Dossier: "Morire di carcere"

 

Morire di carcere: dossier 2002 - 2003

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, overdose

 

Notizie sulle morti in carcere diffuse dall'Osservatorio Calamandrana

 

Osservatorio Calamandrana sul carcere di San Vittore "per la trasparenza e l’umanizzazione in carcere"

 

Da molte parti si sente l’esigenza di presentare alla società civile un’immagine della realtà carceraria più fedele di quella, spesso strumentale e distorta, fornita dai media. A questo scopo, e anche per dare voce alle esperienze di quanti operano da volontari all’interno del carcere e spesso si trovano ad affrontare situazioni di grande emergenza e di lesione dei diritti fondamentali, abbiamo inteso avviare un bollettino con scadenza bimestrale rivolto soprattutto all’esterno, dal titolo: "Osservatorio Calamandrana". Pensiamo che questo bollettino possa essere uno strumento semplice ma utile anche per la vostra attività professionale, politica o comunque di solidarietà con i più emarginati. I documenti originali - che vengono riprodotti nel bollettino senza indicazione del nome e del reparto del loro autore (salvo sua autorizzazione) - si trovano presso nostri archivi.

 

Gruppo Calamandrana, Presso Lega dei Popoli

Via Bagutta n° 12 - Milano – Tel. 02780811

E mail: lidlip@ciaoweb.it

 

Maria Elena Belli, Nunzio Ferrante, Augusto Magnone, Maria Vittoria Mora, Mario Napoleoni, Dajana Pennacchietti, Gabriella Sacchetti, Sandro Sessa, Rosanna Tognon

Bollettino n° 1 (settembre 2001)

 

Suicidio, 5 dicembre 2000

 

Il detenuto A. viene trovato morto impiccato nel gabinetto della sua cella. A. era stato arrestato un mese prima e la notte seguente si era tagliato con una lametta. In quell’occasione era stato chiamato dallo psicologo, poi non più. A. aveva crisi asmatiche e passava le giornate a letto. Si tratteneva a messa solo per tre minuti perché non respirava bene.

 

Quesiti

 

Perché A. non era stato portato al centro clinico, date le sue condizioni di salute? Perché è stato visto dallo psicologo solo una volta? Nell’inchiesta che è seguita si è preso in esame anche l’operato di medici e psicologi? Perché su nessun giornale si è parlato della morte di A.? I detenuti del raggio percepiscono questo silenzio come indifferenza.

 

Morte evitabile, 29 dicembre 2000

 

B., entrato a San Vittore 27 giorni prima, muore sorretto dai compagni a pochi passi dal pronto soccorso, dove un’ora prima il medico gli aveva dato un antibiotico. B. era andato al pronto soccorso perché da una settimana si sentiva male. Quel medico non è più venuto a San Vittore.

 

Quesiti

 

Perché il medico dà un antibiotico senza controllare la cartella clinica? Se B. stava male da una settimana, perché non era stato curato?

 

Morte per trascuratezza, 18 gennaio 2001

 

C. muore mentre lo stanno portando al pronto soccorso. Il giorno prima C. (tossicodipendente) era stato mandato all’ospedale per una bronchite grave. Lì gli avevano dato una flebo disintossicante. C. era stato dichiarato, dai medici, incompatibile con il carcere per il suo grave stato di salute.

 

Quesiti

 

Perché C. non era stato curato per la sua bronchite? Perché C. era ancora in carcere se era stata dichiarata la sua incompatibilità con la detenzione?

 

Terapia sbagliata – suicidio 27 marzo 2001

 

Ad F. viene aumentata la terapia, ogni giorno 50 gocce in più, fino ad arrivare a 400 gocce. F. viene colpito da una parziale paralisi. Nella cella di F. (trovato impiccato) viene trovata dai compagni una bottiglia di pastiglie.

 

Quesiti

 

La terapia (ansiolitici) viene data solo su prescrizione del medico, o è sufficiente la decisione dell’infermiere? Se la terapia deve essere assunta davanti all’infermiere che la distribuisce, come mai si accumula in alcune celle, come in quella di F.?

 

Suicidio, 9 agosto 2001

 

Il detenuto Q., albanese, viene trovato impiccato nel gabinetto della sua cella. Pochi giorni prima si era prodotto tagli per protesta. L’agente che lo accompagnava al pronto soccorso gli aveva detto che se moriva ci sarebbe stato un albanese di meno. Q. si era molto lamentato della villania di questo agente e i suoi compagni di cella sanno che negli ultimi giorni aveva scritto su alcuni fogli la sua testimonianza.

 

Quesiti

 

Perché nessun giornale ha riferito di questo suicidio? È stata aperta una inchiesta? Qualcuno leggerà e prenderà in considerazione gli scritti di Q.? Chi verrà a conoscere i risultati dell’inchiesta?

Bollettino n° 2 (dicembre 2001)

 

Suicidio

 

Nella serata del 30 ottobre 2000 a Rosario Candamano e a quelli di noi in cura (Franco, io e Luca) verso le 20 veniva data la terapia, nelle dosi prescritte dai dottori del carcere. Rosario quella sera, dopo aver preso la terapia, non riusciva a prendere sonno e si mise a chiamare l’agente di turno, per poter andare al pronto soccorso e avere altre gocce per dormire. Questa sua richiesta veniva respinta dall’agente di turno che rispondeva con arroganza: "Candamano, fatti la galera!". Così abbiamo sentito noi e altri detenuti delle celle del piano. Verso le 2.30, 3, o 4 tutti noi ci siamo addormentati, lasciando Rosario a scrivere, come di sua abitudine, nel bagno, per non recare disturbo a noi suoi compagni di cella.

Rosario era agitato, nell’entrare e uscire dal bagno. Alle ore 6,50 Nicola si svegliò e, andando in bagno, si trovò di fronte a Rosario, che si era impiccato alla grata della finestra del bagno. Nicola svegliò Enzo, che tentò invano di sollevare Rosario, che però era già morto, quindi non restava altro che chiamare gli agenti. 

Rosario era arrivato nella cella 102 nei primi di giugno. Non aveva nessun problema a socializzare con noi della cella. Passava parecchio tempo a ritagliare articoli di giornale, scriveva parecchio e a causa di mancanza di spazio era solito adoperare il bagno per questi suoi lavori di scrittura e lettura. Oltre alla terapia gli venivano somministrate delle punture antidolorifiche per la schiena; ma più di una volta gli agenti non lo mandavano al pronto soccorso. Aveva avuto dunque anche problemi a ricevere la terapia, sempre per ragioni che dipendevano dalla organizzazione carceraria. Più volte aveva sollecitato questa mal organizzazione, con domandine continue di visita medica, ma la maggior parte del suo periodo carcerario era problematico. Ultimamente aveva cominciato lo sciopero della fame, dopo aver fatto invano varie domandine per ricevere un pacco inviato da dei suoi conoscenti, che avevano rispettato tutte le regole dette dagli agenti. Voleva farsi sentire e far conoscere gli innumerevoli problemi causati dalle mancanze dell’istituto. Essendosi in precedenza, per ben tre volte, tagliati i polsi, veniva posto in una cella a rischio.

A questo punto noi, avendo messo alla luce la vita con cui vivevamo con Rosario, chiediamo di far luce su questo suicidio. Chi è veramente responsabile? Un’altra cosa che ci lascia perplessi è: perché la stampa non riporta notizie di vicende così gravi? La settimana antecedente un altro detenuto del 4° raggio veniva trovato impiccato, come Rosario, nella propria cella.

Con questa lettera vogliamo rendere pubblico com’è la vita carceraria, in uno stato che combatte contro la pena di morte ma che ti costringe al "suicidio". Così si muore, in galera, a 36 anni.

Bollettino n° 3 (marzo 2002)

 

Assistenza sanitaria disastrata: la storia di Arturo, narrata da un suo compagno di cella

 

Cappella Arturo, nato a Milano il 4 aprile 1937, a sessant’anni fu operato per un tumore alla vescica, con conseguente asportazione della parte interessata. Cardiopatico e diabetico, gli furono concessi gli arresti domiciliari nel 1999, per le precarie condizioni di salute, presso un suo zio, da dove ogni quindici giorni si recava, per le cure, in ospedale.

Ricondotto al Centro Clinico di San Vittore nel 2000, per una sentenza definitiva, richiedeva la detenzione ospedaliera per l’aggravamento delle sue condizioni di salute. Essendo, nel frattempo, deceduto il suo unico parente ed essendo lui non più autosufficiente, la detenzione domiciliare gli fu concessa però non fu eseguita, perché gli mancava l’abitazione. Colto da forti dolori, dovuti ad occlusione intestinale, fu ricoverato in ospedale, ma debilitato dalle diverse patologie e colpito da ictus celebrale si spegneva il 7 gennaio 2001.

 

"Le tre scimmie": non voler vedere, non voler sentire, non voler parlare, di Ivano Longo

 

Questa settimana, qui a San Vittore, un altro detenuto è morto. E non ci interessa se era bianco o nero, non ci interessa cosa aveva fatto o quale ingiustizia aveva commesso. Sappiamo solo che ora è "fuori". Come sono "fuori" tanti altri di cui non si parla più. Questi uomini non sono morti da uomini liberi. E questo non è giusto. So bene che in molte parti del mondo si muore ancora di fame e di freddo, che molte persone non hanno neanche una casa. Ma morire in galera, questo no! Io sono un detenuto del carcere di San Vittore, e precisamente del quarto raggio. Sono qui da più di due anni e mezzo e, in questo tempo, ci sono stati moltissimi casi di detenuti morti, detenuti di cui non si è più sentito parlare. Non si sono visti cambiamenti, non sono stati presi provvedimenti, non ci sono state denunce, non c’è stato nulla.

Gli agenti che ci sono non sono sufficienti (un agente per piano, ovvero uno per centocinquanta uomini… parliamoci chiaro, non può farcela). Pochi giorni fa è venuto qui in visita un ministro, non ricordo chi fosse. Dentro di me ho pensato: "È uno dei tanti", e come uno dei tanti è sparito nel nulla. Sono entrate le telecamere di una TV privata, hanno fatto il loro "spot" nel reparto penale (il più pulito, il più ordinato, il più vuoto dei reparti) e sono spariti nel nulla. Nulla, come il messaggio che hanno lanciato con una puntata di un’ora.

Perché ci sono malati terminali in quei reparti che qui chiamano "infermeria" ma che di infermeria non hanno neanche l’odore? Perché per avere un farmaco (prescritto dal dottore del reparto) bisogna aspettare un mese? Perché ci sono persone sulla sedia a rotelle che non riescono ad entrare in cella perché il cancello è troppo stretto? Perché quasi una volta al mese un detenuto muore? Queste cose tutti le vedono, tutti le sentono e tutti ne parlano, ma nessuno si muove perché tutto questo cambi.

Noi vogliamo solo essere aiutati a vivere in modo dignitoso, e quando dico dignitoso dico che ognuno abbia diritto a un letto, a due pasti caldi al giorno, alle posate, alle cure mediche appropriate, ad uno spazio dignitoso (non sei uomini in una cella per due), ai colloqui con gli educatori (che sono il tramite tra i magistrati di sorveglianza e noi). Noi chiediamo che vengano applicate quelle leggi, alternative al carcere, già in vigore… ma per ora ci accontentiamo anche solo di essere ascoltati.

 

 

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