Alcologia e immigrazione

 

Alcologia e immigrazione: esperienze e interventi

Mestre, 14 novembre 2003

 

Studio di follow up sugli Istituti penitenziari del Veneto, di Morag MacDonald

Proposta alcologica rivolta agli stranieri delle carceri di Padova

Ricerca svolta dal Servizio Immigrazione del Comune di Venezia

Intervento di prevenzione, sensibilizzazione e cura a Vicenza

Attività Dipartimento per le Dipendenze dell’Azienda Ulss 9 di Treviso

Alcune riflessioni sul confronto culturale all’interno di una proposta alcologica rivolta agli stranieri delle carceri padovane

 

Gruppo di lavoro: Nicoletta Regonati, Francesco Borille, Stefano Buoso, Giulio Ciccia, Katia Cosmo, Zaira Pisaniello, Barbara Sacchetto.

 

Premessa

 

La scelta di usare il termine stranieri (e non immigrati, o extracomunitari, etc.) nasce non solo dalla necessità istituzionale di definire chiaramente il target a cui le attività sono rivolte, ma anche dalla scelta di identificare, a partire dalla terminologia, le necessità sulle quali il progetto è stato pensato prima, e realizzato poi.

La nostra attività nella Casa di Reclusione di Padova è iniziata nell’aprile del 1998, grazie ad una Convenzione con l’Azienda ULSS 16, durata fino al 1999 e non più rinnovata, come ampliamento dei programmi alcologici territoriali dei Club degli alcolisti in trattamento, già sviluppatisi nel territorio padovano e da diversi anni presenti anche nel carcere e dell’attività già svolta nell’Istituto dall’allora denominato Ser.T. 2 di Padova.

I Club, infatti, già dal 1992 offrivano alle persone detenute una risorsa importante per la rielaborazione delle esperienze e la progettazione di un futuro libero dalle sostanze, ma ci si era accorti che la percentuale degli stranieri che entravano nei programmi continuava ad essere molto bassa, in controtendenza con il suo aumento nella popolazione carceraria. (La storia di questa esperienza è stata raccontata in una videocassetta che si può richiedere) Parallelamente il Servizio Pubblico si trovava con poche risorse a dovere affrontare la mole di problematiche che la tossicodipendenza offriva in carcere, senza grande esperienza in tema di alcologia perché, per scelta, non se ne era occupato negli anni immediatamente precedenti.

La costituzione, a Padova, dell’Agenzia del Centro Alcologico Territoriale come insieme funzionale di realtà del privato sociale che da tempo si occupavano dei problemi alcolcorrelati e complessi, (e la conseguente realizzazione di progetti comuni, come quello rivolto al carcere di cui stiamo parlando), hanno permesso all’èquipe, non solo di riflettere da subito sul succitato "scollamento", ma anche di farlo con l’elasticità ed il privilegio di punti di osservazione territoriali che il privato sociale possiede.

Dal pensiero sono nate alcune ipotesi, proprio in questi giorni confermate dai dati preliminari di una ricerca sulla qualità delle carceri del Veneto della dott.ssa MacDonald, e su queste sono stati costruiti prima il progetto Nadir, poi il progetto Espansione, realizzati oltre che nella Casa di Reclusione, anche nella Casa Circondariale di Padova.

Molte di queste ipotesi convergevano sulle difficoltà tipiche dell’incontro di culture diverse, quindi sui linguaggi e sui vissuti diversi, sulle letture diverse dei fenomeni, sulle diffidenze, etc..

Da qui la scelta di identificare nello straniero e non nell’immigrato, né nell’extracomunitario il soggetto con cui costruire un percorso di informazione, di confronto e di rielaborazione culturale che solo per alcuni, in un secondo momento e ad un altro livello aveva implicazioni con un progetto di vita di emigrazione e con l’appartenenza o meno alla Comunità europea.

 

Le riflessioni

 

I contenitori delle nostre esperienze sono due progetti, uno chiamato Nadir4, un percorso di sensibilizzazione alle problematiche alcol – droga – correlate legate al fenomeno dell’immigrazione, tanto quanto a quelli dello scollamento culturale e della complessità che caratterizzano il nostro tempo, l’ altro chiamato Espansione e nato proprio come "espansione" del primo e centrato sull’interculturalità. Il primo è attivo dal 1998 alla Casa di Reclusione e dal 2003 alla Casa Circondariale, dove è partito in contemporanea al secondo.

Non mi dilungo sugli aspetti metodologici, né sui contenuti di tali progetti perché non sono oggetto di questo mio intervento, nel quale invece vorrei soffermarmi su alcune riflessioni fatte dagli operatori che vi hanno lavorato e dalle persone che vi hanno partecipato, attraverso anche la rilettura del materiale prodotto e la valutazione dei dati oggettivi.

Già nella relazione presentata a Treviso dopo un anno di lavoro sottolineavamo che:

per i partecipanti non è stato facile nei primi incontri andare oltre la "battuta", la "frase fatta" ed il parlare senza comunicare, tipico di molti altri momenti e per di più caratterizzato dallo stile "di piazza" dei gruppi informali e marginali di appartenenza esterna. Era palpabile il disagio procurato dalla nuova e diversa situazione, con tutti i rischi e le incognite ad essa connessi. Ma la centralità della persona, sia rispetto alle sostanze che rispetto alle risorse, ha rappresentato un punto fermo in questa esperienza fin dalla sua nascita, e l’attivazione sulle azioni esterne all’individuo ha preceduto il lavoro sul suo "interno" e lo ha favorito, riuscendo anche a superare le barriere della diffidenza e dell’intimità. Un’apertura emotiva verso gli altri è sicuramente dolorosa perché rende più vulnerabili, ma il poterla sperimentare nel Gruppo ha dato ad alcuni la possibilità di crescere e di rendere concreto l’avvio di un cambiamento, tanto che oggi, i contenuti espressi in alcuni momenti sono molto profondi ed intimi, spesso espressione di vissuti presenti e passati, sentimenti ed idee non sempre condivise e condivisibili.

la precarietà della loro situazione, non solo riferita alle generali condizioni della carcerazione, ma anche ad una particolare "distanza" tra loro e l’amministrazione penitenziaria, le leggi ed il popolo italiano, ha trovato piccoli elementi di stabilità non solo nell’attuale attenzione che la Direzione del carcere sta dimostrando verso la condizione degli stranieri, ma anche in questa specifica esperienza condivisa ed accettata, tanto da far sorgere ed amplificare in poco tempo l’esigenza di essere conosciuti e "riconosciuti" all’esterno da un numero sempre maggiore di persone.

le difficoltà legate alla brevità delle pene, alla mancanza o comunque problematicità dei documenti, ai vuoti legislativi, etc., incidono ancora negativamente soprattutto sulla possibilità di una progettualità futura, che allontani il rischio di ricadere nel circuito fuori - dentro - fuori - dentro ormai più volte sperimentato da molti di loro, ma questa esperienza sta costruendo in alcuni il segno di una positività vissuta e di una possibilità diversa, di un’alternativa difficile, ma talvolta praticabile. Laddove s’intravedono delle possibilità, anche minime di continuare il lavoro con le persone nel dopo pena o in una situazione alternativa ad essa, le energie di tutti vengono investite per renderla concreta.

la categoria immigrati extracomunitari, molte volte pensata come unica, pur nella relativa uniformità dei partecipanti al gruppo, si è dimostrata ricca di sfaccettature sia nelle caratteristiche personali di ognuno, che nelle condizioni e nelle motivazioni di partenza.

l’inquinamento culturale avvenuto nei momenti di scambio di esperienze e di informazioni e nel confronto delle idee e dei valori, ha permesso di scoprire a noi ed a loro molti punti in comune e la ricchezza delle diversità. Ciò ha reso possibile fare un passo avanti oltre i luoghi comuni ed i pregiudizi ed approfondire la reciproca conoscenza.

abbiamo scoperto (o confermato) che sensibilizzare ai problemi alcol – droga – correlati e complessi si traduce nel parlare della vita, delle persone, dei loro valori e delle loro emozioni, confrontarsi, scambiare, condividere un percorso. Tutto questo a prescindere dalla specifica sostanza usata, anche se la maggior parte dei membri del gruppo, nonostante la fede religiosa, più o meno professata, può essere definita poliassuntrice.

un elemento sicuramente importante scaturito dall’esperienza di questi mesi e spesso unico nel vissuto delle persone che abbiamo conosciuto, è stato il "protagonismo positivo". Per molti stranieri l’esperienza di immigrazione ha costruito all’esterno ed all’interno di loro stessi un ‘immagine basata su tratti ed aspetti solo negativi: stranieri in terra straniera, diversità intesa ed espressa solo come inadeguatezza, emarginazione, delinquenza. Il Gruppo, nei diversi momenti e nelle diverse espressioni della sua breve storia, li ha invece resi protagonisti di un’esperienza positiva, valorizzata e tenuta in considerazione anche da altri ed espressa in alcuni momenti significativi, come quello dell’interclub del 6 giugno. Pur senza addentrarci in considerazioni complesse riteniamo che tale esperienza possa avere risvolti interessanti a livello di auto stima e di motivazione al cambiamento.

Oggi sentiamo di poter confermare una delle principali motivazioni che ha sostenuto il nostro agire, aggiungendo che, pur nella complessità generale (carcere, immigrazione, criminalità, comportamenti correlati alI ‘uso di sostanze, etc.) e nelle difficoltà da essa espresse avari livelli, il cambiamento verso una condizione più costruttiva e più soddisfacente per tutti è possibile. A partire da ogni singola persona, operatori compresi. Anche per questo stiamo preparando, in collaborazione con il Provveditorato degli Istituti Penitenziari del Triveneto, dei percorsi formativi per il personale.

Siamo inoltre sempre più convinti che:

le persone sono una fonte inesauribile di risorse e di ricchezza, in grado di autopromuoversi e di affrontare e risolvere i problemi della vita, se così vogliamo chiamare la crescita del singolo e della comunità. Basta offrire loro la possibilità di farlo. Il modo che noi abbiamo scelto è stato quello lo spostare l’attenzione dall’alcolismo degli immigrati al bere di tutti, dentro e fuori il carcere, dentro e fuori la cultura di appartenenza, dove il perché, il quanto ed il come una persona assuma bevande alcoliche diventa esperienza condivisa o condivisibile e non motivo di diagnosi.

l’approccio ecologico sociale che caratterizza il nostro operare e che vede la responsabilità di ognuno nella costruzione del proprio futuro e di quello della propria comunità è traducibile in piccole azioni quotidiane della vita e del lavoro, anche nelle situazioni complesse come quella che il progetto "Nadir" si è proposto di vivere e di affrontare, consapevoli anche che il lavoro con gli stranieri, in qualsiasi situazione ed in qualsiasi contesto, non può prescindere dalle implicazioni e dalle difficoltà sociali e politiche che la loro presenza in Italia comporta e che questo spesso diventa prioritario rispetto al rendere possibili alternative all’esperienza ed ai comportamenti fino ad oggi adottati.

da alcune persone che, senza troppe pretese, una o due volte la settimana si incontrano per due ore è sicuramente partito un processo che pian piano si arricchisce allargandosi e contaminando altri momenti ed altre persone, in direzione di un cambiamento continuo, sinonimo di vita ed in contrapposizione alla staticità ed alla rigidità della morte, anche di quella culturale. Questo significa per noi promuovere in carcere la salute, nella sua più ampia accezione, rendere cioè possibili le scelte sane e nello specifico dare ad ognuno la possibilità di conoscere, capire, confrontare e quindi scegliere.

ogni scelta fatta nel tempo dalle diverse persone "sensibilizzate" ha avuto comunque un grado di consapevolezza che, spesso, precedentemente non esisteva e, talvolta è sfociata in percorsi di cambiamento più strutturati, come quello dei Club degli Alcolisti in Trattamento, i quali, sia internamente che esternamente alla struttura carceraria, rappresentano un importante nodo di continuità della rete nello spazio e nel tempo.

 

Conclusioni

 

Nello specifico di questa giornata di studio vorrei proporre alcuni spunti di discussione, a partire da due considerazioni:

il numero degli stranieri in carcere è in forte aumento in tutti Italia. A Padova raggiunge il 90% o più delle persone detenute al Circondariale ed oscilla tra il 25 ed il 30% al Penale ed una gran parte di essi (una nostra stima si avvicina al 50%) presenta problemi alcol – droga – correlati.

come risulta anche dalla ricerca della McDonald sopra menzionata, l’attenzione agli stranieri in carcere è pressoché nulla (tanto che viene citato il nostro progetto come unica, positiva ed esemplare esperienza nella regione), mentre, come sottolineava anche Mosconi nello stesso Convegno, meriterebbe una attenzione specifica.

Esse, sommate alle nostre esperienze, ci inducono a pensare al carcere come "luogo privilegiato" per la sensibilizzazione e l’informazione sui problemi alcol correlati, poiché permette (purtroppo!) di raggiungere contemporaneamente un gran numero di persone, per periodi sufficientemente lunghi per produrre dei cambiamenti e di collaborare con alcuni servizi specifici, di cui la legge prevede la presenza, per l’attivazione di percorsi o perlomeno "buone prassi".

Tutto questo con la consapevolezza delle implicazioni spesso sfavorevoli legate al contesto specifico (superabili con l’esperienza ed il collegamento con la rete interna dei servizi e degli operatori) e della necessità di un consistente lavoro di rete, così come definito da Folgheraiter: "Il lavoro di rete è l’azione intenzionale di un operatore, che si esplica in una relazione con una rete di persone migliorando, così, la reciproca capacità di azione". Il lavoro di rete, così inteso, aiuta ad avere una visione allargata, nel tempo e nello spazio, di ciò che stiamo facendo e di ciò che questo significa per le persone che incontriamo nel nostro lavoro e soprattutto ci aiuta a non dimenticare, come spesso accade, che la storia della persona che ci sta dinnanzi è un elemento importante della sua vita, che ci aiuta a capire i suoi reali bisogni ed a spiegare i suoi comportamenti. Negargliela significherebbe negarle la possibilità di crescere, di andare oltre la ripetizione della "fase ci conoscenza" cui ogni singolo operatore che la incontra la sottopone, ripetendo spesso gli errori di chi lo ha preceduto, bruciando così risorse che, già naturalmente diminuiscono ad ogni nuovo tentativo.

Il terzo pensiero che spesso ci siamo trovati ad avere riguarda il nostro ruolo: nei momenti di maggiore confronto e discussione all’interno del gruppo ci siamo sentiti mediatori tra culture diverse, alla ricerca di conoscenza reciproca prima, e di soluzioni condivise poi, ma non siamo certi che questo nostro lavoro possa ascriversi nella categoria della mediazione culturale.

Riflessioni sul lavoro comune e di ricerca svolti dal Servizio Immigrazione del Comune di Venezia e Ser.T. Venezia Terraferma - Sezione di Alcologia dell’Aulss 12 Veneziana

 

Gruppo di lavoro: Gianfranco Bonesso, Lucia Baldassa, Flora Selmani, Mohamed Salhi, Silvano Felisati, Stefano Formaggi

 

Alcuni operatori dell’Unità Operativa "Cittadini Stranieri" del Servizio Immigrazione - Comune di Venezia dallo scorso aprile hanno cominciato a partecipare al Coordinamento "Alcool e Immigrazione", un gruppo di riflessione e di scambio costituito da varie ed articolate realtà regionali, che vantano un’esperienza collaudata sul tema proposto in data odierna.

Rispetto al dato certo di aumento dell’utenza straniera al Servizio di Alcologia di Mestre, gli operatori del Servizio Immigrazione hanno attualmente una casistica molto bassa inerente la tipologia di utenza in questione: su 1.200 cartelle aperte fino ad oggi per l’anno 2003, si possono contare una decina di casi in cui si è individuato con certezza "il problema alcool" e, solo per un paio di casi, si è investito e collaborato con il Servizio di Algologia.

Peraltro un ruolo fondamentale del servizio Immigrazione è quello di realizzare delle azioni promozionali e di coordinamento, attivando e sensibilizzando le istituzioni ed i servizi affinché rispondano, ognuno per la propria competenza, includendo la presenza degli stranieri nella normalità delle loro azioni.

In questi termini "la questione" alcool-immigrazione ci riguarda direttamente con una "mission" che ci vede fare da ponte, da facilitatori, di supporto per il superamento delle barriere reciproche tentando di non sostituirsi ai servizi già operanti per la popolazione residente.

Solo di questi tempi, sullo stimolo pervenuto da questi incontri di sensibilizzazione ci siamo messi a ragionare sulla tematica Alcologia e Immigrazione e, in ordine a quanto premesso, il binomio ci è apparso sin da subito un argomento non facile da discutere.

Al quesito che sin da subito ci siamo posti: "Ci sono problemi specifici per gli immigrati che abusano dell’alcool?" abbiamo risposto con l’impegno di fare una piccola indagine sul territorio per capire meglio quali realtà e quali risposte vengono date, attraverso la formulazione di una intervista.

L’intervista è stata sottoposta ad operatori di altri servizi del Comune, enti e privato-sociale,che sono stati considerati testimoni privilegiati del fenomeno. In totale sono state fatte otto interviste, di tipo "qualitativo" nel senso che ne è emerso un colloquio approfondito rispetto alle domande -tematiche proposte.

I servizi intervistati sono stati: "Riduzione del Danno" – "Città e prostituzione"- "Servizio Promozione Autonomia Adulti" (tutti servizi dell’Unità Operativa "Marginalità Urbane" del Comune di Venezia) Polfer, Casa dell’Ospitalità, Banca del Tempo Libero, Buon Pastore, Pronto Soccorso dell’O.C. di Mestre.

 

In sintesi le maggiori evidenze e gli spunti emersi dall’indagine:

il problema "alcool" nell’immigrato appartiene ad una sfera di marginalità e sradicamento (almeno secondo questi servizi che sono quasi tutti di bassa soglia);

il bere dello straniero è considerato molto simile a quello dell’italiano;

la solitudine ed i problemi inerenti la sfera relazionale sono le principali caratteristiche e le motivazioni che gli operatori attribuiscono all’immigrato con problemi alcool correlati;

l’abuso di alcool si manifesta sia a livello individuale (principalmente per le donne) che di gruppo, soprattutto nelle fasce orarie serali e durante i fine settimana;

la cultura veneta, in particolare, è una "cultura del bere" che facilmente aiuta nella socializzazione di gruppo quindi bere in qualche modo può essere una maniera per omologarsi;

non c’è ammissione del problema, viene minimizzato, nascosto; il lavoro degli operatori è farli arrivare alla consapevolezza della necessità di cure;

la mancanza frequente di una rete familiare ed amicale, negli stranieri, è spesso la causa di ritardato contatto con le strutture di cura e dei fallimenti dei programmi terapeutici;

in certe aree della sfera "prostituzione", l’alcool assume un significato di supporto al lavoro;

gli stranieri non si rivolgono agli operatori di strada (che lavorano di norma per i tossicodipendenti ) perché non li riconoscono appartenenti ad un servizio adatto a loro;

coloro che si rivolgono al Servizio di Pronto Soccorso a seguito di crisi per eccesso di alcool spesso non sono iscritti al Servizio Sanitario Nazionale: hanno solo S.T.P. (Tessera dello Straniero Temporaneamente Presente) o ne sono addirittura sprovvisti;

al Pronto Soccorso arrivano solo quelli quei casi che assumono rilevanza anche come casi "psichiatrici", che diventano un disturbo/minaccia dal punto di vista sociale o familiare;

secondo alcuni la necessità di predisporre degli interventi di aiuto "qualitativi", anche attraverso la mediazione.

 

Alcune questioni che aprono interrogativi e lasciano spazio ad un confronto:

il problema dell’abuso di alcool negli stranieri è un aspetto che può inserirsi nei momenti critici presenti nello scenario complesso ed articolato dell’Immigrazione: disorientamento, acculturazione, difficoltà reperimento casa e lavoro, posizioni giuridiche instabili, fallimento progetto migratorio.

l’aumento di alcune patologie sociali (problematiche alcool-correlate e psichiatriche) è il segnale di un disagio diffuso e sommerso? O dobbiamo esaminarlo e considerarlo semplicemente prodotto di una presenza più strutturale e crescente degli stranieri sul nostro territorio?

inquadrare il fenomeno in una prospettiva più ampia significa anche considerare le condizioni patologiche come espressione di un disagio socio-economico, come effetto di scadenti condizioni di vita presenti soprattutto nelle prime fasi dell’immigrazione nel nostro paese?

Immigrazione e problemi alcol - correlati: un intervento di prevenzione, sensibilizzazione e cura

 

Fondo regionale di intervento per la lotta alla droga. Piano triennale di Intervento - Area Dipendenze. Ambito territoriale Ulss n° 6 di Vicenza

 

Area di intervento: Prevenzione secondaria delle patologie correlate, razionalizzazione e innovazione delle cure

 

Premessa

 

La migrazione di persone straniere nella nostra regione è diventata un fenomeno emergente ed in espansione. Se da un lato la forte domanda di manodopera consente un facile inserimento lavorativo, diversi sono i problemi di adattamento al nuovo contesto socio culturale e non di rado si assiste a fenomeni di uso di sostanze psicotrope ed in particolare di abuso di alcol con gravi conseguenze dal punto di vista sanitario, economico e sociale. Si nota una scarsa consapevolezza del problema da parte delle persone immigrate e una poca conoscenza dei Servizi socio sanitari e del privato sociale presenti nel territorio nonché la difficoltà degli stessi a far fronte alle richieste di aiuto. Fondamentale è la necessità di promuovere un lavoro di rete tra agenzie interessate per garantire un aggancio precoce degli immigrati con problemi alcol correlati e di ottimizzare gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nel territorio.

 

Obiettivi

 

Costituzione di un gruppo di confronto e coordinamento per l’elaborazione di proposte condivise sui PAC della popolazione immigrata straniera.

Indagine conoscitiva del fenomeno dei PAC nella popolazione immigrata straniera.

Formazione di operatori sociali, sanitari e del volontariato sui PAC della popolazione immigrata.

Elaborazione, produzione e distribuzione di materiale specifico informativo (multi lingue e innovativo) di sensibilizzazione e di prevenzione sui PAC per la popolazione straniera.

Sviluppo di una rete di aiuto e di programmi specifici di cura e riabilitazione per le persone immigrate con PAC.

Produzione di una campagna informativa per la popolazione straniera sui servizi specialistici per i PAC che operano nel territorio.

Valutazione degli esiti degli interventi di cura e loro riproducibilità in altri contesti.

 

La migrazione di persone straniere nella nostra regione è diventata un fenomeno emergente che ha portato i servizi pubblici e privati, socio-sanitari e di aiuto, a confrontarsi con nuove culture e differenti espressioni di disagio.

Se da un lato la forte domanda di manodopera consente un facile inserimento lavorativo, diversi sono i problemi di adattamento al nuovo contesto socio culturale e non di rado si assiste a fenomeni di uso di sostanze psicotrope ed in particolare di abuso di alcol con gravi conseguenze dal punto di vista sanitario, economico e sociale.

I problemi alcol correlati all’interno del campo immigratorio rappresentano un fenomeno attuale, con un impatto che si prevede in espansione progressiva nei prossimi periodi.

le persone immigrate nei paesi più sviluppati, oltre alla rottura con le tradizioni e la cultura di appartenenza, vivono una situazione di difficoltà di inserimento e di integrazione culturale e strutturale (precarietà abitativa, instabilità professionale, isolamento, etc.) che favorisce lo sviluppo e la moltiplicazione di patologie e forme di disagio.

Ci sono inoltre evidenti difficoltà che gli operatori socio-sanitari riscontrano nell’interazione con utenti immigrati, di valutazione, di comprensione e di proposta del trattamento, aspetti che sono alla base della necessità di una formazione specifica.

la capacità di fronteggiare in modo appropriato i bisogni di cura, di sostegno e di riabilitazione delle persone immigrate con tali problematiche dipende dalla disponibilità degli operatori a guardare la persona straniera con attenzione e curiosità e ad aprirsi veramente all’incontro con l’altro".

Considerata la scarsa consapevolezza delle modalità di rapporto più adeguate da adottare con gli stranieri, la poca conoscenza del fenomeno "immigrazione e alcoldipendenza" da parte del Servizi socio-sanitari e del privato sociale presenti nel territorio, nonché la difficoltà degli stessi a far fronte alle richieste di aiuto, il progetto: "Immigrazione e problemi alcol correlati (PAC)" avviato dal giugno 2003 nel territorio dell’Ulss 6 "Vicenza", in una prima fase, prevede la creazione di una "rete" di coordinamento e confronto costante tra tutte le agenzie operanti in tale ambito.

Questa collaborazione ha, tra gli obiettivi prioritari, quello di favorire una condivisione ed una analisi sulla problematica in oggetto al fine di garantire un aggancio precoce degli immigrati con problemi alcol correlati ed ottimizzare gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione da proporre. Il programma prevede il coinvolgimento dei mediatori culturali per mantenere stretti legami di collaborazione con le comunità di appartenenza degli immigrati con problematiche di alcoldipendenza. la modalità di inserimento di queste figure, in concerto con gli operatori e le agenzie coinvolte nell’intervento, permette inoltre di facilitare l’avvicinamento al circuito dei programmi di sensibilizzazione, prevenzione e trattamento da parte delle persone straniere etiliste.

Il dialogo con i mediatori e le altre figure significative delle comunità osservate è utile non solo per capire il senso di certe forme di disagio, ma anche per vedere più chiaramente l’altro, l’immigrato e costruire insieme un percorso modulato.

La specificità dell’argomento e la mancanza di informazioni disponibili relative al fenomeno considerato (modalità di consumo, frequenza, stereotipi sull’alcolismo presenti nel paese d’origine ed eventuali somiglianze/differenze rispetto al paese d’arrivo) hanno portato all’organizzazione di una ricerca qualitativa che prevede la somministrazione face - to - face di interviste in profondità ad un certo numero di mediatori culturali (e testimoni privilegiati) delle diverse comunità presenti nel territorio.

L’analisi del materiale empirico raccolto tramite intervista semistrutturata (una serie di domande relative al bere nel paese d’origine e in quello di arrivo oltre che sulle strategie d’intervento), procede secondo un duplice binario: codifica e classificazione della base informativa comune e analisi qualitativa dei testi integrali.

Le informazioni raccolte potranno favorire l’organizzazione di moduli formativi ad hoc per operatori e volontari interessati, oltre che l’elaborazione di proposte terapeutiche modulate.

Il progetto si propone quindi di creare momenti di sensibilizzazione e formazione, rivolti al personale e ai volontari interessati che hanno contatti con tali realtà. Nel corso del triennio è previsto anche l’avvio di una campagna informativa multi lingue per immigrati sulle tematiche in oggetto.

Il programma prevede lo sviluppo di una rete di aiuto e di programmi specifici di cura e riabilitazione per le persone immigrate con PAC oltre che la valutazione degli esiti degli interventi di cura e loro riproducibilità in altri contesti.

Attività del Dipartimento per le Dipendenze Patologiche dell’Azienda Ulss 9 di Treviso

 

Relatrice: Barbara Nardin, Assistente Sociale Servizio Alcologia Ser.T.

 

L’unità operativa di Alcologia di Treviso, attualmente inserita nel Dipartimento per le Dipendenze Patologiche della Az. Ulss 9, in sintonia con quanto accaduto altrove e con le nuove acquisizioni scientifiche, ha orientato la propria attività nella direzione di una cultura alcologica complessa: da un approccio semplice e monoterapeutico elettivo si è approdati ad una clinica della complessità, nella quale più saperi, più figure professionali e più agenzie contribuiscono a costituire quella che viene definita "catena terapeutica". Fondamentalmente si è passati da un approccio monomodale ad un approccio multimodale complesso, e nello specifico ciò ha significato:

maggiore centralità dell’utente;

miglioramento della ritenzione e diminuzione dei drop out;

diversificazione dell’offerta di programmi congruentemente all’eterogeneità della popolazione affluente al servizio;

utilizzo di tutte le competenze professionali;

articolazione massima delle attività: dalla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione e recupero personale e sociale.

In particolare per quanto riguarda il fenomeno dell’immigrazione e la presenza di soggetti stranieri con problemi legati al consumo di alcol, riteniamo sia un fenomeno che va studiato, analizzato, al fine di comprenderne meglio le ragioni e le implicazioni, per arricchire il bagaglio di competenze specifiche dell’ equipe, e per fornire l’ approccio e le risposte più rispondenti ai bisogni.

La possibilità di partecipare al Gruppo di Coordinamento Regionale Alcol e Immigrazione, istituitosi spontaneamente a seguito del "1° colloquio mediterraneo sui problemi alcolcorrelati nella popolazione migrante", svoltosi a Castelfranco nel 2001, ha permesso un confronto tra le diverse equipe delle unità operative presenti nella Regione Veneto, e ha consentito al nostro Servizio di studiare più compiutamente il fenomeno, e il primo passo è stato, all’interno del Servizio stesso, analizzare quante e quali situazioni di utenti immigrati che presentavano PAC si siano rivolte al Servizio.

È stata così effettuata un’analisi e lettura dei dati in possesso al Servizio, relativamente agli accessi e la presa in carico di utenti stranieri dal 1995 al 2003, suddivisi per aree e paese di provenienza, e tutto ciò ha permesso, facendo alcune significative considerazioni, di orientare l’attività del Servizio su alcuni ambiti specifici.

Si è deciso di lavorare su due fronti: la non conoscenza da parte degli stranieri del Servizio, e la poca conoscenza che il Servizio aveva degli stranieri. Un primo obiettivo è stato quello di organizzare azioni di visibilità e informazione nei luoghi o servizi abitualmente frequentati dagli stranieri, per aumentare la conoscenza e le informazioni sull’alcol, e quindi favorendo indirettamente anche la conoscenza del Servizio. Il secondo obiettivo mirava a favorire una maggiore conoscenza da parte del Servizio delle diverse culture di provenienza degli stranieri e un avvicinamento a realtà singole o di associazionismo straniere, obiettivo che si è realizzato mediante la collaborazione con il Corso di Formazione per Mediatori Linguistico Culturali, organizzato dai Centri Territoriali Permanenti di Treviso, il Coordinamento Fratelli d’Italia, la Provincia, l’Azienda Ulss, il Comune e la Cooperativa "Una Casa per l’Uomo", per lo svolgimento di tirocini formativi.

In conclusione, si possono individuare 3 punti chiave, sul quali il Servizio Alcologia proseguirà il proprio intervento:

favorire una sempre più attiva collaborazione ed integrazione sinergica" tra Servizi, istituzioni e terzo settore, per favorire il diritto di cittadinanza e l’accesso alle cure di soggetti immigrati;

favorire l’informazione sull’alcol e l’accesso al Servizio;

investire sulla figura del mediatore culturale.

 

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