Dossier morti in carcere

 

Cento morti senza colpevoli

di Sergio Segio

 

Fuoriluogo, 28.11.2003

 

Già il titolo dice quel che c’è da dire: “Morire di carcere”. Il Dossier così denominato, realizzato dalla redazione di Ristretti Orizzonti e dal “Centro di documentazione Due Palazzi” di Padova, ha scelto di non mascherarsi dietro il velo di parole prudenti e di equilibristici eufemismi. E neppure dietro l’anonimità dei numeri.

Numeri, peraltro, ormai difficili da reperire. Da circa 3 anni (paradossalmente da quando al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria fu istituito un gruppo di studio per monitorare il fenomeno dei suicidi in carcere) non vengono più diffuse le cifre relative ai cosiddetti “eventi critici” che accadono negli istituti carcerari. Vale a dire non solo suicidi, tentati o riusciti, ma anche decessi, atti di autolesionismo, ferimenti, omicidi, manifestazioni di protesta, scioperi della fame, eccetera. Insomma, quell’insieme di fatti che possono dare conto del grado di disagio di chi vive (e, appunto, muore) in carcere. Un disagio antico e in qualche modo intrinsecamente connesso all’istituzione totale ma anche decisamente crescente, in parallelo col degrado dovuto al sovraffollamento e con la rivincita delle teorie neo-retribuzioniste.

Nel 2001, anno a cui risalgono gli ultimi dati ufficiali, i suicidi sono stati 70, mentre altre 109 morti sono state classificate come decessi “naturali”. Cifre ufficiose indicano, per il 2002, 53 suicidi e 113 decessi. Per il 2003 esiste solo un dato, avanzato dall’Osapp, uno dei sindacati autonomi della polizia penitenziaria, che parla di 39 suicidi nei primi otto mesi dell’anno.

Il Dossier (integrale su www.ristretti.it) propone i frammenti delle storie di 111 detenuti morti, che si sono potute rintracciare nelle cronache giornalistiche dall’inizio del 2002 al luglio 2003. Morti così suddivise: 71 per suicidio, 18 per assistenza sanitaria disastrata, 17 per cause non chiare, 5 per overdose. Quasi altrettante, secondo la ricerca, sono le morti di cui non è stato possibile reperire sulla stampa alcuna informazione.

Che la dicitura “morire di carcere” non sia particolarmente forzata lo si evince non solo dal numero dei suicidi ma anche da un altro dato che viene giustamente sottolineato: quello dei decessi per cause, per così dire, naturali e che in molti casi si rivelano essere state morti evitabili. Laddove si nota una inequivocabile curva di crescita: 83 nel 1999, 96 nel 2000, 109 nel 2001, 113 nel 2002. Curva che viene messa in relazione con il decreto legislativo 230 del 1999, in base al quale le competenze per l’assistenza sanitaria dei reclusi avrebbero dovuto progressivamente passare dal ministero della Giustizia a quello della Salute. n che non è avvenuto. In compenso, di anno in anno, sono stati operati drastici tagli alla sanità penitenziaria, con riduzioni dell’assistenza specialistica del 40% e talvolta con la mancanza dei farmaci “salvavita”. Molto di tragico ma nulla di strano, allora, se è parallelamente aumentato il numero delle vite detenute che non si sono salvate.

Ad esempio, quella di Carmine Proietto, 57 anni, morto in carcere a Verona nel febbraio 2002. Arrestato un mese e mezzo prima, aveva già subito 3 infarti, motivo per cui aveva richiesto la concessione degli arresti domiciliari, rifiutati dal giudice. O quella di Fabio Benini, 30 anni, morto in cella a Torino: soffriva di anoressia, aveva perso 50 chili in pochi mesi, collassava due volte al giorno; sino alla mattina in cui l’hanno trovato morto nella sua branda. O quella di Sotaj Satoj, 40 anni, lasciato(si) morire a Lecce dopo tre mesi di sciopero della fame.

Le quattro classificazioni delle morti (suicidio, assistenza sanitaria disastrata, cause non chiare, overdose) proposte dalla ricerca sulla base delle notizie di cronaca (spesso imprecise o poco circostanziate: solo il 10% dei 300 articoli esaminati viene giudicato costruito con sufficiente attenzione) hanno, in realtà, elementi possibili di sovrapposizione. Non sempre, ad esempio, è possibile distinguere se la morte conseguente all’inalazione di gas dalle bombolette, talvolta utilizzate per drogarsi, derivi da volontà suicidarie oppure da incidente o overdose. Ma, più preoccupantemente, tra le morti non chiare, vi sono casi in cui “le versioni ufficiali presentano zone d’ombra e incongruenze tali da far nascere il sospetto che mascherino episodi di maltrattamenti ad opera di agenti o di violenza da parte di altri detenuti”.

Il Dossier cita alcuni casi di possibili omicidi mascherati. Tra cui quello di Luigi Acquaviva, morto nel carcere di Nuoro il 27 novembre 2000 e dapprima classificato come suicidio. La perizia necroscopica disposta dopo le proteste dei familiari accertò invece che, poche ore prima di morire, Acquaviva aveva subito un violento pestaggio. Nel novembre dell’anno scorso era fissato un processo contro 8 ispettori e agenti di polizia, accusati di omicidio colposo e lesioni. Dal Dossier non risulta, ma sarebbe utile sapere, se il processo si è tenuto e qual è stata la sentenza. E così per altri dei fatti riportati. Anche perché la sensazione è che le morti di carcere non vedano mai o quasi riconosciute le eventuali responsabilità. Tanto che al Dossier si potrebbe forse aggiungere un sottotitolo: “L’impunità come regola”.

 

 

Precedente Home Su Successiva