Troppe morti nelle carceri sarde

 

Chiesto l’intervento di Castelli dopo il nuovo suicidio in cella

 

L’Unione Sarda, 3 dicembre 2003

Il 35 per cento dei suicidi di detenuti avviene nelle carceri sarde. Un dato impressionante, contenuto in un’interrogazione che il deputato di An Francesco Onnis aveva rivolto al ministro della Giustizia, e alla quale Castelli non ha mai risposto. A sostenerlo è lo stesso Onnis: dal 1° agosto attende che il ministro "intervenga concretamente perché, anche nelle carceri della Sardegna, il livello e la qualità della detenzione siano degni di uno Stato civile e democratico".

A scatenare la reazione del deputato di An, che ha sollecitato il ministro, è stato l’ennesimo suicidio di un recluso (questa volta nel carcere cagliaritano di Buoncammino), che si è impiccato col lenzuolo alle sbarre della propria cella mentre i compagni dormivano. "La casa circondariale di Cagliari è sempre più sovraffollata", denuncia il parlamentare, "mancano gli agenti e i servizi sociali adeguati, i detenuti non hanno spazi né per prendere l’aria né per fare attività fisica o socializzare".

Intanto il consigliere regionale Nazareno Pacifico, dei Ds, polemizza con il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria: Massidda aveva dichiarato che l’affollamento a Buoncammino è tollerabile. "La capienza regolamentare", ricorda Pacifico, "è di 178 detenuti, quella tollerabile di 235, ma i reclusi sono 455 e poche settimane fa erano di più. Il carcere è sovraffollato, non si possono recuperare spazi per attività di qualsiasi tipo".

I suicidi si possono evitare col sostegno psicologico

 

L’Unione Sarda, 2 dicembre 2003

 

Ho conosciuto la realtà del carcere, seppure per motivi ideologici. Ho vissuto anche il sovraffollamento e tutti i problemi ad esso connessi. Indubbiamente, il caso del carcere di Iglesias, dove nel giro di poche settimane si sono consumati due suicidi, fa meditare e discutere nello stesso tempo. Non bisogna pensare al detenuto solo in termini di malfattore.

Occorre vederlo prima di tutto come persona da sostenere e recuperare, facendo distinzione tra persona recuperabile e criminale incallito e irrecuperabile nello stesso tempo. Non conosco la realtà specifica del carcere di Iglesias, ma ritengo che tali suicidi si possano evitare quasi del tutto se viene dato ai singoli detenuti un sostegno psicologico. Non pensiamo in termini di "quanto ci costa". La vita umana non si può barattare col denaro. Ci sono tanti mezzi a disposizione. Basta volerlo: perché non utilizzare il volontariato qualificato?

Come usare al meglio le risorse locali disponibili, come Servizi sociali, medici di base con studi di psicologia, psicologi o ministri di culto qualificati. Credo che la principale responsabilità di ciò che avviene nel carcere sia del direttore. Questi dovrebbe adoperarsi per prendere misure atte non solo ad evitare tali suicidi, ma anche a trovare soluzioni per rendere umanamente vivibile la vita carceraria. Di per sé, l’isolamento dalla società è una punizione disciplinare abbastanza dura: non è il caso di aggravarla di inutili sofferenze.

Il provveditore Massidda: carcere non sovraffollato

 

L’Unione Sarda, 2 dicembre 2003

 

Tollerabile. Affollato, ma in modo tollerabile. Quello su Buoncammino non è un giudizio personale del provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, ma un dato di fatto che risulta dalle normative, che distinguono l’affollamento regolamentare e quello tollerabile. "Il primo è quello ideale", spiega Francesco Massidda, "che prevede 9 metri quadri per un detenuto e cinque in più per ogni altro recluso: a Buoncammino sarebbe di 332 ospiti.

L’altro, il tollerabile, è quello che non soddisfa il rapporto tra detenuti e metri quadri, ma non supera il livello di guardia: a Cagliari è di 469 ospiti". Buoncammino ne ha 455 circa, dopo il trasferimento di una trentina di detenuti ordinato da Massidda due settimane fa: dunque, dati alla mano, il penitenziario cagliaritano non è tecnicamente sovraffollato.

Detto questo, sull’onda dell’ennesimo suicidio di un detenuto (che all’alba di venerdì si è impiccato col lenzuolo in cella), il provveditore regionale non si nasconde dietro un dito: la sfacciataggine di dire che Buoncammino è un carcere modello, proprio, non ce l’ha. "Gli spazi sono quelli che sono, molte cose non si possono fare e i fondi per gli educatori sono pochi", esordisce Francesco Massidda, "ma non si sta male, compatibilmente col fatto di essere reclusi.

Negli ultimi 15 anni", continua, "molti lavori sono stati fatti: via le bocche di lupo, sono stati ristrutturati gli impianti e la qualità delle celle non è male". Fin qui le note positive, perché ci sono anche quelle negative: organico degli agenti di polizia penitenziaria ridotto all’osso, nessuno spazio per attività ricreative e sportive, scarsa possibilità di lavorare e guadagnare all’interno del carcere. Entro giugno, così spera il provveditore, il problema dell’attività fisica dovrebbe essere risolto: salteranno i quartini, gli angusti spazi dove i detenuti trascorrono l’ora d’aria, per fare spazio a due campi da calcetto, di superficie non regolamentare ma pur sempre utilizzabili.

I lavori partiranno a febbraio: i campetti sorgeranno uno nel braccio destro, l’altro in quello sinistro. Nel frattempo si cerca di ovviare alla carenza di spazi, e a un carcere troppo opprimente, trasferendo i detenuti con pene inferiori ai quattro anni nelle colonie penali, dove si lavora all’aria aperta. Buoncammino, almeno in teoria, è un carcere per detenuti in attesa di giudizio: chi è stato condannato in via definitiva, sempre nelle intenzioni non sempre rispettate, dovrebbe essere trasferito altrove, anche se qualcuno fa resistenza per poter incontrare spesso i propri familiari a Cagliari. "Per il nuovo carcere nella zona industriale di Uta, intanto, si procede", spiega il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, "la prima tranche della progettazione è già stata finanziata, la seconda è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale".

Mancano gli educatori e gli agenti di polizia penitenziaria, a Buoncammino, e secondo l’ex vice presidente della commissione Diritti civili del Consiglio regionale, Nazareno Pacifico, il grande affollamento impedisce ai detenuti di godere di una decente assistenza psicologica. Non è d’accordo Laura Fadda, una psicologa che da 15 anni lavora a Buoncammino: "Siamo in sei, copriamo il mattino e il pomeriggio, il presidio tossicodipendenti è passato sotto il servizio sanitario nazionale. Certo, i detenuti sono molti e se ci fossero più psicologi l’assistenza sarebbe migliore, ma anche adesso il servizio c’è è funziona. I reclusi", conclude Laura Fadda, "soffrono per la mancanza di spazi e di attività, spesso sono abbandonati dai familiari, ma noi li assistiamo".

A Buoncammino solo due educatori per 450 detenuti

 

L’Unione Sarda, 5 dicembre 2003

 

Quattrocentocinquanta a due. Con un risultato così, la partita è persa ancora prima di giocarla, eppure le proporzioni tra i numeri dei detenuti a Buoncammino e degli educatori in servizio è proprio questa. Tra le lacune del carcere, quella del numero di educatori fa soffrire i detenuti oltre ogni limite sopportabile: sono loro, gli educatori, a organizzare le attività ricreative e culturali per chi è costretto a vivere tra quattro mura e con le sbarre alle finestre, ma soprattutto sono loro che compilano i fascicoli personali che vanno poi all’esame del giudice di sorveglianza.

Hanno insomma voce in capitolo, nel carcere sovraffollato per tutti tranne che per il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Francesco Massidda, per quanto riguarda la concessione di permessi-premio e pene alternative alla detenzione. C’è la fila, in un carcere di Buoncammino ancora scosso per il suicidio di un recluso la scorsa settimana, per parlare con un educatore, e il fatto che siano soltanto due non facilita le cose, anzi: per molti detenuti, l’attesa è fonte di nuove frustrazioni.

Considerato che le carceri sarde hanno il record europeo dei suicidi in carcere, e quello cagliaritano non fa eccezione, il dato non è da sottovalutare. "Certo, lavorare in queste condizioni non è facile", commenta Giulio Versari, che da solo rappresenta (per forza di cose) la metà degli educatori di Buoncammino, "e anche redigere i piani trattamentali di ogni singolo detenuto diventa un’impresa". Ovviamente, tutti i reclusi vorrebbero avere un rapporto sereno con gli educatori: "Chi sinceramente e chi, ma lo capisco, per strumentalizzare la cosa e riuscire ad avere via libera con i benefici che la legge prevede in certi casi", sorride Versari. Ogni educatore, però, ha a che fare con 230 detenuti e in queste condizioni è difficile perfino ricordarne i nomi. Figuriamoci tracciarne il profilo.

"Il nuovo direttore Luigi Magri ha creato un’unità di polizia penitenziaria per l’area trattamentale", commenta Versari. Al di là del gergo carcerario, significa che un agente di polizia penitenziaria è sempre disponibile per le attività culturali, come i corsi scolastici, e quelle ricreative. "Non è poco", aggiunge l’educatore, "in passato è capitato che le attività saltassero perché il personale della polizia penitenziaria è oberato di lavoro".

Sono 250, gli agenti teoricamente in servizio, ma una quarantina fanno parte del servizio traduzioni (accompagnano i detenuti nei trasferimenti e alle udienze nei vari palazzi di giustizia), un’altra trentina sono distaccati in varie sedi, poi ci sono quelli in malattia. Alla fine, considerato che Buoncammino è una città che vive per 24 ore al giorno, il personale non basta mai e a farne le spese sono gli stessi agenti, costretti a saltare ferie e riposi, e soprattutto i detenuti.

Ora che si avvicina il Natale, come ogni anno, aumenta il senso di depressione nella popolazione carceraria. "Qui molti sono abbandonati dalle famiglie, soprattutto le donne", sottolinea Giulio Versari, "perché spesso sono rifiutate dai familiari. Inoltre, i loro compagni sono meno fedeli, rispetto alle mogli e alle fidanzate dei reclusi maschi. Speriamo che il nuovo cappellano, per Natale, ripeta l’esperienza dell’anno scorso: una bella fiaccolata dei familiari dei detenuti davanti al carcere, con i reclusi che cantano dalle loro celle". Commovente. Proprio come la situazione a Buoncammino.

 

 

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