Delegazione PRC in carceri Piemonte

 

Delegazione Prc in 8 dei 13 istituti del Piemonte tra sovraffollamento, assistenza sanitaria precaria e carenze di organico

 

Liberazione, 6 febbraio 2003

 

Lo scorso autunno, in ottemperanza al mandato istituzionale, una delegazione del Prc (di cui faceva parte anche il segretario della Camera del Lavoro Metropolitana Maurizio Paletto), ha iniziato un giro di visite nelle carceri piemontesi. Ad oggi la delegazione è entrata in 7 dei 13 istituti della regione.

Un primo dato che emerge in forma omogenea su tutto il territorio regionale (e probabilmente nazionale) è quello del sovraffollamento. Questo è l'aspetto, generalizzato per tutte le carceri (eccezion fatta per Verbania e Fossano), più drammatico.

Vivere 20 ore su 24 in uno spazio già ristretto per definizione (il carcere) con un sovrappiù di sofferenza causato da un'ulteriore limitazione spaziale, è una realtà fattuale che svela la funzione meramente custodialistica della pena e che getta tranquillamente alle ortiche le "velleità" rieducative della stessa, come prevedrebbe il dettato costituzionale.

Un altro dato comune a tutte le carceri piemontesi (e italiane) è l'alta percentuale (almeno il 40%, ma con punte del 70% come nel carcere di Fossano) di detenuti extracomunitari e di tossicodipendenti (il 30/35%). Un altro grave deficit di quasi tutti gli istituti visitati è quello della cosiddetta "area pedagogica", cioè gli educatori.

Quando va bene gli educatori assegnati ad un penitenziario sono la metà (se non meno) dell'organico previsto. Ciò ha una causa molto semplice: è dal 1990 che il ministero non indice concorsi.

Per cui, anche solo per il fatto che il normale turn-over non ha potuto aver luogo, ci troviamo oggi con meno educatori di 12 anni or sono, quando i detenuti erano meno di 30.000 (oggi sono più di 57.000). Inutile sottolineare come l'area pedagogica rappresenti proprio il versante trattamentale dell'esecuzione della pena e non è un caso che è qui ci siano le deficienze d'organico più significative, piuttosto che nell'area della sicurezza, dove c'è sì un deficit d'organico, ma non di queste dimensioni (la polizia penitenziaria dovrebbe avere 3.820 effettivi, in realtà ne ha in servizio solo 3.299, di cui 166 distaccati ad altre mansioni; a completare l'organico mancano quindi 687 uomini, -18%).

Per quel che riguarda invece il comparto amministrativo, l'organico previsto è di 573 persone, in servizio sono solo 368, 31 delle quali distaccate ad altri incarichi; il deficit quindi è di 236 unità (-41%).

A Torino è aperta solo la Casa Circondariale "Le Vallette", in quanto "Le Nuove" sono chiuse da anni; quindi questo è l'unico grande giudiziario metropolitano della regione, che a paragone degli altri grandi giudiziari metropolitani (S. Vittore, Rebibbia e Regina Coeli, Poggioreale etc.) non è neanche così drammaticamente sovraffollato. Il 16 ottobre 2002, giorno della visita, ospitava circa 1.240 detenuti, suddivisi in 5 blocchi (o padiglioni) di cui uno femminile ed uno ospitante la comunità terapeutica interna "Arcobaleno".

Nel blocco B inoltre c'è il cosiddetto "polo universitario" e l'area scolastica. Un'altra peculiarità che caratterizza positivamente questo carcere è la progettualità "Prometeo", ovvero due sezioni in cui convivono senza distinzioni, in un'esperienza di vita collettiva, detenuti sieropositivi ed altri sieronegativi.

Pur essendo una Casa Circondariale, cioè un carcere giudiziario, princi a, esistono una comunità terapeutica interna di 1° livello (propedeutica all'accesso a strutture come Arcobaleno); alcuni buoni corsi (uno d'impiantistica civile ed un altro, biennale, di addetto al settore grafico che offre anche uno sbocco lavorativo interno al carcere nella ben avviata tipografia dell'istituto), ma soprattutto, l'interessantissima esperienza di un'attività produttiva interna di cablaggi elettrici in cui i detenuti sono tutti soci-lavoratori di una cooperativa sociale. La nota dolente riguarda la fatiscenza dell'edificio, unita al più alto indice di sovraffollamento della regione.

La Casa Circondariale di Cuneo è uno dei due istituti piemontesi con una corposa sezione a regime 41bis: riguarda praticamente metà carcere, circa 100 detenuti su 300. Questo regime - già durissimo di per sé - applicato nello specifico della struttura di Cuneo, in anguste cellette cubicolari, illuminate solo da una luce al neon, è un vero e proprio attentato alla salute fisica e psichica del condannato.

La Casa di Reclusione di Fossano è una struttura per detenuti condannati in via definitiva. La tipologia dell'istituto fa sì che qui, più che altrove, sia possibile implementare reali percorsi di reinserimento sociale. C'è una buona offerta di corsi scolastici (seguiti per lo più dagli stranieri) e di corsi di formazione professionale (per muratori e di fotografia), corsi in elettrosaldatura, elettromeccanica ed informatica, di teatro e di pittura.

Anche le possibilità lavorative interne non mancano. Praticamente tutti i detenuti lavorano o seguono qualche corso. Fossano è anche l'unico carcere visitato in cui il dato delle presenze effettive non si discosta di molto dalla capienza regolamentare. In più è un istituto molto ben integrato con la città che lo ospita; spesso si svolgono manifestazioni pubbliche dentro il carcere e l'amministrazione comunale offre opportunità lavorative ai detenuti in misura alternativa alla detenzione. Necessita, però, di urgenti interventi di ristrutturazione.

Alla Casa Circondariale di Alessandria la situazione è disastrosa anche perché, pur essendo un carcere giudiziario, la metà dei detenuti è condannata definitivamente. In breve: lavoro zero; assistenza sanitaria a livelli da terzo mondo; molte lamentele, non solo sulla qualità, ma anche sulla quantità del vitto. Anche la semplice consegna delle fotocopie dei due testi definitivi (in materia di indulto) licenziati dalla Commissione Giustizia, che la delegazione si era portata dietro, è stata sottoposta ad una censura preventiva che ne ha, di fatto, impedito la consegna diretta ai detenuti.

La parte però a regime "normale" è invece ottimamente attrezzata dal punto di vista dei corsi: vi è addirittura un corso di ragioneria ed un corso di computer-grafica (biennale). Ma a Novara, contrariamente a quasi tutti gli istituti visitati, non c'è la cosiddetta "socialità", cioè quelle due ore pomeridiane che il detenuto può passare nell'apposita saletta o, almeno, in un'altra cella. Anche l'assistenza sanitaria è penalizzata dal fatto che, pur con un ospedale a 50 metri di distanza, a causa della carenza di personale, gli accompagnamenti dei detenuti hanno dei tempi lunghissimi.

Assistenza sanitaria sotto organico anche nel carcere di Biella, dove pure ci sono corsi sia di alfabetizzazione e licenza media che di informatica. L'ultimo istituto visitato, il 14 gennaio scorso, è stata la Casa Circondariale di Asti. E' forse l'istituto di più recente costruzione, aperto nel 1991, ed essendo ubicato in periferia ha molti spazi.

Le scuole e la formazione professionale sono molto curate: c'è un corso in giardinaggio che ha uno sbocco lavorativo nell'azienda florovivaistica interna ed esiste un progetto-pilota del Dap, che dovrebbe decollare presto, creando una produzione intra muros di agricoltura biologica. Ma anche qui l'assistenza sanitaria è quasi tutta esterna all'istituto, per cui ogni volta bisogna tradurre (e spesso piantonare) in ospedale il detenuto. Pessima, poi, la qualità dell'acqua perché l'istituto utilizza ancora due pozzi artesiani.

I compiti che questo Gruppo Consiliare si è dato strutturando il giro di visite negli istituti piemontesi sono molti. Da un lato esercitare la funzione di controllo e garanzia, dall'altro tenere costantemente aggiornata la popolazione detenuta sull'iter parlamentare dei provvedimenti di clemenza (l'approvazione dell'indultino è stata accolta con una certa freddezza tra i detenuti piemontesi).

Il gruppo sta inoltre cercando di mettere in piedi una rete, in cui anche i detenuti siano protagonisti, per articolare alcune proposte legislative regionali come il difensore civico dei detenuti o su alcune competenze regionali in materia di lavoro. Ma, soprattutto, come in questo caso, dar voce a quei soggetti che tradizionalmente ne sono privi.

 

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