Il teatro

 

Un gruppo di donne in attesa su un'ISOLA

   

 

Lo spettacolo, come l'ha visto Marianne  tra il pubblico

 

I  SOLA è un'opera teatrale rappresentata da un gruppo di detenute della Giudecca, che hanno lavorato nel laboratorio teatrale dell'attrice Paola Brolati, a cura dell'Associazione L'uovo di Paperoga.

Un dramma umano, un'isola piena di donne che si annoiano. Per noi, che stiamo dentro, una situazione facilmente riconoscibile, finché, ad un tratto, cade un pezzo di una nave spaziale, qualcosa di nuovo che desta l'interesse di tutta la gente. Nel frattempo tre astronaute, per recuperare l'oggetto caduto, osservano la situazione sull'isola e decidono di salvare le abitanti. Tutte le donne vengono caricate allora dentro la nave spaziale, solo una resta, per paura della novità e della verità.

Con questa rappresentazione io credo venga anche sottolineato che nell'aria ci sono dei cambiamenti: sta prendendo forza un gruppo di nuovi detenuti, una nuova generazione che ne ha abbastanza della sua condizione di passività.

Il detenuto “moderno” vuole essere attivo e questo si manifesta anche nella scelta dei dettagli dello spettacolo, attraverso i vestiti e il trucco particolari: tutto straordinariamente  ingegnoso.

 

Lisbet: l'astronauta

 

Sono Lisbet, una ragazza venezuelana che, assieme ad altre compagne, ha recitato in questo spettacolo teatrale.

Lanciando questo messaggio, abbiamo sperato che le compagne che l'hanno visto e tutti gli spettatori ne abbiano capito il significato. Noi siamo donne detenute alla Giudecca che, per un giorno, non ci siamo più sentite detenute, ma protagoniste di uno spettacolo, che a noi personalmente ha dato molto. Di tempo per prepararlo ne avevamo poco, solo tre mesi, e c'è voluta tanta pazienza, sia per noi sia per le nostre insegnanti, per preparare i vestiti e la sceneggiatura.

E non è stato neppure facile insegnarci a recitare con disinvoltura. Io, Anais e Jamai abbiamo fatto la parte delle astronaute, che arrivano, come in una favola, in un mondo mai visto, che non gli appartiene.

I nostri vestiti li abbiamo creati da sole, con pochi mezzi e molta fantasia: eravamo imbottite come dei palombari e le risate non finivano mai; l'emozione era grande e, oltre tutto, per noi astronaute, non essendo italiane, esprimerci era più difficile.

Ma, credetemi, è stato unico, bellissimo; quando siamo entrate in scena un turbine di sensazioni ci circondava, l'emozione era forte, un nodo che ti prende la gola che quasi impedisce alla voce di uscire e, intanto, una sensazione strana ti sale e la voglia di non sbagliare ti fa superare ogni ostacolo.

 

Luisa e tanti "vecchi" sentimenti risvegliati

 

La paura di non farcela... oddio, non ricordo più niente!, queste sono state le ultime parole che ho detto prima di entrare in scena. Avevo il cuore che mi batteva a mille e le sensazioni che stavo provando erano mescolate, panico e gioia, ma talmente forti che ancora oggi ne vado fiera, perché hanno risvegliato in  me dei sentimenti che non mi appartenevano più da anni, ma che erano solamente accantonati nella parte più profonda del mio "io".

Mi sono compiaciuta con me stessa, pensando: "Allora non ho il cuore di pelo... va beh!". Per chi non avesse capito di cosa sto parlando... innanzitutto sono Luisa, una delle ragazze protagoniste dello spettacolo teatrale presentato qui in carcere. Abbiamo seguito un corso, allestendo con le nostre tre insegnanti un "laboratorio", chiamiamolo così, visto che di volta in volta ci spostavamo, per problemi di spazio, da un'aula alla sala adibita a palestra, o a quella per i colloqui speciali, oppure nella sala cinema appena ristrutturata: per fortuna che almeno noi, e le insegnanti, eravamo sempre le stesse.

Piccolezze! Questi intoppi li hanno anche le migliori compagnie teatrali, o no!? Beh, noi siamo giunte al termine, ci siamo create costumi e scenografia con materiali poverissimi, come bicchieri di plastica e sacchetti di nylon: con tanta fantasia e un trucco bizzarro eccoci schierate tutte e dodici, alla fine dello spettacolo, per raccogliere gli applausi dei presenti e per ringraziare. Tra noi ci lanciavamo sguardi d'intesa e ci sorridevamo, scambiandoci approvazione e congratulazioni. Al termine s'era creata una sorta di complicità e un compiacimento reciproco, come se fossimo unite dallo stesso cordone ombelicale.

Nei volti di Paola, Nunzia e Nicoletta, le insegnanti, ho colto le mie stesse emozioni: entusiasmo e paura, alla fine tanta soddisfazione: anche loro erano parte del gruppo e sono felice di averle conosciute. Benché siano donne libere hanno saputo mischiarsi con noi con naturalezza e trasmetterci di sé  una immagine di semplicità, di amicizia e stima, senza pregiudizi.

 

La scossa di energia pura di Cristina

 

L'onda emozionale che ci ha coinvolto durante la rappresentazione "ufficiale", davanti al pubblico, posso definirla come una scossa d'energia pura. Credo che questa constatazione, vissuta a pelle, è la vera rivincita dello stare in carcere.

Il piacere e lo stimolo sono aumentati di giorno in giorno, nelle settimane precedenti la data della rappresentazione, ed ho apprezzato notevolmente lo spazio che ci hanno concesso per l'occasione. Non è retorica ricordarlo, perché non è semplice, in carcere, organizzare delle attività creative che occupino la mente e che, per me, sono una terapia eccezionale.

La frenesia di correre nell'aula adibita a laboratorio per la preparazione dei costumi ci trascinava in ogni momento libero da altri impegni, così, quando ci incrociavamo, noi del corso teatrale, ci veniva spontaneo ricordare: "Ehi, vado di là... passi dopo la fine della lezione? E tu, siccome hai riposo dal lavoro, vieni a provare? Vabbè, intanto continuo a ritagliare pezze e a spruzzarle con i colori".

Ecco, a proposito dei colori spray che abbiamo usato, ci siamo intossicate nostro malgrado respirando quel soffocante odore... però, uno schizzo tirava l'altro! C'era sempre trambusto, il materiale stava sparso un po' dovunque e le idee si accavallavano, ispirate dai materiali "poveri" che avevamo.

Per allestire la sala cinema abbiamo fatto vere e proprie acrobazie, con la musica e le risate come sottofondo; gli ultimi momenti sembrava mancasse sempre qualcosa e ci alternavamo ad andare in sezione a prendere questo o quell'oggetto. C'era anche il problema di convincere il capoposto di turno a farci uscire con gli oggetti che ci servivano, sempre sul filo del regolamento e dei "non si potrebbe...".

Anche per le nostre insegnanti c'è stato il pericolo di prendersi un rapporto: beh, se avessero perso un "semestre", non avrebbero potuto darci più i loro consigli di esperte.

Il "ciclone teatro", lo definisco così per la sua forza travolgente, unita purtroppo alla sua breve durata, è stato divertente quanto soddisfacente.

 

E se il prossimo appuntamento fosse: Noi, per un giorno finalmente tutte fuori per rappresentare il nostro spettacolo?

 

La Redazione della Giudecca

 

 

Precedente Home Su Successiva