il limite attualmente vigente, sono state recepite le indicazioni del programma triennale del Governo relative all’innalzamento dei limiti di pena entro i quali si può fruire del beneficio. Tuttavia, si sono esclusi dal citato innalzamento i titoli esecutivi relativi a condanne per reati particolarmente gravi, per i quali, tenuto conto del maggiore allarme sociale, è parsa opportuna una più rigorosa tutela dell’interesse pubblico alla piena attuazione della pretesa punitiva ed alla sicurezza.

 

Con la modifica dell’art. 94 (L’affidamento in prova delle persone tossicodipendenti) sono state recepite le indicazioni programmatiche del Governo circa l’equiparazione tra strutture sanitarie pubbliche e quelle private iscritte all’albo regionale di cui all’art. 116. Il limite di pena è stato ampliato al fine di farlo coincidere con il nuovo minimo edittale dell’art. 73, in modo da consentire, a particolari condizioni, un accesso pressoché immediato all’affidamento in prova presso i servizi sociali.

È stato, inoltre, introdotto un meccanismo che consente la prosecuzione del programma ai fini del reinserimento sociale a coloro che hanno terminato positivamente la parte più strettamente terapeutica del programma stesso, in modo da evitare il rientro in carcere e l’interruzione del processo di recupero e di reinserimento.

 

La valutazione della connessione tra abuso di stupefacenti e disturbo mentale, ha autorizzato ad estendere l’ambito di operatività della misura custodiale in luogo di cura, prevista dall’art. 286 c.p.p., attraverso la disposizione che luogo deputato alla custodia possa essere - acquisendone il previo consenso- anche una comunità di recupero autorizzata che risulti idonea a garantire le esigenze della cura e quelle della sicurezza.

Per la speciale considerazione che deve meritare l’esistenza della eziologia (quasi una "molla") costituita dalla droga sulla realizzazione di reati, si è resa necessaria la modifica dell’art. 671 c.p.p. prevedendo espressamente che fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi sia la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza.

In tal modo, anche in sede di esecuzione, la sanzione, quale che sia la sua entità, deriverà non dalla somma aritmetica delle pene conseguenti a condotte illecite apparentemente slegate, ma da un puntuale adeguamento della pena alla realtà soggettiva del reo.

 

Lavori di pubblica utilità al posto della pena detentiva

 

Il disegno di legge, inoltre, individua soluzioni alternative al carcere anche per quelle persone tossicodipendenti o assuntrici di sostanze stupefacenti che sono incorse in sanzioni penali a causa della detenzione di sostanze stupefacenti in misura superiore a quella prevista dalle tabelle e che non solo non possono fruire della sospensione condizionale della pena, ma difettano anche delle condizioni per avviare un percorso di recupero in una struttura a ciò dedicata.

Si tratta del lavoro di pubblica utilità in luogo della pena detentiva: in un’ottica di gradualità delle sanzioni, viene offerta all’autore dell’illecito, che non potrebbe in alcun modo evitare l’espiazione della pena, un’ulteriore possibilità di riscatto. In base alla nuova norma, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti, può applicare, al posto delle sanzioni detentive e pecuniarie, il lavoro sostitutivo di pubblica utilità.

La scelta di porsi a disposizione della collettività è meno impegnativa rispetto all’ingresso in una comunità, ma non manca di esercitare un condizionamento costruttivo sul responsabile del reato, il quale può essere anche un mero assuntore di sostanze stupefacenti, e non necessariamente un tossicodipendente. Per evitare l’uso strumentale dell’istituto è previsto che tale beneficio non possa essere concesso più di due volte e che va revocato nell’ipotesi della violazione degli obblighi assunti.

In conclusione ed in estrema sintesi, in attesa che il disegno di legge percorra il suo iter parlamentare, momento fondamentale di democrazia, e che il Parlamento sovrano decida se e come modificare la legislazione in materia, permettetemi di concludere ricordando alcuni degli obiettivi che ci dobbiamo porre a prescindere dall’esito del suddetto iter:

garantire la continuità diagnostico-assistenziale alle persone detenute

garantire una migliore qualità delle prestazioni

garantire minori tempi di attesa per le prestazioni diagnostiche di II livello

incentivare la popolazione detenuta a mantenere i contatti con le strutture territoriali di assistenza psichiatrica e per le tossicodipendenze anche dopo la detenzione ottimizzare le risorse economiche necessarie alla gestione di un servizio sanitario in carcere che non risulti penalizzante rispetto ai livelli di assistenza garantiti dal piano sanitario nazionale.

Perché ricordiamoci che prendersi cura di una persona tossicodipendente, anche nel momento in cui entra in carcere, è un dovere per le Istituzioni!

*Andrea Fantoma è Direttore dell’Ufficio per il Monitoraggio del Dipartimento Nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri

 

Fonte: La relazione di Andrea Fantoma è stata presentata al Convegno nazionale "Il tossicodipendente autore di reato: tra esigenze di sicurezza e responsabilità della cura", svoltosi a Roma il 27 gennaio 2005.

 

(1) Dalla lettura dell’ultima Relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia (anno 2003) si rileva che la situazione del fenomeno del consumo di sostanze stupefacenti, pur rimanendo sostanzialmente stabile dal punto di vista quantitativo, presenta cambiamenti di rilievo sotto il profilo qualitativo. Il numero di soggetti in trattamento presso le strutture, pubbliche e private, presenta un aumento poco significativo, in linea con quanto verificatosi nel corso degli ultimi anni. Con riguardo alle sostanze, si riscontra un aumento dei soggetti dipendenti da sostanze diverse dall’eroina, in particolar modo, degli utilizzatori di cocaina. L’atteggiamento delle nuove generazioni verso l’uso di sostanze stupefacenti si presenta mutato rispetto al passato e sembra indirizzarsi verso nuove tendenze che richiedono nuove strategie di prevenzione e di intervento.

È opportuna una sottolineatura per quanto riguarda l’uso dei derivati dalla cannabis - le impropriamente dette droghe leggere - che stanno diventando sempre più diffusi nel mondo giovanile e che, in misura sempre maggiore, vengono associati all’alcol e alle altre sostanze.

Si tratta di un uso che, pur rimanendo entro i valori riscontrati anche in ambito europeo, richiede specifici interventi di prevenzione, con particolare riguardo ai soggetti appartenenti alle categorie più vulnerabili, sia dal punto di vista socio-culturale, che da quello psico-individuale. Un’ultima notazione riguarda l’ecstasy e gli stimolanti che, nonostante l’elevato numero di sequestri, non risultano tra le sostanze per le quali venga percepito un rischio connesso al consumo, benché presentino un effettivo grado di pericolosità.

 

 

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