Dossier: "Morire di carcere"

 

"Morire di carcere": dossier gennaio 2004

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

 

Nome, cognome

Età

Data morte

Causa morte

Istituto

P.G.

41 anni

1 gennaio 2004

Suicidio

Regina Coeli (RM)

Arturo Raia

30 anni

9 gennaio 2004

Suicidio

Poggioreale (NA)

Martino Zoruddu

54 anni

10 gennaio 2004

Omicidio

Gorgona (LI)

Mario Minichino

47 anni

18 gennaio 2004

Suicidio

SM Capua V. (CE)

Detenuta italiana

60 anni

24 gennaio 2004

Non accertata

Trani (BA)

 

Suicidio: 1 gennaio 2004, Carcere di Regina Coeli (RM)

 

P.G., 41 anni, si uccide con il gas nella sezione di isolamento. Lo ritrovano con un sacco di plastica sul volto, la valvola del fornelletto a gas aperta. P.G. era disperato per avere perso il lavoro, che svolgeva all’interno del carcere, e aveva anche iniziato uno sciopero della fame per protestare contro il licenziamento. P.G. aveva il compito di piantonare un altro detenuto, ma erano subentrati dei problemi comportamentali dell’uomo: si sospettava abusasse di psicofarmaci, per cui quell’incarico a cui tanto teneva gli era stato tolto. Avrebbe terminato la pena in aprile, ma era in attesa di giudizio per un altro reato e presto si sarebbe dovuta tenere l’udienza in tribunale. (Il Messaggero, 2 gennaio 2004)

 

Morire di galera, di Luigi Manconi

 

Il primo dell’anno? E perché no, proprio il primo dell’anno?", deve aver pensato P.G., 41 anni, quando ha preso la decisione di togliersi la vita, lì, nel cesso di una cella di Regina Coeli, a Roma. In effetti, per gli studiosi di cifre crudeli (come i suicidi e gli atti di autolesionismo all’interno delle carceri), il 1° gennaio può apparire una data-simbolo: una sorta di cupa previsione, se non di tetra anticipazione, di una sequenza che scandirà- pressoché fatalmente - le statistiche sanitarie dei prossimi mesi. Ma per P.G. si trattava, in tutta evidenza, di un giorno come un altro: e dunque - come nei dialoghi di un western di serie B - "un giorno buono per morire". L’ha fatto. Analogamente a tanti altri prima di lui: la testa in un sacchetto di plastica, la bomboletta del fornello a gas aperta. Decine di persone come lui, prima di lui, si sono tolte la vita nelle carceri italiane, nel corso del 2003 e degli anni precedenti: in genere, tramite impiccagione. In prevalenza giovani, in attesa di giudizio, non pregiudicati o con lievi condanne: e - nella gran parte dei casi - appena giunti in carcere. Quasi tutti senza la prospettiva di doverci restare a lungo. La biografia di P.G. si discosta di poco da questa figura-tipo: avrebbe finito di scontare la sua pena tra qualche mese, anche se l’attendevano altri procedimenti giudiziari. In ogni caso, la sua vicenda sembra confermare un’antica legge del carcere e della "malattia del carcere". In galera non ci si ammazza perché si è disperati: in galera ci si ammazza perché si è in galera. (L’Unità, 2 gennaio 2004)

 

Suicidio: 9 gennaio 2004, Carcere di Poggioreale (NA)

 

Arturo Raia, 30 anni, s’impicca in cella. Era detenuto da meno di 48 ore, con l’accusa di avere ucciso un giovane, durante un tentativo di rapina. Per gli inquirenti non vi è alcun elemento tale da far dubitare che si Raia sia suicidato. Il caso è stato annotato dal Pm Sergio Amato al modello 45 della Procura, il registro nel quale confluiscono le notizie dei fatti non costituenti reato. Perché Raia abbia deciso di farla finita resterà un segreto impossibile da svelare: l’uomo non ha lasciato testimonianze. (Il Mattino, 10 gennaio 2003)

 

"Si è sentito non più invincibile e ha ceduto"

 

"Il suicidio è uno dei rischi maggiori che si presentano per chi, detenuto, si trova ad affrontare la drammatica esperienza del carcere. Le cause possono essere diverse, ed è difficile azzardare ipotesi nel caso di Arturo Raia, che non conosco. Posso però immaginare che quest’uomo sia stato spinto a un gesto estremo nel momento in cui quel senso di invincibilità e di onnipotenza che lo caratterizzava ha cominciato a sgretolarsi". La dottoressa Brunella Tempone conosce bene la realtà carceraria. Fino a pochi anni fa, prima di passare al Ser.T. di Torre del Greco dove ora lavora, ha prestato servizio proprio a Poggioreale: in quel pool di psicologi che assistono quotidianamente la popolazione carceraria.

Dottoressa, ci spieghi come viene fornita quest’assistenza ai reclusi…

"Al momento del loro ingresso in carcere tutti i detenuti vengono sentiti da uno psicologo e sottoposti a visita medica. La copertura è totale, nel senso che nessuno può sfuggire ai controlli. Il servizio è in funzione dalle dieci del mattino alle undici e mezza di sera, giorni festivi compresi".

E dopo che cosa avviene?

"Subito dopo il colloquio, lo psicologo valuta se sussista il rischio di comportamenti autolesivi da parte del detenuto. Segue, nel caso questo rischio sia presente, un’assegnazione mirata: dalla sistemazione in determinate celle alla decisione della sorveglianza a vista. Ma spesso è veramente difficile valutare il rischio, a meno che non si tratti di soggetti recidivi, con personalità fragile; o di chi fa per la sua prima volta ingresso in carcere e si trova a subire un impatto particolarmente drammatico con quella realtà. In questi casi viene assegnato il sostegno psicologico".

Raia però non era un detenuto primario…

"E questo teoricamente fa calare il rischio. E non era né giovanissimo, né alla sua prima esperienza carceraria".

E dunque?

"Dunque posso solo presumere che abbia subìto un improvviso crollo psicologico. La sua convinzione d’essere invincibile, superiore a chiunque, deve essere improvvisamente venuta meno". (Il Mattino, 11 gennaio 2004)

 

Omicidio: 10 gennaio 2004, Carcere della Gorgona (LI)

 

Martino Zoroddu, 54 anni, è ritrovato ucciso vicino all’ovile del "carcere aperto" dell’isola della Gorgona. Ha il cranio fracassato sotto i colpi di un’ascia o, forse, di altri oggetti contundenti. I responsabili, secondo le prime indagini svolte dai carabinieri, sarebbero altri due detenuti sardi. Sul movente, da chiarire ancora con esattezza, gli investigatori mantengono il riserbo. Avrebbe comunque giocato un ruolo importante il carattere spigoloso della vittima. Il litigio sarebbe scoppiato per questioni legate alla pastorizia. (L’Unione Sarda, 20 gennaio 2004)

 

Suicidio: 18 gennaio 2004, Carcere di Santa Maria Capua Vetere (CE)

 

Mario Minichino, 47 anni, s’impicca con un lenzuolo avvolto fino a formare una sorta di corda. Ad accorgersi dell’ennesimo suicidio avvenuto nel carcere sammaritano sono alcuni agenti di polizia penitenziaria, nel corso di un’ispezione. Minichino era stato condannato a 16 anni di reclusione per l’omicidio di un albanese, Qani Markja, omicidio che confessò il giorno successivo, costituendosi ai carabinieri. Gli avvocati Alfonso Baldascino e Alfonso Quarto, che l’avevano difeso al processo, avevano sostenuto fino all’ultimo la semi-infermità del loro assistito che, durante la detenzione carceraria, era stato sottoposto anche ad osservazione per un certo tempo. (Caserta Sette, 20 gennaio 2004)

 

Morte per cause non chiare: 24 gennaio 2004, Carcere di Trani (BA)

 

Detenuta italiana, 60 anni, è ritrovata morta, in doccia, da altre detenute. È accasciata a terra, sotto l’acqua corrente. Interviene la polizia penitenziaria, il magistrato di turno, Dario Razzi, e il medico legale Annamaria Verdelli. Ad un primo accertamento non sono state riscontrate sul corpo tracce di violenza e il magistrato ha disposto l’autopsia, per conoscere con precisione le cause della morte. Ma gli investigatori si stanno già orientando sull’ipotesi di un malore, che avrebbe stroncato la donna. (Il Messaggero, 25 gennaio 2004)

 

 

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